L'angolo delle storie - L'angolo dei ruolisti
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Partita GDR | L'ombra di Saladino

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Messaggio Da Stratega Capo Sab Mar 18, 2023 4:43 pm

Ar-Raqqa, 639 anno dall’Egira alla Mecca






Il Condottiero Mujahid Heddin era stato due mesi prima dal Sublime nominato Reggente del Sultanato. Almeno finché non sarebbe tornato dalla Mecca.
Il suo piano per fare il pellegrino fu molto astuto, sapendo dell’estrema debolezza del Paese in sua assenza decise di mandare messaggeri in tutti i Regni dei Franchi per distrarli dagli accadimenti Egiziani, la seconda mossa astuta fu quella di porre al comando non il Capo delle Guardie, né un Precettore del Figlio, ma bensì il Comandante dell’Esercito, fidatissimo del Solo, che si vociferava per più motivi fosse suo fratellastro: primo fra tutti il fatto che era l’unico, ad eccezione dell’Harem e del Figlio, ma questi non erano uomini e adulti, ad osare a chiamarlo col suo nome, ossia Baybars.


Ora Mujahid aveva il comando dell’esercito di tutto il Paese, di cui grandi forze dislocate al confine coi Mongoli, popolazione più feroce dei Franchi, ma meno malvagia.
Era seduto per terra, protetto dal Sole dalla tenda da campo, una delle tante tende che occupavano gran parte del villaggio sulla riva sinistra dell’Eufrate, ad un passo dai Mongoli.
Da quella posizione non si aveva nemmeno la protezione del fiume, erano dal lato nemico, nessuno Stratego avrebbe deciso di porre l’accampamento in tal maniera, se non perché intenzionato ad attaccare. Mentre sorseggiava al suo tè pensava alle sue parole con Baybars:


Sire, per quale motivo mi ha convocato?”
Dà l’ordine osservare attentamente Regno di Gerusalemme e Romani”
Come lei vuole Mio Sire”
Un’altra cosa: prepara l’esercito, deve essere pronto per i nemici del Nord, quelli che hanno occupato le mie terre, i Khan.”
Sì Mio Sublime, sarà pronto a breve, ci condurrà anche stavolta?”
No, io andrò alla Mecca, sarai tu a condurlo se sarà necessario, confido in te”
Grazie Baybars, lo farò, non preoccuparti”

Ricordare di aver chiamato Baybars solamente Baybars lo fece sentire stupido; appellarlo così con gli schiavi di fronte, come aveva potuto? Se quegli avessero parlato! Fortunatamente quegli erano i migliori in circolazione, spesso venivano fatti muti ed analfabeti.  

Poi pensò all’ordine di chiusura dell’Harem, scacciò quando si trovava ancora a Damietta i maligni pensieri e impose che effettivamente nessuno potesse entrare, appurò lui stesso che venisse posto cibo e acqua per più mesi e sempre lui stesso controllò gli schiavi eunuchi che venivano introdotti nelle stanze. Non si poteva permettere di perdere la fiducia di suo fratello. Se mai ne aveva avuta.

Sorseggiava ancora il suo tè quando un uomo entrò nella sua tenda:

Comandante! Sono partiti!”
Perfetto, spiega meglio”
I Khan, hanno lasciato i loro accampamenti, si dirigono in più direzioni”
Quali direzioni? Vengono da Noi?”
No! Vanno dai Crociati e dai Romani, razzieranno le loro terre senza fatica”
Questo è un bene ed un male, un male perché razzieranno le nostre antiche terre, un bene perché ora i loro accampamenti sono vuoti ed hanno indebolito i seguaci di Isa, povero lui che si ritrova certa gente ad adorarlo”
Cosa facciamo ora? I Khan sono nostri nemici, aiutiamo i seguaci di Isa?”

Heddin rispose ancora in maniera ambigua:
Sì e no, no perché non è nel nostro interesse aiutarli, a meno che non riconsegnino le terre prese, sì perché gli accampamenti Khan sono vuoti e pronti a cambiare padrone.”

Heddin, fratellastro del Sultano, desiderava solo compiacerlo, e per questo decise di dare inizio ad una guerra dall’esito incerto, se avesse avuto successo il Sublime, tornato dalla Mecca sarebbe rimasto meravigliato dal fratello e l’avrebbe probabilmente, finalmente, apprezzato; preferì non pensare ad un esito negativo.
Si alzò, si mise in posizione e pregò, per poco. Si alzò, prese il Corno ed uscì dalla tenda:

Po-pooo-poooo, attira l’attenzione, Po-pooo-pooo, i soldati prendono le armi, Po-pooo-pooo, tutti i combattenti erano pronti, sui loro cammelli e dromedari con la scimitarra pronta.  

Salito sulla sua cavalcatura, avvolto dal mantello dal colore blu scuro, guidò il suo esercito all’esterno dell’accampamento, portandolo verso quello nemici, sperava nelle voci che insinuavano l’essere nomadi del nemico e sperava nella sua preghiera.



La Mecca, 639 anno dall’Egira alla Mecca

Il Sultano aveva appena concluso la visita alla Khaba e nei suoi domini, stava tornando a casa, aveva pattuito anche una visita a Gerusalemme col suo seguito per incontrare i luoghi del penultimo Profeta Isa; poi finalmente avrebbe scoperto quali bestie i Franchi ritenevano onorevoli per i loro Re, era curioso anche di sapere cosa i suoi messaggeri gli avessero raccontato. Aveva infatti ideato un modo per farli entrare sempre e comunque nelle Reggie Franche.

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Messaggio Da Rhaenyra Sab Mar 18, 2023 10:46 pm

GHIACCIO E FERRO


Ghiaccio come la fredda terra dove si poggiano i caduti,
Ferro come quello che brandiscono prima di cadere su questo suolo gelato.


Dal diario di Werner von Breithausen, Gran Maestro dei cavalieri dell’Ordine Livoniano.

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Gennaio, anno domini 1261,

Oggi altri soldati svedesi sono stati richiamati nella loro patria, lasciandoci più vulnerabili, ma l’Ordine rimane saldo in Terra Mariana,
malgrado il durissimo inverno di questa sponda orientale del Baltico.
Gli attacchi dei pagani lituani sembrano cessare al momento, le perdite inflitte da noi qui e dai cavalieri teutonici nella Prussia sembrano aver rallentato la loro rappresaglia, ma i nemici più pericolosi non sono i lupi ma i lupi travestiti da agnelli, quei maledetti eretici del Rus’ di Novgorod attaccano, fortunatamente in piccoli gruppi, ma con grande foga.
Si sentono minacciati dalla presenza della vera fede in un territorio così vicino, ma non è tutto;
Questi continui attacchi sono principalmente provocati dalla presenza degli svedesi, rivali dei russi di Novgorod, fiduciosi dell’ultima vittoria ottenuta sul fiume Neva contro il regno di Svezia.
Aleksandr Nevskij, un tale che si fregia della vittoria a tal punto da fare suo il nome del posto, è il loro comandante e anche principe del Rus’.
Le perdite sono state molte, hanno sfoltito le fila e Sua Santità ha ritenuto opportuno l’aiuto dell’Ordine Teutonico, una ferita al mio orgoglio,
pensando che al di fuori di queste fitte foreste del nord, c’è gente che crede che stiamo vacillando.
I miei cavalieri combattono, si riposano e combattono di nuovo, con forza ma soprattutto con fede, questi uomini sono ormai temprati dalle battaglie notturne e dal gelo e sono pronti alla morte perché in cuor loro sanno cosa gli aspetta ma venderebbero l’anima al Demonio in persona piuttosto che cedere una sola di quello che hanno conquistato.
Questo angolo di terra è inclemente e il popolo è testardo, tuttavia abbiamo battezzato migliaia di pagani conducendoli fuori dall’oscurità a cui erano destinati.
Infine la ricostruzione della cattedrale di Riga, che cadde in rovina, ha fatto sì che la Curia inviasse un nuovo Arcivescovo,
il germanico Albert Suerbeer, che ho avuto l’onore di conoscere, un uomo colto, sono sicuro che condurrà la reinstaurata arcidiocesi in maniera eccelsa.

Gott mit uns



Järnbank

la Banca di Ferro

Partita GDR | L'ombra di Saladino - Pagina 3 LeifEricsson

A seguito delle riuscite trattative commerciali da parte dei componenti della Gilda dei Mercanti, i rappresentanti di quest’ultima si sono preoccupati della sicurezza dell’enorme somma di denaro accumulata, di conseguenza hanno deciso all’unanimità di fondare una banca, la più importante del nord Europa, la Banca di Ferro, con sede a  Stoccolma.
Questa banca offre inoltre depositi a bassi tassi a tutta la popolazione svedese e sopratutto crediti, sorprendentemente anche sullo scenario internazionale, dove la banca provvede tutt’ora al finanziamento dei cantieri navali della prestigiosa corona di Francia del pio sovrano Luigi IX detto il Santo.
La Järnbank si aspetta una crescita esponenziale favorendo così i flussi di monete rinvigorendo la competitività dei mercati di Svezia, ma non è tutto, nonostante il nome possa intimorire i nuovi investitori, la banca come già scritto, offre tassi di interessi bassi o in casi speciali nulli, con scadenze molto flessibili riuscendo così a far prosperare non solo i propri interessi ma anche quello dei clienti, materiali, cibo o denaro, alla Banca di Ferro non manca nulla.

Nel nome di sua Maestà Valdemaro I di Svezia,
Il Maestro contabile Knut Haraldsson della Banca di Ferro.



Riksrådet

Il Concilio del Reame

18 gennaio 1261
La prima seduta del 1261 viene aperta come di consuetudine ormai dallo Jarl reggente Birger Magnusson.
Il prospero periodo commerciale sta giovando all’economia del regno e aggiunge il tesoriere, la nuova banca potrà dare più rilevanza in Europa ad una potenza emergente come la Svezia.
Ma la priorità assoluta della seduta di oggi sono i fatti avvenuti dopo che il Re Haakon IV di Norvegia ha dato l’ordine di cominciare una serie di saccheggi lungo le coste scozzesi, una vile pratica quella della pirateria che si rifà alle storiche tradizione pagane del nostro passato, una fortuita coincidenza vuole che siamo venuti in possesso di un prigioniero svenduto dai pirati ad una delle famiglie svedesi, si rivelasse non solo un prigioniero scozzese ma un nobile, dai colori del tartan fa comprendere di appartenere al clan dei Ross.
Rimandare il nobiluomo in scozia in veste di messaggero ci ha guadagnato l’amicizia del re di Alba e un più che sufficiente casus belli per scendere in battaglia con i pirati norvegesi finendo una volta e per tutte la minaccia nordica nelle terre gaeliche e nei nostri interessi invece, appropriarsi della corona di Norvegia spodestando il vecchio re.
Ma la guerra è costosa, non solo in termini economici ma soprattutto in termini di vite umane, abbiamo perso un numero cospicuo di truppe nelle crociate del nord, ci vorranno mesi, prima di ricomporre le fila dell’esercito per affrontare una guerra, conclude il maresciallo.
Il cancelliere non riporta alcuna notizia interessante né dall’occidente ne dal meridione, da oriente invece sempre più mongoli attaccano l’Anatolia e la pianura pannonica mentre in Livonia l’arrivo dei cavalieri teutonici dovrebbe alleggerire la pressione della Repubblica di Novgorod e dei pagani lituani.
Il concilio si aggiornerà.

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Ultima modifica di Rhaenyra il Dom Mar 19, 2023 11:35 pm - modificato 2 volte.
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Messaggio Da Astrid I Dom Mar 19, 2023 10:37 am

LE MIE RICORDANZE

Jean de Joinville
Storie di un cavaliere alla corte del re di Francia

Febbraio 1261 AD




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Sin dall'infanzia il re fu pietoso verso i poveri e i disgraziati - e aveva costume come Gesù - dovunque si recava - che a centoventi poveri venisse portato sempre da mangiare. Luigi invitava i mendicanti dalle barbe frugose e immonde a casa sua senza provare schifo alcuno e gli dava tutto ciò di cui abbisogna a un cristiano: lo pane - lo vino - la carne - lo pesce.
Durante il periodo della quaresima il numero dei poveri aumentava come nei mesi primaverili l'acqua dei fiumi talvolta pe' le piogge aumenta: cosicché a me venne il dubbio che parecchi si fingevano poveri per stare a tavola col re e da lui farsi servire - sospetto assai veritiero - ne ebbi la prova col Duca di Bretagna.
  I mendicanti mangiavano e lui rimaneva digiuno collo stomaco brontolo; più d'una volta vidi Luigi cucinare egli stesso la carne rigirandola sui carboni - il nostro re non amava essere servito da servitori ma era prodigo a servire; s'accontentava d'ingoiarsi l'aquolina - e quando dopo essersi saziata la povera gente se ne andava colla pancia piena - egli donava loro una scorsella di zecchini d'oro pe' la compagnia; e più d'ogni altra cosa - regalava loro un sorriso - cosa spesso negata ai lebbrosi e agli immondi.




Persino 'l Boccanegra - fu invitato da Sua Maestà a tavola quando la fame s'arrampicò sopra le mura della Superba. Luigi cucinò mille e mille più porzioni di pesce pe' quei poveri genoani morti di fame - tanto taccagni d'aver sciupato lo grano dalla terra e lo pesce dai mari.
E disse a quei genoani che mangiavano suoi commensali "abbiate pietà per quei poveri pesci".



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Inoltre Luigi faceva ogni giorno abbondanti elemosine alle congrege religiose - ai monasteri - agli ospedali - ai gentiluomini e alle gentildonne che per miseria erano sprofondati nella plebaglia - alle vedove e alle donne gravide rimaste senza marito - ai menestrelli che suonavano musica per le strade di Orléans e a tant'altra gente - che a pena riuscirei ad elencarvi.
Voglio rammentare che Luigi fece costruire una casa chiamata "Casa delle Figlie di Dio" - e vi fece ricoverare un gran numero di prostitute che avevano peccato di lussuria concedendosi ai mercanti pe' danaro - Luigi ordinò che le meretrici non venissero sepolte vive come negli altri regni ma che fossero accolte nei conventi come figlie del Signore e che gli venisse insegnata la castità.
Vedete e giudicate voi stessi cosa sia la Saggezza fatta monarca.
Naturalmente per conseguimento i monasteri della Francia si riempirono di suore che in passato svolgevano il mestiere di meretrice - le quali non smisero di praticare le loro ignominie - e molti furono i vescovi che si lasciarono plagiare e sedurre da quelle - dimenticandosi dei voti fatti al Signore.
Sicché possiamo ben dire che il nostro Santo re fu migliore di Tito imperatore di Roma - di cui gli antichi scritti raccontano che troppo tribolò facendo questa e quell'altra beneficenza - ma che alla fine sul sopraggiungere della morte si accorse di non aver fatto niente d'importante - e cadde disperato.

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Una volta lo sentii gridare - e financo preoccupato andai nella sua regale stanza per sincerarmi che la sua salute fosse cagionevole; quando venni lo vidi fustigarsi le spalle con un frustino - a terra e colle ginocchia sui ceci. Io gli domandai: "Sire - ma cosa state facendo? Perchè vi percuotete assai forte?"


Ed egli grondante di sangue - col cilicio tagliente stretto alla vita - mi rispose: "Cosa vi piacerebbe di più Siniscalco - esser lebbroso o aver commesso un peccato mortale?"
E io - che non gli mentivo giammai - gli risposi che avrei preferito commettere trenta peccati anzicché piuttosto che essere lebbroso.


E allora Luigi mi rimproverò: "Voi parlate da stolto; dovete sapere che nessuna lebbra è si laida come d'essere in peccato mortale - poiché l'anima che trovasi in peccato mortale è simigliante al diavolo. Ed è ben vero che quando uno muore è guarito dalla lebbra del corpo; ma quando uno muore avendo commesso un peccato mortale deve aver gran paura che quella lebbra gli duri finché Dio sarà in Cielo. Perciò vi prego di amare qualsiasi flagello - o lebbra o altro malanno - che sono meglio del peccato mortale."


"Ma Sire - gli domandai io - di quale peccato mortale vi macchiaste?"
E allora Luigi ansimante - mentre continuava a flagellarsi mi disse: "Un piccolo prestito a certi usurai svedesi io domandai per ingrandire lo regno. Il prestito era assai giusto e senza gravi interessi - quei mercanti eran cristiani; ma l'usura è usura - non importa quanto piccolo sia il peccato; il peccato rimane peccato - e deve essere espiato flagellando lo corpore"

Più tardi dopo aver incontrato il Cardinale Eudes des Chateaudoux - il quale aveva importanti novità per i Cavalieri Teutoni e Livoni impegnati a difendere la Terra Mariana - mi domandò se lavavo i piedi ai poveri il giovedì santo: "Alla malora - Sire - ch'io lavi i piedi puzzolenti di quella gentaglia!" esclamai io.
"Veramente - fece lui - ciò è assai mal detto; non dovete mica avere a schifo quel che Dio fece. Anzi - vi prego - per l'amor di Dio anzitutto - e poi per amor mio - che vi accostumiate a lavarli."


Già m'ero messo l'animo in pace e mi accingevo a prendere dei cenci per lavar le disgustose estremità di quei lebbrosi - quando grazie al Cielo sopraggiunse proprio in quello momento un Signore che si diceva essere il Duca d'Aquitania - il quale voleva riferire col re o chi per lui qualche cosa d'importante.
"Sire - mi spiace - avrei voluto proprio lavarli i piedi a quegli zoticoni e onorare così il giovedì santo - ma pare proprio che io debba scappare - non me ne vogliate!"
Luigi annuì sorridendo e con un gesto della mano mi disse di andare - mentr'egli strizzava la spugna sopra ai piedi fangosi di quegli sporchi balordi - il cui puzzo superava di gran lunga quello del Gorgonzola - disgustoso formaggio longobardo.

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Perciò accompagnai il gentiluomo dal principe Filippo.
Assistetti personalmente alla scena e la cosa fu alquanto bizzarra - non più bizzarra di quella volta che un Saraceno venne a chiedere animali al re.


Codesto Signore aveva tutto l'aspetto di un turpe mezzadro quando parlando al Delfino disse: "Vi ringrazio per la vostra gentilezza nel concedermi questa udienza - principe Filippo. Come suppongo vi sia giunta voce - il popolo della Gasconia - ovvero il ducato d'Aquitania - sta cercando di separarsi dall'amministrazione stagnante del regno d'Inghilterra. Perciò io il Granduca richiedo la vostra protezione in caso di aggressioni inglesi; ovviamente in cambio della vostra gentile protezione del nostro ducato - noi vi pagheremo un tributo di duecento mila carri di frumento al mese in segno di riconoscenza."
Possibile mai che Enrico III si fosse ridotto a tanto?
"Non so se credervi o meno - rispose giustamente il principe Filippo soppesando i lineamenti del presunto Granduca."
"Il Duca d'Aquitania - e non Granduca - altro non è che il principe Edoardo - erede al trono di Inghilterra - primogenito del ramo Plantageneto... e voi non siete Edoardo - ch'io conosco molto bene..."
Il timido e balbettante Filippo era però ardito e non per niente così sarà soprannominato - e approfittò del momento per fare una breve lezioncina di storia a quel bifolco che volevasi passare per Duca d'Aquitania.

"... ... e così la pace fatta da Luigi col re d'Inghilterra gli portò grande onore. Poiché il figlio del re d'Inghilterra quando avrebbe messo piede in Aquitania sarebbe stato vassallo del re di Francia e gli si sarebbe dovuto inginocchiare."


"Voi non siete Edoardo. Non cercate di ingannarmi. Però ho capito il motivo della vostra visita: avete paura di una nuova guerra!" "... non avete bisogno di tanti sotterfugi. Pagate un'offerta di 20 mila tonnellate di frumento l'anno - e non vi muoveremo alcuna guerra."


Detto questo il bifolco svergognato tornò nella sua uggiosa Inghilterra e la Francia ne guadagnò molta avena per i suoi cavalli.
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Messaggio Da Axio94 Dom Mar 19, 2023 11:07 pm

CITTA' STATO VENEZIA
Benvenuto nel mondo di Venezia nel 1260, un'epoca di grandi cambiamenti politici ed economici per la  Repubblica di Venezia.

La città di Venezia si trova in una posizione privilegiata sul Mar Adriatico, rendendola un importante centro commerciale. La città è governata da un Doge, che è il capo della Repubblica, eletto a vita dal Gran Consiglio, composto da rappresentanti di alcune delle famiglie più influenti della città.

Il Doge della Repubblica di Venezia è Renieri Zeno, un nobile veneziano che ha già ricoperto il ruolo di podestà in varie città italiane.

Venezia, al momento, non è al culmine del suo potere e della sua ricchezza. La città cerca di essere una delle principali potenze navali del Mediterraneo e controllare importanti rotte commerciali che si estendono dall'Oriente fino all'Europa occidentale.

Zeno deve affrontare diverse sfide. Una delle principali è la crescente minaccia dei pirati saraceni, che sono noti per attaccare le navi commerciali veneziane nel Mediterraneo. Venezia cerca di proteggere le sue rotte commerciali attraverso la costruzione di forti e la creazione di alleanze con altre potenze navali.

Inoltre, la città deve affrontare anche problemi interni, scarsità di risorse e malcontento tra la popolazione. Si affrontano diverse rivolte da parte dei ceti più poveri della città, che chiedono una maggiore rappresentanza politica e un miglioramento delle condizioni di vita. Queste rivolte riescono per ora ad essere soppresse con le forze del governo veneziano, ma dimostrarono la crescente insoddisfazione dei ceti più bassi della società.

Nonostante queste difficoltà, Venezia piano piano trova la prosperià. La città viene coinvolta in importanti progetti di costruzione, come la costruzione del Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco. La città ospita anche importanti artisti e scienziati dell'epoca, che contribuiscono a far diventare Venezia un importante centro culturale.

Venezia ha intenzione di espandere il suo impero commerciale, stabilendo relazioni commerciali con paesi lontani come la Cina e la Persia. La città ha in progetto di diventare anche un importante centro di produzione di vetro e tessuti di seta.

Tuttavia, la prosperità di Venezia attira l'invidia di molte altre potenze, tra cui la Repubblica di Genova. Saranno anni decisivi per mantenere la pace in tutti i paesi e  cercare di  vivere serenamente.. ma tutto ciò sarà davvero così fattibile? .
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Messaggio Da Falco Lun Mar 20, 2023 10:56 am

LETTERA ALLA MIA DAMA

Partita GDR | L'ombra di Saladino - Pagina 3 ?u=https%3A%2F%2Fi.pinimg.com%2Foriginals%2F7b%2Fef%2Fcc%2F7befccde3ee1fd2d8b39ea51d410f32a

Duomo Imperiale di San Bartolomeo, Francoforte sul Meno,
Sede delle Elezioni del Sacro Romano Imperatore

All'amica carissima unita a me nell'indissolubile vincolo del matrimonio,
Io, il vostro caro Ottocaro, vi mando tutto me stesso e tutto quel che ho, vi mando tutto l'amore di Piramo per Tisbe, di Enea per Didone, e di Bruto per Porzia, vi mando insomma tutto il mio affetto nel ricordo della nostra unione davanti a Dio.
Sono a Francoforte, città dell'Imperatore che ancora non c'è, ma la distanza fisica non allontana coloro i quali sono separati nel corpo ma uniti nell'anima, e dopo aver discusso con i principi i miei pensieri ritornano sempre a te.
Carissima Margherita di Bamberga, duchessa d'Austria e regina consorte di Boemia, figlia di Leopoldo VI il Bambergo, figlia di un così grande padre. In te alberga l'azzurrissimo sangue di Bisanzio, poiché tra le fronde rigogliose del tuo albero genealogico e tra gli innumerevoli suoi frutti vidi appeso persino Alessio Comneno, Imperatore di Costantinopoli, vostro bisnonno. Figlia di così grandi uomini, e di valore non minore, se non per il fatto che non portate le armi di un cavaliere; d'altra parte non sarebbe lecito, sarebbe anzi un peccato mortale opprimere le vostre delicate forme sotto una pesante armatura di cuoio e piombo.
Ricordo ancora quando ti dettero in sposa a quel lebbroso di Enrico VII, che era però ossessionato dalla mia dolce sorella Agnese. Per proteggerla da lui e dalla sua lebbra, nostro padre la fece rinchiudere in un convento, il convento di Trebbinizza, dove ora Agnese è la Badessa, che tutti adorano come Santa per le sue buone azioni.
Grazie a Iddio, Enrico il Lebbroso si suicidò poco dopo lanciandosi da un dirupo; daltronde il suo naso e le sue mani erano state già mangiate dalla lebbra e non gli sarebbe rimasto molto tempo da dedicare a qualcosa che non fosse autocommiserazione.
Così rimasta vedova vostro padre mi diede la vostra mano.

Carissima Margherita di Bamberga, come rammentavo voi siete stata la moglie di Enrico di Hohenstaufen, che per comodità io ho chiamato "il Lebbroso" e in quanto moglie del Lebbroso siete già stata Sacra Romana Imperatrice quando eravate (eravamo) ancora giovani.
Io vi prometto che tornerete ad essere entrambe le cose.
Vi prometto che la bella corona di Roma si adagerà sulla vostra nobile fronte e che voi poggerete le vostre tenere terga sul trono imperiale, sopra al quale già vi posaste fanciulla. E poi compirò un miracolo: come il geranio che muore d'inverno e risorge in primavera, anche voi tornerete di nuovo giovane come una pulzella.

A lungo, troppo a lungo l'Impero non ha avuto Imperatori che lo Imperassero.
Sopra quel trono ormai c'è più polvere che nel Santo Uffizio: trent'anni, trent'anni senza un re.

Io mi sono adoperato Cara Margherita, affinché le cose cambiassero.
Ho scritto lettere a destra e a manca, e finalmente ci sono riuscito.
Il giovane Ottone del Brandeburgo si era recato per conto mio in Inghilterra alla corte di Riccardo, duca di Cornovaglia, mentre il Langravio della Turingia aveva mandato quel degenerato di suo figlio a riferire le mie volontà al re di Castiglia e Léon Alfonso X, che non so per quale motivo tutti soprannominino "il Saggio".
Io non vedo neanche l'ombra della Saggezza in quell'uomo, ma solo cupidigia. Egli è come il figlio del Turingio appunto: il quale trascorre le giornate nell'osterie a gozzovigliare con le belle signorine anzicché curarsi degli impegni paterni.
In ogni caso, tutti e due hanno accettato le mie offerte e rinunziato al titolo di Imperatore dei Romani... titolo che essi avevano usurpato nella loro accidia non curandosi né delle faccende dell'Italia, né della Germania.
Convincerli non è stato poi così difficile, è anzi assai più difficile convincere una papera a non fare la guardiana, che uno spagnolo a rinunziare al proprio impegno.
  Riccardo l'Anziano e Alfonso il Pigro si sono accontentati di una magra "pensione" in zecchini d'oro, e di certune promesse che non sto quì ad elencarti.
Che spariscano per sempre e non si facciano più nominare!

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Tanta era la polvere caduta in questi trent'anni, che l'arcivescovo Engelberto di Falkenburgo ha dovuto lasciare aperte le porte della Cattedrale di San Bartolomeo e farla arieggiare. L'aria era assai viziata, puzzava di storie antiche come il mondo.
L'ultima volta che quell'altare aveva visto la luce del Sole, Federico II era ancora Imperatore.

Nel momento in cui ti sto scrivendo, Margherita mia bella, il mio primo colloquio con gli altri principi elettori e con l'arcivescovo è terminato.

Da quel che ho visto, nonostante le discordie e le differenti opinioni su questa o su quell'altra faccenda, siamo tutti molto commossi: votare dopo trent'anni di tenebre scure all'insegna d'Iddio, come i nostri padri! Torneremo a rivedere le stelle?
S'abbisognano regnanti forti e temprati, oltre che temperati, giacché chiunque prenda in mano adesso le redini dell'Impero avrà un'enorme responsabilità. E da responsabilità enormi derivano onori grandi. Io sono pronto a ricevere tale onore.
Che altro significato ha la vita di un uomo che non è a caccia di gloria?

Ora ti domanderai Margherita, quali nomi oltre al mio sono candidati a sedere sul trono d'Italia e Germania.
Domanda assai giusta, ma credo che qualcosa lo abbiate già saputo anche voi. Le voci hanno le gambe lunghe e corrono come bianconigli.

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Il primo nome che vi faccio è quello di Rodolfo d'Asburgo: un principino, un Conte da quattro soldi, del quale fino ad ora ognuno ignorava l'esistenza.
Questo simil-plebeo deve avercela con me per qualche torto ch'io ho fatto senza accortenza alla sua famigliuola. Nel bel mezzo dell'assemblea ha osato chiamarmi "usurpatore" e la prima cosa che farà, parole sue, sarà quella di cacciare me e te dalla nostra amatissima Austria, ch'io conquistai con la devozione del vostro amore.
Io mi domando: dov'è che spuntano certe nullità?
Fino all'altro giorno neanche sapevo cosa fosse e dove si trovasse la contea degli Asburgo, poi mi è stato detto che questo piccolo feudo si trova nascosto tra le montagne dell'Alpi Svizzere.
Quest'uomo cresciuto tra le pecore, su di un castello costruito in mezzo al nulla, Signore dei Guardiani di Porci, sostiene la politica Guelfa del papa in Italia, e vuole combattere il Ghibellinismo. Ma allo stesso tempo vuol mettere a tacere tutti i diritti di noialtri principi, e far valere unicamente il potere dell'Imperatore in Germania, e cioé quello del vescovo di Roma suo padrone. Vuole aumentare le tasse, e soprattutto i dazi nei confronti della Svezia, che reputa troppo bassi.
Lo sa soltanto Dio cosa ne sarà della Germania se dovesse salire, e per quanto tempo ancora i principi potranno sopportare un così scomodo individuo.

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Il secondo nome è quello di Enrico V di Limburgo, conte del Lussemburgo.
Rampollo della prestigiosa famiglia dei sovrani del Lussemburgo-Limburgo, che già diedero lustro alla Germania e all'Impero in certuni momenti, Enrico il Biondo, o Enrico il Bello per qualcuno, discende da padre crociato, e nel suo sangue continuano ad avvicendarsi le gloriose gesta di Valerano, compagno del Barbarossa in Terra Santa.
Se non ci fossi io, sarebbe lui il candidato ideale per questo nostro Impero.
Enrico non è un bruto, né tantomeno un pavido. Enrico è un sovrano astuto e illuminato, e lo sarà anche nelle vesti di Imperatore, ne sono assai certo.
In confidenza, Enrico ha promesso in sposa ai miei parenti alcuni dei suoi figlioletti, che sono ancora bambini, ma già questo vuol dire che non esproprierà la corona Boema.
Riguardo al conflitto tra i Guelfi e i Ghibellini, Enrico V crede che il vescovo di Roma debba farsi i fattacci suoi e non debba intralciare il cammino del potere imperiale.
Egli è pronto a scendere in Italia in qualunque momento qualora il papa abusasse dei suoi poteri, o peggio, se un re straniero osasse sostituirsi in Sicilia al giovane Manfredi.


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Poi ci sono io.
S'io fossi Imperatore la prima cosa che farei, in accordo con quello zoticone di Rodolfo, sarebbe quella di innalzare i dazi in entrata e in uscita verso la Svezia. Non tanto perché li reputo troppo bassi, mia cara Margherita, ma perché un re quale Valdemaro, che ha l'usanza di arrostire i piccioni viaggiatori che noi gli mandiamo anzicché rispedirceli indietro un pò mi preoccupa.
Il Borgomastro d'Amburgo si è lamentato con me: aveva una bella colomba bianca di nome Isgarda, l'aveva cresciuta e allevata come fosse una figlia. Un bel giorno, non vedendola tornare, domandò spiegazioni al re Valdemaro, il quale con nonchalance disse che il piccione era di suo gradimento.
Comunque, a parte questo,
s'io fossi Imperatore mi preoccuperei di accrescere i confini del regno di Boemia, fino in Polonia, fino in Lituania se necessario.




E ora debbo salutarvi, mia adorata Margherita

Sempre, solo ed esclusivamente vostro,
Ottocaro II Premyslide, re di Boemia e vostro marito

Marzo
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Messaggio Da Vlad Lun Mar 20, 2023 2:17 pm

"PERKZ" 
Febbraio Marzo 1261
Cronache Medioevali Croato-Ungheresi di Luka Perković


La mia storia riprende a quando fui mandato nella vociferata nuova banca svedese, recentemente il regno aveva pagato dei tributi alle terre del sacro romano impero e visto il successo che stavano riscontrando alcuni mercanti di Budapest, in quanto suo fidato compagno il re mi incaricò di andare a verificare di persona la veridicità delle voci, dal mio viaggio ebbi l'opportunità di vedere terre che mai mi sarei immaginato di solcare, durante il mio viaggio sentivo l' esuberanza dei popoli germanici, le voci narravao che l'era buia del impero senza regnanti stesse giungendo al termine, ignoro i titoli dei precedenti imperatori, ma la gente urlava che finalmente "il Vecchio" ed "il Pigro" finalmente hanno deciso di abdicare. Non essendo di sangue nobile non avevo idea di chi fossero i candidati al trono imperiale, ne potevo immaginare cosa il mio sovrano ne pensasse.


Nei miei ricordi vi rimarrà per sempre immortalata l'immagine di questa nuova compagnia svedese, nonostante il nome potesse creare dubbi nel continente, vederla faceva comprendere chiaramente, persino a me, un uomo d'arme, la sua imponenza e la sua importanza nel regno di Valdemaro. Io ebbi solo delle vaghe indicazioni dalla corte reale, come già scritto, non sono un mercante, ne ho dimestichezza col vile denaro, tuttavia il tesoriere di corte mi diede due sonore pacche sulla schiena che quasi pensai me la ruppe!



Tuttavia, passarono i mesi, quasi gli anni, ma nuove strade vennero create, quelle più logore del passato vennero curate, la parte occidentale del regno iniziava a risplendere nella ricchezza che stavasi creando, tuttavia i romei di transilvania non sembrano vedere di buon occhio tali imprese, difatti per chi dovesse aver percorso quelle strade, immagino anche lui sconvolto nel vedere la sconcertante differenza che vi erano tra le terre croate, le terre ungheresi e le terre che i romei dichiavarano essere loro, "loro" di un popolo senza re, di un popolo dimenticato nel tempo.


Sotto i miei occhi di guerriero, tuttavia, le nuove strade, nel flusso delle genti, essi si posarono sul grande numero di soldati, quando partì per la mia missione l'orda sembrò quasi letargica, nuovi attacchi non sembravano essercene stati, tuttavia a confermare i timori che i miei occhi mi procuravano vi erano le voci delle genti. Nella calma apparente creatasi la quiete fu rotta dagli assordanti zoccoli dei cavalli mongoli, in numero immenso caricarono sui nostri confini, per permettere a chiunque non fosse in grado di combattere e respingere l'invasore, il figlio di Bela, Stefano V, assieme a pochi suoi fidati ha affrontato l'immensità delle forze mongole, cadendo in battaglia. Saputa questa notizia mi fiondai a palazzo reale, Bela IV è si il mio re, ma soprattutto è colui che ha donato a me, una persona comune, un titolo, una terra ed un cognome, gli dovevo come minimo il mio conforto in questo buio momento della sua vita.



Tuttavia il mio sovrano non era lì, venni a sapere che era in viaggio per incontrare il sommo padre, mi è oscura la motivazione di tale scelta, la mia unica ipotesi è il grande dolore che ha pervaso il suo animo perdendo uno dei suoi figli tanto amati. Tornai pertanto nelle mie terre, a poche notti dal mio ritorno, venni a sapere del incursione veneziana nelle terre croate, massacrando un intero villaggio senza apparente ragione. Io ogni notte mi cruccio sul capire l'origine di questa codarda e barbarica scelta, mi domando se gli artefici di tale massacro riescano a dormire sereni e soprattutto, mi chiedo se pensano di poter salvarsi dal giudizio del signore.


Non riuscivo a mangiare o dormire senza pensarci, la repubblica di Venezia, mezzo secolo prima dimostrò il suo vandalismo nei confronti del impero Bizantino, per anni e anni ci siamo affrontati più e più volte per la dalmazia, tuttavia mai nella storia una delle due scese a simili barbarie e codardie. La repubblica genovese che combattteva contro gli infedeli della Tunisia, fornendogli tuttavia almeno la grazia di un avviso, gli eredi di Bisanzio strappavano terre agli infedeli mammelucchi, mentre un certo duca o granduca o principe non ho ben capito, pur di evitare sofferenza alle sue genti pagava un tributo al regno di Francia. Difronte a tutto ciò, solo una domanda risuonava nella mia mente quasi facendomi impazzire: "PERCHÉ?" per quale motivo sono dovute morire le nostre genti? Per la Dalmazia? Per un incidente? Per puro giubilio dei veneziani? E mentre io affogavo nei miei pensieri, seppi solo dopo che i messaggeri che corsero ad avvisare il sovrano furono tornati con una lettera sulla quale giaceva lo stemma di Bela IV Re di Croazia e Re d'Ungheria. Il regno sarebbe a breve entrato in guerra con la repubblica di Venezia. 


Quando venni a sapere l'evento queste parole nacquero nel mio cuore:


Nel freddo ignoto viaggi
L'animo affranto dei saggi
All'indomani, un nuovo fuoco
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Messaggio Da Alice Mar Mar 21, 2023 6:28 pm

Cronache d'Inghilterra ~ April~ 1261

Signore e Signori e belle genti, vi ringrazio per l'attesa, vi ringrazio per essere tornati nella mia impresa, quale impresa vi chiederete voi? Ovviamente l'impresa di narrarvi di quelle trame ignote e dimenticate ma che la nostra mente le ha amate.


Ci lasciammo difronte alle prime disgrazie del sovrano Enrico III, egli ormai anziano, senza alcun tipo di potere o influenza veniva poco preso seriamente dalle sue genti, persino suo figlio, il nobile Edoardo, alle spalle del padre si accordo con il regno di Francia per garantire la sicurezza del suo ducato nell'Aquitania, questo gesto poco piacere fece al regnante e a molti membri della nobiltà, dopo molta indignazione ed una lunga discussione, Enrico III prese la triste decisione, revocando al suo primogentio qualunque diritto al trono del regno. Difatti, la causa della grande carestia che aveva afflitto l'Inghilterra durante l'ultimo invero era principalmente dovuta al "Tributo" pagato dal principe nei confronti dei regnanti della vicina Francia, alla luce di ciò, per salvare quel poco rimastogli della faccia il povero Enrico debbe fingere di prendere posizione.


Inoltre l'isola era molto lontana dall'essere pacifica, nonostante il matrimonio tra Alessandro II di Scozia e la figlia del re, Margherita, le relazioni tra i due abitanti dell'isola non sembravano delle più gioiose, difatti, anche a causa della piccola principessa, la quale spesso scriveva della tristezza che provava nel vivere in Scozia e raccontava del dolore che le provocava il non aver il permesso di visitare la sua terra, portarono, specialmente il popolo ad esprimere particolare malcontento. Non è chiaro come fosse possibile, ma fin da pargola,come per incanto, Margherita stregò i cuori delle sue genti che quando venne annunciato il matrimonio pensarono fosse finalmente la buona volta che l'isola venisse unita e che una lunga era di pace potesse iniziare.


Gli altri grandi protagonisti della nostra storia nel frattempo erano chi più, chi meno indaffarati, il re francese viveva come i racconti della Bibbia narrano del figlio di Dio, anche se pochi parlavano della francia nella piovosa inghilterra, dopotutto molti provavano astio per i vicini oltremare e non volevano dover parlare di eventi positivi con loro protagonisti se possibile.


Nella penisola iberica invece, sembrava che Castiglia ed Aragona avessero messo da parte le proprie divergenze, seppur in via temporanea, per far fronte alla minaccia araba, la quale era imminente costantemente sul futuro popolo spagnolo. Se solo il regno fosse stato in più floride condizioni, il cuore d'enrico avrebbe voluto aiutare gli ispanici, vi era dentro di se una voce, egli la chiamava "la voce della fede" che gli sussurrava la notte di combattere gli infedeli.


L'imponente sacro romano impero germanico sembrava finalmente starsi risvegliando dal suo triste letargo, dopo che suo fratello Riccardo insieme ad Alfonso X abdicarono al sacro trono imperiale, finalmente i principi tedeschi avevano la possibilità d'eleggere un imperatore che governasse per il popolo tedesco


Le più grandi repubbliche marinare italiane invece, chi trovando più successo, chi meno, intraprendevano nuove campagne militari, Genova riuscì a soggiogare la Tunisia mentre Venezia, dopo aver attaccato il regno di Croazia ed Ungheria ritrovandosi poco dopo senza più Trieste
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Messaggio Da Ferdinand-Foch Mar Mar 21, 2023 7:52 pm

Repubrica de Zena
Lezione III 
(Aprile 1261)

-- -- -- 

Conquista di Cartagine 

- Negli ultimi mesi del 1260, durante il mite inverno di quell’anno, le imbarcazioni genovesi strabordanti di mercenario incalliti e ferventi cavalieri religiosi, è riuscita ad ottenere vendetta contro gli Hafsidi assediando Tunisi e sottomettendo il piccolo Emirato Africano. Per la piena comprensione di tale evento abbiamo qui riportato degli scritti risalenti all’epoca, ritrovati e revisionati dagli storici dell'Università di Genova.  

“Francesco Golia Ufficiale della Marina Genovese;
sporco questo papiro, recapitato dal Capitano Boccanegra, per annotare con ossessiva meticolosità i più arguti dettagli di questo viaggio; questa mano non è mossa per piacere, bensì dall’obbligo lavorativo posto sul mio capo. 
Mai avrò scritto di più in vita mea come in questi giorni che mi appresto a scrutare.

Siamo partiti dal Porto di Genova, mia Amata, su un'imbarcazione bella grossa e spaziosa: ad occhio siamo in quasi 50 membri dell’equipaggio, ma il grosso delle intercapedini sarà occupato da questi omaccioni: alti, sporchi e barbuti e dal fiato fetido. Che schifo. 

I giorni passano e abbiam superato l’Isola di Sardegna: lì lascio un ricordo genuino che sicuramente porterò nella tomba, ovvero una notte passata in compagnia di una dolce e onesta donzella, il cui appellativo mi sfugge o forse mai lo scoprì. Lasciando perdere le mie avventure notturne di cui solo Nostro Signore è a conoscenza e di cui, spero vivamente, mio Capitano lei non voglia metter naso: altri di quei maschioni misero piede sull’imbarcazione, questa volta la sensazione di rigurgito in me mi abbandonò, riempiendo i miei occhi di sorpreso stupore. Erano Cavalieri ! Di qualche ordine religioso misterioso, lei sicuramente saprà a chi ha pagato immagino, e mi sorprese la loro fiera presenza ornamentata da scintillanti armature, spade affilate e scudi decorati di oro e argento. Una raffinatezza oserei dire “divina” ma mi limito a scriverlo senza pronunziarlo al vento per paura che mi sentano. Questi pregano ogni ora e parlano solo per inveire contro chi bestemmia o manca, a detta loro, di rispetto al Signore… 

Arrivati nella piccola Isola di Tabarca la cui esistenza si palesò fisicamente soltanto nell’istante in cui i miei occhi la videro comparire all’orizzonte, ancor prima solo un verbo era per me. A porgere gli omaggi non ci furono come in Sardegna delle belle figliole, che nelle notti più agitate ancora rimembro, bensì un paesaggio biblico degno di uno scritto del  Santo Giovanni. Le casette spoglie delle loro mura venivano usate degli esuli sopravvissuti come riparo, seppur consci della loro inutilità: né pioggia né uomo quelle barriere potevan più fermare. 
Ci raccontano gli abitanti del posto, offrendo a noi quelli che per loro era oro: pezzi di pane nero e latte ormai divenuto solido, solo il più coraggioso tra gli stolti avrebbe consumato quei cibi, per poi cagare per notte e giorno ininterrottamente… Ma comunque, ci raccontano dell’attacco degli Arabi della loro crudeltà e soprusi; loro erano ancora in vita per poter raccontare ciò che io vi sto riportando solo per merito di una caverna in cui si nascosero per un'intera settimana.  

In pochi giorni quel lembo roccioso dimenticato da Dio divenne il nostro avamposto: furono 3 giorni di preghiera e digiuno per i Cavalieri, ma anche 3 giorni di grugniti e versi animaleschi per darsi la carica per i Mercenari. Alle prime luci dell’alba del quarto giorno di permanenza sull’isola di Tabarca e ventiquattresimo giorno di viaggio, iniziò l’invasione. 

E qui prego il Dio, che lei Capitano sia misericordioso di questo povero lupo di mare pavido come un coniglio, perché ammetto che i miei stivali mai si sono sporcati di terra nemica, come molti altri miei compagni di avventure. Noi siamo marinai, lo ripeto, le battaglie, il sangue e la morte non ci competono, se non nelle  storielle dei cantastorie, magari in una locanda, magari con qualche boccale, magari e qualche bella donna. 

Le posso confermare, sul mio Nome che nella menzogna possa esser perduto assieme a tutto il mio Seme, che la guerra è stata vinta senza troppe difficoltà: i Mercenari hanno raccontato a noi marinai dei loro duelli di cui tanto vanno orgogliosi, mostrando cicatrici spesso ancora sanguinanti e ancor più spesso in posti che avrei preferito non scrutare; mentre i Cavalieri mi hanno raccontato, più per un dovere di lavoro sapendo che sto riportando su carta questo viaggio che per piacere personale, di come hanno spento centinaia di vite di infedeli islamici in nome di Dio. 

Mohammed I il Sultano di Tunisi è stato catturato, come da lei ordinato, e sempre per suo volere è stato ferito al braccio destro così da macchiare di disonore il suo animo da duellante;  è stato reso incapace di procreare rendendolo un uomo inutile per il resto della sua vita. Ingabbiato nella stiva a pane ed acqua sarà portato a Genova e lì ciò che rimane di quest’uomo non saranno più problemi miei. 

Il viaggio di ritorno è stato una meraviglia, la tensione dell'incombente battaglia che appesantiva l’aria da noi respirata durante il viaggio di andata, ha lasciato spazio ad un clima di festa e spensieratezza. Addirittura vi confido, ma mi prometta che occhi diversi dai nostri mai leggano queste parole, che anche i Cavalieri si sono spogliati delle loro vesti “divine” per discedere mortali come me: bevendo, ballando e cantando coccolati dalle calme onde del nostro mare e illuminati dai tiepidi raggi della Luna fugace.”

Lì, dove un tempo antico viveva il popolo di Chartago, era diventata attraverso il battesimo del sangue una colonia Genovese a tutti gli effetti. Tunisi spoglia dell’onorevole titolo di Capitale, scese dal gradino regale per divenire una comune colonia commerciale di Zena Regina del Mediterraneo. La sola città era controllata direttamente, mentre destino diverso era dell’entroterra che fu lasciato nelle mani di alcune famiglie Arabe, anche alcuni rami degli Hafside, controllati indirettamente dai Genoani. 

Da qui i mercati si riempirono di grano africano: duro e dorato; di legno di Ebano tipico del continente e di preziosi materiali come Oro e Argento. 

-- -- --

Dar da Mangiare agli Affamati 

- La gente di Genova, non quella ricca e altolocata, ma la povera gente di cui parlavamo la scorsa volta: coloro che compravano nei mercati dei bassi fondi del cibo scadente. Quella storia si diffuse ben presto in quasi tutto il continente senza destare particolare sconcerto, del resto ovunque vi erano povere anime dalla pancia brontolante. Nell’indifferenza più totale un uomo si distinse per la sua gratitudine: Luigi IX detto il Santo il Re dei Francesi: leggiamo questa lettera di un mercante genovese dell’epoca per comprendere meglio.

“Caro Ernestino,
ti scrivo di mia verga per portare alla tua attenzione e successivamente a quella del Boccanegra, che qui nei quartieri minori di Genova, ma da quel che mi dicono anche nelle altre città ligure, i poverelli si sfamano con pesce raccolto al largo di Marsiglia! 

Quel Luigi IX che a detta dei più è considerato un “santo” ne ha dato nuovamente prova non nel far diventare vino l’acqua, ma nello sfamare chi ne aveva bisogno. In queste ultime settimane giungono nei quartieri poveri di Genova, Imperia e La Spezia, dei mercanti stranieri di lingua franca. Questi non vendono il cibo, come ogni buon mercante dovrebbe fare, ma lo regalano! Per nome di Luigi! BELLIN !

Facendo dei calcoli ho perso non so quante lire a causa di questi benefattori da strapazzo. Dico io: proprio qui doveva fare opere di misericordia… i miei scarti di pesce e la mia farina sporca è rimasta invenduta… venderò tutto a qualche allevatore stupido per qualche moneta, cosi almeno qualche maiale dormirà a pancia piena. 

Oltre che alle mie lamentele a cui il Capitano può solo che annoiare, riferisci che i poverelli liguri stanno simpatizzando molto con questi mercanti e con la figura di questo Re “santo”.  

Che non sia questo forse un segno da non prendere alla leggere ?
Saluti Ernestino.”

Da quel che sappiamo, senza riportare altre fonti scritte, il Boccanegra ai tempi in realtà sapeva di questa simpatia che il popolo Ligure provava per la Francia, e a lui andava bene così. Anzi, vi dirò di più, al Capitano avrebbe fatto piacere che i contatti diplomatici venissero anche con Lui e non solo con quei poveri cristi. 

-- -- -- 

L’Inciampo del Leone

- Documenti croati di quell’epoca citano di un evento assai interessante: lungo il confine tra Venezia e Croazia, un confine non ben delineato, ma comunque ritenuto ufficiale, avvenne una piccola scaramuccia tra alcuni cavalieri Veneziani e dei spadaccini Croati. Questi ultimi morirono in quasi un migliaio e il fatto più strano, da far sgranare gli occhi, è che il tutto avvenne senza un apparente motivo. 

Ipotizziamo che forse questa fu una prova di forza da parte del Leone veneziano, un modo per mostrare i muscoli e le zanne affilate, ma che alla fine dei conti raccontarono solo una sonora figuraccia. L’esercito slavo radunatasi con il sangue alla testa partì alla volta della Dalmazia spadeggiando contro la debole resistenza veneziana. 

Qui abbiamo riportato un pezzo di una conversazione tra Boccanegra e un Ufficiale militare genovese che parlano di questo conflitto: 

“All’Ufficiale Vincenzo la Torre,
vi esorto a preparare i vostri uomini per un possibile viaggio: armi, vestiti e viveri.

Alle mie orecchie sono giunte voci fidate che Venezia ha fatto “il passo più lungo della gamba” eliminando dei soldati slavi lungo il confine e che presto subiranno parecchi schiaffi. 

Se il conflitto dovesse svilupparsi progredendo nel tempo potremmo approfittare di tale occasione per trarre a noi vantaggio a discapito di un rivale assai pericoloso. L’obiettivo nel caso sarebbero le terre Elleniche, nell’eventualità vi darò maggiori informazioni.

 Voi preparatevi !
Saluti.”

-- -- --

Una Svedese, Un Genovese e Un Mamelucco

- Quella che di primo acchito potrebbe sembrare l’inizio di una barzelletta di quelle squallide spesso sessiste, razziste, omofobe, maschiliste e tante altre cose che finiscono in “ista/e” con accezione negativa; in realtà è l'inizio di questo piccolo pezzo di storia che vi andrò a narrare.

Di solito siamo abituati a vedere soprattutto in questo periodo storico tanti scambi commerciali di tanti beni tra stati confinanti o relativamente vicini. Non è questo il caso visto che stiamo parlando di Svezia e Egitto, il territorio principale del Sultanato Mamelucco. 

Dai libri mastri dei mercanti e banchieri genovesi sappiamo dell’esistenza di questa tratta che dalla penisola scandinava percorreva il Sacro Romano Impero, arrivava a Genova passando per la Corsica e la Sicilia, per Creta veneziana, dallo snodo di Cipro e poi infine arrivare ad Alessandria d’Egitto. Che al mercato mio padre comprò, potrebbe aggiungere qualcuno. 

Evidenziamo questa tratta commerciale non solo per la suo percorso geografico alquanto bizzarro, ma perché dai dazi che Svezia e Egitto pagavano costantemente per far passare le loro navi per i porti genovesi, questi ne traevano grandi benefici: in Denaro e in Farina. 

Come tutte le cose belle anche questa stava per giungere al termine, almeno così sembrava agli inizi del 1261 a causa del Re di Sicilia, Manfredi, che applicò ulteriori dazi commerciali alle navi passanti per i suoi porti, rendendo più ardua la traversata delle merci svedesi e egiziane. 

-- -- -- 

Continua
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Messaggio Da Rhaenyra Mer Mar 22, 2023 12:47 am

UN BANCHETTO PER I CORVI
Gesta di un re guerriero
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Haakon IV Haakonsson

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Il Regno di Norvegia prima di Haakon
In Norvegia nel XII venne combattuta una sanguinosa guerra civile. Le cause erano da attribuire alla poca chiarezza delle leggi di successione al trono: figli naturali e legittimi godevano degli stessi diritti di successione, inoltre a sedere sul trono potevano esserci contemporaneamente più sovrani.
Col tempo erano nate due fazioni, Bagler e Birkebeiner, ognuna con un proprio pretendente al trono, che controllava parti diverse della Norvegia.


Haakon di Folkenborg
Haakon nacque a Folkenborg da Inga di Varteig. Il padre è ampiamente ritenuto fosse Haakon Sverresson, leader dei birkebeiner e Re di Norvegia.
Haakon era quindi suo figlio illegittimo oltre che postumo poiché, infatti, morì prima che il bambino nascesse.
Egli nacque dai bagler ed essendo figlio del vecchio re dei birkebeiner, i bagler iniziarono a cercarlo, ma un gruppo di guerrieri birkebeiner lo trovarono e lo portarono al sicuro dal loro nuovo re, leggenda vuole che la compagnia finì nel bel mezzo di una tempesta di neve, furono soltanto i due guerrieri più forti continuarono il viaggio, sugli sci.

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Haakon crebbe acuto e brillante, infatti fu educato in una scuola, qualcosa di estremamente nuovo per la realtà norvegese.
Alla morte di re Inge, nacquero numerose dispute riguardo a chi dovesse essere il suo successore al trono. Oltre ad Haakon, c’erano diversi candidati, che rinunciarono alla pretesa sul trono, non ricevendo alcun supporto, ma uno di questi invece si trovò testa a testa con Haakon, il fratellastro del defunto re Inge, Skule.
durante il ting, si decise di nominare sia Haakon che Skule come regnanti.
Nel frattempo, l'ultimo re Bagler, morì. Una rapida manovra politica e militare da parte di Haakon portò alla riconciliazione tra birkebeiner e Bagler e la riunificazione del regno. Tuttavia, alcuni elementi scontenti tra le file dei bagler trovarono un nuovo candidato alla corona e scatenarono una nuova rivolta. Il pretendente venne sconfitto da Haakon e fatto prigioniero, mettendo fine alla divisione secolare che affliggeva la Norvegia.
Ma anni dopo, Skule, geloso del crescente supporto della nobiltà nei confronti di Haakon, si autoproclamò unico re di Norvegia, sfociando nell’ennesima guerra civile nel 1240, Skule non potè resistere alla forza militare Di Haakon; Dopo la morte in battaglia di Skule, Haakon rimase l’unico re indiscusso della Norvegia tutta.



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Il nuovo regno.
Nonostante inizialmente il mondo ecclesiastico non aveva approvato Haakon come legittimo re di Norvegia, dopo la riunione di Bergen del 1223 venne ampiamente riconosciuto dalla chiesa norvegese il suo diritto a governare, sebbene si ebbero in seguito dei contrasti. Come detto, nel 1240, Haakon era il re indiscusso della Norvegia ma, nonostante ciò, doveva ancora ricevere l'approvazione del Papa, la quale non era ancora giunta poiché egli era figlio illegittimo di Haakon III. Col passare del tempo crebbe il desiderio da parte sua di essere accettato appieno come re da parte della Chiesa e dell'Europa.
Per ingraziarsi il Papa dunque introdusse Il diritto cattolico di legittimità per la prima volta come legge in Norvegia, ma con l'eccezione che, nel caso in cui non ci fossero figli legittimi, il comando poteva passare a quelli naturali, contrariamente alla dottrina cattolica. Mentre, grazie al grande potere acquisito, riuscì a mettere dei confini ai poteri politici della chiesa, concesse ad essa grande libertà negli affari interni e nella società rurale.
Haakon cercò inoltre di rafforzare il suo legame con il papato spargendo voce della volontà da parte sua di partecipare a una crociata. Alcune popolazioni pagane originarie della Carelia, i Bjarmiani, che, in fuga dai Mongoli, erano giunti nel nord della Norvegia. Il re da un lato concesse loro dei territori, dall'altro iniziò un processo di cristianizzazione di questa popolazione.
Haakon ricevette quindi l'approvazione papale venne incoronato re a Bergen, sede del trono, all’epoca.
Una volta consolidato il potere si focalizzò sul dimostrare la supremazia della corona, influenzato dalla cultura nobiliare europea con la quale si avevano sempre più contatti. Iniziò col costruire monumentali edifici reali, come la Fortezza di Bergenhus a Bergen, realizzata in pietra con uno stile europeo. Utilizzava grandi flotte con i vessilli reali quando si incontrava con gli altri comandanti scandinavi, scriveva lettere e mandava regali ai re e ai comandanti di tutta Europa. Il suo contatto più lontano fu il Sultano di Tunisi a cui mandò un girifalco in regalo.
La corte reale a Bergen  iniziò inoltre a importare e a far tradurre i libri della letteratura Europea, che vennero letti per la prima volta in Norvegia. Tra le più importanti vi furono la Canzone di Gesta di Carlomagno e le storie di Re Artù. Il primo testo in assoluto ad essere tradotto in Lingua norrena fu la storia romantica del ciclo arturiano di Tristano e Isotta. Egli fece anche tradurre il Visio Tnugdali in norreno con il nome di Duggals leiðsla. La letteratura era resa anche a disposizione delle donne; sia la moglie Margrete che la figlia Kristina possedevano ricchi e bellamente illustrati salteri.
Haakon introdusse anche una riforma giudiziaria che fu cruciale per il futuro sviluppo giuridico del regno. L'introduzione della giustizia pubblica nel regno fu un'importante svolta rispetto alla precedente tradizione norvegese della vendetta personale.

La sua saga.
Haakon intraprese nel corso del suo regno un'insistente politica di espansione territoriale verso occidente. Riuscì a mantenere la sovranità norvegese sulle isole occidentali, ovvero le Ebridi e l'Isola di Man, le Shetland, le Orcadi e le Isole Fær Øer.
Il controllo norvegese sulle Fær Øer e sulle Shetland era molto forte anche grazie all'importanza di Bergen come emporio commerciale, mentre le Orcadi, le Ebridi e l'Isola di Man erano più legate all'economia scozzese. Nonostante i regnanti di Scozia ebbero sempre legami e rapporti con la Scozia Scandinava, essi affermarono sempre il loro diritto di sovranità su questi territori. Comunque sia, Haakon riuscì nell'impresa di ottenere il maggior controllo su Orcadi, Ebridi e Man.
Le dispute con il Re di Scozia, riguardante gli ultimi atti di pirateria, spinsero Haakon ad intraprendere una spedizione verso le Ebridi; Partì così con la sua formidabile flotta composta di almeno 120 navi, ormai abituato ad andare a negoziare con i sovrani nemici presentandosi con la sua enorme flotta per intimidire l'avversario.
Gli scozzesi si prolungarono le loro trattative astutamente, ben consapevoli che il maltempo dovuto alla stagione invernale, avrebbe decimato la flotta, difatti dopo la battaglia di Largs, le truppe norvegesi furono costrette a ritirarsi nelle orcadi e fu proprio lì che Haakon ormai anziano, si ammalò e morì, venne poi sepolto a Kirkwall.
Ma le sue gesta non verranno dimenticate, le sue azioni saranno cantate dagli scaldi attraverso la Hakonar Saga, immortalando il sovrano per sempre nella storia del paese.
Ma la sua morte destò non poche preoccupazioni, egli aveva come figlio ed erede Magnus Hakonsson, ma aveva una sorella maggiore, Kristina, le leggi Norvegesi riguardante la successione, nonostante le riforme, rimanevano ancora poco chiare su certi aspetti.
Kristina era sposata da tempo con Magnus Ladulås, primogenito dello Jarl reggente Birger e fratello maggiore del re di Svezia Valdemaro I.
Magnus, che era un ambizioso personaggio, reclamò il trono per sua moglie Kristina.
Magnus Hakonsson reclamò invece il trono per se stesso.
Lo Jarl Birger consapevole che avere suo figlio come re consorte di Norvegia avrebbe portato lustro e potere a casa Bjälbo, non esitò a fornire truppe per supportare Kristina nella successione, fiondando così la Norvegia nel caos più totale.


Si prevede un banchetto per i corvi dove si abbufferanno sulle carcasse dei caduti.
Una primavera di sangue.
Gli Ynglingar e i Bjälbo si affronteranno.

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Messaggio Da Falco Mer Mar 22, 2023 1:46 pm

VIAGGIO IN ITALIA
Un manoscritto di Sua Eccellenza l'Imperatore

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Maggio
Anno Domini 1261

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Furono otto i duchi che elessero lo nome mio, fidi del mio spirito e della mia fede.
Soltanto tre votarono invece lo Rodolfo conte d'Asburgo, e donde provenissero codesti voti non mi fu fatto assai mistero.
Chi altri potea, se non lo trio dei vescovi, vassalli dello papa tiranno, italico imperatore?

"... nel nome di Dio l'onnipotente e l'imperituro: Padre dello Cielo e della Terra, Creatore e Conoscitore dell'umana stirpe... nel nome di colui che non svanisce mai e che vede la verità nascosta nel cuore di tutte quante le sue creature... Io nel suo nome, in quanto ministro di Dio io ti domando: sarai tu lo scudo che porterà la spada della Fede Santa?"
"Lo sarò" dissi con la mano mia stretta sullo petto.
"... sarai tu lo scudo che porterà seco la spada di Roma, mastro protettore dell'Impero?"
"Lo sarò" dissi senza obiettare.
"... sarai tu lo custode dell'ordine e della morale, e dei precetti di Cristo nostro Signore?"
"Lo sarò" dissi ancora, sentendo colla mano lo cuore che mi battea nello petto.
"Prometti d'esser sovrano retto, Giusto e Sincero?"
"Sopra l'onore mio, l'onore dello babbo mio, dello nonno, dello bisnonno, e di tutti l'avi mei: io lo prometto."

I tre vescovi si scambiarono cupe occhiate e smorfie di pallido rancore, e sospirarono alla sesta ed ultima delle domande.
"Mostrerai la tua sottomissione allo papa, ch'è lo vicario di Dio sulla Croce?"
Io vorria aver detto quel che dire vorria voluto, ma mentia non potea, poscia non risposi colle parole.
Fé n'inchino, e tanto bastò.

Lo visconte di Falkenburgo bagnò dunque le proprie mani nell'oglio santo e mi unse la fronte e lo petto e mi disse:
"Lo Signore tuo Dio ti concede di regnare e di governare, si spera con lunga vita e lunga sapienza. Possa scendere sopra di te un angelo messaggero a guidare le vostre gesta. Prendi questa spada dalle mani di noi vescovi conferitati. Prendi questo tuo anello, che è l'anello della regal dignità. Prendi questo scettro, che appartiene solo ai virtuosi e agli onesti. Prendi questa corona, che appartiene a te e alla tua nobile fronte. Ma ricordati, rammenta bene che questa corona fu già più vecchia di voi, forgiata da gente che già tornò a Dio allo tempo suo. Essa si è poggiata sulla testa di Carlo Magno, di Pipino il Breve, di Pipino il Lungo, e di molti altri ancora... prima di poggiarsi sulla vostra... giammai ingannerete la corona, poiché la corona è assai più saggia di voi e dentro la vostra testa ella guarda."

"Enrico V di Limburgo, conte del Lussemburgo e marchese di Namur... che Dio vi protegga!" disse lui.
"La ringrazio di tutto cuore, arcivescovo."


Poscia aver salutato lo caro amico mio Ottocaro, partimmo l'indomani pe Roma Città Eterna.
Vi dirò, miei feudatari, le impressioni mee e quello che vidi e udii in Italia.

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Lasciai la Germania, lasciai l'Alpe e lo festoso popolo che cantava lo nome mio.
Retro de me mi seguivan lesti i miei cavalieri. Tutti nobili e figli di nobili signori. Un calpestìo di zoccoli tambureggiava l'alma terra.

Meco lo menestrello mio m'intrattenea per la via talevolta colle Canzoni di Gesta, talevolta coi fatti veri dello mondo ch'io m'accingevo quei giorni ad Imperare. Fu proprio mentr'ero a cavallo pel bel sentiero che portava ad Ivrea che lo menestrello mio bello mi raccontò della terra scandinava, la qual si sarebbe presto tinta di rosso.
Cristina volea lo trono di Norvegia, oppure lo marito lo volea per lei.
E gli uccelli si leccavan lo becco per la gran beneficenza di carne che gli si facea loro.
"L'amor svedese per i pennuti è a me sì noto" commentai "ricordo che essi hanno un gran gusto per i piccioni, non è fatto di maraviglia."



Lo menestrel mi sorrise e cominciò a strimpellare una canzone.
Così passò allegramente lo lungo cavalcar tra i valichi dei monti:

"Si fosse foco arderei lo mondo
Si fosse vento lo tempesterei
Si fosse acqua io l'annegherei
Si fossi Dio l' manderei ne' pprofondo

Si fosse papa starei allor giocondo: tutti i cristiani imbrigherei
Si fosse Imperator, sa' che farei? A tutti mozzerei lo capo à tondo!

Mi farei le donne ggiovani e leggiadre,
e vecchie e laìde lasserei altrui"

IVREA
Famoso mi era 'l nome di Ivrea, e dello Canavese tutto: terra di buon vino. Ma ancor più famosa mi era questa città, pe quell'Arduino d'Ivrea e della sua stramba idea che cara gli costò la vita.
Costui quasi cent'anni orsono si mise in testa di unificare l'Italia sotto Regno, come fosse Francia o Ungheria.
Immaginate, miei feudatari, quale grande regno porria esser l'Italia unita, ch'Iddio creò allo centro dello mare, protetta dalle montagne e baciata dallo Sole.
Passammo per Ivrea e la città ci parve assente. Nessuno volgeva il guardo all'Imperatore loro.
"Cantate e omaggiate Enrico V, lo vostro Imperatore!" gridò lo menestrello mio bello alla gente che passeggiava ignara, beandosi di non conoscere né Impero né Imperatore.

MILANO
Mai città mi parve più grigia e orrenda di Mediolanum.
Lo cammino fu gravato da tanti impicci: sentieri tortuosi e sterrati, terre incolte e paludose, parea 'l Veneto ma più fangoso.
Lo cielo mai una volta raggiò, giacchè posso dirvi che v'è più sole nello mio Lussemburgo che nella Longobardia.
Milano. Città Guelfa, città senzanima. Un villaggio sperduto nella vastitudine della nullità padana. L'avrei potuta sparagnare questa visita, non fosse che alla città dolente abbisognava dimostrare che l'Imperatore c'è, è vivo, ed Impera.
La gente ci guardava torva e minacciosa e sulle mura delle case stavano le verdi insegna della Lega Lombarda. Ordinai ai miei uomini di distruggere tutte le case che portavano quelle insegna, giammai sognassero di ribellarsi ancora come ai tempi dei loro avi sotto 'l Barbarossa.
Soggiornammo a Milano soltanto un giorno. Poscia quel luogo lugubre ci annoiò.

GENOVA
La Liguria ci regalò finalmente lo Sole e lo mare.
Sì generoso è lo paesaggio ligure, ma altrettanto non potea io dire dei Liguri.
Che gente che sono questi Liguri.
Mentre io e i miei vassalli passeggiavamo tra le strade del paese i Genoani festeggiarono me l'Imperatore come si consegue gettando dai palazzi e dai balconi le monetine d'argento: finalmente, pensai io.
Poscia di mia maraviglia, la gente che stava per strada si mise a raccogliere quelle monetine e quei ninnoli che stavano per terra insaccandosene a migliaia, come boscaioli che vanno a caccia di funghi.
Ma poscia ancor, udendo delle grida mi girai e vidi in un angolo della via una giovane donzella venir violentata da un zozzo mercante.
"Altolà" esclamaio io sguainando la spada, "vi sembra codesto 'l modo di trattare sì bella e onesta pulzella?"
Ma lui si fé piccino e tremando rispose: "Miserere di me Sire, voi dovete esservi confuso. Ella è in verità una prostituta, a tutti si concede per 5 fiorini, ma io che son lebbroso... a me vuole che io gliene dia 30 di fiorini"
Perdonai 'l povero lebbroso, aveo scambiato femmina di malaffare per onesta pulzella.
"Uccidete 'l lebbroso, e seppellite viva questa meretrice" comandai saggiamente ai miei, che lesti s'affaccendarono.

BOLOGNA
Tra tutte le civitate italiche, codesta mi parve la più bislacca.
Ovunque: strade, piazze, case... persino i tavoli delle osterie erano di colore rosso. Bologna la rossa, Bologna la grassa, Bologna la turrita.
E poi vidi delle torri altissime, palazzi alti dieci o venti piani che grattavan lo cielo, abitati da centinaia e centinaia di persone.
Non mi sembrò affatto una città del nostro tempo... ma di un tempo futuro.

PISA
Quì finalmente lo popolo ci plaudì.
"Evviva l'Imperatore!"
"Evviva Enrico V!"
Una donna corse ai piedi del mio cavallo e mi implorò di liberarli dalla Santa tirannia pontificia:
"Sire, aiutaci tu!"
Vi aiuterò, miei cari sudditi, vi aiuterò.


Vidi una torre un poco storta... accasciata su di un lato.
Pensai che la torre pendente di Pisa fosse stata distrutta dai Guelfi, e dissi:
"Pisa, avrai la mia vendetta!"

FIRENZE
Evitai di entrare a Siena, per far contenti i Fiorentini... oltre che per sparagnare tempo.
Passai dinnanzi allo Palazzo di Parte Guelfa e sputai pe terra.
Fiorenze era ancora lacerata dalle lotte tra i Guelfi e i Ghibellini: i primi erano rimasti nelle loro case ad affilare i coltelli, e speravano di farmi fuori, i secondi invece erano usciti allo scoperto festosi, baldanzosi come a Pisa.
"Abbasso l'Imperatore!" disse un bambino parandosi dinnanzi allo mio cavallo.
Lo porro fanciullo che mi fece tenerezza fu travolto da una folla di Ghibellini incazzati, che lo fecero pezzo pezzo.
Lasciai Fiorenze con quell'orrida visione negli occhi miei.

ROMA
E, dopo aver traversato tutta quanta la Tuscia finalmente arrivammo a Roma.
Vi domanderete, miei feudatari, come mai non andai a Venezia...
... la scusa fu che Venezia aveva offeso Iddio e Sua Santità Alessandra IV co gli inspiegati massacri suoi in Istria...
... la verità è che l'aveo un pò a schifo, si dicea che Venezia puzzasse d'acqua stantìa e pesci morti, e certo non vorria io beccarmi la malaria o ammalarmi di sciorda e scagazzare ovunque come re Luigi.
Similmente non proseguii in Sicilia, poiché Manfredi è maledetto e non vorria da lui ammischiarmi lo malanno della Scomunica.

Fummo dunque a Roma: magica, mia meta e mia salvezza.
I cavalli si riposarono, abbeverandosi nelle fontane di San Pietro.

In verità rimasi 'n poco deluso, per me Roma era la Roma Antica di Tiberio, Cesare e Ottaviano.
Ma Roma non era più questo.
La caput mundi s'era inselvatichita.
Divanti allo Pantheon i pastori pasciavano le pecorelle, tanta era l'erba che cresceva tra li ciottoli delle vie.

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Girammo comunque Roma colle nostre alabarde e coi nostri Gonfaloni, cantando lo nome mio Enrico.
Baciai la mano allo papa, assai scontento e sì crucciato chi fossi io lo novo Imperatore.
Lo papa volle ch'io dessi alla Francia carovane e carovane di frumento, e fu sì contentato.

"Enrico V" disse lo papa porgendo la Corona sullo mio capo, "io ti nomino Sacro Romano Imperatore"

"In nomine patris, et filibus
et spiritus sanctus
Amen"

Sì contento ce ne tornammo in Germania.
Molto avevo da fare.



Poscia giurar all'Inghilterra e alla Castiglia lo mantenimento delle promesse fatte sull'onore mio: l'alleanza colla prima, e la micizia coll'ultima.
Poscia scribere e colloquiar colle genti d'altrove.
Poscia stipulare accordi commerciali colla ricca Bisanzio e cogli arabi d'Egitto.
Poscia rivedere le dogane coll'Ungheria, le quali mi sembran fatte molto molto male.

Poscia consolare lo morale di Ottocaro, sì crucciato perché, quand'egli tornò in Boemia trovò Rodolfo d'Asburgo nel letto della sua amatissima moglie Margherita, alla quale aveva dedicato tanto amore in quella lettera...
Rodolfo perderà il suo battilocchio! La prima cosa che farò ora che sono Imperatore, sarà tagliargli il membro!
Deciso.
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