L'angolo delle storie - L'angolo dei ruolisti
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Messaggio Da Rhaenyra Sab Apr 22, 2023 9:24 am

Roma Repubblicana
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I Bambini di Marte
Romolo e Remo, figli di Rea Silvia e del Dio Marte. - Tavola Capitolina (V – IV sec. a.C), Anonimo

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Cantami o diva, del pelide Enea, che sulle coste del Lavinio sbarcò!
Noi romani discendiamo indubbiamente da
Alba Longa, i primi re Latini, Ascanio, fondatore di Alba Longa e Silvio, nostro diretto antenato, due figli di Enea.

“...E il suo scudiero uccide, e l’auriga, coltolo proprio tra i cavalli, e col ferro recide i colli penzoloni; Indi taglia la testa al loro signore e ne abbandona il tronco che sussulta nel sangue…”

Qu
ando Amulio usurpò il fratello Numitore per il regno di Alba Longa,
costrinse la nipote a diventare una sacerdotessa di Vesta.
Rea Silvia si dice fosse una fanciulla bellissima dai capelli biondi, talmente bella da far invaghire Marte.
Il Dio la violentò in un bosco sacro, dal vile atto nacquero due gemelli, Romolo e Remo.
Amulio venne a sapere della nascita e ordinò di seppellire viva la giovane Rea,
poi ordinò a due schiavi di mettere i nascituri in una cesta e affidarli al Tevere;
La corrente fece arenare la cesta nel Cermalus, presso la palude del Velabro,
quando le acque del fiume in piena si ritirarono, la cesta rimase all’asciutto ai piedi del celebre ficus ruminalis.
Una lupa, scesa dai monti per abbeverarsi, fu attratta dai forti vagiti, lì allattò e un picchio portò loro del cibo.
Si dice fosse stato lo stesso Marte a mandare questi animali.
Poco dopo il porcaro Faustolo trovò i due gemelli abbeverarsi dal ventre della bestia, li prese e li crebbe come figli assieme alla moglie Acca Larenzia.
Dopo anni e anni, Romolo e Remo crebbero diventando uomini, Faustolo gli raccontò la loro infausta origine,
Allora
i due giovani radunarono un grosso contingente di compagni per affrontare l’usurpatore Amulio e reinsediare il nonno.
L’usurpatore venne ucciso e Numitore concesse ai nipoti di lasciare Alba Longa con un numeroso seguito di compagni.
I due si stabilirono rispettivamente su due colli, Romolo sul Palatino e Remo sull’Aventino,
ma le discordanze erano molteplici, Romolo voleva chiamare la città Roma e Remo voleva chiamarla Remoria,
le divergenze si inasprirono quando i due vennero proclamati re dai rispettivi seguaci;
Allora Romolo fece costruire una piccola cinta muraria scavando un solco, il nostro pomerium.
Remo indispettito si apprestò a scavalcare le mura, da questo atto scaturì un conflitto fra le genti dei due re,
dove Romolo in preda all’ira ammazzò Remo, esclamando “Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura!”; Romolo ottenne il potere assoluto sui due colli e da quel momento nacque la nostra Urbe.
E tutto questo, è ciò che delinea la nostra identità in quanto romani, ciò che ci distingue da tutti gli altri, ciò che ci rende superiori in quanto cittadini di Roma, è questo che fa di noi il popolo destinato alla gloria eterna.
Negli anni avvenire ci verranno poste sfide all’apparenza insormontabili, ma se rimarremo fedeli alla nostra identità, alle nostre leggi, a ciò che ci rende romani, allora e solo allora, prevarremo.
Ad oggi solo quattro lettere definiscono la nostra vita
S.P.Q.R
Senatus PopulusQue Quiritium Romanus

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L’Urbe
I Colli della Città Eterna – dal libro IV “ab Urbe condita” di Tito Livio

Roma è
l’invidia del mondo, è grande abbastanza da coprire tutti e sette i colli.
Il colle del potere, il Palatino è dove Romolo fondò Roma, al momento su questo colle vi ci abitano i quirites e i patrizi più benestanti.
Il colle della guerra, l’Aventino dove Remo fondò Remoria, questo colle si trova al di fuori del pomerio, è considerato il luogo dove far erigere i castra prima della partenza delle legioni.
Su questa collina si festeggia inoltre l’Armilustrium, durante questa festività, armi e armature vengono purificate alla fine di ogni campagna.
Il colle della testa, il Campidoglio, posto fra il Campo Marzio e il grande Foro Romano, in origine la cittadella dell’Urbe, questo colle è ben fortificato fra le Mura Serviane, fu l’unico colle che resistette al sacco di Brenno, fu qui che le sabine si stabilirono dopo il loro ratto ed è sempre qui che si trova la Rupe Tarpeia.
Infine il Campidoglio è sede della Triade Capitolina, il grande tempio di Giove Ottimo Massimo, il tempio di Minerva e quello di Giunone Moneta.
Il colle dei sabini, il Quirinale, abitato appunto dai sabini, si dice che il re Numa Pompilio fosse sabino e che infatti abitasse proprio su questo colle piuttosto che sul Palatino.
Il collina dei ricchi, il Celio, il re Tullo Ositilio dopo aver sconfitto gli albani di Alba Longa, reinsediò la loro nobiltà su questo colle, difatti il colle ospita molte ville e domus patrizie.
Il colle più grande, l’Esquilino, al momento viene utilizzato dai cittadini durante le festività.
Il colle dei bagni, il Viminale, è il colle più piccolo, ospita una serie di Balnea privati e una grande thermae pubblica.


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Dopo il ritorno dei due consoli sconfitti dai sanniti, il popolo aveva richiesto a gran voce l’assemblea dei Comitia Centuriata all’interno del Campo Marzio per deliberare il senato nel deporre i consoli e difendere la Repubblica ormai esposta al pericolo;

Un giorno al senato
il senato si riunisce sotto delibera dei comizi centuriati in un consulto straordinario per difendere la Res Publica come extrema ratio a seguito dell’umiliante sconfitta subita dai due consoli alle forche caudine – dai verbali del senato

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November dies XIV - CDXXXIII a.U.c, Senatus consultum ultimum

Dagli spalti dei Populares si odono urla esclamare verso gli Optimati “PRODITORES!”.
Oggi il senato è in totale fermento, perfino i
Boni sembrano irrequieti dinanzi all’umiliante sconfitta subita dai
Consoli Tiberio Veturio Calvino e Spurio Postumio Albino Caudino, due
Optimati, nei pressi di Caudio contro i Sanniti.
Mentre i due partiti contrapposti si scannano,
il censore Spurio Porcio Latro legittima la deposizione dei consoli e l’immediata elezione di un dictator e di un magister equitum.
Un esponente dei Boni inizia un discorso di esortazione “Al fine di proteggere Roma dalle soffocanti minacce che ora si protraggono da sud, i sanniti gonfi di arroganza, pensano di poter continuare la loro difesa del samnitium ager, mentre da nord fitte orde di galli si ammassano in cisalpina, razziando le terre dei liguri e degli etruschi, i Sènoni si sono spinti ancora una volta a sud del fiume Ariminus invadendo di nuovo il territorio dei Piceni. Roma deve essere difesa, è la nostra priorità assoluta, dobbiamo espandere i nostri confini, abbiamo bisogno di condottieri capaci e leali, la salvezza dell’Urbe dipende da questo.”
I senatori, perplessi, si domandano chi potesse mai guidare le legioni in questa situazione cimentosa.
Gli Optimati borbottano tra di loro un solo nome, un uomo arguto e sagace, fedele soltanto a Roma, un politico e militare che aveva appena completato il cursus honorum, appartenente alla gens Furia.
I Populares invece optano per eleggere un ex Console appartenente alla gens Papiria, quest’uomo era rinomato per la sua incredibile velocità ma era si è rivelato anche un eccellente statista e comandante.
I Boni si limitano a votare per i due candidati, il loro numero di seggi è troppo esiguo per essere rilevanti.

Dunque i senatori mettono da parte le loro dispute
e iniziano a votare, riunendosi in questo consultum ad extrema ratio, votano per primi i principes senatus, in seguito tutti gli altri magistrati, censores, praetores, aediles e infine gli altri senatori.
I nomi del dic
tator e del magister equitum sono Marco Furio Camillo e Lucio Papirio Cursore.
Serviranno tale carica per 18 mesi oppure fino a quando i loro servizi verso la Repubblica non saranno più richiesti.
Ai due nuovi eletti verrà conferito pieno imperium e 10 legioni ciascuno, mai una forza del genere è stata conferita a due uomini da parte della Res Publica.
AUDACIBUS ANNUE COEPTIS

Le riforme di Camillo
Camillo era intenzionato nel riformare radicalmente l’approccio alla battaglia dell’esercito romano da lui considerato obsoleto. - estratto dal Libro VII “ab Urbe Condita” di Tito Livio

Marco Furio Camillo era ben conscio del fatto che la falange serviana fosse ormai diventata obsoleta,
la sconfitta alle forche caudine n’è la prova,
questa si ispirava alla classica falange pesante greca, con qualche componente più italico, ad esempio l’asta da getto come il pilum, l’uso più importante dei fanti leggeri e di giavellotisti come i veliti e di fanti a cavallo come gli equites; Tuttavia queste formazioni presentavano una staticità nella battaglia che penalizzava lo scontro contro formazioni estremamente più dinamiche come quella disorganizzata dei galli oppure quella più innovativa dei sanniti, ovvero l’utilizzo dei manipoli.
Proprio ispirandosi a questi ultimi, Camillo, voleva riformare le proprie legioni con la formazione manipolare, piccoli compartimenti, massimo di sessanta fanti, che agivano in maniera semi autonoma sul campo di battaglia.
Oltre alle formazioni, il nuovo dittatore si prese la briga di rendere obsoleto l’aspis o clipeus, egli riteneva che uno scudo oplitico non fosse più idoneo, sostituendolo infatti con il thyreos oblungo con umbne metallico, in questo caso, lo scutum, uno scudo più efficace e maneggevole

“Basta combattere come i greci, serve più dinamicità,
chi non impara dai propri nemici, è uno stolto.”
Infine si preoccupò di ridisegnare i castra, questi saranno dei veri e propri villaggi semi permanenti, saranno fortificati e avranno una pianta quadra, divisa dai cardi e dai decumani che coinfluiranno nella Via Principales dove ci saranno le tende dei tribuni militari e la tenda del legato, il Praetorium, ogni legione avrà un squadra speciale di Occulta Speculatores, spie, osservatori ed esploratori, una componente vitale per le campagne.

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La campagna italica
Dopo un lungo consulto nella tenda pretoriana del castrum di Camillo, il dictator e il magister equitum riuscirono a trovare un intesa; Una serie di campagne difensive volte ad estendere i confini di Roma e consolidare la penisola.

Papirio e Furio iniziarono a marciare rispettivamente verso Nord e verso Sud, con le proprie legioni, alle prime luci dell’alba della luna nuova.
-
dal racconto di Quinto Fabio Massimo Rulliano, Legatus della Legio II Gemella al seguito di Camillo
Marciammo per giorni lungo la Via Appia, il sole fiacco di novembre si abbatteva sui nostri scudi bianchi; Ma finalmente giungemmo nei pressi di Saticula, qui la Via terminava e iniziava il territorio dei Sanniti. Allestimmo dunque il castrum e preparammo una strategia.
I sanniti caudini si sono arroccati nei monti, sbarrando il passo per il Sannio,
fortunatamente il dittatore aveva in mente di attirare allo scoperto i nostri nemici,
e che Giove mi fulmini, ci riuscì molto bene, con una tonante schermaglia da parte dei nostri accensi, i caudini abbandonarono le loro postazioni; I nostri frombolieri si fecero inseguire fino a portarli in una piana dove fummo in grado di accerchiarli, fu un massacro, mai giorno fu più felice, Marte Ultore ci sorrise e permise una sanguinosa vendetta per la sconfitta alle forche, i triarii iniziarono ad avanzare con le loro lanceae infilzando ogni caudino che si trovarono davanti. Dopo questa soddisfacente mattanza, avanzammo verso Bovianum, dove i sanniti pentri si arroccarono; Durante il nostro assedio, fummo attaccati dalle retrovie dai sanniti irpini e carricini, venuti a soccorrere i loro fratelli, ma il nostro condottiero Camillo prevedé questo scenario, fece fortificare anche il retro del campo d’assedio, questi furenti montanari si lanciarono contro la palizzata di legno, mentre i nostri principes perforavano i loro crani con i pila, poco a poco li dimezzam
mo, quando infine ordinai una sortita, i sanniti erano stanchi e riuscii a sbaragliarli con un paio di manipoli.

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Tolti da mezzo questi fastidi incessanti, questo popolo è molto ostinato, finalmente riuscimmo ad espugnare Bovianum e con la resa
del meddix tuticus dei sanniti pentri, anche le altre tribù si arresero; E dopo aver vinto questo acre nemico di Roma, Camillo sembrava ancora insoddisfatto, nonostante le sue legioni, me compreso, festeggiammo, lui se ne stava su di un dirupo, osservando con sguardo cupo le sue conquiste.
Egli chiamò noi legati a raccolta nella sua tenda, dove pianificammo la conquista dei lucani e dei bruzi.
I lucani si sono sempre dimostrati oscillanti verso di noi e verso i sanniti, adesso che i sanniti sono stati soggiogati, non hanno altra scelta che piegare le ginocchia ai nostri piedi e ci presenteremo alle porte di Grumentum per facilitargli le cose, per quanto riguarda ai bruzi invece, si rintaneranno sicuramente dentro le mura di Consentia e Tempsa.
Dopo giorni di marcia, giungemmo nella civitas di Grumentum il loro capo giurò fedeltà senza alcun indugio come fecero gli altri loro magistrati; Riprendemmo la marcia verso il Bruttium e come volevasi dimostrare, i bruzi non ci misero molto a barricarsi come topi dentro le loro rocche, dopo settimane intere di assedi, Consentia e Tempsa caddero, i loro egemone fu bandito e il Bruzio fu incorporato nella provincia della Magna Graecia.
Camillo sembrò più sereno, ma finiti i festeggiamenti, richiamò di nuovo noi legati nella sua tenda,
la sua intenzione fu quella di sottomettere le civitates magnogreche, se non ricordo male le definì
“erbacce nella nostra splendida aiuola”
Dunque inviò dei messaggeri in ognuna delle colonie greche di Sipontum, Metapontum, Heraclea, Tarentum, Thurii, Crotona, Hipponium, Locri Epizephyrii e Rhegium, tutti recanti lo stesso messaggio
“Sottomettetevi alla Repubblica oppure andatevene altrimenti restate e perite.”
Ma mentre i nostri messaggeri partirono dal campo, uno entrò, disse di provenire dalla civitas di Canusium, in Apulia, quel plebeo sudicio e maleodorante ci comunicò che sono stati saccheggiati da degli uomini parlanti una strana lingua, infatti a saccheggiare Canusium furono un esercito, se così si può definire tale, congiunto di apuli e messapi; Al nostro Camillo gli si spalancarono le orecchie, sembra che quell’uomo non aspettasse altro che un pretesto per invadere qualcuno ogni giorno.
Ci mettemmo in marcia verso la capitale degli apuli, Barium, quando a metà strada ci raggiunse un altro messaggero, stavolta un centurione, portava con se un messaggio dal magister equitum Cursore
“Ave dictator! Sono lieto di comunicarle che la nostra campagna in Italia è stata un successo!”
La sera stessa, il centurione raccontò i dettagli nella tenda pretoriana
“Ah! La battaglia fuori dalle mura di Spoletum! Altro che battaglia, quella si è tramutata subito in una rissa! Haha, quei montanari degli umbri si sono uniti con gli etruschi e i sabini, non mancavano neanche i falisci all’appello degli zimbelli! Al solo vederci mentre ci muovevamo in formazione manipolare, la loro falange si è rotta e la maggior parte di loro è fuggita, hahaha, quelli che sono rimasti però hanno gettato le loro enses e hanno iniziato a menare cazzotti, uno spettacolo da non credere, perfino le nostre legioni hanno iniziato a ricambiare i pugni!
Dovette intervenire lo stesso Cursore per far finire quella scena circense.”
Scoppiammo tutti a ridere, perfino Camillo, il centurione finì poi il rapporto dicendo che oltre all’Etruria e all’Umbria, pure Liguri e Veneti si sottomisero a Roma, anche se per i primi ci furono più difficoltà nel trattare, quei liguri, disse il centurione, si vestivano come i cisalpini, era strano, disse sempre lui, assistere a dei
“galli parlar così male di altri galli.”
La mattina seguente salii sulla palizzata del castrum, poggiai il mio sguardo sullo Ionium Mare, sognando di portare il dominio di Roma in Grecia, ma purtroppo il mio Primus Pilus, Sempronio Nasone, si frappose tra me e l’orizzonte, ponendo la sua faccia e il suo naso soprattutto davanti a me, per consegnarmi il rapporto mattutino dell’accampamento, tramutando così il mio sogno in un incubo.


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Messaggio Da Astrid I Sab Apr 22, 2023 11:37 am

Εγώ, Ἀρχιδαμία


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Laconia, 321 AC
Novembre


Crisomene alzò le mani.
Ricordo che il vento dileguava i fumi dell'incenso mentre quelle parole venivano pronunciate.


"Non cantarci, Celere Cacciatrice,
dell'ira funesta dell'arèia Afrodite dalla quale fosti tu minacciata
Lacedemone sa già e te lo promette, non sarai trasformata in Leonessa per il carro di Rea
Che cada su Ippomene il Negro l'impudica macchia
quel Beotico, vinse la tua promessa
non con leale gareggio, ma con la magia delle mele Esperidi, da Amore stregate
con l'inganno conquistò te che non sei una spergiura
al Negro Cacciatore il tuo cuore consegnasti
e ti indusse a peccare, e profanare il tempio della Madre di Zeus
che in flagrante sconvolta vi colse
Cada dunque su Colui che è il più lento tra tutti i mortali l'Olimpica pena
e lascino in pace te, innocente Atalanta
che sei la più veloce tra tutte le Dee
Sfuggirai agile alla condanna


Ricordati chi sei, e ravvediti o Diva


Guarda davanti a te, quanti sono i devoti
che cantano in tuo nome
Credevi di essere sola, quando da piccina tuo padre, sciocco mortale alla montagna t'abbandonò
ma l'occhio di Colei che abita nella foresta ti colse
bevesti il latte dell'Orsa, che ti allevò tra i suoi cuccioli,
nella sua morbida pelliccia trovasti un focolare
e diventasti forte come Artemide, o Virgo


Guarda dunque davanti a te, quanti sono i devoti
che portano i doni all'altare,
non sei più Sola, Virago


Sei dardo che ai tuoi nemici il cuore trafigge
Sei Vergine inviolabile e inconcussa,
desiderio di molti
Corrono mai stanchi i tuoi piedi scattanti
sull'arida terra del Peloponneso
neppure Ermes il Messaggero potrà raggiungerti
e nessun uomo berrà mai il latte del tuo seno
ferendo il tuo Amore ancora
di Artemide Basileia tu sei figlia adottiva
e Castità le giurasti


Che pianga Afrodite,
perché solamente il Beotide Ippomene cadrà tra le sue grinfie
e dell'Amore l'insulso mortale conoscerà soltanto le pene


Sarai di questa polis Atalanta la nostra Dea,
di Lacedemone tu sei adesso la Patrona, a te rimettiamo l'onore di noi figli di Troia
e in cambio noi, offriremo il pane, la carne, e il vino, nelle cesta di vimini ai tuoi eburnei altari
Sacrificheremo ogni anno nei tuoi boschi migliaia di cinghiali
Sgozzati saranno i figli di Calidonio
quel porco che devastò il regno del tuo Meleagro
e poi cingeremo i nostri elmi con le teste dei cervi
perché tu sia sazia, nessuno degli animali cornuti che vagano tra i boschi sarà risparmiato


Questo è il giuramento di Sparta
E adesso corri Atalanta, sopra le creste del vento


Vincerai,
Lacedemone ti è sorella"


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Il vento si improfumò di rose, e un petalo color cremisi dal nulla venuto cadde sotto ai miei occhi.
Un segno di gradimento.


Dopo essersi ingraziato i favori della Dea il vecchio Geronte abbassò le braccia e chinò il capo in preghiera, e tutti noi ci inchinammo a sua volta davanti a quella Statua meravigliosa, che un miserabile perieca d'Atene scolpì giorni prima in ginocchio sotto lo sguardo laconico della politeìa, mentre un Mastigoforo gli fustigava la schiena senza pietà, per costringerlo a lavorare con più solerzia.


"Pigmalione" era il nome di questo ignobile artigiano dallo scalpello lento, ma non ne sono sicura.
I nomi di questi ateniesi non hanno mai suscitato in me grande interesse: non sono uomini; perciò è giusto che non li ricordi.
L'unica cosa che conta è che le mani di questi vermi dall'indiscusso talento artistico sappiano scolpire a fondo nella nuda pietra, e che liberino la Dea che è nascosta nella roccia.


Mentre pregavo scorsi con la coda dell'occhio uno scintillio, un magro bagliore che aveva ben poco di reale.
Giratami, con non molta meraviglia vidi il Bronzo di Afrodite tramutare in molle verderame come il ferro che arrugginisce: alla dea dell'Amore, che era cara ai Corinzi, non doveva essere piaciuto questo affronto alla sua autorità.
Afrodite chiuse infatti i pugni e aggrottò le ciglia. La scultura non era più la stessa.
Un broncio apparve sul muso di Colei che secondo quell'orbo di Paride è la più bella tra tutte le figlie dell'Olimpo, ma che a mio modesto giudizio non è che la Santa Patrona di tutte le Puttane, principio di ogni male, radice della gelosia e madre della discordia. E' lei che separa gli amici, che erode gli affetti, che inganna i giovani e che distrae gli uomini dalle battaglie, trasformandoli in insulsi Adoni dal cervello bacato.
Come se avesse ascoltato il mio severo giudizio, il Bronzo si sciolse, e l'antica statua di Afrodite scomparve per sempre dall'Acropoli.
La Dea dell'Amore aveva abbandonato Sparta.


Ero contenta. E perciò io sorrisi, ma con molta sobrietà, come si addice ad una spartiata.


Poi d'un tratto il Cielo si tinse di porpora come il colore del vino dei Fenici, e cominciò a piovere. Ma le gocce che cadevano erano d'un rosso vivo: quella non era acqua, ma sangue.
Piovve abbastanza sangue da riempire le pozzanghere dell'Acropoli, e le tegole dei templi furono sporcate.
Scese da lassù come un tuonò la voce vendicativa di Ares, che con sdegno gridò a noi figli di Troia:
"Io ! ero il vostro Patrono!"
Caddero due o tre saette.
Un lampo penetrò la terra, che si spaccò in sette croste.
Il Tempio di Ares era distrutto.
Anche il Dio della Guerra aveva abbandonato Sparta.


Il vecchio Geronte non lo disse ad alta voce, ma lo pensò. Che cosa avrebbe detto Leonida al suo posto?
"Molon Labe" avrebbe detto! "Molon Labe" a te, Ares! Sparta non ha padroni.


Crisomene si rialzò, e vedendo le rovine del vecchio Dio esultò col dito puntato al cielo:
"Allora vattene!"


E il dio bellicoso infatti se ne andò. Il Sole sciolse le nuvole e tornò il sereno.


La statua di Atalanta fu posizionata accanto a quella della dea Artemide.
E quando il monumento varcò le antiche colonne doriche, noi ci commuovemmo.
Sapevamo che sarebbe cominciata una nuova era.


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Ricordo di aver chiesto all'anziano Crisomene cosa pensasse che sarebbe cambiato, e lui testualmente mi disse:
"Molte cose cambieranno in apparenza, ma il cuore di un Lacedemone: quello non cambierà mai."


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Io sono Archidamia, principessa di Sparta
Sono figlia di Cleomene II, uno dei due re di Laconia, ma avrei preferito non essere sua figlia.
Stento a credere che il sangue di quell'imbecille sgorga dentro di me, o che io sia germogliata dal suo sterile seme nel ventre di Agesistrata.
Quel cretino di mio padre infatti avrebbe fatto meglio a vangare il terreno della Messenia in compagnia dei suoi fratelli iloti ed essere fustigato dai Mastigofori piuttosto che regnare, e disonorare la discendenza di Eracle.
Fosse stato per me, l'avrei gettato dal monte Taigeto ancor prima che nascesse.


La grandezza di Sparta chiede regnanti coraggiosi, non lombrichi timorati della propria ombra.


Come sia stato possibile che una larva deplorevole della statura di Cleomene generasse una guerriera di sana e robusta costituzione quale me rimarrà un mistero. Ma credo che sia tutto merito di mia madre Agesistrata che mi ha messa al mondo con travaglio, e che soltanto suo sia il mio sangue. Può anche darsi poi che la mia genitrice abbia concupito con un'altro uomo; e le darei ragione. Purtroppo gli uomini sono spesso assenti nelle città del Peloponneso, spesso i nostri fratelli non fanno più ritorno dalle lunghe battaglie, e ci lasciano da sole a gestire le economie del Regno.
Le guerre di quel megalomane di Alessandro il Macedone hanno prosciugato la Laconia dei suoi più valorosi guerrieri, riducendoci ad una città di sole donne.
Come disse Licurgo secoli fa, noi Spartani siamo una piccola grande famiglia, e ci si conosce tutti come tra cugini e sorelle.
Perciò la poligamia a Sparta è un'istituzione oramai consolidata, non genera gelosie, e un'oplita valoroso può avere anche più di una moglie, così come una donna può avere anche più di un marito. Non c'è alcuna vergogna nel giacere nel letto di un altro.


Questo privilegio è invece negato agli Iloti, che sono la classe inferiore, e che vivono nel terrore dal primo giorno in cui vengono messi al mondo.
Loro sono i nostri animali, il nostro bestiame. Noi siamo i loro mandriani. E senza il nostro consenso, maschio e femmina di Ilota non possono accoppiarsi, o tantomeno conoscersi.
Gli Iloti non hanno un'anima. Sono stati creati dagli Dei per eseguire i lavori più sporchi ed umilianti, e non godono di alcun diritto. Il più alto grado di successo a cui un Ilota può aspirare nella sua vita è quello di diventare il cameriere del re.
Gli altri più sfortunati dormono senza un tetto, anche quando piove, e brucano l'erba dei campi come le pecore.
In passato questi schiavi alzarono il crine, credendo di essere uguali a noi omòioi; dovettero assaggiare la nostra crudeltà per capire che il loro posto nel mondo non è sulla cima dell'Acropoli, ma nel fango.


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Sparta è una diarchia. Ci sono due re.
Uno è appunto Cleomene II della dinastia degli Agiadi, l'altro è Eudamida della famiglia degli Euripontidi, che mi è stato promesso sposo uno o due anni fa, quando ero ancora una ragazzina.
Quando questo Signore si propose a me, io mi arrabbiai. Un cittadino che non ha ancora compiuto 30 anni non può certo definirsi un uomo, ma un bambino.
. ESparta si fonda sul rigore e il rigore nasce dalla disciplina. Se ignoreremo le fondamenta sulla quale si poggia la nostra civiltà ci saranno sempre meno Leonidi e sempre più Cleomeni, e infine Sparta soccomberà.
La nostra Legge è la Legge di Licurgo il Legislatore. Chi è debole soccombe, chi è forte prevale.
Se lasceremo a gente che non ha neanche il diritto di presenziare all'Apella il privilegio di prendere moglie in così giovane età, un giorno finiremo con l'accettare le unioni tra gli Iloti e gli Spartiati, e condanneremo il nostro sangue divino all'imbastardimento.


Ma c'è anche un'altro motivo alla base di questo mio rifiuto.
Quel giorno in cui Atalanta assunse a nostra Protettrice, il Geronte Crisomene mi portò in disparte e mi parlò dell'Epiro.
L'Epiro è in una situazione molto complicata, tant'è che nessuno degli Efori ha veramente capito chi è che stia regnando da quelle parti. C'è chi dice che il re dell'Epiro sia Eace e chi dice che sia in realtà Neottolemo, altri affermano che l'Epiro abbia una Regina: Olimpia, che è anche la madre di Alessandro Magno. Ma la cosa ancor più bizzarra, e che fanno parte della stessa dinastia.
In effetti, questi Epirioti sono tutti imparentati con quello schifoso macedone, quindi potremmo dire che sul trono dell'Epiro aleggia ancora dall'Ade l'ombra di Alessandro.
Poi c'è la principessa Cleopatra, sorella di Alessandro, la mia nemesi, che come me, sembra voler rifiutare la mano di tutti i pretendenti. Ha detto di no persino a Cassandro, il figlio di Antipatro, e questa cosa sembra gettare ancora più mistero sul futuro della regione.
L'anziano Crisomene crede che un Regno così debole e confuso sia destinato a cadere ai Taulanti, un popolo barbaro che vive sulle sponde dell'Adriatico.
C'è una vaga possibilità, ha affermato il Geronte, che la Lega di Delfi possa approfittarne e installare una dinastia peloponnesiaca ad Ambracia con l'aiuto di questi Illiri. In tal caso dice Crisomene che sarei io, quale grande onore, la prima tra le pretendenti.


Crisomene mi ha anche parlato di Siracusa, ma se sull'Epiro mi ero fatta una mezza idea, su quest'ultima ci ho capito ancor poco.
La colonia siciliota è in grande pericolo, ma non tanto per i Cartaginesi che da tempo cercano di allungare le mani sulla pentapoli di Siracusa.
Alla morte dell'ultimo tiranno, salì un certo Agatocle, che, almeno credo, promise ai sicilioti democrazia e libertà: tutte le sciocchezze che sentiamo ogni giorno dalla bocca dei filosofi ateniesi.
Ma la prima cosa che Agatocle ha fatto dopo essere salito di grado è stata quella di chiudere la bocca a tutti i suoi oppositori, sciogliendo gli organi di governo delle poleis. Di fatto Agatocle ha tradito la sua promessa di libertà limitandosi a proseguire la sua personalissima tirannia.
Ai grechi che abitano nella Pentapoli Agatocle non piace, e i loro messaggeri si sono rivolti alla Lega Delfica in cerca di giustizia.


Ho convinto quel cretino di mio padre ad accompagnare il giovane Eudamida a Delfi, dove già sono riuniti il re della Cimmeria Perisade e tutti gli altri: Sparta non può mancare.
Bisogna decidere cosa fare, se appoggiare Agatocle nelle sue ambizioni oppure spedire una legione di opliti e decapitarlo. Personalmente apprezzo le tirannie e credo che Sparta debba sostenere Agatocle, che è l'unico in grado di garantire solidità alla Sicilia e consentirle di sopravvivere ai sogni di gloria di Cartagine.
Un'altra decisione che bisognerà prendere, sarà quella di soccorrere le poleis della Magna Grecia, recentemente minacciate da Roma, o se abbandonarle al proprio destino. Se il caso lo richiedesse, i sacerdoti sono pronti ad invocare il soccorso della dea Atalanta, e mettere dunque la sua potenza alla prova.
Un'altra questione spinosa è quella che riguarda Gortyna: la più importante tra le poleis di Creta, e che fu fondata dagli Spartani.
Gortyna si sente accerchiata dalle sue rivali, in primis Cnosso, che sembrano essersi rivolte alla Lega di Corinto e alla Macedonia pure loro. A mio avviso Sparta non può restare a guardare.


L'Oracolo di Delfi parlerà. E ci dirà se la guerra è giusto o non giusto perseguirla.
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Messaggio Da Falco Sab Apr 22, 2023 3:37 pm

"ANDATA E RITORNO"
UN RACCONTO GALLICO DI BILBORIX IL CARNUTO

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Un vecchio amico

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321 AC
Novembre

I Galli prosperano e coltivano da molte centinaia di anni la ridente pianura che si estende dalla Garonna alla Senna, contenti di vivere e lasciare vivere, noncuranti dei Giudizi della Gente Civile. Dopotutto, poiché le Gallie sono al contempo una terra fiorente popolata da innumerevoli strane creature, ma frammentata in tante parti, i Galli devono sembrare al mondo della Gente Civile come un popolo forte e coeso, essendo rinomati tra i Greci ed i Romani sia come dei Grandi Guerrieri, ... che come dei sudici, rozzi villani.


In effetti alcuni hanno osservato che l'unica vera passione dei Galli è la Guerra. Un'osservazione ingiusta, dal momento che abbiamo anche sviluppato un grande interesse nel tagliare le teste dei nostri avversari, o nel praticare i sacrifici umani.


Scherzi a parte, i Galli custodiscono gelosamente dagli occhi indiscreti degli altri le loro conoscenze e perizie, la bravura nel lavorare i metalli per esempio, nell'allevare i maiali, o nel preparare la birra...
Ma dove il nostro cuore veramente palpita è la tranquilla, silenziosa, buona terra coltivata.
Perché tutti i Galli hanno amore per le cose che crescono.

Eh si, senza dubbio agli occhi dei Greci i nostri modi appaiono... "barbarici".
Ma alla gente di Nemossos non sembra una brutta cosa festeggiare una vita... Barbara.

Quando il Cavaliere Bilborix il Carnuto annunciò che avrebbe presto festeggiato il suo 76 esimo compleanno con una festa sontuosissima, tutte le Gallie si misero in agitazione.
Bilborix era un personaggio assai famoso e bizzarro e, da quando una decina d'anni prima era sparito di colpo nelle terre dell'Emilia per ritornare poi inaspettatamente un giorno di mezza estate, egli rappresentava la meraviglia delle Gallie.

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A quella festa parteciparono proprio tutti:
C'erano Ariovisto, il re dei Nervi, in compagnia degli Atrebati, degli Eburoni, dei Menapi, dei Remi e dei Velicassi, tutte popolazioni che abitano al di sopra della Senna e che noi chiamiamo "Belgi"; gente tosta, abituata a lottare dapprima contro il freddo che contro i Germani, dai quali però sembrano avere attinto alla passione per il saccheggio.
Giunse anche Orgetorige, il re degli "Elvezi"; una nazione molto popolosa che abita tra le allegre vallate e sopra le vette Alpine, "elvetico" vuol dire appunto numeroso nella nostra lingua.


Giunsero a cavallo i Sequani e gli Edui, accompagnati dal loro re Diviziaco; tra tutte le nazioni della Gallia, gli Edui sono i più rinomati dei Cavalieri, sui loro scudi c'è appunto la raffigurazione di un cavallo, e qualche stramba leggenda afferma che nelle vene di questa gente sgorghi del sangue Sarmatico. Una gran corbelleria che rappresenta tuttavia un motivo d'orgoglio per questo popolo forgiato dagli Dei, si dice, per stare in sella ad un cavallo.

Poi risalirono la Garonna i Salluvi, i Tectosagi, i Biturgi, i Santoni e i Voconzi; nazioni piccole, di scarsa importanza, ma comunque nobili e valorose, come ogni altra gente gallica.


Scesero infine dall'Armorica i Veneti; il loro nome potrebbe indurvi a confonderli con quella gentaglia che abita negli acquitrigni dell'Italia settentrionale e che parla una lingua molto vicina al Latino di Roma, ma quelli sono altri Veneti. I Veneti ai quali noi ci riferiamo abitano in una regione denominata "Armorica", una penisola che sta ad una spanna d'oceano da Albione.
In tutta la fascia costiera di quelle regioni quella gente gode del massimo prestigio, perché posseggono il maggior numero di navi con le quali son soliti far rotta verso la Britannia, sono superiori a noi altri per scienza nautica ed esperienza di navigazione, e non temono quel mare tempestoso che è l'Oceano.
I Veneti sono gli unici Galli in grado di affrontare il mare.
Tuttavia le loro imbarcazioni sono piccole, e sembrerebbero giocattoli per bambini a confronto di quelle dei Greci o dei Cartaginesi.

Il Re degli Arverni, Beltorace, aveva fatto imbastire un gran banchetto in onore di Bilborix.
Egli stesso aveva prodotto quella birra con l'acqua piovana, facendo fermentare l'orzo dei campi nel mese in cui la Luna era bianca e gonfia. L'aveva imbottigliata in grandi botti di legno di pino, per dargli quel retrogusto di resina che giammai la gente del Sud conoscerà, inebriati da quel vomito d'uva che chiamano vino, e che i popoli delle Gallie certo non avrebbero mai bevuto se non gli fosse stata costretta tale consuetudine.
Per spumantizzare la negra bevanda degli dei, il re degli Arverni aveva aggiunto del miele e del sidro di fragole, che egli stesso aveva preparato l'anno prima seguendo le arcane ricette di un Druido.
Ora vi domanderete perché il suo nome è Beltorace, ma la risposta è presto detta: quell'uomo ha bevuto così tanta birra in vita sua, che la sua pancia è ormai tanto gonfia da esplodere.

Gli Arverni sono il più grande popolo di Gallia, ma potete risparmiarvi le battute: non è merito di Beltorace e del suo grosso pancione, ma del valore dei guerrieri di questa nazione, che oltre a distinguersi per il loro coraggio si sono dimostrati sempre tra i più Saggi e Giusti.

Saggi, questa è la parola giusta.
Nel loro rispetto verso il Mos Gallicus gli Arverni sono molto lontani da quei bifolchi che abitano oltralpe la Pianura Padana, e questi sono: i Galli Senoni, che nella loro storia annoverano soltanto un Brenno tra i loro grandi e onesti condottieri, i Galli Taurini, che per qualche strano motivo affermano di avere sangue egizio rinnegando forse il proprio, ed i Galli Boi. Ci sono poi gli Insubri, che popolano invece un piccolo villaggio chiamato Medhelan, e che godono di tutto il nostro rispetto per il modo con cui conducono gli affari. Sono forse questi ultimi i più vicini agli Arverni tra quell'accozzaglia di nazioni che stanno in Italia.


Bilborix avrebbe voluto invitare anche gli Insubri ai suoi festeggiamenti, ma il Cugino d'Oltralpe, "Caldorico" gli ha parlato di un certo Cursore, Console dei Romani, e della sua folle Strategia.

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"Passa quel boccale di Birra, Orgetorige!"

I festeggiamenti furono accompagnati da danze, lire, e battute sporche.

Tutti i commensali ad un certo punto si ubriacarono e caddero in uno stato di coma profondo.
Tutti men che uno, Beltorace, invincibile nell'arte del bere.

Belthorax e Bilborix risalirono la collina e si misero a contemplare il bagliore della Luna.
"Si dice che il prossimo Arcidruido verrà dalla Britannia, sai già qualcosa a riguardo?"
"So che il suo nome è Merlino, e che si rivolgerà alle protezioni della Dea Belisama" sospirò, "guarda che coincidenze, proprio ora che la Luna risplende davanti ai nostri occhi, ci ritroviamo a parlare di Belisama, Colei che ha argentei capelli e che riscalda la notte con i suoi gelidi lumi, la più bella e potente tra tutte le Figlie del Cielo."
"E di Artù? Che cosa ne sai tu di Artù?"

Il gonfio Beltorace grugnì qualcosa e l'altro gli spiegò,
"Si dice che Merlino sia in viaggio dalla terra dei Dumnoni, accompagnato da un giovincello smilzo di dodici o undici anni il cui nome è Artù"
"Artù..." bofonchiò, quel nome nella Lingua dei Celti significava Orso, "può anche chiamarsi Falco, non vedo dove sia il nesso"

"Il nesso vecchio mio. Tu cerchi un nesso..."
"Contempla la Luna, e da lei avrai ogni risposta"

E i due amici rimasero a guardare lo Specchio di Belisama, fino a che il Sole si risvegliò.


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Avrebbero atteso ancora ebbri l'alba del giorno seguente, e poi ancora quella dei mesi a venire.
Il tempo nelle Gallie scorreva lento come il passo di una volpe, e i suoi abitanti sono Saggi abbastanza da concedersi il piacere di un cinghiale rosolato sul fuoco o di un buon boccale di birra nell'attesa di qualche evento che scuoti le loro vite dal torpore della quotidianità.


La discesa di Merlino dall'Isola d'Albione era tra queste, e certo l'elezione del nuovo Arcidruido nei sacrari di Carnàc intrigava gli animi dei Galli molto più delle incursioni che quel Cursore intendeva muovere contro i loro fratelli d'Oltralpe.
Chi era quel giovinotto che tutti chiamano Artù? E perché viaggia in compagnia di Merlino, il più Sommo tra i Sacerdoti.


Bilborix e Belthorax se lo domandarono, ma fino a quel giorno si accontentarono di bere e di mangiare, discutendo tra un rutto e l'altro su vecchi ricordi, ignari dei grandi cambiamenti che con la fine dell'Inverno e con il sorgere della nuova Primavera sarebbero presto sopraggiunti, travolgendo le loro comode esistenze.
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Messaggio Da Ferdinand-Foch Dom Apr 23, 2023 5:38 pm

*Biblioteca di Alessandria; in seguito saranno riportati dei documenti storici, per fini di studi universitari, che riguardano eventi, guerre, vittorie e sconfitte legate alla figura di “Tolomeo”: Generale e Intimo Amico di Alessandro Magno divenuto “Re d’Egitto” alla morte del suo Idolo.
Il tutto è rimasto conservato nel tempo su pregevoli papiri scritti dalla mano sconosciuta di uno scriba dell’epoca.*


Cronache Tolemaiche 
[321 A.C.]
Dicembre



[Perchè?]

Ricordo quando ero un piccolo bambino i giorni passati nel Tempio del mio piccolo villaggio con gli Anziani Sacerdoti, ai quali io devo la mia cultura: sono Loro che hanno insegnato a quel me passato come leggere e scrivere, ma soprattutto come Venerare i nostri Dei. 

Poco lontano dalla mia casa, dimora di mio Padre e mia Madre, vi era un Tempio diverso da quello dove noi ragazzi andavamo ad imparare, poiché inaccessibile se non ad alcuni Sacerdoti con vesti strane, che raramente si vedevano in giro per la città. Quando avevo occasione, e cercavo di crearne tante, mi recavo fuori da questo Tempio per ammirare una statua di cui mi ero innamorato: era la raffigurazione di THOT  Dio della scrittura e della Sapienza. Passavo tanto tempo ad ammirarlo, finché non mi scoprivano i vecchi sacerdoti e mi punivano con frustate sulle gambe, di cui porto ancora i segni. 

Intrapresi la strada difficile di “scriba” passando anni interi della mia vita studiando gli scritti dei miei predecessori e soprattutto venerando il mio Protettore, ma non mi bastava. Io volevo diventare lo scriba del Faraone, il suo Visir e condividere seppur in piccolissima parte il suo successo con la mia persona, in silenzio, dentro di me avrei gioito come se io stesso ero il Faraone. 
Invece sono relegato, come in un finto esilio, lontano dalla Divina Città, costretto ad essere uno scriba di basso livello, un sognatore ingenuo. 

Riconosco che dire una cosa simili sarebbe causa della mia morte, una lenta e dolorosa morte, nonché l’ira e il disprezzo degli Dei, in particolare di Anubi che nel momento della pesatura del mio cuore avrebbe negato al mio spirito di giungere ai “Campi Aaru” per la coltivazione del grano. In realtà so con certezza che anche solo pensare questo che ho poco fa scritto ha già segnato la mia vita ultraterrena e ho già accettato la mia condanna.

Venendo al dunque. 
Ho ammirato le gesta di quel Macedone di nome Alessandro il Grande, la sua figura qui in Egitto è molto apprezzata, poiché si è reso capace di liberare il Nilo dalla tirannia Persiana è considerato un Dio al pari dei nostri precedenti Faraoni. Mi sarebbe piaciuto scrivere di lui, ma purtroppo dopo aver conquistato l’Egitto Egli andò via lasciando un suo sottoposto ai piedi delle Piramidi; un ennesima delusione della mia inutile vita. 

Dopo la morte di Alessandro appresi la notizia che il suo imponente e vasto Impero venne diviso tra i suoi Generali, qui in Egitto arrivò un certo Tolomeo: oltre ad essere un Generale macedone fu anche un grande amico di Alessandro, subito ricevette il mio rispetto; ma l’idea di scrivere di Lui non mi passò per la testa. Finché un giorno, dopo aver passato il pomeriggio a pregare, ritornato a casa trovo sul mio letto un IBIS.

Come era possibile?
La porta della mia casa era chiusa e sono sicuro che nessuno fosse entrato, vivevo ormai da solo da decenni dopo la morte di mio Padre e ancora prima di mia Madre, tanto meno non avevo Moglie o Figli. Appressi solo dopo giorni che quello in verità era un segno, stupidamente in quel momento non capii preso dalle emozioni, ma era ovvio e mi danno per non averlo capito prima: il mio Dio, il mio Protettore, il mio Amore THOT si era manifestato sul mio crogiolo prendendo le sembianze di quel Ibis l’Uccello Sacro.


Presi dunque una decisione.
Abbandonai il mio villaggio, il luogo della mia infanzia e della mia prigionia adulta, per recarmi a Melfi per poter seguire Tolomeo da vicino e poter scrivere delle sue gesta. 
Come segno di riconoscenza al Dio della Scrittura, poco prima di partire, mi fermai al solito Tempio, quello proibito al me bambino, per pregare dinanzi la statua di THOT e infine lasciare in tributo a Lui, ma anche al luogo che mi ha cresciuto, una parte del mio corpo: mi cavai e poi brucia il mio Occhio Sinistro. Possa questo gesto estremo garantirmi la tua protezione in questo viaggio e possa tu, grande Dio, essere il mio Occhio.  


[Menfi]

In seguito ad un lungo viaggio tra le dune sabbiose, sono giunto a Menfi la “Città Divina” senza pochi problemi: il sole cocente, il poco cibo e l’assenza di compagnia hanno portato la mia mente al collasso, più e più volte; ma grazie alla forza degli Dei sono sopravvissuto.
Arrivato a Menfi sembrava essere su un altro mondo: le strade erano piene di persone, i mercati stracolmi di cibo, tessuti e per la prima volta ho visto dei venditori di schiavi. Nel mio villaggio solo le famiglie più ricche avevano degli schiavi e questi venivano comprati nelle città vicine; vederli lì per terra legati con delle catene, mi ha fatto capire come questa città sia importante.

Scopro con mio grande dispiacere che Tolomeo, l’Eroe che sto inseguendo e di cui mi sono invaghito, non è a Menfi e molto probabilmente non verrà mai qui. Come è possibile, mi chiedo: questa è la Città degli Dei, la dimora dei Faraoni, persino Alessandro Magno ci fece visita prima di abbandonare l’Egitto. Parlando con alcuni Scribi locali mi hanno detto il motivo: Tolomeo ha promosso Alessandria, la città eretta da Alessandro Magno in suo Onore, come città più importante di tutto l’Egitto: Capitale, questo è il nome che usano ed è lì che Tolomeo e la sua Dinastia risiede. 

Il mio è stato un viaggio inutile, devo organizzarmi di nuovo e partire il prima possibile per Alessandria, almeno non avevo già preso casa qui. Arrivato a questo punto mi rendo conto di aver scritto solo che di me stesso tralasciando il vero protagonista della mia storia, ne approfitto di questo inaspettato evento per raccontarvi di come la Religione sia stata stravolta dall’arrivo di Tolomeo.


Tolomeo giunto in Egitto con il suo imperioso esercito di Macedoni fedeli a lui, ha imposto la sua autorità proclamandosi “Re dell’Egitto”  rifiutando momentaneamente l’uso del titolo di Faraone, come è di consueto dalle nostre parti, poiché vuole prima ottenere il pieno controllo del territorio e la completa obbedienza di tutto il popolo. Per ottenerlo Egli fa leva su ciò che più è importante per noi Egizi: la Religione. 


Prendendo ispirazione dal Grande Alessandro, anche Tolomeo ha annunciato che non toccherà in nessun modo il culto dei nostri Dei e che ci sarà piena libertà di culto in Egitto, ma che Lui non condividerà e non prenderà parte ai nostri riti tradizionali, poiché seguace di un certo Dio Macedone chiamato “Serapide”. Tolomeo sta spingendo affinché il culto di Serapide ecclissi i nostri Dei sostituendoli, dando ordine di creare un grande Tempio ad Alessandria proprio in nome del suo Dio. I nostri Dei i più potenti del mondo Divino e non si potranno mai piegare dinanzi ad un Dio di così bassa caratura, Tolomeo lo sa e per questo non cercherà di combatterli. 

In Egitto molti venerano il Dio Osiride e la sua Amata Iside, il Dio del Mondo dei Non Morti è il più potente del nostro Pantheon, mentre il culto di Amon-Ra è ancora molto sentito e diffuso nella classe nobile del nostro Regno; sporadicamente ci sono persone che venerano un Dio per qualche motivo specifico: ad esempio Io con Thot per la storia sopra raccontata. 

Una cosa è certa, sono d'accordo con me molti Scribi, se Tolomeo vuole governare l'Egitto dovrà diventare un Faraone, senza il popolo egiziano lo vedrà come un vile usurpatore e presto o tardi la sua vita sarà messa in pericolo.


[Cirenaica]


Prima di mettermi in viaggio per raggiungere Alessandria, alle mie orecchie è giunta la lieta notizia della riconquista della Cirenaica da parte dell’esercito Tolemaico, sancendo definitivamente il controllo di Tolomeo su tutto il Regno Egizio. Dal suo arrivo il suo fiero esercito di Macedoni ha preso il controllo delle principali città lungo il Sacro Nilo, tralasciando inevitabilmente le città più lontane “libere” dalla sua tirannia ed è quello che accadde con la Cirenaica: un lembo di terra abbastanza ampio la cui città più importante è Cirene, per il resto è tutta sabbia cocente calpestata da popoli nomadi.

I valorosi soldati di Tolomeo hanno in poco tempo ripreso il controllo della città caduta sotto il controllo di un Tiranno locale poco ambizioso e avido di potere, il cui nome è stato già dimenticato tant’è la sua inutilità. L’ambizioso Macedone avrebbe voluto approfittare della situazione e ampliare i suoi domini anche oltre Cirene, ma i suoi consiglieri lo hanno fatto desistere per due motivi: il primo è legato al territorio, questo è formato da sola sabbia, niente di più, neanche una città solo villaggi inutili; secondo motivo è l’avvicinamento al popolo dei Cartaginesi che si trovano proprio oltre quel lembo di terra, al momento è meglio non averci a che fare. 

Con questo piccolo successo l’Egitto concepito da Alessandro Magno è ora sotto il controllo di Tolomeo, pronto finalmente a farsi incoronare Faraone dai Sacerdoti di Menfi tramite il tradizionale rituale egizio. Spero di arrivare ad Alessandria per poter assistere o quanto meno ricavare delle informazioni da scrivere su questi papiri.

[Salma]

Menfi è la Città degli Dei ed è popolata pressoché da Sacerdoti e Scribi, gli uomini normali ne sono pochi e sono relegati nei borghi della città; la maggioranza degli edifici e dei Tempi sono esclusivi per i Sacerdoti, in alcuni persino io che ho il dono della Scrittura non posso accedervi. Arrivato ad Alessandria sono rimasto sbalordito: è molto più grande e popolosa di Menfi, ed è ancora in costruzione! Nei prossimi manoscritti vi descriverò meglio la città.

Parlando con alcuni Sacerdoti ho appreso la notizia che il rito di incoronazione di Tolomeo è ancora sospeso, nonostante ci sia la volontà Sua e dei Sacerdoti di accelerare i tempi, ma un imprevisto ha scombussolato i piani. L’esercito personale di Tolomeo partito in spedizione nella lontana Babilonia, una grande città di cui ho sentito spesso parlare, con un carico assai importante che ha bloccato il porto cittadino per molto tempo. Inizialmente pensavo si trattasse di un tesoro inestimabile frutto delle innumerevoli vittorie al fianco di Alessandro, ma indagando ho scoperto che la nave custodiva un tesoro più importante e prezioso di Oro e Gioielli: un Corpo Umano.


Mentre io ero in viaggio per arrivare ad Alessandria, nello stesso momento Tolomeo stava andando a Menfi. Il pensiero che avrei potuto incrociare l’Eroe Macedone mi fa vibrare l’anima, un giorno sono sicuro che riuscirò a vederlo e magari anche parlarci… 

I soldati di Tolomeo sono riusciti a “rubare” il corpo morto di Alessandro Magno dall’Imperatore Seleuco a Babilonia, per poi portarlo qui in Egitto !

La salma è stata portata a Menfi, più precisamente nella sua necropoli a Saqqara la dimora eterna di alcuni Faraoni e illustri Sacerdoti egizi, ora anche la casa di Alessandro il Grande. 

Un giorno andrò a fare visita alla sua tomba, purtroppo le ultime monete che mi erano rimaste le ho spese per questo ultimo viaggio, dovrò trovare una sistemazione e un lavoro, non credo sarà troppo difficile.

[Seleuco]


L’Impero di Alessandro con la sua morte è stato diviso dai suoi Generali con cui in vita ha condiviso i suoi innumerevoli successi sul campo di battaglia, tra questi Tolomeo ha preso il controllo dell’Egitto come vi ho detto e ora vi scriverò riguardo un altro seguace di Alessandro: Seleuco.

Egli ha conquistato il potere nei territori della lontana Persia e Mesopotamia, costituendo un suo Impero vasto quanto potente. La sua vicinanza già di per sé avrebbe causato problemi e i rapporti, non troppo amichevoli tra Tolomeo e Seleuco, si sono rotti completamente con la salma “rubata”. Per questo sgarbo il nostro Tolomeo è diventato il nemico principale di Seleuco, il quale non solo vuole recuperare il corpo del Macedone, ma soprattutto eliminare Tolomeo e conquistare l’Egitto.

La rivalità tra i due Ex Generali Macedoni sono il primo capitolo di quella che l'inizio della storia del nuovo Egitto Tolemaico, l’esito è incerto e potrebbe decretare l'inizio dell’ascesa del Grande Tolomeo o la sconfitta definitiva di colui che avrebbe voluto, ma che non è stato. L’esercito è già in viaggio per attaccare l’Impero Seleucida in Siria e in Anatolia nella zona della Cilicia.
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Messaggio Da Stratega Capo Lun Apr 24, 2023 11:18 am

Macedonia, 320 A.C. Gennaio




Il Signore della Macedonia si trovava al confine del suo Regno, dinnanzi a lui solamente la Tracia.
A sud i Greci interni consideravano i Macedoni barbari, sin dall’antichità, anche quando Alessandro Magno con le sue poche armate aveva prima invaso la Grecia, poi la Persia, l’Egitto e l’India, non bastò a far cambiare idea; nemmeno quando poco ancora più ad est c’erano dei veri barbari.
Ma tali vicende vanno narrate col loro doveroso ordine, come fanno i cantori nei banchetti; ed ecco quindi le gesta eroiche dell’antico Re:


Alessandro nacque in un giorno non preciso, ma di certo nell’anno 356 A.C., da un Re e da una Principessa. Tali genitori erano Filippo II Re di Macedonia e Olimpiade Principessa d’Epiro.
Alessandro era discendente di due eroi: Eracle da parte di Padre e Achille da parte di Madre. Era quindi da subito chiaro che sarebbe divenuto un grande uomo. Alcuni invece dicono che il Padre d’Alessandro non fosse tanto il mortale Filippo II, ma il Sommo Zeus che giacque con Olimpiade dando vita al futuro Re del Mondo mortale.


Cresciuto ed allevato dal latte delle migliori balie giunse sano fino alla sua giovinezza, dove abbandonati i costumi da neonato assunse il vero compito di Principe di Macedonia, venendo insegnato dallo stesso Aristotele. Quando ormai era troppo grande per essere insegnato abbandonò Aristotele, aveva sedici anni ed era ormai uomo.


Il Re di Macedonia Filippo II più volte lo mandò in guerra, osservando maravigliato le sue capacità militari ed insieme sottomisero l’intera Grecia.
Nonostante ciò il suo Re, corrotto dalle donne e dall’avidia decise di non considerarlo quale suo erede e si risposò con una donna di intero sangue Macedone. Alessandro dovette fuggire in Epiro e da lì attendere dei mesi finché nella sua terra natia Filippo II fu assassinato e in assenza d’erede fu richiamato lo stesso esiliato; aveva vent’anni.


La sua prima gesta in cui incorrerei quasi in ripetizione fu assoggettare a sé la Grecia che s’era ribellata. Dopo esserci riuscito sfidò il fato e gli dei volendo dare il via alla guerra ai Persiani. Ma non è da dimenticare che prima di partire per la volta dell’Anatolia, dal fronte opposto, nell’Italia il nascente stato Romano aveva inviato in Macedonia una corona d’oro, promettendo ubbidienza.


Un giorno l’esercito d’Alessandro salpò dalla Grecia Unita e sbarcò in Anatolia dove il Re visitò la città di Troia e dove conficcò la sua lancia nel terreno con fare deciso, dando così noto a tutti che quella terra era sua! Si racconta che quella lancia sia ancora lì e che giaccia intoccata nel terreno e la leggende dice che chi per primo riuscirà ad estrarla diverrà il nuovo Re d’Asia.


Molte battaglie da qui al prossimo accadimento noi le definiremmo leggendarie o incredibili, addirittura impossibili. Sappiate che tutto ciò che avete sentito è vero, ma sono troppo con troppi fatti per essere raccontate tutte ora, citerò un solo aneddoto. Il nodo gordiano, un nodo di cui non si vedea né il capo né la coda della corda ed era quindi non scioglibile. Alessandro, non si cimentava in certe bazzecole, era Re ed era Generale, i suoi compiti erano altri, ma venuto a conoscere della profezia del nodo decise di cimentarsi nell’impresa.
Lui si fece portare al nodo e con la spada inflisse un colpo che taglio esattamente a metà. La profezia si era avverata ed era ora considerato il dominatore indiscusso dell’Asia.


Poi accadde che dopo una battaglia l’intera parte femminile della famiglia del Re Dario dei Persiani fu catturata. Ma Alessandro trattò quelle prigioniere come ospiti e non come schiave. Dario fu riconoscente di questo e ritirò pertanto le sue truppe guadagnando una tregua che però non gli bastò per sopravvivere. Difatti fu ucciso e l’intera Asia cambiò dominatore.




Alessandro poi si sposò con una Principessa, di un Regno poco distante dai suoi domini.
La loro storia è certamente famosa ed il canto a riguardo più famoso è il seguente:


Cantami o Diva del grande re guerriero Alessandro Magno e della sua amata moglie la principessa Roxane della Battriana.


Quando il grande Alessandro invase la Battriana, in memorabili battaglie, Roxane fu catturata e portata alla corte del re per essere sacrificata.
Tuttavia, il giovane rimase affascinato dalla bellezza e dalla grazia della principessa, e decise di sposarla. Il Re così trovo moglie, dopo molto tempo.
La relazione tra Alessandro e Roxane fu complicata, non per mancanza d’amore, ma per mancanza di tempo. Per via delle numerose campagne militari del Re ci furono lunghe assenze fra lui e la sposa. Per il dolore della distanza e per senso del suo dovere Alessandro portò Roxane con sé in alcune delle sue campagne militari: le uniche in cui decise di restare nelle retrovie, salvo da colpi di spada e di lancia. Durante questo tempo, Roxane dimostrò il suo coraggio e la sua lealtà, dimostrando di essere molto di più di una sensuale principessa: dimostrò di amare il Re e essere una saggia consigliera; ed altrettanto fece lui.
Ma la loro felicità fu di breve durata. Nel 323 a.C., il grande Alessandro morì improvvisamente, chi dice avvelenato, chi dice di malaria; lasciando Roxane e il loro giovane figlio, Alessandro IV, in una pericolosa situazione. Un anno dopo durante le guerre di successione Roxane e suo figlio furono uccisi da Cassandro, uno degli infidi e avidi generali di Alessandro. Ma la loro storia d'amore visse alla loro morte, ed in molti li celebrarono come una delle più grandi storie della Grecia.”


Le vicende dopo la morte di Alessandro sono tristemente note, e il suo grande Impero crollò con la stessa rapidità con cui era stato fondato.











Antipatro aveva ascoltato tali canti più e più volte, lui aveva conosciuto di persona Alessandro e non lo stimava affatto, lo invidiava; tralaltro fu suo figlio Cassandro ad uccidere Roxane e figli qualche anno prima. Ma doveva mantenere un’aura di potere e fiducia, soprattutto per mantenersi il rispetto dei suoi uomini.
Tuttavia si celava anche un’altro motivo: ascoltava i canti prima di intraprendere qualsiasi guerra o battaglia per cercare una qualche somiglianza con le imprese del suo predecessore e poter sfruttare appieno l’esperienza.


Il Suo Predecessore... Antipatro si vantava di essere l’erede, ma nel profondo sapeva che dominava la Macedonia solo perché era il meno peggio e non il migliore.
Sapeva però che col suo impegno poteva diventare l’Imperatore che voleva e che per farlo avrebbe dovuto riprendere il dominio sulla Grecia.
Prima di poterlo fare però si doveva preparare a battere un nemico più potente: gli Antigoni.  
Il Generale Antigono, anche lui una volta devoto ad Alessandro, era di gran lunga il monarca più potente del Mondo e conscio di ciò aveva invaso Creta, strappandola ai Macedoni ed ora marciava traverso la Tracia per giungere a Pella e via mare per giungere ad Atene.  
Antipatro, aveva trovato le somiglianze nei canti e nella sua memoria e sapeva che Antigono era come Dario I: un potente in attesa di essere spodestato, da un uomo meno potente.


Non fece discorsi ai suoi soldati e ordinò i suoi uomini in due schieramenti, il più grande lo condusse con sé verso Bisanzio, il più piccolo lo lasciò in Macedonia per difendere i propri terreni.


Era sicuro che la spedizione si sarebbe risolta con successo, poiché aveva da poco sacrificato.







Era successo due notti prima, durante una notte in cui non presenziava la Luna e l’unica luce era quella delle torce, unica fonte di luce per quelle persone di vedere nel bosco di Pella.


Ades! Ades! Giungi da me per consigliarmi!”
                                                                         “Ades! Ho per te delle offerte!”


Antipatro temeva la morte in maniera spropositata e sperava in una lunga vita, in breve si rese conto che come Generale e Re avrebbe potuto sacrificare per convincere il dio a lasciarlo in Terra ancora un poco e non trascinarlo negli Inferi per le sue azioni.  


Antipatro cercò risposte in molti riti, fin quando non trovò quello giusto.  
L’aveva organizzato già diverse volte, ma nonostante il molto sangue versato mai nessuno, nemmeno un messaggero del dio era avanzato.  
Tentò addirittura a renderlo rito ufficiale ed unico della Macedonia, ma per lenire il suo potere non bandì gli altri.
Questo rito l’aveva appreso da dei prigionieri Persiani, che adoravano il loro dio della morte sulle montagne dell’Anatolia gettando pecore e buoi neri dai dirupi.
Antipatro iniziò ad imitarli, sperando nella risposta del dio, ma mai era riuscito ad avere un segno e di anno in anno si rese conto che probabilmente buoi e pecore erano un sacrificio degno per la povera popolazione Persiana e non per il Re del Mondo.  


Finché decise che era giunto il momento di sacrificare uomini, ma non donne e menchemeno schiavi, non erano offerte degne.
Ades, il dio dell’oltretomba e degli inferi, guardiano dei morti, abitante delle tenebre; era lui il padrone di Antipatro e Antipatro sapeva che non voleva gli schiavi scuri per il Sole e nemmeno uomini importanti e poco scuri perché non lavorano nei campi.  
Antipatro, ormai cinico desiderava che quelle persone sapessero solo alla fine il loro destino.  




Quella notte lui stesso presa terra e carbone tinse il corpo di venti uomini, alcuni mercanti, altri filosofi, altri soldati di alto rango; ma non importava, dovevano essere uomini liberi.  
Una volta finita la tintura con alcune sue guardie, mute, portò i venti su di una collina della Macedonia e uno alla volta portava quegli uomini dove si trova ancora oggi una buca profonda centinaia e centinaia di piedi, e li gettava all’interno.  
Lo faceva ormai spesso, ma nonostante tutto sentiva sempre urla nuove, lamenti nuovi, rumori nuovi, ma Ades non s’era mai fatto vedere, fino a quella oscura notte.

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Messaggio Da Vlad Lun Apr 24, 2023 12:17 pm

Racconti orali dello sciamano
320 A.C
Gennaio


In una tenda delle steppe, uno sciamano fuma e singhiozza mentre saluta i suoi studenti una volta cresciuti.




Miei giovani ragazzi, piccoli cuccioli destinati a diventare grandi e possenti, questo vecchio, nel vedervi non può che versare diverse lacrime, lacrime di gioia nel vedere il futuro delle tribù crescere difronte a me, crescere forti, sia nel corpo ma soprattutto nella mente, crescere consci delle minacce del mondo, crescere abili, scaltri, decisi e soprattutto benedetti dalla sacra dea, pronti a seguire il suo volore verso il cammino che lei ci indica per raggiungere la gloria, questa gloria tuttavia non nasce dalla sola forza, la nostra dea ci ama, la nostra dea ci protegge, la nostra dea ci dà forza, tuttavia, miei giovani allievi, come bene avete imparato nella vostra breve vita, tutto è un ciclo, tutto ciò che viene dato esige un prezzo in cambio, che sia diretto, che sia indiretto, ogni azione, ogni vostro "dare" al mondo, implica da esso un suo ritorno, il vostro "avere" il vostro "raccolto". Siate voi generoso con il vostro destriero, fido compagno di avventure, ed egli vi salverà anche nella più disperata delle situazioni, siate voi crudeli, siate voi ciechi nei suoi confronti, ed egli vi disarcionera al primo ostacolo che incontrerete, andando libero per la sua strada. Questo è solo uno dei tanti esempi, miei giovani cari, dei tanti dare ed avere del mondo, uno dei tanti esempi del armonia, del equilibrio che esiste e viene mantenuto, tutti i giorni, tutti i momenti, anche nella nostra morte, anche dopo di essa. Le mie lacrime rappresentano anche dolore,tristezza,rimpianto. Molte cose avrei voluto sapere quando avevo le forze, molte cose vorrei fare ora che vedo chiaramente il mondo, tuttavia le mie vecchie ossa poco mi permettono, ed è per questo che piango, difronte a voi, giovani guerrieri.


Non siate stolti e deboli come molti in passato, non pensiate che sia ciò che avete tra le gambe a rendervi forti, sapete, avete visto, conoscete la forza dirompente delle Amazzoni, le donne guerriere guidate dalla Dea stessa, la quale ci dimostra che non è una sciocchezza come il sesso a renderci forti, ma è la nostra dedizione, la nostra costanza, la nostra abilità.




Questa ragazzi miei, è la mia ultima lezione, ormai siete dei piccoli uomini, siete maturi, pronti ad affrontare le sfide della Dea, pronti ad affrontare il mondo, il vasto infinito che si estente per le steppe ed oltre, oltre le immense acque, oltre le grandi montagne, oltre qualunque ostacolo possiate vedere, vi sarà sempre qualcosa dietro e non esiste ostacolo che non si possa superare con la forza, l'arguzia ed il favore della Dea.




In questa mia ultima lezione vi parlerò degli altri dei, sapete che l'equilibrio del mondo ruota intorno a molte più diete di quante effettivamente vengono menzionate giornalmente, di come ogni gruppo di divinità abbia il suo popolo, i suoi campioni, i suoi prescelti. I dei ottengono forza dalla nostra devozione, dalla NOSTRA forza, loro proteggono i propri popoli ma in cambio noi dobbiamo amarli e proteggerli a nostra volta.




Sapete della grande roccaforte, la grande fortezza, l'impenetrabile montagna, essa è prima, forse ultima, nella storia delle nostre genti, ad essere paragonata a ciò che i popoli del mare chiamano "polis" ovvero una dimora eterna, immobile nel tempo, destinata a rimanere eretta per l'eternità. Ovviamente, miei giovani, mi avete sempre chiesto perché vi è questa anomalia, questa stranezza nelle nostre terre, ebbene, come già vi narravo, altre diete esistono, altri dei con i loro poteri vagano nel creato, nella grande roccaforte dimora un uomo, non un normale uomo, ma un uomo più vicino all'essere un dio di quanto voi pensiate, tuttavia egli, ha cercato di rompere l'equilibrio del mondo, pertanto è stato punito, esso ora è imprigionato nella più grande e possente delle montagne, noi siamo i suoi custodi, questo compito ci è stato affidato dalla dea in persona, pertanto noi continueremo in eterno ad adempiere al arduo compito assegnatoci. Ricordatevi, la dea ci ama e protegge, è nostro compito amarla e proteggerla in cambio, anche se alle volte, le sue scelte possono non piacerci, anche se non ne capite il senso, abbiate fiducia nella madre di tutti noi, ella vede molto oltre a quello che noi vediamo nel nostro limite imposto dalle carni e dalle ossa, non dubitate della vostra madre se non volete che essa dubiti di voi.


Adesso, vogliate perdonare questo vecchio, le tribu si stanno riunendo, una grande discussione emergerà, io debbo andare ad adempiere il mio compito, ad assicurarmi che nessuno perda la via della sacra dea, voi invece dovete prepararvi, siate pronti, da oggi siete uomini, da oggi dovrete cavalcare nel grande mondo!




Pochi giorni dopo, in una grande tenda, lontano dai mari e dai monti, tutti i grandi capi-tribu erano riuniti, egli stavano dibattendo, in una maniera totalmente lontana dal civile, il silenzio cadde quando lo sciamano entrò, sguardi truci volavano tra i vari capi, nel assordante silenzio che ora governava nella tenda




Suppongo, che tutti siamo qui, per via delle ultime vicende, ho saputo che recentemente alcuni dei nostri villaggi sono stati assaliti dalle obrobieta delle terre perdute, tuttavia, non temete, miei fratelli, mie stimatissime sorelle, come avete ben visto la Dea ci ha protetto, se gli spiriti non mi hanno mentito, nessuno dei vostri, dei nostri cari è perito, questo altro non può essere che un segno, un dono della sacra madre per tutti noi, la prova reale, tangibile, inconfutabile, che i suoi insegnamenti, che la sua guida, ci tengono al sicuro da ogni barbaria, da ogni pericolo, anche al sicuro da quegli esseri immondi, mangiatori delle carni d'uomo, quegli esseri rinnegati da ogni divinità presente sulla nostra terra e che ora vagano senza più una stella, senza uno scopo, inferiori anche alle bestie ma più feroci di qualcunque creatura dotata di un cuore.


Il silenzio cadde nella tenda interrotto solo da un lieve brusio, mormorii vari tra i capo-tribu i quali ponderavano le loro parole, i loro pensieri, ed attendevano di poter dire la propria opinione, mentre lo sciamano era seduto, immobile, alla sinistra del grande capo-tribu, rappresentate, seppur formalmente, di tutta la comunità Scita, Hagana Kharappalana, il quale, insieme allo sciamano, fumando, riempiva la tenda di un odore dolciastro, un odore a cui ormai tutti i presenti vi erano abituati, l'odore del fiore della dea, come da regola, ogni qualvolta si verificassero problemi tra le varie tribu, si verificasse qualcosa che potesse essere vista da alcuni come "ingiusta, sbilanciata" un grande concilio veniva riunito, ed affidandosi al grande sciamano insieme al grande capo-tribu, i quali, usando il nettare dei fiori della dea come intermediario, ponderavano, riflettevano sulla situazione, emanando il loro verdetto, verdetto con la stessa autorità della dea stessa, esso era pertanto indiscutibile qualunque fosse, ed era l'unico momento in cui il grande capo-tribu poteva far valere la sua autorità. Passarono diversi interminabili minuti, quando il grande sciamano, Shakha aprì gli occhi, scrutando uno ad uno tutti i capi tribu, poggendo infine gli occhi sul grande rappresentante


La dea ci ha protetto, come promesso, tutti lo abbiamo visto, tuttavia, negli ultimi tempi, molto abbiamo indugiato, restando fermi mentre il tempo scorreva, chi incolpa le sue vecchie ossa, chi incolpa il tempo avverso, chi incolpa se stesso, ma non siamo qui per trovare un colpevole. La dea mi ha parlato! La dea mi ha comunicato! Ed IO, ORA! Debbo riferivi miei fratelli, mie stimate sorelle, la dea chiede in cambio un sacrificio, ella chiede il sangue, noi, dobbiamo esaudire il suo desiderio, prima che possiate lamentarvi, la dea non è folle, la dea sà. Tutti sapete che da oggi molti giovani sono finalmente pronti, quale segno più evidente vi serve? Anche se la dea non ha scelto voi come suo tramite, questa verità è talmente palese, lapalissiana, evidente, che persino i miei nuovi giovani infanti riuscirebbero a comprenderla aguzzando un poco la mente! Pertanto, in nome della Dea, in nome della nostra sacra madre, io dico a voi, oh grande capo-tribu Hagana Kharappalana di radunare tutte le tribù e cavalcare verso il mare, cavalcare nuove terre in cerca del sangue che la nostra madre richiede. Ella in cambio continuerà a difenderci dalle interperie degli ammondi che brulificano intorno a noi, ella continuerà ad amarci anche se dovessimo fallire, la Dea ama e protegge chi segue il suo volere, e premia chi riesce ad adempirlo, pertanto una sola cosa spetta a noi, SUOI FIGLI fare, ed essa è CAVALCARE!




Un coro, un boato unanime d'approvazione eccheggiò nella tenda facendola tremare, il dado era tratto, ciò che la dea voleva era chiaro, ora spettava solo al grande capo-tribu distribbuire gli oneri, ed essi non tardarono ad arrivare.


Alle mie sorelle Amazzoni, somme guerriere, dal animo implacabile e dalla forza indomabile, affido il compito di tenere a bada gli ammondi durante l'assenza delle tribù, la vostra forza è incontestabile, la vostra abilità precede i vostri stessi nomi, perdonatemi se non potrete partecipare in questa caccia, ma una preda debole e ferita non porterebbe gloria al vostro nome, a voi, figlie della sacra madre in persona. È per questo che vi chiedo di prestare la vostra innarrestabile forza a difendere le nostre guerriere, i nostri vecchi ed i nostri infanti, in compenso, nella futura cavalcata, giuro sul mio onore, che voi sarete le prime a guidare le tribù.


I Roxolani, avranno il compito d'assicurarsi la protezione di coloro che verranno lasciati indietro a gestire le tende, consideratelo come il modo di tutte le tribu per saldare il debito sulla recente incursione. Tutti noi altri, cavalcheremo! Taglieremo la testa agli elleni ed offiremo il loro sangue alla nostra sacra madre! I Maote guideranno la carica, voi siete la tribu che meglio conosce quelle terre, confido nella vostra forza ed astuzia nel guidarci alla gloria!
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Messaggio Da Maþt Lun Apr 24, 2023 11:10 pm

GENNAIO!! GENNAIOOO!! 320 A.C. CARTAGINE


Ahirom uscì dalla grande biblioteca di Cartagine in compagnia del suo maestro 


Ahirom " Dove andiamo maestro?"


Hailama " Andiamo a fare un giro, ormai il Sole è basso e l'aria è più fresca, sarebbe un peccato restare chiusi in biblioteca.


Comunque, dove eravamo rimasti... ah giusto mi stavi chiedendo a cosa serve l'opera 'Africa' dell'antico scrittore Adone, beh mio caro Ahirom permettimi di dire che è una domanda un po' sciocca alla tua età, è vero, oggi i viaggi al di fuori delle colonne d'Ercole avvengono quasi quotidianamente ma nell'opera di Adone viene raccontato con minuzia il lungo e travagliato viaggio a cui egli partecipò e grazie al quale i nostri antenati della Fenicia riuscirono a fare sensazionali scoperte sull'enorme continente nel quale anche noi viviamo. Quest'opera oggi è conservata solo nella nostra biblioteca dove viene custodita con cura, vista la grandissima importanza che ha per tutti i popoli navigatori, solo dei perfetti stolti potrebbero distruggere qualcosa di simile."


            Maestro e allievo si lasciarono alle spalle la città entrando nel Tofet  la vasta area adibita ai riti religiosi e alla sepoltura dei morti. Ad un certo punto non lontano da Ahirom e Hailama si alzò un'assordante suono di tamburi.


Ahirom " Maestro, che succede laggiù, cos'è questo frastuono?" 


Hailama "Vieni, andiamo a vedere, alla tua età devi conoscere tutte le pratiche religiose che potrebbero tornarti utili da adulto"


           I due si avvicinarono alla fonte del rumore e una volta superata una piccola  altura ai giovani occhi di Ahirom si presentò uno spettacolo mai visto prima: 


           una folla era riunita intorno alla statua di un grande uomo con la testa da toro che   protendeva le mani in avanti, Ahirom lo riconobbe subito, era Moloch la divinità  protettrice di Cartagine che nel corso del secolo precedente aveva acquisito un' enorme importanza ottenendo un ruolo di dominanza nel pantheon  Cartaginese. Ahirom, pur riconoscendo la divinità non capì che tipo di rito   stessero svolgendo quegli uomini; poi improvvisamente dalla folla si staccarono  tre figure, uno è un sacerdote mentre gli altri due, un uomo e una donna, sono vestiti con abiti comuni e in mano portavano un fagotto, giunti ai piedi
della statua,consegnarono il fagotto, nel quale era avvolto un neonato, nelle mani
del sacerdote, questo mise sul viso del bambino una maschera su cui era disegnato un volto sorridente e pose il piccolo sulle mani della statua.


      A questo punto i suonatori di tamburo intensificarono il ritmo producendo un suono al limite del sopportabile, mentre il sacerdote di prima prese una fiaccola dalle mani di un servo e appiccò fuoco ai ramoscelli precedentemente 
 posti sotto il neonato. Il fuoco divampò in pochi secondi arrivando a coprire i disperati movimenti della creatura.


Ahirom “ Maestro ma che succede come mai bruciano quel bambino, cosa vogliono ottenere dal grande Moloch?”


Hailama “ Quello a cui hai assistito era un sacrificio di estrema importanza, riti del genere si compiono in situazioni di estrema urgenza, ad esempio questo è stato compiuto al fine di augurare la vittoria alle truppe che stamane sono partite per fermare le massicce incursioni dei Mauri nei territori di Malaga e Cadice. In cambio di un sacrificio tanto doloroso il grande Moloch concederà  la vittoria al nostro esercito.”


Ahirom” Quanta magnanimità! Come possono gli altri popoli del mondo non venerare una tale forza cosmica ?”


Hailama “Gli altri popoli sono ancora troppo legati agli antichi culti dei loro padri, venerano dei primitivi e deboli, ma come biasimarli? D’altronde anche noi veneriamo i nostri dei perché lo facevano i nostri genitori. Ma ora procediamo, quel che dovevamo vedere lo abbiamo visto”


                Hailama e Ahirom lasciarono il Tofet e si diressero verso la grande strada   
 che portava ad occidente e si sedettero ai piedi di un pino marittimo e 
   discuterono di storia e filosofia quando ad un certo punto sentirono 


                 una marcia farsi sempre più vicina, dopo un minuto la colonna di soldati 


                fu visibile allora Hailama si alzò in piedi.


Hailama “ Buon uomo, scusi ma dove siete diretti con tanta fretta è successo qualcosa?


Porta stendardo “ Iol è caduta. Le orde dei Masselisi hanno sopraffatto la guarnigione della città, le nostre sentinelle dicono che sono circa 40.000”


                Ahirom guardò attonito il soldato, suo fratello era proprio in servizio  militare in quella città  che ora era stata devastata dall’ irrazionale sete di guerra di quei primitivi. 




       
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Messaggio Da Falco Mar Apr 25, 2023 9:47 am

"ANDATA E RITORNO"
UN RACCONTO GALLICO DI BILBORIX IL CARNUTO

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La venuta di Merlino

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320 AC
Febbraio

Con la cadenza d'un ruscello il tempo passava sereno, e i due vecchi amici erano ormai al culmine della sazietà.

Dal compimento del suo ultimo compleanno il prode Bilborix aveva messo così tante libbre di lardo e ciccia, che anche solo dopo i primi quattro passi il Celeberrimo Cavaliere di Nemosso cominciava ad avvertire il fiatone e soffrire l'affanno dei suoi anni.
Se Bilborix avesse tentato di montare a Cavallo, in quelle condizioni non ce l'avrebbe fatta. Ma se anche fosse riuscito a non ribaltarsi con la sella, sicuramente il povero Equino lo avrebbe disarcionato e se ne sarebbe scappato il più lontano possibile a chiedere il conforto a Epona, "la Dea cavallo".
Belthorax dal canto suo, si era fatto così tondo, che oramai col suo pancione avrebbe potuto ruzzolare giù da una qualsiasi collina per valli e valli come una valanga di grasso e non farvici mai più ritorno.

Quell'uomo pesava quanto un Menhir.
Chissà quanti reperti avrebbero potuto riemergere se qualcuno con un pugnale avesse aperto l'ombelico di Beltorace.

Assieme avevano bevuto molta più birra di quanta potesse berne un Bisonte adulto, e mangiato molta più carne di quanta potesse mangiarne un Leone.

Ora, se per qualche bizzarro motivo queste parole giungessero alle lontane orecchie di un giovane scriba Egizio questi potrebbe sorprendersi credendo che le genti di Gallia non abbiano mai visto un Leone in vita propria, ma riguardo la fauna locale bisognerà correggerli dal momento che questi simpatici felini dal pelo morbido e dallo sbadiglio ruggente ancora si aggirano di rado nelle nostre grotte nel Golfo del Sud dai tempi in cui la terra era popolata dai Giganti, prima del Grande Diluvio di cui tramandano le Leggende.

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Ma la Serenità del Cielo di Gallia forse era solo una bieca apparenza, falsa come il mantello di una madre che occulta la nebbia e che cerca di rassicurarti: tempi duri stavano preparandosi all'orizzonte, e Bilborix, che non era affatto uno sprovveduto, se ne avvide prima del tempo.
Quel che tormentava il Cavaliere appunto, non era il timore della notte, ma la consapevolezza di non poter partecipare in prima persona a ciò che stava per accadere. Bilborix era ormai anziano, ma soprattutto troppo stanco per affrontare con Gallico fervore gli eventi venturi.
Avrebbe avuto bisogno della compagnia di un giovine, ma il vegliardo non aveva figli.

Per questo quando il popolo dei Norici e quello dei Reti, esaltati dalle prime vittorie contro Roma in Veneto e dall'alleanza strategica con gli Illiri, decisero di partire all'assalto della rocca alpina di Ottoduro, il prode Bilborix dovette rinunciare a malincuore alla chiamata alle armi di Orgetorige, limitandosi a guardare dalla cima delle montagne l'eroica battaglia che stava consumandosi tra gli Elveti e quegli altri.

La battaglia di Ottoduro fu un trionfo per Orgetorige che accrebbe la sua fama e allargò i confini del suo regno lungo tutto l'Arco Alpino fino alle montagne dei Norici, ma fu una catastrofe per i Reti capeggiati dal baldo Elicone, che furono annientati.
Quella gente, che riuscì ad apparire selvaggia persino agli occhi di noi Galli per l'immonda crudeltà alla quale sottoponevano i loro prigionieri, fu spazzata via dalla moltitudine degli Elveti, che migrarono in massa verso quelle nuove terre, vi si insediarono e presero moglie.
I pochi Reti rimasti furono deportati dai guerrieri di Orgetorige al di là del grande fiume che tutti voi conoscerete col nome di Danubius, e scomparvero per sempre dalla storia del mondo.

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Quel mese secondo il calendario di Numa Pompilio era Febbraio, il più bel Febbraio che si potesse desiderare.
Ci sarebbero stati i fuochi di Imbolc, e tutte le Gallie facevano preparativi per i festeggiamenti della Primavera.

Durante il sacro giorno di Imbolc è tradizione che tutti i Celti, dopo aver seminato i campi e aiutato le pecorelle a partorire i loro agnellini, vengano a visitare i pozzi sacri per rinvigorire la propria salute, lanciando cibo o monete. Quell'acqua viene poi raccolta per benedire la propria dimora, i campi, e la propria famiglia. C'è chi benedice i moribondi, aiutandoli a raggiungere l'Al di là con minor travaglio, e chi benedice il pancione delle fanciulle in gravidanza, perché abbiano figli sani. Belthorax dal canto suo, benedisse il suo stomaco.
Il pomeriggio le pecore vengono munte e tutti i bambini dei Galli corrono a bere il latte dai loro capezzoli.
E infine, al calar della sera, tutti i Celti d'ogni dove danzano attorno al fuoco in gloria della Dea della Luce, che da quelle parti i Britanni chiamano Brigid, ma che per noi continentali è Belisama, Colei che risplende.

Quel giorno un carro proveniente da nord traversò l'Arvernia e si fermò per un tratto a Nemosso.
Due o tre bambini cominciarono a rincorrerlo per i verdi prati, chiedendosi chi fosse quello strano vecchietto.

Era naturalmente Merlino, il Druido che tutti stavano aspettando.
La notizia che il Britannico avesse fatto una sosta a Nemosso si diffuse a macchia d'olio, e Bilborix chiamò Belthorax: non potevano certo perdersi una tale occasione, il primo era il Celeberrimo Cavaliere Carnuto la cui gloria era nota a molti, e il secondo il re degli Arverni, la più importante delle nazioni; non c'era da meravigliarsi forse, se il promesso Arcidruido si fosse fermato in città per incontrare proprio loro due.

Quando Bilborix vide Merlino, quasi scoppiò a ridere. Erano risate isteriche. Aveva sentito parlare di lui tempo fa, e lui e Belthorax lo stavano aspettando da quasi 4 mesi da quando, insieme, bevvero il primo boccale di birra. Stentava a crederci.
Merlino era un uomo molto anziano, la sua barba grigiastra scendeva quasi fin sotto al pube. I suoi capelli rossi erano ormai sbiaditi e sembravano rosa. Anacleto, il suo Gufo Parlante, stava seduto sulla spalla del vecchio.
Alla sua destra c'era un bamboccio silenzioso, esile e pelleossa, la cui bocca era ancora sporca di latte. Il suo nome era Artù, principe presunto dei Dumnoni, e Merlino ne era il precettore.

"Sareste voi Bilborix?" domandò il vecchio Druido, "Siete così famoso che si sente parlare di voi persino dalle mie parti, nell'Isola di Albione"

Fecero perciò conoscenza, e persino il Gufo Anacleto si dimostrò un abile conversatore, sebbene di carattere scontroso.

"Sono vecchio, Merlino" disse Bilborix, "Non dimostro i miei anni, ma sto incominciando a sentire un peso in fondo al cuore. Desidero trovare un posto dove potrei continuare il mio racconto. Desidero poter rivivere una nuova avventura. Vorrei venire con voi, e concludere la mia vita con un finale bellissimo. Perciò, se c'è posto per me, desidero che mi portiate con questo carretto a Carnàc, Venerabile Dumnone, e poi in Britannia, per compiere il destino di questo Giovinotto che voi chiamate Artù."

"E tu?" domandò a Belthorax, "tu verrai?"

Il sovrano scosse il capo. "Io purtroppo sono un re, e debbo badare alla mia gente. Buon viaggio, Vecchio mio"

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Bilborix partì, non sapeva se avrebbe mai più rivisto il suo caro amico, e i verdi prati di Nemosso, e dagli occhi una lacrima gli scivolò sulle rughe.

Ebbe l'onore, ma soltanto perché il buon Merlino lo presentò come il più leggendario tra tutti i Galli, di assistere ad una cerimonia che da secoli i Druidi riservavano soltanto a se stessi e a nessun profano: l'elezione dell'Arcidruido, e cioè del Sommo Pontefice di Gallia e di Britannia. Giudice e maestro di tutti.
A dirla tutta, quel birbone di Bilborix si era portato con se della pelle di capretto con l'intenzione di scrivere un resoconto in greco massaliota e di tramandare anche quello ai posteri, ma uno dei Druidi se ne accorse, e quasi lo maledisse. Con severità strappò lo scritto dalle mani di Bilborix e infine lo ammonì:
"Nessuno deve sapere quello che facciamo noi quì, stupido babbano! La scrittura fossilizza il pensiero, che invece deve fluire come l'acqua del fiume. Quando noi moriremo, e moriremo poiché io lo vidi nelle Stelle, è bene che il nostro pensiero muoia con noi. Nessun'altro deve sapere quel che i Druidi sanno. Il mondo non merita di vedere quello che noi vedemmo..."

Perciò mettetevi l'anima in pace, Bilborix non raccontò mai quello che accadde in quel bosco.
Vi basti sapere che Merlino fu eletto Arcidruido, e che la Dea Belisama assunse a Protettrice di tutte le Gallie.

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"Merlino" domandò il baldo Bilborix, "come mai Belisama e non Rosmerta, o Cernunnos?"

"Cernunnos?!" esclamò tra lo stizzito e il divertito, "Non ho fatto tutta questa strada per servire un Dio Cornuto. Belisama è ben più potente di quel Cervo, ed è Somma tra tutte le Dee. Lei è la Primavera, e se vedi i fiori sbocciare è tutto merito Suo. Lei è la Luce, e se il Sole si alza al mattino, anche questo è merito Suo. Belisama poi è Patrona delle arti, è Lei che dà ai fabbri la forza di martellare, ai bardi la forza di cantare, e ai poeti la forza di poetare. Ma Belisama è anzitutto la Dea di noi Druidi. A lei consacriamo il Fuoco e il Biancospino, per questo ad Imbolc la tradizione vuole che tutti i Celti danzino attorno al fuoco, e che saltino dentro di esso. Poiché nel Fuoco è la Dea ed ella dà Salute!"

"E poi..." continuò il vecchio, "con una semplice carezza la Dea può compiere miracoli, ...restituire la vista ai ciechi"
Bilborix lo interruppe "... può anche far ricrescere i capelli?"
Merlino replicò con un'incatesimo arcano: "Belisama Badamùm Cadabradà! Il pelo tuo vispo sarà!"
E improvvisamente, sulla testa pelata di Bilborix ricrebbe una bella chioma bionda e folta, del colore del Sole.
Il Cavaliere era sbalordito. Si toccò incredulo i capelli.

"Come vedi, caro mio, Belisama è molto potente. Tu non sai, ma Ella ha evitato un'inutile massacro ancor prima che i Druidi chiedessero il suo aiuto. Tempo fa la Dea fermò un'idiota che stava attaccando senza alcun motivo Massalia. Lo fece di sua bontà, senza che officiassimo alcun sacrificio, pietrificando quello scemo con il potere dei suoi occhi."

"tuttavia... noi Druidi ne abbiamo parlato prima... e Belisama merita molto di più ora che è Protettrice di tutte le Gallie. Non possiamo limitarci a sacrificarle la carne e il pesce, rischiando di offendere la sua Grandezza. La Dea del Sangue chiede Sangue. Perciò ho diramato l'ordine ai Belgi e agli Elveti di catturare tutti i Norici, i Germani, e gli Ubii che ci danno battaglia, e di renderli nostri prigionieri. Saranno imprigionati all'interno di un Uomo di Vimini e gli daremo fuoco."
Il buon vecchio rise di gusto, sogghignando a quelle parole: "gli daremo fuoco."


La potenza di Roma cresceva di giorno in giorno e minacciava i Cisalpini e il loro quieto vivere, perciò Merlino pregò che Belisama tenesse a bada quella gentaglia, affinché il viaggio suo, di Bilborix, di Artù e di Anacleto in Britannia proseguisse indisturbato. L'Isola di Albione era a nord...

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Messaggio Da Rhaenyra Mar Apr 25, 2023 5:46 pm

La campagna di Cursore
Un racconto del pretore Lucio Volumnio Flamma Violente

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Febrarius, CDXXXIV a.U.c

Come scusatemi? Volete che vi racconti di quando servivo come legatus al servizio del magister equitum Papirio Cursore?
Bene, allora sedetevi e ascoltatemi, perché non mi ripeterò e non osate interrompermi in alcun modo, altrimenti vi faccio un occhio nero e poi vi querelo.
Durante la campagna italica Cursore ovviamente comandava dieci legioni, una di queste però era sotto il suo diretto comando, la celebre Legio X Sanguinaria, questa legione fu stabilita appena dopo la sua ascesa, è composta da giovani guerrieri, ma ho subito capito il perché del nome, questi giovani ridevano mentre sventravano con foga quasi barbarica i nostri nemici, lasciando il campo di battaglia in una pozza di sangue e organi fuoriusciti.
Cursore adoperò al meglio la sua nuova legione con un addestramento intensivo alle nuove strategie adottate dal collega Camillo, ma fece anche di più, riformò infatti gli equites della legione.
Noi romani non abbiamo mai fatto un grande uso degli equini, un grande errore;
Mentre ci consultavamo nella tenda pretoria, il magister equitum, perfezionava le stesse strategie dell’ero ellenico Alessandro Magno, ispirandosi alle tattiche usate contro i persiani con la sua cavalleria, i compagni del Re.

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La nostra spedizione si divise, cinque legioni verso l’Umbria e cinque verso Tarquinia in Etruria.
Una coalizione di sabini, falisci, umbri e piceni, ci fronteggiava fuori dalle mura di Spoletum,
mentre la legione di Cursore iniziava il suo assetto manipolare, la falange degli umbri iniziava a tremare al solo vedere una tale organizzazione, una tale disciplina!
Gli umbri e i falisci costituivano il grosso della falange, mentre i sabini e i piceni erano perlopiù schermagliatori, comunque, io, comandavo i manipoli mentre il magister equitum guidava gli equites, in quel momento imboscati.

Per far scontrare i miei manipoli contro la falange, abbiamo circondato ai fianchi gli umbri grazie alla nostra superiorità numerica, senza però accerchiarli del tutto, la loro schiena doveva rimanere scoperta per la carica di Cursore, che nel frattempo aveva sbaragliato i sabini e i piceni, lasciati a se stessi dagli opliti falisci, fuggiti alla vista dei nostri cavalieri.
E mentre i miei uomini sbudellavano la prima linea della falange, il terreno aveva iniziato a tremare, poi dei militi svolazzavano dal retro, la carica di Cursore si era schiantata nel didietro degli umbri iniziando a falciare teste con le loro kopis, haha, quei bambocci impauriti e inermi, avevano buttato le armi per arrendersi.
Spoletum era ormai spoglia di una guarnigione, la resa della città era assicurata, dopo giorni di riorganizzazione, ci eravamo messi di nuovo in marcia, stavolta verso Iguvium.
Stranamente la città ci aveva accolto a porte aperte, Cursore mi aveva ordinato di entrare con al seguito un contubernio fidato;
La città era come se fosse stata abbandonata, ma sentivamo una grande boria provenire dal foro, cercando di capire cosa succedesse, ci siamo fatti spazio tra la folla, al centro c’era una donna con una lama insanguinata e un uomo che giaceva ai suoi piedi, colpito nel ventre, un colpo fatale;

Improvvisamente la donna si è girata verso di noi e con tono fermo esclamava…
“Eccoli i romani!”...
La folla si è zittita e si allontanava lentamente per farci spazio mentre la donna si avvicinava dopo aver buttato la daga per terra,
i miei uomini si erano parati davanti, la donna cercava evidentemente di parlarmi, allora ho ordinato di farla passare…

“Legate! Mi fa piacere che avete passato i cancelli senza alcun problema. ”
Allora gli ho risposto “Cosa sta succedendo qui? Chi è quell’uomo? Ci aspettavamo un assedio!”
La giovane donna mi guardava con i suoi occhi marroni “Il mio nome è Galeria Minore vedova di Mamerco Resio, quell’uomo invece era mio cognato Tullo Resio, stava preparando la difesa di Iguvium contro voi romani, anche se il consiglio cittadino voleva arrendersi.”
Io la guardavo ammirando la violenza con cui aveva aperto il ventre dell’uomo “Domina, avete reso alla Repubblica un grande servizio, in cambio permetteremo alla gens Galeria di continuare ad esercitare i suoi diritti in quanto patrizi.”
Ma la giovane vedova non sembrava soddisfatta “L’unico pagamento sufficiente sarebbe vedere qualche testa etrusca rotolare!”
mentre la folla esultava a queste parole, avevo capito che questi iguvini ce l’avevano a morte con i vicini etruschi
“Legate, il mio dipartito marito, a cuor leggero trattava con gli etruschi, loro ovviamente non sanno che è morto, dunque inviano ancora le loro missive in qualità di alleati anti-romani, difatti ho qui un scritto in cui viene divulgata l’esatta ubicazione dell’esercito etrusco.”
quella donna mi aveva fatto sgranare gli occhi “E cosa chiedete in cambio di una tale informazione?”
Galeria mi guardava con uno sguardo che persino io reputavo terrificante “Voglio la testa di Elbio Vulturreno, il rasnal ziltath mexl.”
Dopo un sospiro e uno sbuffo “E va bene, avrete la testa del Lucumone, ora rispettate l’accordo e datemi questo scritto.”

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Galeria mi aveva consegnato lo scritto e subito dopo ho ordinato ai miei soldati di lasciare quella civitas di pazzi;
Tornato da Cursore, egli sorrideva, il sorriso più agghiacciante che ho mai visto, l’unico che ho mai visto sul volto di quell’uomo.
Sulla pelle di vitello c’erano scritte la posizione dell’esercito etrusco, fortunatamente conoscevo l’etrusco, L’esercito unito della dodecapoli si trovava in quel momento nei pressi di Birent, appostato per eventuali incursioni galliche, ma alla luce della nostra invasione di Tarquinia, quest’armata scenderà verso Cleusi per marciare a difendere la loro capitale, sarebbe un problema per le altre cinque legioni, mandate ad assediarla.

Dopo una breve riprogrammazione del nostro percorso, ci siamo messi in marcia verso la civitas di Arretium, la più vicina.
Mentre cingevamo d’assedio le mura, gli etruschi guardando le nostre formazioni di manipoli, divisi, pensavano che fossimo disorganizzati, dunque tutto ad un tratto la guarnigione avvia una sortita contro i miei legionari, avevo applicato la stessa tattica dell’accerchiamento, la falange sebbene resistente, presentava criticità ai fianchi e alle spalle;
E di nuovo Cursore non si è fatto scappare l’occasione di caricare alle spalle l’ignara falange etrusca, ma stavolta ha caricato con tale foga da essere arrivato fino alle seconde linee della formazione e mentre falciava teste, gli opliti sono stati sterminati in fretta.
Dopo la schiacciante vittoria, Lucio Papirio Cursore è stato soprannominato dagli stessi etruschi
“La Chimera di Arritim”.

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Ma il tempo di gioire e festeggiare non ci era concesso, Cursore, che era un uomo senza scrupoli e calcolatore, non gradiva molto i festeggiamenti, ma sicuramente gradiva mangiare, quell’uomo partoriva le migliori strategie e i migliori piani mangiando come un orso, nonostante sia smilzo; È evidente che le apparenze ingannano.
Il magister equitum era ben consapevole che attaccare un accampamento etrusco fortificato e numeroso sarebbe stato un azzardo, per questo avrebbe aspettato che si fossero messi in marcia per tendergli un imboscata, ma ci mancava la rotta, ed è proprio in quel momento che il genio di Cursore si è presentato
“Volumnio, ti infiltrerai nel loro campo assieme ad uno speculator, vestitevi della loro stessa panoplia, fate domande, origliate, qualsiasi cosa per scoprire dove sono diretti.”
Inizialmente ero crucciato da tale compito, perché proprio io? Ma Cursore riponeva estrema fiducia in me, non potevo deluderlo.
Dunque la prima cosa che ho fatto, era quella di conoscere il mio partner, questo presunto speculator, che poi si è rivelata essere una speculatrix, sotto mentite spoglie per ovvie ragioni si faceva chiamare Julius Candidus, in realtà era Julia Candida.
Inizialmente ero dubbioso, ma ho subito capito perché Cursore permettesse a questa donna di far parte dei suoi Occulta Speculatores, infatti questa ragazza era una formidabile assassina nonché eccezionale attrice!

Dopo un giorno di cammino, siamo arrivati alle porte dell’accampamento vicino Birent,
era enorme, tutte le civitates etrusche si erano riunite sotto la guida dello zilath;
Una volta entrati, oltre ai soldati etruschi, c’erano mercenari liguri e celti, il campo era molto disorganizzato.
Comunque, origliando le chiacchiere dei vari ufficiali, siamo riusciti a capire dove fossero diretti, eravamo pronti ad andarcene quando abbiamo intravisto il loro condottiero Elbio Vulturreno, il lucumone.
Stava scambiando due parole con dei fanti e degli ufficiali, non poteva certo lasciarci sfuggire un tale dialogo
“E ditemi dunque, vi pare questo il modo di condurre una ronda?”
Elbio ci aveva notato “E invece voi? Siete arrivati adesso? Sembrate spaesati, sicuramente siete quei superstiti di Arritim, lo si nota dal sangue secco e dalle lamelle lacerate. Comunque tu sembri abbastanza giovane, quanti anni hai?” Riferendosi a Julia
e mentre lei lo squadrava conoscendo poche parole di etrusco, sono dovuto intervenire “Zilath, il mio compagno è ancora scosso dalla battaglia, i romani hanno ucciso molti dei nostri, siamo sopravvissuti per pura grazia di Uni.”
Il condottiero aggrucciò le sopracciaglia avvicinandosi “Hai un accento strano, quasi romano, chiaramente non sei etrusco, ma neanche ligure, da dove vieni soldato?”
Devo ammettere che stavo iniziando a sudare, ma grazie alla mia tempra, sono riuscito a rispondergli chiaramente “Vengo da Patavium, signore”
“E cosa ci fa un veneto qui a combattere contro i romani?”
“La paga è buona.”
“Haha e lo sarà ancora di più quando batteremo quei sempliciotti arroganti!”
Dopodiché Vulturreno iniziava ad allontanarsi fino a ritirarsi nella sua tenda, nel frattempo noi cercavamo l’uscita dal campo.

Prima di rientrare nel castrum della Legio X Sanguinaria, io e Julia ci siamo salutati
“Ci rivedremo a Roma, cara Julia”
“Non aspettarti una visita ufficiale, caro Lucius”
Che donna straordinaria.

Dov’ero rimasto? Giusto, una volta entrato nel castrum dopo esserci separati,
sono corso nella tenda di Cursore
“Ave magister equitum!”
Cursore si è girato di scatto “Ave Volumnius”
Allora mi sono avvicinato e gli ho detto cosa avevamo scoperto“Gli etruschi marceranno verso la civitas assediata di Tarquinia per dare man forte”
egli mi ha risposto toccandosi il mento “Dovranno passare per i colli del monte Amiata, vicino la civitas di Rusel”
Io titubante avevo risposto questa idea di affrontare un esercito così enorme “Sono numerosi, patrone”
Ma dimenticavo di avere a che fare con un uomo che sembra Marte in persona “Non li affronteremo direttamente, prepareremo un’imboscata; Forza adesso! Prepara le legioni e mettiamoci in marcia!”
Dopo una marcia veloce verso il monte Amiata, abbiamo iniziato a preparare l’imboscata sul sentiero dove sarebbe passato l’esercito;

Dopo pochi giorni, l’armata etrusca era arrivata sul sentiero dove ci siamo imboscati, era sera quando Cursore ha dato l’ordine di lasciar cadere i tronchi tagliati e le balle di fieno infuocate, i soldati ignari in preda al panico iniziavano a fuggire mentre altri serravano i ranghi.
Io invece sono stato incaricato di buttare pece sui soldati e di appiccare il fuoco, da qui deriva il mio cognomen Flamma Violens.
Comunque, dopo aver utilizzato i trucchi di Cursore, questo inizia a caricare i superstiti, che rompendo i ranghi e fuggendo urlano “È la chimera! Salvatevi voi altri! Fuggite!”
E dopo aver sbaragliato l’esercito dell’Etruria, tutte le civitates hanno giurato fedeltà a Roma sottomettendosi.
Con l’Italia consolidata, ora bisognava preoccuparsi dei confini, la Gallia Cisalpina, popolata dai liguri, veneti e i galli appunto.

Dopo alcune settimane passate a riorganizzare il dispiegamento delle legioni sul limes, un messagero dei veneti arriva al nostro castrum, piangendo
“Voi! Voi dovete aiutarci! Siete la nostra unica speranza, noi veneti siamo sempre stati amici di Roma, voi dovete aiutarci!”
Il messaggero stava cadendo ma sono riuscito a mantenerlo “Veneto, ascoltami e dimmi cosa è accaduto!”
il ragazzino alza lo sguardo verso di me “Domine, oh domine, dei barbari hanno preso possesso di Altinum, e ci siamo rintanati in massa a Patavium, vi prego, dovete intervenire!”
Cursore aveva ascoltato tutto e aveva annuito, abbiamo offerto al messaggero un posto nella legione,
ma nel frattempo il nostro comandante stava pensando a come arrivare in Veneto senza scatenare una guerra con i cisalpini
“Offriremo qualcosa in cambio del passaggio”
Io sbigottito avevo domandato “Ma patrone, perché mai dovremmo pagare quei barbari quando potremmo benissimo prendercelo con la forza!”
Cursore girandosi mi aveva risposto “Una cosa alla volta figliolo, consolidiamo le nostre alleanze, c’è un tempo per ogni cosa e fidati di me, il tempo per quei sporchi galli arriverà molto presto, ma non sarà oggi; Passerai proprio tu per l’Aemilia e ti congiungerai con i veneti patavini, insieme, caccerete gli occupanti di Altinum.
Io nel frattempo andrò a trattare con i liguri, non sarà difficile, abbiamo in comune la stessa antipatia nei confronti dei cisalpini.”
Con tono chiaro avevo risposto “Vale imperator!”

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Dopo giorni passati a marciare in una Aemilia desolata e spopolata, siamo giunti finalmente nella civitas dei veneti, il loro comandante mi aveva aggiornato sulla situazione
“Legate, finalmente siete giunti! Un conglomerato di pirati illiri ha conquistato Altinum dal mare. assieme ai reti, provenienti però dalle montagne, c’era anche un seguito di celti, ma sembravano stanchi e affaticati.”

In breve tempo ci siamo affrettati a penetrare le piccole mura del porto, quei barbari illiri non se ne sono neanche accorti, si stavano ancora abbeverando dai calici di birra, la difesa da parte di questi sbandati non è durata molto, sono stati ridotti in poltiglia dalle mie centurie, siamo riusciti a catturare un gran numero di nemici, che avevamo sgozzato sotto lo sguardo di Marte in suo onore, un grande sacrificio, ma siamo riusciti anche a catturare il capo di quei celti,distinguibile dagli altri per il torquis dorato che gli adornava il collo;

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Successivamente alla vittoria, ho riconsegnato la civitas in mano ai veneti in cambio della loro sottomissione, poi mi sono portato dietro quel capo gallico per interrogarlo nel castrum
“Parla, barbaro, qual è il tuo nome?”
il celta mi guardava il legionario che lo interrogava con aria stanca “Elicone…”
il centurione continuava ad interrogarlo “Chi sei?”
“Sono solo un fabbro”
Io non gli credevo “Avevi una torque adornata sul collo, quanti fabbri possono dire lo stesso?”
Elicone si è girato verso di me “L’ho rubata al nostro vecchio condottiero che è morto nell’assedio di Octodurun”
Dopo un susseguirsi di domande, era evidente che quest’uomo fosse un semplice fabbro e nient’altro, ma quanti fabbri romani posso forgiare le stesse formidabili spade dei galli? Nessuno.
Dunque avevo proposto un accordo ad Elicone
“Vale ferrarie, in quanto prigioniero, non puoi lasciare il castrum e molto probabilmente verrai decapitato, ma io invece ti offro di praticare la tua arte al servizio di questa legione, diverrai il nostro ferrarius.”
Elicone aveva ovviamente accettato e ha iniziato a creare spade galliche di eccelsa fattura per la nostra legione, permettendoci di adoperare il manipolo anche ad una distanza meno ravvicinata, essendo queste spade più lunghe dei nostri xiphos.

Lucio Papirio Cursore aveva anche lui marciato per raggiungermi in veneto, scortato solo da suo personale contubernium, una volta entrato nella mia tenda si è subito complimentato
“Bravo, Volumnio, la tua condotta è stata esemplare, non solo hai scacciato i barbari e ottenuto la fedeltà dei veneti, ma sei anche riuscito ad ottenere le eccellenti spade dei galli, come hai fatto?”
E io felice dei complimenti e orgoglioso “Abbiamo catturato un ferrarius celta, gli abbiamo offerto la vita in cambio della servitù nella legione, ha accettato senza troppi indugi nel fabbricare queste armi”
Cursore sorrideva “Eccellente, hai appena dimostrato di possedere una delle doti che ogni comandante romano dovrebbe possedere, quella di prendere ciò che le altre culture hanno di meglio, farle nostre e riadattarle ai nostri standard superiori per trarne assoluto vantaggio.”
Fra una chiacchiera e l’altra, il magister equitum mi informava inoltre che i liguri avevano giurato fedeltà a Roma in cambio di protezione e una certa autonomia e che inoltre all’indomani avrebbe avviato una campagna contro gli insubri di Mediolanum, che avevano ospitato le tribù dell’Aemilia e cacciare una volta e per tutti e galli dalla cisalpina.
Io avevo domandato quando saremmo partiti, ma Cursore aveva altri piani per me e mi ha spedito di nuovo a Roma. Proprio qui. A ricoprire la carica di praetor.
Un giorno ritornerò al comando della decima legione sanguinaria, purtroppo non oggi.
Marte ci osserva ed esige sangue, Mediolanum sarà il suo banchetto.

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Messaggio Da Alice Mer Apr 26, 2023 10:57 am

Storia del regno di Israele

Come i molti prima di me, anche io sono un umile rabbino alla guida del mio popolo, il popolo ebraico. Nella nostra storia, molte sono state le prove che i nostri dei ci hanno posto, molto dolore si è abbattuto su di noi, un dolore folle che ha portato anche il sommo Yahweh ad impazzire rinnegando tutti i suoi fratelli e sorelle, persino sua moglie Asherah, portandolo a dichiararsi l'unico vero dio esistente nel creato ed unico degno d'essere venerato. Un umile mortale come me non può esprimersi sulle volontà divine, tuttavia il cuore mi piange e mi si strugge al pensiero di quale angoscia il nostro più grande dio e salvatore stia provando per averci protetto, non oso immaginare l'oblio che tale angoscia avrebbe portato sul mio popolo se Yahweh non se ne fosse fatto carico sulle sue spalle. È per questo che come chi prima di me e come chi dopo di me, devo guidare i miei fratelli di sangue in un cammino di pace e libertà, evitando le sciagure del passato per non vanificare i sacrifici degli dei. Non sono sciocco abbastanza per non vedere quanto il mio desiderio sia difficile, di quanto le belle parole siano solo una dolce melodia se non vengo accompagnate dai fatti.

Il sacro tempio di Solomone, il tempio dei nostri dei, o del nostro dio, se colui che più di tutti ci ha amato cosi vuole che sia, è si in nostro possesso, però non siamo liberi, non viviamo nella nostra terra, non siamo padroni delle nostre vite ne siamo padroni del nostro destino, siamo incatenati come bestie, schiavi degli altri popoli che temono noi e temono il nostro sommo dio che già più volte ha mostrato quanto possente possa essere la sua ira.

I faraoni, nostri grandi carcerieri del passato, sono svaniti, con la discesa del grande condottiero macedone Alessandro, ora egli non detengono più potere, seppure il cuore di quel coraggioso uomo ha da tempo smesso di battere, noi lo ricorderemo con affetto. Con la sua morte, il grande impero che aveva creato, come un castello di sabbia è venuto giù, già vi sono nate guerre e lotte per riunirlo, non vi è futuro per le mie genti se restiamo fermi ad attendere lo scorrere del tempo.

Per questo, io mi farò carico del guidare i miei fratelli verso la libertà, liberi dal gioggo di Tolomeo, colui che ora impone la sua autorità sul Egitto. Chiamerò tutto il popolo all'adunata, dovremmo essere pronti per quando il destino ci chiamerà, pronti a non abbassare il capo e pronti a creare il nostro regno nella nostra terra a noi promessa dal nostro dio, il più grande dio esistente.
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