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Partita GDR | L'ombra di Saladino

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Messaggio Da Astrid I Mer Mar 15, 2023 12:29 pm

LE MIE RICORDANZE


Jean de Joinville
Storie di un cavaliere alla corte del re di Francia


Ottobre 1260 AD


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In nome di Dio onnipotente - io Giovanni sire di Joinville - siniscalco di Champagne - narro la vita del nostro Santo re Luigi. Scrivo ciò che vidi e udii per quegli anni che fui in sua allegra compagnia nella Crociata d’oltremare - e poi che fummo tornati. Ma ancor prima di raccontarvi le sue grandi imprese e le sue prodezze - vi tramanderò soprattutto le sue sante parole e le sue buone azioni - acciocché quelli che leggeranno potranno camminare seguendo le orme del Gigante che li ha preceduti.
Questo sant’uomo amò Dio di tutto cuore e ne imitò le azioni; e appare da questo: che come Dio morì per amor del suo popolo - Luigi per amor del suo popolo arrischiò più e più volte la vita; non gli era forza in lui che non provenisse da Nostro Signore Gesù.
Iddio abbia in gloria i miei manoscritti - acciocché gli uomini imparino dalle gesta dei Santi e sempre meno da quelle dei mercanti.

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Bianca di Castiglia partorì il pargolo dal suo nobile ventre senza travaglio alcuno - il 25 aprile del 1214.
Quel frugoletto nacque già "con la camicia" - evento assai raro che per i mistici è segno di grande fortuna.


All'età di 12 anni morto il fratello - morto anche il padre - il giovane Luigi venne incoronato re di Francia. Egli già che ragazzo il giorno di San Marco montò a cavallo e sguainando alta la spada disse con carica gagliarda: "una Crociata contro i Catari s'ha da fare!" Si levarono applausi in ogni dove e i guerrieri d'Europa partirono per la guerra attraversando le vie Francigene.
Quella progenie d'eretici praticava promiscuità - sodomie e ogn'altro genere d'immondizia: ho sentito storie di uomini che giacevano con altri uomini - donne con altre donne - uomini e donne con altre donne e altri uomini... I Catari stavano ristabilendo a Tolosa gli antichi insediamenti di Sodoma e Gomorra che tanto avevano offeso il Signore dell'Antico Testamento - ma il giovane Luigi pugnò per lunghi anni - egli pugnò e pugnò duro - e pugna dopo pugna riuscì ad espugnare la roccaforte albigense di Montsegùr nella quale erano asserragliati gli infedeli; i Catari furono massacrati uno ad uno - ed i loro peccati immondi vennero lavati nel sangue o nel fuoco.

Dopo quella Benedetta Guerra - papa Gregorio IX gli concesse per somma gratitudine il privilegio di prendere in sposa sua cugina Margherita di Provenza - domina assai bella dagli occhi neri e dolci ma sua consanguinea. Fu forse codesto l'unico peccato di cui Luigi si macchiò per tutta la vita: quello di amare sua cugina.
Ma come Cavaliere non vedo colpe: i villani sposano fratelli e sorelle e nessuno ha mai alzato un dito. Del resto - chi è senza peccato scagli la prima pietra - diceva Gesù.
Margherita oltre che bella fu anche moglie virtuosa e combattiva - pulzella esemplare. Con coraggio seguì il marito a Gerusalemme in Crociata e lottò assieme a lui sui campi di battaglia.
Che però non lo prendano a vizio i regnanti del futuro - quello di sposarsi tra cugini. Poiché lo sangue è come l'acqua e quando lo sangue ristagna vengono al mondo creature storpie e deformi!


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Il matrimonio tra Margherita di Provenza e Luigi Capetingio incontrò molti ostacoli - molti sono gli ostacoli a cui il Signore sottopone i diletti figli suoi e specie quando c'è di mezzo l'amore - perciò immaginerete che siffatta unione fu maldigerita. Primo - da Ugo X di Lusignano - che si arrabbiò moltissimo poiché aveva già cresciuto le sue figliuole con la promessa che da grandi sarebbero diventate le mogli del re di Francia. Così egli per vendetta negò a Luigi l'eredità del Regno di Cipro - la quale finì per soccombere ai Genovesi - avidi mercanti e corruttori di danaro.
Secondo - da Alfonso X di Castiglia - scontento pure lui - che costrinse Luigi IX a regalargli dei feudi e alcune contee a nord di Navarra e la stessa Navarra.
Terzo - da Enrico III Plantageneto e Raimondo di Tolosa - i quali si accorsero che a seguito del matrimonio il re aveva perduto ogni diritto di successione su Tolosa. Scoppiò perciò una guerra sanguinosa e violenta tra l'Inghilterra e la Francia per il controllo di quella regione e delle sue vigne - ma Luigi IX ebbe la meglio e cacciò via gli inglesi - i quali un paio d'anni dopo tornarono a gambe levate nella propria isoletta uggiosa e piovigginosa donde lo Sole non splende mai.

Già quì gli uomini di sapienza giudicarono la differenza tra Luigi e gli altri regnanti.
Luigi IX - che era uomo pio e giusto - perdonò l'Inghilterra col Trattato di Parigi - consapevole che a seguito della Magna Carta i Plantageneti non erano più i padroni del loro regno ma succubi dei loro valvassori - gente belligerosa e meschina che non tiene conto della parola "lealtà".
"La Magna Carta offende la legge di Dio ed impedisce ad un re di esercitare i suoi sacri diritti" disse Luigi in quell'occasione.

In ogni guerra che spargeva sangue cristiano il nostro Santo re fu paciere e arbitro di giustizia - sempre e dovunque.
Nel conflitto tra il papato e l'Impero Luigi IX scelse di mantenere una rigorosa neutralità. I Guelfi avevano ragione nel sostenere che il potere spirituale della Chiesa era superiore a quello politico dell'Imperatore - egli stesso si definiva un Guelfo essendo imparentato alla lontana col lignaggio dei Welfen - ma riconobbe che i Ghibellini avevano altrettanta ragione nel dire e nel ribadire che l'Imperatore spogliato d'ogni suo diritto spirituale dovesse avere un qualche potere politico sull'Italia e su Roma stessa.



Un giorno terribile ch'io ricordo con mestizia - Luigi si ammalò di diarrea - e cominciò ad andare pesantemente di corpo cagando ovunque - tutti i dottori del regno lo diedero per spacciato - ma io posso esservi testimone sul mio onore di Cavaliere e credetemi sulla parola: appena il re seppe che il papa aveva indetto la Settima Crociata la pallida pelle di Luigi IX si tinse subito di rosa - smise di cagare - e riguadagnò le forze perdute. Dopo quell'ispiegabile guarigione - il re montò a cavallo come posseduto dallo Spirito Santo - e partì per la Terra di Betlemme a pugnare i pagani arabeggianti: sentì che il mondo aveva bisogno di lui - Luigi non sarebbe dovuto morire quel giorno - non senza prima rispondere alla chiamata di Dio.


Ma malgrado i pronostici fossero favorevoli - la Settima Crociata fu un disastro. Un fallimento totale.
Luigi venne catturato a Damietta e per molto tempo fu fatto prigioniero dai Saraceni - nutrito a pane e acqua e sottoposto alle peggior torture.
Tornò a Parigi nel 1256 - dopo che l'adorata moglie Margherita pagò il riscatto con una scorsella di zecchini d'oro.

Da quel giorno Luigi non fu più lo stesso. Maturò più come Angelo che come uomo.
Egli era convinto che il fallimento della Crociata fosse una punizione di Dio nei suoi confronti - che il Signore ce l'avesse con lui.
Perciò prese a digiunare - a torturarsi - a flagellare le proprie carni - a lavare i piedi alla povera gente - e a fare molte altre cose che soltanto due tipi di persone sono in grado di fare a questo mondo: i frati e i santi.
Come Gesù - egli indossò la corona di spine e accettò di pagare i propri errori con ogni sofferenza - giacché ogni saggio sà che la carne è destinata a marcire mangiata dai vermi ma l'anima no.
La carne è soltanto la prigione dell'anima.
La carne è destinata al terreno. L'anima è destinata a Dio.

Tra tutti gli uomini che abitano il Creato Luigi è forse l'unico ad essere stato fatto Santo ancor prima che morisse. E avrete già capito perché.
Io non me ne faccio maraviglia; egli era davvero un sovrano straordinario - un maestro di vita.

Perciò io - Giovanni sire di Joinville e siniscalco di Champagne - ho deciso di fare una cosa che nessun Cavaliere aveva mai fatto prima di me: scrivere. A questo mondo sono solo i monaci che notano e scribano - ma anch'io scriberò.
Io che pugnai gli arabi con lui - io ho conosciuto Luigi meglio di chiunque altro - e giacché ormai son troppo vecchio per combattere; il mio compito sarà quello di raccontare ai posteri per filo e per segno le azioni compiute da questo Sant'uomo.


Oggi avete letto il sunto della sua Vita - nei prossimi capitoli leggerete di Luigi e delle prodezze - delle opere e dei miracoli che egli compì negli ultimi anni del suo regno - quando una volta portate a termine le buone azioni come ogni altro uomo anche Luigi sarà richiamato nella Casa del Padre dei Cieli.



Sia Lodato Iddio Signore dell'Universo - perché egli è immortale e mai cangia d'aspetto
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Messaggio Da Ferdinand-Foch Mer Mar 15, 2023 2:53 pm

Repùbrica de Zena


“Genova di Boccanegra”
Lezione: I


(Ottobre 1260)

[Prefazione]

“In Italia, indicata come una mera accezione geografica, la seconda parte del Medioevo vede i suoi attori protagonisti nelle figure di quelle che sono le Repubbliche Marinare, in particolar modo quella di Genova e Venezia; ma vedremo nel corso della lezione anche l’esistenza di Repubbliche “minori”.

In particolar modo, come ben saprete, queste lezioni si concentreranno sullo sviluppo e nella spiegazione di quella che è stata la storia della “Repùbrica de Zena” detto in dialetto genovese. La quale i questo contesto storico giunge all’apice del suo splendore, minacciato dall’esistenza di entità che individuiamo come “concorrenti” più che “nemici”.

Con questo già entriamo in un aspetto assai complesso di questa splendida storia: Genova, ma come Venezia, è diversa dalle entità statali che esistevano in quel contesto, queste vedevano dei “nemici” ponendo l’aspetto militare dinnanzi a tutto. I genovesi della guerra non importava, anzi la detestavano poiché faceva male “agli affari” e usavano questa come un mezzo per il raggiungimento di guadagno, a differenza di alcuni regni che vedevano la guerra come fine ultimo.

Questi genovesi volevano, e facevano, quello che sapevano fare meglio: commerciare, guadagnare, prestare danaro e ingannare. Volendo fare un esempio abbastanza forzato, ma che ci può aiutare nel comprendere la portata di Genova, possiamo paragonare la piccola Repubblica Marinara con l’Inghilterra di Epoca Moderna, e non perché hanno la stessa bandiera, ma l’influenza britannica in tutto il globo era simile a quella genovese in un contesto più piccolo come quello del mediterraneo.

Vedremo come Guglielmo Boccanegra, il Signore di Genova, farà in modo di metter bocca, scusate il gioco di parole, in ogni vicenda cercando in ogni modo di arraffare qualche lira in più.”


[Sfera di Influenza]

“Essendo Genova una città-stato, come le antiche città greche, posta in questo contesto fu un enorme vantaggio. La sua natura flessibile non vincolata da regole monarchiche o dinastiche ha permesso alla città di fiorire con molta rapidità e muoversi in contesti diversi, adattandosi con il fine di trarne del beneficio. In questo contesto l’influenza della città italica si espanse sempre di più grazie, soprattutto, alle Crociate un esempio lampante di come sfruttare un evento per trarne il massimo risultato, nonostante a loro non importasse nulla.


La Guerra Santa che portò alla destabilizzazione dell’Impero Bizantino, sostituito dall’Impero Latino uno stato cliente dei Regni cattolici e Veneziani, portò nelle mani dei mercanti genoani rotte commerciali assai ghiotte: una linea diretta con il Vicino Oriente con gli stati di Egitto e Siria, ma anche l’accesso al Mar Nero mettendosi in contatto con Bulgari e Mongoli di Crimea.

Partendo dalla penisola Italica oltre alla città ligure metà Corsica e Sardegna erano sotto il loro controllo diretto, le restanti metà erano divise con Pisa una delle repubbliche “minori” di cui parleremo, non vi preoccupate. Anche le isole greche di Chio, Taso e Lemno erano controllate da Genova, ma il loro potere derivava dal controllo economico del Regno degli Armeni di Celicia, in Anatolia, e del Regno di Cipro vero punto di snodo con le rotte orientali.

Queste ultime due furono acquisite in seguoto alla Crociata citata prima, ma la forza che voglio farvi comprendere, segreto del successo genovese, sta nel fatto che questi regni sono tenuti al “guinzaglio” grazie ad una morsa economica. Genova non poteva di certo tenere il controllo diretto, quindi miliare, di territori cosi lontani, era impensabile, a differenza di regno ben più grandi e forti che avevano questa capacità. Di fatto i regni di Celicia e Cipro sono sempre esistiti, Boccanegra non era Re di questi Regni, ma li controllava con il danaro. E’ questa la chiave di volta.

Da questi popoli ogni anno giungevano a Genova navi cariche di tributi sia di danaro, ma anche di materie prime che aiutavano moltissimo la crescita urbana della città. In verità la maggior parte di questi beni erano destinati al mercato con gli alti stati, questo perché non si è mai sentito il bisogno di accrescere il potere a livelli troppo alti. A differenza dell’Imperatore o del Papa che volevano il controllo universale, i genoani volevano solo campare togliendosi qualche sfizio ogni tanto.

Questo però non vuol dire che in questo periodo, fine 1200, Boccanegra sia rimasto con le mani in mano, anzi. Vedremo come cercherà di aumentare la sfera di influenza anche in contesti nuovi come ad esempio l’Africa che aveva porti commerciali molto importanti tipo Orano, Bona o Tunisi.”


[Guelfi e Ghibellini]

“Lo scotro tra Impero e Papato si rifletteva su tutta la penisola italica con lo scontro tra Guelfi, sostenitori del Santo Padre, e Ghibellini coloro che giurarono fedeltà all’Imperatore. In questo scacchiere religioso la città di Genova si posizionava a favore del Papato, quindi della fazione dei Guelfi, cosi come altre città come Brescia e Bologna; mentre altre città come Pisa spalleggiava per i Ghibellini. Altre città come Firenze erano assai instabili cambiando fazione costantemente.


Genova, però, rappresenta in quel periodo un fatto eccezionale poiché, come abbiamo detto, era dichiaratamente Guelfa, ma il suo Signore Guglielmo di Boccanegra era un fervente sostenitore dell’Impero. Salì al potere grazie ad aiuti segreti di alcune famiglie ghibelline e anche perché il popolo genoano era stanco della podestà guelfa che amministro la città fino al suo arrivo.

Dunque, possiamo comprendere come Genova sia un oggetto misterioso capace di poter agire in molti campi e in grado di poter intervenire in difesa delle città Guelfe, ma anche di poter tessere alcuni legami con quelle Ghibelline grazie al Boccanegra; nonostante la sua la difesa del Papato sarà un compito irrevocabile per Genova.”


[Figli di Genova]

“La Repubblica Ligure oltre al controllo indiretto di alcuni regni del Vicino Oriente, aveva anche le mani in pasta in alcune città in giro per il mediterraneo frutto di una fitta rete commerciale sviluppata nel tempo.

Ricordiamo tra le città più importanti Monaco in Francia, divenuta possedimento genovese in seguito ad una lotta tra guelfi liguri e i ghibellini di Monaco, segnando il passaggio della città nelle mani di “Zena”. Anche l’isoletta tunisina di Tabarka era posta all’influenza di una famiglia genovese molto potente: i Lomellini, grazie al commercio di corallo. Questa piccola isola poco distante dalla costa continentale era un avamposto commerciale, prima di tutto, ma come vedremo sarà usato anche come porto militare da cui partirà un operazione ai danni della vicina Tunisia.

Continuando l’elenco dei “figli” mettiamo in evidenza anche il distretto urbano di Costantinopoli: Galata e Pera, un quartiere esclusivo dei mercanti genovesi della capitale Bizantina. Questa fu un importante nodo commerciale da cui Genova traeva molta ricchezza e, soprattutto, manteneva una certa pressione in quella zona molto focosa.

A questi poi saranno aggiunte le città genovesi in Crimea acquisite verso la fine del 1260 con alcuni accordi tra famiglie genoane e i Mongoli del Khanato di Crimea. Da questo poi si apriranno anche nuove rotte commerciali non solo nel Mar Nero, diventato a quel punto zona sicura senza i pirati Mongoli, ma anche con gli stessi mongoli che giungevano in Crimea dalla lontana Cina.”


[Commercio]

“Per i genovesi il “mercante” era una figura paragonabile ad un uomo che ha ricevuto la “vocazione” di Dio oppure di un nobile che diventa Cavaliere, per loro questo era più di un semplice mestiere, era quasi una religione. Spesso gli uomini estranei a quel contesto usavano termini dispregiativi per definire i genovesi come taccagni, avidi di danaro, ladri, strozzini e tante altre belle cose; ma per i figli di “Zena” quelli erano tutti complimenti, poiché voleva dire fare bene quel lavoro.

Genova basava tutto sul commercio, senza sarebbe stata una semplice città indifesa e preda appetibile delle grandi potenze circostanti, invece ciò non accadde grazie alla fitte rete di scambi creata e sorretta dalla città ligure. Molti snodi commerciali importanti del mediterraneo erano controllati dai mercanti genovesi, i quali applicavano ingenti tasse a coloro che spostavano la merce per quei punti: il fiore all’occhiello di questa fitta rete era Cipro un isola del Mediterraneo orientale che metteva collegava gli europei con i vicini orientali.


La navi straniere che ormeggiavano a Cipro oltre a pagare una tassa per il passaggio erano costretti anche a rilasciare una percentuale variabile di quella risorsa che stavano commerciando. Questi dazi erano imposti a chiunque sia alleati che rivali, nessuno poteva esimersi dal pagamento, magari qualche stato più amichevole riceveva uno sconto, ma il pagamento era improrogabile.”


[Continua...]
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Messaggio Da Rhaenyra Mer Mar 15, 2023 3:42 pm

Den Bjälboätten Krönika
la Cronaca del Casato di Bjälbo
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Folkungaätten

Il Casato di Bjälbo è anche conosciuto come Casato di Folkung, secondo la leggenda deriverebbe dal mitico capostipite Folke Filbyter,

Che visse molto prima dell'arrivo dei seguaci di Cristo, quando in queste lande si venivano ancora venerati gli antichi dei.
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Valdemaro I di Svezia
 
Valdemaro I eletto Re a soli sette anni nel 1250 in seguito alla morte dello zio Erik XI, deceduto senza eredi.
Il giovane sovrano era figlio dell'influente Birger Magnusson del casato di Bjälbo e della principessa Ingeborg, sorella di Erik;
A causa della sua minore età suo padre assumerà le funzioni di reggente.
Nel 1260 il Re è prossimo alla maggiore età ma non sembra affatto coinvolto dalle questioni importanti che richiedono la sua presenza;
Valdemaro sembra indirizzare la sua dedizione ai piaceri carnali piuttosto che al Regno.
Specialmete sua cognata Giuditta di Danimarca e questo potrebbe adirare i suoi fratelli se venissero scoperti.


Birger Magnusson
 
Politico scaltro e lungimirante ma condottiero fallimentare dopo la sconfitta procurata da Aleksandr Nevskij nella battaglia della Neva nel 1240.
Prima dell'ascesa di suo figlio Valdemaro, Birger servì Erik, il precedente sovrano gli concesse il titolo di Jarl per i suoi servigi.
Jarl Birger sapeva muoversi tra intrighi di corte, si diceva che controllasse non solo i burattini ma anche gli stessi burattinai.
Durante la sua carica di Jarl il regno era diviso fra i Gotar del sud e gli Svear del nord, rispettivamente controllati dagli Sverker e gli Erik.
Le lotte intestine tra i filo-danesi Sverker e il casato regnante di Erik permisero, anche grazie alla sua sagacia politica, riuscì a ritagliarsi un ruolo nella nazione sempre più influente, il suo matrimonio con la sorella del Re, da cui ebbe Valdemaro, non fu casuale e la fortuita morte del sovrano permise di favorire suo figlio per l'elezione.
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La successione e incoronazione
 


Secono il Västgötalagen, il codice legislativo usato nel Västergötland (dove risiedeva la capitale all'epoca), redatto dal suo fratellastro Eskil, in assenza di eredi maschi l'elezione prevede la candidatura delle figlie, ma Birger si assicurò che questo non avvenisse coercendo gli elettori avvalendosi della sua influente autorità all'interno della corte ma soprattutto schiacciando le casate rivali respingendo due dei pretendenti al trono svedese, Filippo Knutsson e Filippo Magnusson, concedendo così al casato Bjälbo dominio indiscusso, temporaneo.
Appena insediato Valdemaro sul trono e incoronato Konungr af Sverige, Jarl Birger si auto proclamò reggente
e si prese la briga di trovare una nuova capitale per un nuovo regno svedese unificato, la fondazione della città di Stoccolma sulle rive del lago Mälaren, ove vi si trasferì la corte reale, è attribuita a lui.

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I fratelli del Re


Erik Birgersson e Magnus Birgersson o Magnus Ladulås come veniva chiamato, sono scontenti dell'attuale situazione riguardante il loro sovrano e fratello Valdemaro;
Aspettano un passo falso, che sia un'eventualità oppure procurato.
Una tempesta è in arrivo nel casato dei Bjälbo
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Riksrådet


Il sempre più incontrastato potere dello Jarl Reggente si prospettò non privo di minacce, dall'interno e dall'esterno;
Per questo motivo nel 1260 il Riksrådet sarà assemblato, un concilio reale di pochi uomini esperti chiamati a dare consigli al sovrano nelle materie dove egli non ha perizia, tutto questo sarà la facciata, la realtà è che il Concilio servirà agli scopi del reggente o chi verrà dopo di lui, per esercitare nella maniera più efficace la sua autorità sul regno.
Il reggente inoltre istruirà agli scribi di archiviare tutte le decisioni e i motivi di queste e tutti i consulti dei consiglieri.

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Riksrådet Arkiv


l'archivio del Consiglio del Regno




15 Ottobre 1260
 
Le cariche dei consiglieri sono quattro

Il Kansler (cancelliere) si occuperà delle questioni diplomatiche e di politica sia estera che interna inoltre è l'uomo più fidato del Reggente.

Il Marsk (maresciallo) si occuperà della materia militare in generale, è inoltre capo delle armate.

Il Dróttin (tesoriere) si occuperà delle casse di stato e di economia nonchè dello sviluppo infrastrutturale del Regno.

Lo Hovpredikant (cappellano di corte) un uomo di fede e devoto alla chiesa che si occuperà delle faccende religiose.

Il Mästare på Viskningar (maestro dei sussurri) il braccio sinistro del Regno, lui sa tutto di tutti all'interno della corte, almeno dovrebbe.
 
I consiglieri avranno diritto al posto nel concilio a discrezione del Reggente, la durata del loro mandato è a discrezione del Reggente.
 
La prima seduta del Riksrådet viene ufficialmente aperta dallo Jarl Reggente Birger Magnusson ove presiederà in vece del sovrano fino alla maggiore età di quest ultimo per questa seduta e per le prossime.
 
Il cappellano inizia lodando il reggente per aver deciso di prendere parte alle crociate del nord nelle terre baltiche dei pagani promulgando la parola del signore;
 
Il cancelliere confida nel dividere le tribù soggiogate, isolandole così da renderle più malleabili per evitare eventuali rivolte e favorire maggiore collaborazione con gli svariati Ordini a servizio della Santa Sede ivi insediati;
Infine avvisa che la minaccia tataro-mongola si fa sempre più vicina e che il Reame dovrebbe salvaguardare la Terra Mariana pericolosamente esposta.
 
Il maresciallo informa il Reggente che vorrebbe istituire un esercito permanente per la difesa del reame, equipaggiato e stipedianto dirrettamente dalla Corona, i ranghi saranno riempiti dai veterani della crociata del Nord, per questo, aggiunge, sarebbe opportuno espandere le miniere di ferro di Luleå nel landskap di Norrbotten.
 
Il tesoriere tiene presente che per sostenere una produzione per un esercito permanente non solo servirà più ferro ma soprattutto serviranno più vettovaglie e rifornimenti ma il suolo di Svezia è avaro e rende poco a chi lo coltiva, a differenza delle più fertili lande della Scania, questo ducato però è vassallo del re Erik V di Danimarca, rancoroso per la sconfitta che Il Reggente ha procurato agli Sverker, rinomati filo-danesi.

Il Riksrådet si aggiornerà il prossimo mese.
Partita GDR | L'ombra di Saladino - Pagina 2 Png-cl12

Araldo Reale


Udite, Udite!
La Crociata nelle terre baltiche è giunta a termine!
I pagani sono stati sconfitti e i loro possedimenti espropriati!
 
La terra degli Estoni sarà soggetta alla corona danese.
Le terre dei Livoni e Latgolici saranno affidate ai cavalieri di Cristo e governate dall'Ordine livoniano.
Le terre dei curoni, semigalli e seloni saranno proprietà dalla gilda dei borgomastri svedesi sotto la salvaguardia dello Hochmeister Anno von Sangershausen.
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Messaggio Da Falco Gio Mar 16, 2023 8:33 am

Česká Kronika

LA CRONACA DI DALIMIL
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Boemia XIII Secolo

Partita GDR | L'ombra di Saladino - Pagina 2 YJDQObA

Dai racconti di Santa Agnese da Praga,
16 Novembre 1260 AD
"... I saggi amano le leggende.
Spesso loro malgrado credono che le leggende non onorino la stirpe cui appartengono.
Se potessero apprendere dai libri dove affondano le loro radici e i tempi felici e i tempi oscuri allora di certo molti di loro onorerebbero i loro antenati e la patria sarebbe più cara..."

Partita GDR | L'ombra di Saladino - Pagina 2 IAfM9pB
"Cechi, siate autonomi, siate orgogliosi: al collo piegato l'ascia ambisce
Cechi, siate saggi: coltivate le vostre terre, non quelle straniere.
Non abbiate padroni, siate voi stessi padroni.
Nel vedere i miei occhi hanno visto troppe cose e nel parlare la mia bocca ha speso troppe parole,
ma seppur continuassi... le parole sono soltanto parole.
Questa cronaca racconta di voi, popolo Ceco, comincia con quel che accadde, e quel che accadde accadde nell'Anno Domini 1260..."

Ottocaro II, mio fratello, era un sovrano molto potente, sotto di lui la Dinastia dei Primyslidi sfiorò il cielo con un dito.
Ottocaro era ambizioso, trascorse tutta la vita a caccia di corone che egli collezionava come trofei per adornare la sua nobile testa, avrebbe desiderato tanto diventare Sacro Romano Imperatore. Piacere che gli fu negato dall'avarizia dell'altrui gente.
Si dice che in un angolo del suo castello ci fosse una stanza strapiena di corone sottovetro, e che al di sopra di tutte, su di uno scranno di stoffa purpurea, il Sovrano aspettasse trepido l'ambita Corona di Roma.
Sebbene quel titolo fosse solo nominale e non valesse nulla, la gloria e il prestigio della Corona erano tutto ciò che mio fratello cercava. E non gli importava del danaro o della lussuria, e delle altre sciocchezze da giudaici mercanti. Un ceco non è ebreo e né tantomeno genovese. Un ceco guarda oltre.
Mio fratello voleva trasformare la Boemia in un regno robusto e glorioso, che fosse ombelico del mondo. Sposò Margherita di Babenberg, rubando al rampollo degli Asburgo l'Austria promessa.
Invidioso del suo nome e del suo crescente potere, mio cugino Bela IV re d'Ungheria gli portò la guerra in casa: mio fratello non aspettava altro. Che grande opportunità per un giovane re, quella di sconfiggere gli Ungheresi alla foce del fiume Leitha. Ottocaro II conquistò la Stiria e tolse ai croati la Carinzia e si spinse quasi fino al Friuli.
L'indomani a Praga, i Signori Boiardi festeggiarono la vittoria con birra e stinco di maiale, nobili e mercanti, padroni e schiavi, operai e contadini. Tutti amavano mio fratello.
Ma l'uomo più potente dell'Impero non si avvide d'una minaccia all'apparenza piccola, che per la minuta gente del regno era però grande.
La lingua ceca stava scomparendo. Ogni giorno giungevano dalla Germania carovane stracariche di immigrati tedeschi.
I teutoni venivano, compravano casa, prendevano moglie. I figli nascevano, le famiglie si moltiplicavano.
Nelle Chiese i parroci parlavano tedesco. Nei tribunali anche. E come bicchier d'acqua riempito d'olio, i Cechi erano sempre più relegati ai margini della società, costretti a svolgere i lavori più umili e gretti.
Dappertutto nelle grandi città la lingua predominante era ormai il tedesco, tranne che nelle campagne focolare della tradizione.

Una storia molto antica racconta di tre fratelli: Čech, Lech e Rus', le cui strade si separarono.
Lech, che era il più giovane e immaturo, viaggò verso nord, dove incontrò un'aquila bianca, e giudicando questo un buon presagio fondò il villaggio di Gniezo, che in polacco significa "nido". Trovò una bella fanciulla, la prese come moglie, ed ebbe da lei centinaia di figli. Nacque così la Polonia.
Rus' invece viaggiò verso est, cominciò a pescare lungo il fiume Dnjepr e dopo essersi adagiato al Sole lungo la riva ebbe una magnifica visione; decise che da lì non se ne sarebbe mai più andato. Nacque così dai sogni suoi Kiev, la città dalle cupole sgargianti.
Čech, che era il più grande e saggio tra tutti, si arrampicò sulla vetta d'una montagna e vide in lontanza una terra belissima dove le api raccoglievano il miele, i pesci sguazzavano nei fiumi, e i cinghiali scorazzavano nei boschi. Vide poi una città elegante, Praga, e se ne innamorò. Domandò in giro dov'è che fosse, e tutti gli dissero: siamo in Boemia, la terra del sorriso.
La leggenda narra che i tre fratelli avessero anche una sorellina, Vilina, che però si smarrì tra i boschi. La piccolina fu accolta in un piccolo villaggio sperduto tra le colline che aveva nome il nome Zagabria. Quando crebbe diventò la più bella delle pulzelle e tutti riconobbero le sue nobili origini. La fecero loro regina e nacque così la Croazia.

Cechi, fermatevi un momento, e immaginate.
Siate saggi Cechi, non mescolatevi a quella gente. Mantenete il vostro sangue puro.

Ma Ottocaro non vedeva. Tra tutti i cechi vedenti, Ottocaro era un ceco cieco.
A mio fratello importava soltanto la Corona. Voleva imitare la Chanson de Geste e passare alla storia come un Carlo Magno, un Rolando, un re Artù.
Inseguire le corone. Soltanto questo lo rendeva felice, non c'era altra passione che riempisse la sua vita.

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Quando nel 1240 Federico II fu scomunicato, il trono del Sacro Romano Impero restò vacante.
Gregorio IX si era arrogato il diritto di deporre l'Imperatore con ogni raffinatezza giuridica, strappando fuori monologhi ecclesiastici conditi da formule latine. Il papa fece sedere sul trono Enrico Raspe: un fantoccio che rispondeva agli ordini del Santo Uffizio.
Ma il gesto di Gregorio IX provocò l'ira di tutta quanta la nobiltà Ghibellina, e i Grandi Elettori si riunirono nella Cattedrale di Aquisgrana per eleggere un nuovo re: un anti-re.
Costui si chiamava Guglielmo d'Olanda.
Guglielmo cominciò ad avere un seguito in Germania, grazie a dimostrazioni di benevolenza e a cessione di feudi.
Subito dopo condusse una campagna vittoriosa contro Margherita II delle Fiandre. Ma il grande Guglielmo perse fatalmente la vita quando attraversando uno specchio d'acqua ghiacciato, la crosta di ghiaccio si ruppe ed egli cadde nell'acqua gelata.
Il corpo congelato di Guglielmo fu inghiottito dalla golosia del lago e non tornò mai più a galla, perduto per sempre nel ventre di madreterra.

Alla morte di Guglielmo i principi non riuscirono a trovare un accordo sul nome del nuovo Re dei Romani.
L'arcivescovo di Treviri, il re di Sassonia e il margravio del Brandeburgo indicarono dunque il Guelfo Alfonso X di Castiglia, nipote di Filippo di Svevia e re di Spagna, mentre gli altri scelsero il Ghibellino Riccardo di Cornovaglia, cognato di Federico II, e fratello di Enrico III re d'Inghilterra.
In quell'occasione quel manigoldo di Ottocaro II si fece pagare e corrompere da entrambi, ma non votò nessuno dei due. Quella volta sì che si comportò come un genovese.
Avrà avuto ragione mio fratello col senno di poi. Quei due infingardi non meritavano il trono.
Sia Riccardo che Alfonso non dimostrarono mai grande interesse alla corona imperiale, e non misero mai piede in Germania.

Per trent'anni per colpa loro il trono si coprì di polvere.
La negligenza di questi due furfanti disgregò la delicata coesione tra le nobili famiglie e l'esistenza stessa dell'Impero.
Ogni principe consolidò il proprio regno non curandosi di quello del suo vicino, anche città come Amburgo o Brema rafforzarono la loro indipendenza rispetto al potere feudale ed imperiale.
Ne conseguì che ognuno era costretto a fare esclusivamente gli interessi della propria dinastia.

In mezzo a tutti questi principi, a questi conti e a questi re, che si preoccupano soltanto di curare il proprio orticello, Ottocaro II mio fratello è stato il migliore dei giardinieri.
Egli si curò della Boemia come con una pianta di rose, potava i rami là dov'era necessario, la irrigava con l'oro degli scambi, e concimava la terra col sangue dei suoi nemici. Non era un sanguinario, sia beninteso. Ma un re ogni tanto del sangue deve spargerlo, perchè la terra dia frutto.

Ottocaro aveva molte ambizioni, l'ho già detto. Primo tra tutte, decise che avrebbe convinto Riccardo di Cornovaglia e Alfonso di Castiglia ad abdicare formalmente ai rispettivi troni, in modo tale da ripresentarsi come candidato alle prossime elezioni, anche a costo di dover pregare anni ed anni alle intemperie fuori d'un castello, come Enrico a Canossa.
E perciò mandò i suoi emissari in Inghilterra e Spagna.

Secondo, la Grande Crociata del Nord. Mindaugas aveva ingannato il papa promettendo la conversione della Lituania al cattolicesimo. Ma i Samogiti, i Prussiani, i Lituani, e tutti quei popoli selvaggi che abitano nelle foreste dell'Est veneravano ancora gli antichi dei erigendo grandi statue di legno alle loro false divinità.
Quel giorno un menestrello avvertì d'un gran vociferare presso le tribù dei Prussi. Oro, ricchezze, e altre furberie donate da Valdemaro di Svezia.
Il maestro dei Sussurri aveva appunto sussurrato alle orecchie dei prussiani la strada più facile per raggiungere a piedi i villaggi teutonici.
I pagani furono sterminati, ma i principi di Germania e Ottocaro stesso ebbero il sospetto che la Svezia stesse manovrando gli infedeli contro di loro per indebolire l'Impero. Un'accusa che anche i più diffidenti impugnarono a Valdemaro: un uomo che non è fedele a sua moglie, ha ancor più ragione di non esserlo con un cristiano.

Terzo, egli stabilì che la Boemia così com'era non gli bastava. Il regno doveva ingrandirsi, strappando magare qualche feudo all'Ungheria o meglio sposando i suoi futuri figli a questa o a quell'altra principessa. A oriente poi, Boleslavo V non aveva ancora consumato il matrimonio con sua moglie Cunegonda e ciò significava che molto presto la corona polacca sarebbe rimasta vacante.
Ma prima di impugnare la spada o la fede nuziale, Ottocaro sapeva che abbisognava prima guardarsi le spalle.

Perciò decise che il prossimo papa avrebbe dovuto obbedire a lui e a lui soltanto, così da aggiudicarsi l'agognata Corona Imperiale.
Se egli ci riuscisse o meno, all'epoca dei fatti lo sapeva soltanto Dio.
Voi che leggete lo scoprirete sfogliando le prossime pagine.

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Messaggio Da Stratega Capo Gio Mar 16, 2023 3:22 pm

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Damietta, 638 anno dall’Egira alla Mecca




Il Sultano Baybars al-Ala i al-Bunduqdari si dirige all’esterno del Palazzo Reale, scortato dalle guardie, va ai giardini, i suoi giardini, che egli stesso aveva dato ordine di costruire sul delta del Nilo, insieme alle piante anche esotiche vivevano in recinti animali dai più normali pavoni ai cammelli agli animali dei cavalieri franchi: i cavalli.  
Il Sultano percorre fedelmente il sentiero giungendo ad un’oasi.  


Il Sultano si siede su una panca, urla: “Apritemi la gabbia!”. I suoi schiavi corrono verso un palmeto poco distante, si intravede una gabbia nascosta dalle fronde delle palme.
Il Nilo aveva esondato da poco, il fango e il limo dominavano ancora sul delta, gli stessi piedi scalzi del Sultano stavano lentamente sprofondando nella fanghiglia, ma pareva felice, mentre aspettava e mentre guardava verso l’alto il Sole, assaporandone il calore.


Mio Sultano, è aperta” disse uno schiavo, “Le sue bestie sono pronte” disse l’altro.
Baybars si alzò e si diresse al palmeto, distante solo una trentina di passi.
Trenta passi che impiegò tanto tempo a fare, ogni cinque passi si fermava, ordinava il silenzio più totale, ascoltava attentamente forse il fiume forse i sospiri e poi avanzava.
Giunto al palmeto scostò le lunghe foglie che toccavano a terra e abbassò la testa, le palme erano infatti molto basse. Subito un guizzo bianco latte sfiorò il volto del Sultano, che però non si mosse, dopodiché un secondo guizzo e poi un terzo, un quarto… in totale trenta guizzi.
I sacchi! Svelti!” ordinò di nuovo: gli schiavi presero da dietro una palma dei sacchetti, pieni di granaglie, ne porsero il più piccolo al Sultano che lo prese in mano, loro nel frattempo avevano già sparso in terra tutto il contenuto.  
Tutti i guizzi bianchi ritornarono, si posarono a terra, erano tutte colombe del più puro bianco possibile, più del latte, più delle nuvole al Sole, più della barba di un vecchio molto vecchio.
Di certo però la barba del Sultano aveva colore ben diverso da quelle colombe, aveva solamente trentasette anni, dominava un vasto Sultanato, ma aveva un cruccio: non era mai stato alla Mecca, mai in vita.  


Via!” quest’altro ordine fece scappare gli schiavi che si allontanarono di quaranta passi, il Sultano rimase da solo, con le sue colombe accarezzandone una. Le altre colombe invece si dimenavano e si spingevano fra loro per essere prese dal Sultano e coccolate.  
Andrò! Che possa o no….andrò, prima che sia tardi!” Baybars parlava da solo, erano le sue riflessioni che nessuno poteva sentire.  
Se solo non fossi obbligato a restare, per difendere l’Islam dai Franchi….se solo”


Solo le sue colombe lo sentivano, colombe talmente docili ed ammaestrate che non volavano via, ma restavano accanto al Sultano. Ne aveva presa in mano una con una chiazza nera vicino al becco, il Sultano non la vide, stava ancora osservando il Sole; ma quella colomba presagiva sfortuna. Appena il suo padrone mollò l’animale quello scappò nuovamente nella gabbia.  
Quella sera covò ben tre uova, presumibilmente tutte contenenti pulcini con una chiazza nera.




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Vieni di qua! C’è il Franco!”
Combatti, combatti, combatti!”
Gloria al Sultano!”
Ti investo mio Cavaliere!”
Baybars fu disturbato da urla provenienti da vicino, gli schiamazzi avevano voci giovani, erano infatti il figlio di dodici anni del Sultano, Baraka, ed i suoi paggi, che giocavano alla Guerra Santa.  


Quelle urla, per quanto non simili a quelle che si possono sentire nella realtà, rievocarono ricordi:
il Sublime fino a pochi anni prima combatteva contro i Franchi, strane genti dell’oltre mare, terre mai viste prima d’ora, ove si supponeva vivessero animali stranissimi.
Baybars iniziò a raccontare una storia a voce alta, senza chiedersi se qualcuno lo stesse ascoltando:
Da quelle terre provenivano anche genti stranissime, che per possedere la tomba di uno dei Profeti erano disposti a morire. Nonostante noi la lasciassimo visitare a patto che non portassero armi. Pochi anni fa, forse venti, forse trenta uno dei loro Re era venuto in Egitto per la “Crociata”, purtroppo per lui Io e l’Emiro Fakhr abbiamo circondato egli e le sue forze; dissenteria e scorbuto e tifo fecero più vittime di noi, non perché noi fossimo timorosi, ma perché loro erano sporchi.”
Si fermò un attimo, respirò e diede altre granaglie alle colombe. Continuò:
Il loro Re, venne catturato e portato nei Nostri accampamenti”


Si sentì un rumore, i bimbi dall’altro giardino erano venuti ad ascoltarlo.
Pà, ma cosa stavi raccontando? Io vorrei risentire.” disse Baraka.


Caro…” continuò il Sovrano “raccontavo di quando catturai un Re dei Franchi, Luigi mi sembra si chiamasse, lo portammo nel Mio accampamento, nella Mia tenda, restò lì un mese, forse due e poi lo riconsegnai. Mi aspettavo che dopo tutti i danari che ci eravamo fatti dare tornasse da dove era venuto, ma decise di restare, altri tre anni di guerre per Noi e di morte e pestilenze per loro. Infine ci accordammo per lasciargli la città di Gerusalemme, e la pace fu ristabilita.
Quel Luigi non lo trattai male, provai a conversarci ma non capiva la mia lingua, nessuna delle due ed Io non capivo nessuna delle due sue.”


Quindi che fine hanno fatto lui e i Franchi?” Chiese il bimbo.


Di lui so solo che è tornato a casa, non so se sia vivo o meno, dei Franchi molti abitano ancora le terre della Palestina e della Siria, ogni tanto ci minacciano, e noi ci difendiamo, ogni tanto ci inseguono e noi li ricacciamo, spero però che finalmente la pace rimanga veramente intatta.


Ma Pà, abbiamo un esercito immenso, un Sultanato immenso, perché non devastarli? Perché non ucciderli tutti? Non faremmo tanta fatica.” Chiese ancora il bimbo.


No! L’esercito dell’Islam non dev’essere usato per vili questioni territoriali; ricordati figlio mio, che, tu un giorno governerai queste terre, non potrai pensare che l’unica soluzione sia la guerra.
I Franchi sono genti strane, io stesso ne ho incontrati dei più disparati, alcuni erano alti, altri bassi, alcuni senza peluria altri ancora senza braccia. Lascia che ti racconti un fatto alquanto strano…”


Il Sublime raccontò al figlio e ai paggi una storia che nell’Asia Islamica circolava a gran voce, riguardava i Franchi, più in particolare una loro donna e due loro uomini, più o meno faceva così: un uomo Franco tornava a casa e trovava la moglie a letto con un altro Franco; chiede spiegazioni e l’occupante risponde che era stanco e non volendo tornare a casa è entrato in un abitazione qualsiasi e si è steso nel letto per dormire; chiede dunque perché anche sua moglie sia nel letto e l’occupante risponde che non poteva certo vietarle di dormire nel suo letto; l’uomo allora avute le spiegazioni spiega che la cosa un po' lo infastidisce e invita l’altro Franco a finire il pisolino, ad andarsene e a non rifarlo, perché si arrabbierebbe. Una storia incredibile, che spiega come e cosa pensano i Franchi.


...ed è per questo che difficilmente rimaniamo in pace con loro, ma ricordati che nessuno dà mai fastidio se rimane a casa sua”
Pà, non ho capito cosa intendi”
Non è necessario che andiamo nelle loro terre, una volta che ci siamo difesi tanto ci basta ed inoltre bisogna essere clementi, chi di loro giurerà fedeltà a me o a te avrà salva la vita. Poiché come dice il versetto: chi si sottomette può professare ciò che meglio crede. Hai capito ora?”


Baraka fece cenno di sì con la testa, aveva compreso molto parlando col padre, lo abbracciò e tornò a palazzo, era quasi l’ora della preghiera.


Il Sultano scostate le colombe si alzò e si diresse più avanti nel sentiero, dove aveva fatto scavare un canale per portare l’acqua salata dentro una seconda oasi, lì teneva dei pesci, li aveva fatti pescare lui stesso nel Mar Rosso e aveva ordinato di portarglieli vivi e vegeti. Il Sublime adorava ospitare animali nei suoi giardini ed i pesci non erano un’eccezione.  
Baybars si chinò rivolto verso la Mecca pregando, pregò la salute dell’Islam, del Sultanato, della Famiglia ed infine la Sua e chiese nuovamente di aiutarlo per andare alla Mecca; quando finì si rivolse al laghetto, scosse l’acqua con un bastone sentendo i rumori d’acqua e pianse.  
Le sue gocce salate caddero nel laghetto anch’esso salato per diverso tempo.


Il Sultano, stanco di piangere, si girò e riprese il percorso a ritroso, si era promesso di andare alla Mecca il prima possibile, forse quel giorno stesso, cosa avrebbe mai potuto impedirglielo si chiedeva.  
Non avrebbe portato suo figlio, era ancora un bambino, l’avrebbe lasciato a Palazzo se fosse andato, ma doveva trovare un fidato che gestisse territorio e pace, eventualmente guerra.


Devo trovare un modo per tenere distratti gli infedeli, manderò loro ambasciatori, li terrò occupati chiedendo animali delle loro terre per i miei giardini, loro li rincorreranno e avrò il tempo per dirigermi e tornare” “Sì farò così!”


Chiamò a gran voce i due schiavi, che non avevano pregato ed erano rimasti alla prima oasi perché non musulmani, e ordinò che venissero inviati messaggeri, dando precise istruzioni.
Poi tornò a Palazzo, dentro le sue stanze ed urlò ad una delle guardie:


Guardia! Chiama il condottiero! Veloce!”
Subito Mio Signore”


Poco dopo ritornava sia la guardia sia un condottiero, entrambi restavano all’entrata della porta, lontano dalla luce, a differenza del Sultano, che restava alla luce Solare, incurante della luce accecante:


Sire, per quale motivo mi ha convocato?”
Voglio sapere cosa fanno i nemici, dà l’ordine di tenere alta l’attenzione al Regno di Gerusalemme e ai Romani”
Come lei vuole Mio Sire”


Il condottiero stava per andarsene, ma fu richiamato:


Fermo, un’altra cosa! Prepara l’esercito!”
Mio Sultano...vuole…attaccare...Gerusalemme?”
No!” il Sultano rise “L’esercito deve essere pronto per i nemici del Nord, quelli che hanno occupato le mie terre, i Khan.”
Sì Mio Sublime” il condottiero si rilassò “l’esercito sarà pronto a breve, ci condurrà anche stavolta?”
No, io andrò alla Mecca, sarai tu a condurlo se sarà necessario, confido in te… già che ci sei fatti dare legname dai Franchi, da quando abbiamo perso Beirut siamo in perdita”
Grazie Baybars, lo farò, non preoccuparti”


Il Sultano e il condottiero si strinsero le mani e poi si abbracciarono.


Baybars congedò il condottiero e tornato all'harem ordinò di far spostare moglie e compagne in un’altra ala del Palazzo; lui sarebbe partito per la Mecca quella notte e voleva che nessuno le disturbasse.


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Messaggio Da Alice Gio Mar 16, 2023 4:09 pm

Cronache d'Inghilterra ~ November - 1260

Vi erano tanto tempo fa, nella profonda antichità, molti regni, ducati, repubbliche, imperi. Alcuni d'essi come un castello di sabbia sono svaniti, travolti dalle onde del destino, altri sono sopravvissuti, in alcuni casi, imbrogliando anche la sorte, ciò che accomuna tutti essi è l'essere fondamenta del mondo come oggi lo conosciamo, perciò miei cari signori e mie care signore, permettetemi di narrarvi ciò che in tempi troppo remoti per essere ricordati accadde nelle nostre terre. 


A governare la nazione inglese, vi era un tale nominato Enrico III, povero uomo, egli non poteva nemmeno decidere a quale ora svegliarsi, si egli era Re, regnante di nome ma non di fatto, regnante del nulla. La legge dettata era da nobili, che fossero duchi, che fossero conti, persino il più povero dei baroni deteneva influenza maggiore dello sciagurato sovrano che sedeva sul trono prima ancora d'avere un età sulla doppia cifra.

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Un giovane sciocco e visionario, indottrinato più del più fervente credente, negli anni di cui vi racconto, egli tentò un approccio che nella sua mente era tollerante, tale "tolleranza" consisteva nella conversione forzata, chiunque non rispettasse i dogmi ed insegnamenti del vero Dio veniva denudato delle proprie ricchezze le quali tuttavia non passavano per le mani del sovrano ma venivano "temporaneamente" amministrate dalla nobiltà la quale si prendeva l'onere d'assicurarsi di restituirle nel caso in cui gli eretici venissero perdonati dal padre e facessero ammenda dei propri peccati. Tuttavia, la nobiltà non vedeva il mondo attraverso lenti rosee ed ingenue come il giovane Enrico, il "prezzo" dell'ammettere i propri peccati era proibitivo, di gran lunga superiore ai beni sequestrati, rendendo a tutti gli effetti, chiunque venisse bollato come "eretico" uno schiavo al servizio dei grandi e potenti nobili.


Vi raccontai come dieci anni prima la Gasconia tentò di ribellarsi, questa volta, tramite il supporto di influenti nobili delle isole vi riuscirono, diventando apparentemente un "Ducato libero" ma manovrato nell'ombra dai nobili influenti del Sussex. Ad approfittare di questo momento di debolezza fu il regnante del Galles, il quale cadde nella astuta trappola della nobiltà inglese che, seppur con massicce perdite, riuscirono a conquistare le terre dei galli.


Le famiglie tuttavia non ricevettero compenso, "soldati senza nome e senza gloria" cosi venivano ricordati gli innumerevoli caduti di un conflitto non necessario, tuttavia i paesani non potevano sapere come funzionasse l'equilibrio di potere in quelle terre e riversarono tutto il loro odio nei confronti del giovane Enrico. A peggiorare la situazione vi erano le tribù celtiche irlandesi, la terra di smeraldo vedeva il suo temuto vicino accartocciarsi su se stesso, i piccoli regni irlandesi formarono una grande alleanza, capitanata principalmente da Desmond, Lenister e Ulster, i tre regni più influenti dell'isola che promettevano la sua indipendenza da inglesi e scozzesi.


Enrico era disperato, in cuor suo sperava che la rimozione del pericolo gallo fosse il suo primo passo per essere accettato dal suo popolo e rispettato dalla nobiltà, ma si sbagliava, le terre di smeraldo erano troppo povere, conquistarle non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Nonostante fosse il re poco poteva fare per ripristinare l'ordine, ogni notte sognava il suo defunto padre il quale ogni volta aveva un espressione sempre più delusa sul suo volto.


Mie signori e mie signore, sicuramente vi starete chiedendo quale scherzo del fato, quale inaspettata mossa del destino o eventualmente quale miracolo divino possano aver cambiato la sorte dell'Inghilterra, questa domanda che annida nel vostro cuore tuttavia avrà risposta quando continuerò con la mia storia, fino ad allora vi prego di stare in salute e di mantenere viva la mente.
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Messaggio Da Maþt Gio Mar 16, 2023 7:20 pm

STORIA BIZANTINA- CAPITOLO IX

L'EFFIMERO IMPERO LATINO 


ANTEFATTI

Alla fine del XII secolo l'Impero Bizantino era ormai duramente provato dalle infruttuose guerre che lo avevano portato a perdere Dalmazia, Serbia e Bulgaria. In seguito alle lotte intestine tra Alessio IV e lo zio Alessio III innescarono una reazione a catena che si ritorse sullo stesso impero. Alessio IV  dopo essere stato sconfitto fuggì a Venezia, dove l'esercito crociato aspettava di imbarcarsi per la Terrasanta, tuttavia  a causa della mancanza di fondi i crociati non potevano imbarcarsi. 

Il doge Enrico Dandolo allora offrì di trasportare i crociati se in cambio avessero riconquistato la città ribelle di Zara, importante scalo per le rotte orientali.


LA DEVIAZIONE DELLA QUARTA CROCIATA

Riconquistata Zara, giunse al doge la richiesta di aiuto da parte di Filippo di Svevia, cognato di Alessio VI, per sconfiggere Alessio III, usurpatore del trono imperiale.

Il doge convinto ulteriormente da una forte ricompensa in denaro dell'esule Alessio IV inviò l'esercito crociato a Costantinopoli. In questo modo il doge ripuliva l'immagine di Venezia dopo la scomunica da parte del papa per aver devastato Zara e i crociati avevano modo di sgominare la capitale dei cristiani ortodossi.

Per la prima volta Costantinopoli conobbe la devastazione, il saccheggio e l'omicidio da parte di un esercito nemico.


LA NASCITA DELL’IMPERO

Le spoglie dell'Impero furono spartite tra i vincitori, secondo le consuetudini feudali dell'Occidente, il Ducato di Atene e Tebe, il Principato di Acaia e il Reame di Tessalonica. I Veneziani si insediarono nei punti economicamente più strategici dando vita ad un impero coloniale. La diaspora greca si raccolse intorno a Nicea, a Trebisonda e nel despotato di Epiro. A Nicea i Lascaridi raccoglieranno attorno a se le forze greche disperse, rivendicando l'eredità di Bisanzio. La riconquista di Costantinopoli diventerà in questo modo il cemento ideologico dell'impero greco in esilio.


UNO STATO DESTINATO AL FALLIMENTO

Mentre i bizantini si riorganizzavano meditando la rivincita, nell'Impero Latino si tentava di ricostituire la chiesa cattolica, ma ben presto il papà si rese conto che la frattura tra cattolici e ortodossi era ormai troppo profonda per essere ricolmata.
Sul versante politico le cose non andavano meglio, dopo la successione di sette imperatori, nel 1228 venne eletto Baldovino II ancora undicenne, aiutato dal reggente Giovanni di Brienne.

Baldovino ereditava una situazione difficile, l'Impero Latino non aveva fatto altro che ridimensionarsi, tanto che a Baldovino II  non rimaneva che la sola Costantinopoli, nei successivi decenni l'Impero subì numerosi assedi da parte di Bulgari e Niceani, salvandosi solo grazie all'aiuto da parte di Venezia e di altri Stati cattolici. 


L’INCORONAZIONE

Nel 1237 Baldovino girò l'Europa in cerca di uomini e denaro per la riconquista dei territori perduti dai suoi successori, tornandosene infine con 30.000 uomini a Costantinopoli dove, siccome il suo reggente era morto,fu incoronato imperatore.

I suoi tentativi di riconquista furono tuttavia fallimentari e in seguito a numerose sconfitte fu costretto ad indebitarsi con i sovrani europei arrivando a vendere il tetto in piombo del suo palazzo pur di sistemare la dissestata economia del suo Impero.
Arriviamo così al 1260 anno in cui l'impero dovette fronteggiare un nuovo assedio da parte dei Niceani che respinti firmeranno un trattato di non aggressione con cui si sperava di mettere fine alla guerra.
Continua>
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Messaggio Da Vlad Gio Mar 16, 2023 10:42 pm

"PERKZ" 
Novembre 1260
Cronache Medioevali Croato-Ungheresi di Luka Perković


A chiunque stesse leggendo queste righe mi presento, il mio nome è Luka Perković, di comuni origini, nato in un piccolo villaggio nelle prossimità di Zagabria, scalai la scala sociale distinguendomi in battaglia divenendo nobile per grazia del pio Bela IV d'Ungheria.
Prima di iniziare con la mia storia permettetemi di avvisarvi, io narrerò ciò che ho vissuto, ciò che ho pensato, sia esso vero, sia esso falso, non mi è dato saperlo.


La fioritura della Colza
La luna nel cielo dell'est
Il sole nel cielo dell'ovest


Il grande Kahan dell'est ha devastato le mie terre, l'orda si è spinta fino alle nostre coste seminando morte e distruzione lungo la sua via, pestilenze e carestie imperversano in ogni angolo del regno, le persone temono e pregano per la propria anima, le mie persone, gli abitanti della mia piccola contea chiedono se arriveranno al domani, se vi sarà del cibo anche per loro, tuttavia io non ho risposta alle loro domande. Mi chiedono poi se i mongoli torneranno, vorrei rassicurarli, tuttavia l'esercito Croato è collassato mentre quello Ungherese non è nemmeno paragonabile all'ombra di se stesso, nella mia ignoranza taccio, e nel mio silenzio l'ennesimo mio suddito soccombe in una crisi isterica.


La luna brilla nel cielo dell'est, la nostra unica colpa è aver offeso il sommo signore ed egli ci ha punito, nonostante lo abbia fatto duramente e preventivamente, nei tempi attuali, credo di sapere quale è la ragione che lo ha spinto a farlo. Il nostro regnante, Bela IV e suo figlio Stefano non vanno d'accordo, molti dei nobili discutono preventivamente sul quale dei due supportare, dopotutto il primogenito è evidentemente trattato differentemente dai figli prediletti del sovrano, tuttavia molti nobili concordano nel reputare inadeguato Stefano come regnante. Questo stupido conflitto interno tra padre e figlio è esattamente il motivo per il quale credo che il signore ci abbia punito. L'orda è immensa, l'orda è forte, l'orda è senza un dio. Essa non si fermerà solo perché noi saremo troppo impegnati ad ucciderci tra fratelli, tra padri e figli. No. Essa sarà lì, pronta a ricordarci del mondo al di fuori del regno, pronta a ricordarci che al mondo vale la legge del più forte, pronta a ricordarci che il debole non merita di sopravvivere.


Nonostante tutto, reputo Bela IV un sovrano giusto, egli sa dell'incompetenza del suo primogenito e sta cercando di difendere il regno dalla sua stessa prole, eppure l'avidità di certi nobili, ciechi difronte l'evidenza è disarmante, come possono non comprendere del pericolo a cui ci troviamo? Si sono già dimenticati di quando i mongoli saccheggiarono la capitale? Si sono dimenticati le urla infernali che eccheggiavano in ogni angolo del regno in quei giorni? Se loro lo hanno dimenticato, io non lo farò, il mio Re sarà giusto, ma è di troppo buon cuore, egli non comprende che per farsi rispettare, un sovrano deve saper usare anche il bastone, pertanto, a costo di farmi revocare il mio titolo nobiliare, sarò io in persona ad assicurarmi che venga usata la forza dove necessario, ed inizierò da questi nobili rivoltosi. Prego solo che Dio mi assista in questa mia missione.


Il sole splende nel cielo dell'ovest, la fede cattolica è riuscita ad impossessarsi nuovamente della terra santa, nonostante la grande gioia che un tale evento debba portare, la paura di una nuova invasione e le ferite lasciate dalla precedente impediscono alle persone di gioire, nei regni ad Ovest tuttavia il sole risplende, la lagunosa venezia si è imposta nei territori balcani del defunto impero Bizantino, ora "impero Latino", la repubblica di genova controlla i commerci tra l'oriente e l'occidente, si vocifera addirittura che alcuni mercanti genovesi riescano a commerciare con i kahan, il regno di Francia, guidato dal suo nobile e santo sovrano prospera, il Sacro Romano Impero è auto-esplicativo nella sua nomea, nelle terre castilliane ed aragonesi pare che l'avanzata degli infedeli sia giunta ad un punto d'arresto, il che è un grande segno della giustizia della nostra causa, Dio è con noi e ce lo dimostra, unica eccezione sembrerebbe essere nelle isole britanniche ma infondo, in un arcipelago sempre nuvoloso e piovoso, il sole non può splendere.


Un saggio uomo disse che gli uomini vedranno sempre il giardino del proprio vicino più rigoglioso rispetto al proprio, tuttavia debbo farlo per i miei sudditi, per il mio Re e soprattutto, per il mio Dio, se re Bela dovesse essere troppo impegnato a farsi raggiare da ciarlatani e saltimbanchi che troppo frequentemente approfittano del suo buon animo, spetterà a me riportarlo sui propri passi, in onore della vecchia promessa che gli feci quando venni incoronato Cavaliere di Croazia ed insieme a tale nomea mi venne assegnato il mio piccolo feudo. Prego di poter continuare questa mia raccolta di pensieri, prego affinché un giorno remoto qualcuno possa leggerla e trovarla utile, queste mie preghiere mi aiutano ad affrontare l'ignoto difronte a me con maggiore risolutezza, dopotutto la vita è temporanea mentre il regno dei cieli è eterno, perciò prego, prego affinché le mie azioni siano giuste e non sia io cecato dai miei ideali.
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Messaggio Da Ferdinand-Foch Ven Mar 17, 2023 12:31 pm

Repùbrica de Zena

“La crisi del Pesce”
Lezione: II

(Dicembre 1260) << DICEMBRE FOCH, PER DIO, E' DICEMBRE. POSSIBILE CHE OGNI VOLTA DEVO AGGIUSTARTI IO LA DATA?? D:
 
[Carestia]
“Gli inizi degli anni 60 del 1200, portano la nostra amata Genova allo scontro con il primo avversario che incontreremo nel corso di queste nostre lezioni: La Fame. Per noi che viviamo in una società progredita tecnologicamente e socialmente, per fortuna non conosciamo il vero e duro significato di “avere fame”; in buona fame diciamo “muoio di fame” magari per un piccolo languorino, senza considerare che nel mondo passato, e di oggi, si moriva letteralmente di fame.

Ecco, come vedete anche io sto esagerando ai fini della mia narrazione nell’introdurvi questa lezione, a Genova nel XIII secolo non esisteva una vera carestia, non c’erano pile di cadaveri ringrinziti per le strade cittadine, non si moriva veramente di fame, ma esisteva un problema grave che riguardava il settore alimentare.
Teniamo in considerazione che quando parlo di Genova mi riferisco alla singola città marittima, al massimo alle cittadine limitrofe, ma assolutamente non mi riferisco implicitamente a realtà come Cipro, Monaco, Nicea o chi che sia. Solo Genova.

La società genovese, come tutte di quel periodo, era divisa in classi sociali, ma con la particolarità che il gruppo predominante e che aveva più potere, a differenza degli altri stati, era quello dei Mercanti ovviamente. Coloro che commerciavano con l’estero e portavano in città beni preziosi da vendere alla cifra più alta possibile, ma tra loro c’erano anche banchieri che prestavano soldi a famiglie per riprenderseli con gli interessi.
Non esistevano ovviamente delle Aziende o delle Società come le intendiamo noi, ma dei singoli individui o al massimo delle Famiglie. Queste controllavano dei settori specifici dell’economia cittadina: chi il settore tessile, chi quello alimentare, chi quello dell’artigianato, addirittura esisteva anche un business di cappelli che, stando a delle cifre storiche, era il terzo mercato più redditizio di Genova. Che dire, a chi non piacciono i cappelli ?

Ma perché inizialmente abbiamo parlato di “fame” se poi abbiamo detto che il cibo c’era ? Ottima domanda: effettivamente di cibo a Genova ne arrivava sempre, ogni giorno e in grandi quantità, sarebbe impossibile ipotizzare che una potenza commerciale di quel calibro aveva problemi di questo tipo. Il nocciolo della questione risiede in chi controlla la distribuzione di questo cibo, poiché erroneamente molti potrebbero pensare sia Boccanegra, ma non è cosi.
Esisteva quello che noi oggi possiamo chiamare: un ente cittadino che aveva il monopolio sulla distribuzione del cibo nei vari mercati della città, non solo decidevano cosa va dove, ma indirettamente anche il loro prezzo.

Era chiamata da tutti “Banco Alimentare” ma era un concetto astratto, di fatto non esisteva una sede amministrativa, degli uffici o dei dipendenti, come detto le società non esistevano, ma era una Famiglia più precisamente quella dei De Castro. Costoro erano, assieme ad altre famiglie, tra le più ricche e importanti della città che aiutarono anche la stessa cittadina a svilupparsi e progredire nel tempo. Enrico De Castro detto “il Pescatore” era il principale esponete della famiglia, detta cosi sembra un boss mafioso, ma non lo era o almeno per l’epoca; deteneva più di 100 navi mercantili le quali sbarcavano costantemente a Genova ricche di pesce e grano proveniente dal Levante o dall’Iberia.

I prodotti marchio “de Castro” che consistevano nella stragrande maggioranza del cibo che sfamava i genoani, veniva distribuito nei mercati di proprietà di famiglie amiche con sconti e privileggi sulla qualità del materiale. Questi mercati facevano parte della zona Alta della città, sia economicamente che fisicamente, e quindi la clientela era principalmente formata da ricchi benestanti. L’uomo di basso rango, che poteva essere il semplice contadino, il pastore, l’artigiano indipendente o anche un mercante scarso, dovevano accontentarsi della farina e del pesce di infima qualità.
Questo è un segnale banale di come la società genoana era divisa e nonostante diversa da quelle “società medievali tradizionali” vediamo che di diverso non c’è nulla. Anche in questo caso una classe più forte opprime quella più debole, magari in Francia si chiamano nobili a Genova “alti mercanti”.

La scarsa qualità del cibo che consuma la classe bassa della città si trasforma il malcontento con relative rivolte verso il potere costituito, che chiude più di un occhio a favore dei De Costa e company, ma anche con attentati mirati proprio a queste famiglie. Nella prossima lezione parleremo di un omicidio che impressionò la società genoana e delle sue relative conseguenze.”
 
[Finché non è tutto in Cenere]
“Tabarca è una piccola isoletta non molto distante dalle coste tunisine, che ospita una minuta cittadina che condivide con l’isola il nome. Questa era di proprietà dei genovesi, i quali la strapparono alla Repubblica di Pisa inseguito ad una delle tante guerre marinare di quei tempi. Le piccole dimensioni traggono in inganno un occhio meno attento, facendo intuire che l’impatto economico di questa colonia sulle casse genoane era effimera, ma appunto è sbagliato.

La popolazione locale erge la propria economia sul commercio di “coralli” quei piccoli minerali marini colorati e graziosi, che tutt’ora quando si è turisti in una città si compra come souvenir. Ovviamente a quei tempi il turismo non era una pratica molto diffusa, anzi quasi per niente, ma comunque quelle rocce colorate erano assai richieste e per tanto il loro valore era molto alto, tanto da costituire una delle entrate più cospicue di Genova. Non sarà Cipro per dimensioni, ma nella botte piccola c’è il vino buono, come si suol dire.

Accade però, stando ad alcuni diari di mercanti genovesi, che intorno alla fine del 1260 la piccola cittadina di Tabarca, conosciuta dai vicini tunisini come Tabarka, sprofondo nel caos totale mangiata completamente dalle fiamme demoniache del loro vicino malefico. Il Bey (signore) di Tunisi un certo: Muhammad I al-Mustansir la cui dinastia riuscì nei decenni precedenti a spezzare il dominio degli Almohadi creando in Tunisia un piccolo Emirato.

Divenuto Signore di Tunisi, Muhammmad I ha avviato una campagna militare ultraggressiva invadendo territori intorno a lui a discapito delle tribù tripolitane in Libia e in Algeria contro il Sultanato di Tlemcen. I suoi occhi, iniettati di sangue berbero, volsero il loro mirino sulla piccola e indifesa isola genovese, i cui abitanti consci di questo pericolo imminente più volte chiedessero aiuto alle famiglie genovesi, ma queste tacquero e distolsero lo sguardo.

Probabilmente non ci fu un intervento di precauzione perché questi timori erano ritenuti infrondanti: gli Elfsidi non avevano mai dato gatte da pelare, perché avrebbero dovuto iniziare una guerra per una piccola isoletta?
Avete visto, avevo ragione, ancora una volta le dimensioni traggono in inganno, anche coloro che sanno dell’importanza di quell’isola. Il commercio di coralli aveva fatto gola al Bey Arabo ed era intenzionato a impadronirsi di quella ricchezza fregandosene di farsi nuovi nemici.

Sappiamo che il villaggio in poche ore venne raso al suolo, bruciato vivo dalle fiamme accese dai soldati tunisini, i quali oltre a saccheggiare le abitazioni, rovinare i raccolti e macchiare l’onore di uomini e donne, provocarono i genovesi lasciando l’isola dopo averla distrutta. Un messaggio recapitato a Boccanegra scritto da Mohammed I esortava vivamente il Capitano di consegnare ufficialmente l’isola alla famiglia Elfsida.
E’ facilmente intuibile, anche un bimbo ci riuscirebbe, che l’isola divorata dalle fiamme e indifesa poteva esser conquistata in un battito di ciglia dagli uomini di Mohammed, ma questo peccatore lussurioso ebbe la faccia tosta di pretendere che il Boccanegra abbassasse il capo consegnando l’isola e macchiandosi di vergogna. Inutile dire che questo non avvenne mai e non c’è stata nessuna risposta scritta.

Gli Efsidi oramai erano diventati dei nemici di una classe effimera il cui destino era quello di soccombere nel peggiore dei modi, era questo il destino che spettava a chi commette atrocità simili ad un popolo indifeso. Presto venne organizzato un grande esercito: uomini forti e coraggiosi vennero reclutati a Genova, in Corsica e in Sardegna, mercenari dalla lontana Nicea e Cipro vennero assoldati dalle famiglie genovesi, Ordini di Cavallieri cattolici unirono la propria spada contro il nemico demoniaco.

Un grande scontro stava per maturare non tanto lontano dalla Sicilia, lì dove un tempo fu eretta Cartagine patria di navigatori e combattetti leali, unici veri nemici di Roma, nulla a che fare con i barbari sanguinari che ospitano ora quella terra.”

[L’Orda Avanzò]
“Le cronache di quel periodo ci narrano di un attacco Mongolo verso alcune colonie genovesi in Anatolia: la città portuale di Simosse e il Regno di Nicea dipendente economicamente dai mercanti genovesi.
Le incursioni mongole non erano una novità, anzi molti regni vivevano con questa costante minaccia che logorava internamente sia l’animo che la mente di ogni uomo. Questo perché i mongoli non si limitavano solo a saccheggiare e ad uccidere, ma lo facevano in un modo crudele che a loro suscitava divertimento. Come era possibile che un uomo provasse piacere nella sofferenza di un altro uomo, si domandavano gli europei di quel tempo, e la risposta arrivò dalla Chiesa: i Mongoli non erano uomini, bensì dei figli del Demonio.

Ai tempi questa era l’unica soluzione plausibile, mentre ad oggi noi sappiamo come di persone sadiche che provano ebbrezza nella sofferenza e nell’odio ne esistono e come, quindi niente diavoli, ma solo persone con qualche disturbo mentale. Fatto sta che ai tempi questi uomini dagli occhi a mandorla facevano paura ed erano fortissimi: le incursioni avvenivano lungo tutto il confine est dell’Europa ai danni di popoli come quello Ungherese, Bulgaro e Tedesco, ma non vennero risparmiati neanche i genovesi come abbiamo detto all’inizio.

Dalle catene montuose del caucaso orde di mongoli si diressero verso la penisola anatolica confluendo assieme ad altri mongoli provenienti dalla lontana Persia, questi uniti alla ricerca di oro e sangue perforarono il confine di Nicea distruggendo i piccoli villaggi lungo il loro sentiero. L’orda era diretta verso Cilicia, in preda al panico il Re di Nicea Giovanni IV chiese aiuto al Capitano Boccanegra che vincolato nel prestare la sua spada in soccorso dei suoi coloni, invio un contingente militare in difesa della roccaforte cittadina.

Nello stesso lasso di tempo, a distanza di alcune settimana, nel nord dell’Anatolia un altro gruppo di mongoli provenienti dalla lontana Asia, percorrendo il Mar Nero su alcune imbarcazioni, sorpresero la città colonia di Simosse irrompendo nel porto cittadino distruggendo ogni cosa. O almeno questo sarebbe stato l’esito se non fosse stato per un giovane diplomatico genovese, un certo: Francesco Lussio ricordato nel tempo proprio per questo evento.

Costui riuscì nella grande impresa di mediare con i mongoli per evitare la distruzione totale della città dando loro oro, cibo e vino in grandi quantità; dicendo loro che se volevano altro di queste prelibate leccornie potevano trovarne in una città lì vicina chiamata “Sinope” importante snodo commerciale della zona. I mongoli partirono alla volta della città citata, inconsapevoli di incontrare la forte presenza dei soldati Bizantini posti lì in difesa.”


[Continua...]
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Messaggio Da Nervalio Sab Mar 18, 2023 3:57 pm

Storia della Spagna Medioevale 
Gennaio 1261

Partita GDR | L'ombra di Saladino - Pagina 2 Alfons11
Nella seconda metà del XIII secolo il regno più prominente nella penisola iberica era quello di Alfonso X, detto "El Sabio". Alla morte del padre, infatti, sedette sul trono vestendo la corona di Castiglia e León. Benché forse, al giorno d’oggi, chiunque desideri di essere un Re, per quanto piccolo possa essere stato, inizialmente, il regno di Alfonso X, la situazione politica e militare nella quale egli si trovò immerso non fu delle migliori. Alfonso X era, infatti, figlio di Elisabetta Hohenstaufen, detta Beatrice di Svevia, la quale era a sua volta figlia di Filippo di Svevia, primogenito del grande Federico Hohenstaufen, forse meglio noto con l’appellativo di Barbarossa. Si evince dunque, da questa linea genealogica, che essendo stato Filippo, e Federico ancor prima di lui, imperatori del Sacro Romano Impero, Alfonso X è, anch’egli per diritto di nascita, pretendente al trono dell’Impero. Tuttavia i tempi sono cambiati rispetto a quelli dei suoi antenati: il peccato, così come la superbia e l’arroganza, hanno corrotto gli uomini tanto da far si che coloro che per diritto di nascita avrebbero dovuto regnare sul grande trono dei Romani, si dovettero trovare a sottostare all’elezione di principini e signorotti locali, che con il passare del tempo acquisirono, e conseguentemente vollero, sempre più potere e influenza nell’Impero. Fu proprio in questo contesto che Re Alfonso X, giustamente soprannominato “Il Saggio”, giunse, riluttantemente, ad un accordo con alcuni dei principi tedeschi: egli avrebbe, infatti, non più preteso il trono del Sacro Romano Impero, e dunque permesso a quei signorotti locali di eleggere un nuovo fantoccio, a patto di vari vantaggi economici, come un’annuale pensione personale di tremila zecchini d’oro, e di non dover pagare il dazio per commerciare con le varie e numerose terre più ad est dell’Impero.
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Si potrebbe pensare che questa scelta non fu delle migliori, per Re Alfonso, se non si considerasse anche la situazione dell’Iberia cristiana dell’epoca. Questa era, infatti, non governata da un unico regno, forte e degno abbastanza da reggere su quelle sacre terre, bensì l’Iberia non era ancora stata completamente liberata dal flagello degli arabi, particolarmente del Califfato Almohade, che ancora governava sui territori meridionali dell’odierna Spagna. Più volte, infatti, si trovò il Re Castigliano a difendere la sua terra dall’invasione degli infimi arabi, ispirando i suoi uomini, e levando la sua spada verso il cielo, cercando l’approvazione del Signore, e più volte li respinse. Similmente, fra i Cristiani, mancava coesione davanti l’invasore: il regno del grande Alfonso X coesisteva infatti con il Regno d’Aragona, di Giacomo I, e il Regno di Portogallo, governato da Alfonso III. Ciò offendeva nostro Signore Iddio, e Alfonso X, stimabile uomo dal grande fervore religioso, decise di dedicare la sua vita alla riunificazione dell’Iberia sotto l’occhio vigile del Signore e del suo rappresentante terreno. È qui infatti che il sovrano guadagnò l’epiteto di “Il Saggio”, in quanto diede prova di essere un temibile guerriero sul campo di battaglia, così come un animale politico nei confronti degli altri regnanti dell’epoca. Era infatti consapevole degli attriti presenti fra i vari sovrani europei, delle loro ambizioni, e dei rancori che vengono serbati per anni, spesso anche tramandati di padre in figlio, a causa della perdita di terre e pretendenze delle stesse o matrimoni mai realizzati.


Ultima modifica di Nervalio il Ven Mar 24, 2023 11:26 am - modificato 2 volte.
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