L'angolo delle storie - L'angolo dei ruolisti
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Partita GDR | Imperium [di falco1994 8/02/2018]

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Messaggio Da Falco Mar Feb 08, 2022 9:09 pm

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BREVE INTRODUZIONE ALLA PARTITA

"241 AC, CARTAGINE, UN INDISCUTIBILE POTENZA DEI MARI, CREATURA DI DIDONE, VIENE SCONFITTA DAI ROMANI CHE OTTENGONO LA SICILIA E AGGRAVANO I CARTAGINESI CON GROSSE RIPARAZIONI DI GUERRA.
238 AC I MERCENARI ASPETTANO IMPAZIENTI LA LORO PAGA, MA CARTAGINE, PIEGATA DAI DEBITI IMPOSTI DA ROMA, NON PUÒ PERMETTERSELO; I MERCENARI SI RIBELLANO.
I ROMANI APPROFITTANDO DELL'IMPOTENZA DI UNACARTAGINE INERME, INVADONO LA SARDEGNA E LA CORSICA, E IMPONGONO ULTERIORI INDENNIZZI ACARTHAGO; UMILIANDO CARTAGINE, SCHIACCIATA DA ROMA.
237 AC, IL GENERALE AMILCARE BARCA, PIENO DI RANCORE VERSO ROMA ESTENDE I CONFINI CARTAGINESI IN SPAGNA E AL COMANDO DELLE ARMATE IN IBERIA GLI SUCCEDE IL GENERO ASDRUBALE. NEL 228 AC, IL GIOVANE ASDRUBALE FONDA IN SPAGNA LA CITTÀ DI NOVACARTHAGO.

I ROMANI, PREOCCUPATI DELLA RINASCITA ECONOMICA E MILITARE DELLA FENICE CARTAGINESE, COSTRINGONO ASDRUBALE A FIRMARE UN TRATTATO CHE DELIMITASSE I CONFINI A SUD DEL FIUME EBRO.
MEMORI DELLA PRIMA GUERRA PUNICA, I ROMANI RAFFORZANO LA PROPRIA MARINA.
221 AC, IL FIGLIO DI AMILCARE, ANNIBALE BARCA, UN CONDOTTIERO ACCLAMATO E AMATO DAI SUOI GUERRIERI PRENDE IL COMANDO DELLE ARMATE CARTAGINESI.
NEL 219 AC, DECISO A VENDICARE LE UMILIAZIONI VARCA IL FIUME EBRO, E METTE SOTTO ASSEDIO SAGUNTO, CITTÀ ALLEATA DI ROMA.

MENTRE A ROMA SI DISCUTE, SAGUNTO CADE.

218 AC, SIAMO ALLE PORTE DI UNA SECONDA GUERRA PUNICA. ANNIBALE, OSPITE IN UN ACCAMPAMENTO GALLICO, OTTIENE DA QUESTI IL PERMESSO DI PASSARE, I CELTI SONO CON LUI, TUTTI TRANNE I VENETI, FEDELI AI ROMANI. I ROMANI NON SOSPETTANO MINIMAMENTE CHE ANNIBALE VALICHERÀ LE ALPI, E LA LORO ATTENZIONE È RIVOLTA NEL MEDITERRANEO.
LE ACQUE DEL MEDITRRANEO SI RIEMPIRANNO DI VASCELLI MENTRE IL MONDO GRECO STA USCENDO DA UNA DISASTROSA GUERRA CIVILE, UNA DI UNA LUNGA SERIE DI GUERRE TRA GLI ETOLI, GUIDATI DA SPARTA, E GLI ACHEI, GUIDATI DALLA MACEDONIA.
I GRECI, SI MUOVONO AFFLITTI TRA LE MACERIE DELLE POLEIS MEMORI DEL LORO PASSATO SPLENDORE: SPARTA, CHE FU LA PIU' FORTE TRA LE POLEIS DELL'ELLADE, VI E'CADUTA LA MONARCHIA E VI SI E' INSTAURATO UN IMPOPOLARE REPUBBLICA, MA GLI SPARTANI SONO ANCORA CON IL LORO AMATO TIRANNO."



Questa GDR, votata unanime, sarà ambientata all'alba della Seconda Guerra Punica, 218 A.C. Il timeslide iniziale sarà 1G=1Anno, poi quando ritenuto opportuno sarà accelerato.
Inoltre prima di iscriversi ecco i punti:
1. Ho deciso di vietare le corazzate, perché l'unico modo per combatterle verrebbe ad essere o costruire un altra corazzata, o un cannone ferroviario (tra l'altro vietato), e comporterebbe dunque diversi problemi. D'altra parte l'incrociatore rappresenterà il vascello: veloce, facile da costruire, e vulnerabile all'attacco da terra.
2. Sarà vietato posizionare truppe sulle coste per difendersi dallo sbarco; tuttavia questo divieto non vale per le Isole.
3. E' obbligatorio nei propri articoli citare o trattare gli avvenimenti degli altri paesi, il che non si traduce in un copia e incolla di pezzi d'articolo ma in reazioni, simpatie, similitudini o cornici.
4. Dal punto di vista comportamentale è malvisto il disfattismo, "fare cose a caso", oppure adirarsi per una Guerra: traducete l'ira in ON non in OFF, e siate flessibili nei vostri piani, cosicché una sconfitta non vi lasci a piedi.
5. I player devono rispettare le decisioni dell'Admin. Un Admin saggio e cosciente consulta prima il popolo.
6. L'admin può eventualmente animare un IA scrivendo un articolo con essa oppure incaricando altri player (volenterosi) di farlo.
7. Le quest sono una buona iniziativa, ma non sono essenziali, tuttavia sia l'admin che i player possono accordarsi tra loro per mandarsele.
8. Un player può dichiarare di voler controllare un certo tratto di mare, e distribuisce omini per quel tratto di mare, allora potrà impedire il commercio tra i paesi ai due lati del mare e consentire solo ai paesi amici di farlo; naturalmente questo potrà essere motivo di un conflitto.
9. E' ben visto chi rispetta lo Zeitgeist (spirito del tempo) del proprio paese.
10. Sarà vietato avere più di 28 province in OFF, tuttavia sarà possibile usufruire in ON di "vassalli" o ddp per le IA.
11. I macedoni partono con l'Austria e continuano ad averne i territori, sia perché siano forti, sia per convenienza, ma che ruolino anche i Celti Pannoni è puramente facoltativo.
12. Gli articoli saranno scritti sul forum.

PER CHIARIRE QUALSIASI ALTRO DUBBIO O PROBLEMA, CHIEDETE SEMPRE ALL'ADMIN.

LINK DEL REGOLAMENTO CONSIGLIATI:




Cos'è il gioco di ruolo? - Informazioni di base sul gioco di ruolo in Supremacy 1914, utili per i nuovi arrivati.
Regolamento - Descrizione del regolamento di base della partita, leggerlo è fondamentale per non incappare in violazioni.
Lo Stile - Presentazione ed esempi della scrittura di quotidiani, oltre alla descrizione di alcune caratteristiche del gioco.
FULL GDR, ON e OFF GDR e Metagioco - Spiegazione delle diverse dimensioni di gioco.

MAPPA
Landshuffle: [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]

STATI GIOCABILI

- Repubblica Romana - Consoli Tiberio Sempronio e P.C.Scipione - Falco1994
- Repubblica Cartaginese - Suffeta Annibale Barca - Mussulmanopazzo
- Popolazioni Celte - HerbertBacke
- Impero Seleucide - Imperatore Acheo - Von Moltke il Vecchio
- Lega Achea - Re Filippo V di Macedonia - Astrid I
- Lega Etolica & Alleati - Tiranno di Sparta Macanida -
- Regno Tolemaico - Faraone Tolomeo IV - Dark II


NOMI STANDARD DI UNITÀ, EDIFICI, E RISORSE
Attenzione: Standard poiché variazioni realistiche della parola sono accettabili.
Esercito: Fanteria (idem), Cavalleria (idem), Blindo (Cavalleria Pesante\Elefanti), Artiglieria (Armi d'Assedio), Incrociatori (Vascelli), Carri Armati (Elefanti Corazzati).
Edifici: Ufficio di Reclutamento (Salmeria), Caserma (idem), Porto (idem), Ferrovia (Strade), Officina (idem), Fabbrica (Cantiere), Forti (Qualsiasi struttura difensiva)
Risorse: Soldi (monete, metalli preziosi), Grano (idem), Pesce (idem), Ferro (idem), Legno (idem), Carbone (Sale), Petrolio (Schiavi), Gas (Carne)


1 omino = 100 omini


::: :::: Annales Maximi ::: :::



218AC

535 anni dai natali della nostra amata Roma

[Foto]

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\\ Il Senato. \\

[Civilitas Romana]

- Bellum Poenicum - Guerra Punica

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Gelido lo scorso inverno, l'anima di Roma, il Tevere, si è disciolto e le acque del fiume straripate hanno ripreso a scorrere scandendo il ritmo della storia romana; il mediterraneo e il suo inquieto oceano, carico di venti e di tempeste come suo solito, i violenti tifoni lambiscono le coste, mentre le nuvole oscurano i cieli laziali, illuminati dalle tuonanti saette di Giove. La bianca neve cumula sui sette colli di Roma, ma è di fronte al Senato che le drammatiche notizie provenienti dal sud realmente testimoniano la durezza del clima. Le porte del tempo di Giano sono aperte da secoli, verranno chiuse soltanto quando la pace finalmente tornerà a Roma.



Ci sono orde di improvvisati oratori e di ciarlatani di fronte al Senato, attorno ai quali si riunisce la folla plebea. « ...E saranno tempi duri, dicono che vinceremo, che i punici sono stati sconfitti una volta e che saranno sconfitti ancora, dicono che Roma fu attaccata diverse volte in passato, che sprofondammo nel buio fosso, ma che ne uscimmo sempre fuori vittoriosi. Io vi dico: Sciocchi! Come avete potuto scatenare ancora una volta l'ira di Giunione, la dea al quale sono cari i punici? » « Cittadini di Roma! Io so di chi è la colpa: di quei vecchi rimbambiti che abitano il nostro Senato! Hanno scatenato loro l'ira di Giunone! E io credo non a torto, che i senatori abbiano complottato tutto: stanno aspirando alla Tirannide! » I senatori udirono preoccupati le diffamazioni del ciarlatano, che destabilizzava con le sue frottole il morale dei civis romani.



I soldati intervennero in tempo per allontanarlo. « Romani, la nostra Libertas è nelle mani dei senatori: che il destino risparmi la nostra amata Res Publica! » disse l'uomo mentre veniva allontanato. Costui non sapeva forse, che nel mito di Enea, la profezia vuole che il destino di Roma sia quello di trionfare sul mediterraneo. Il latte della lupa ha reso forte Roma, i nostri manipoli, uniti, non potranno essere sconfitti da nessun esercito. Il destino ha fatto piovere il Gladio sul popolo dei Latini, e dopo i Sanniti nessun'altro ci leverà l'arme. I punici, con il loro immenso strapotere dettavano i commerci sui mari del mediterraneo, e soffocavano non solo Roma, ma tutte le piccole civiltà italiche: ora il loro Impero è risorto, sia economicamente che militarmente.

Finché ci sono loro, sarà Guerra. O noi, o loro. O i romani, O i punici.



Il Senato discute. Intanto la plebe seduta a teatro ha riso tutta la sera: dopo le fabulae di Gneo Nevio sono state messe in scena le divertentissime commedie di Plauto, l'autore che ha riportato la risata in questa Roma in fiamme. Purtroppo, qualcuno del partito anti-Scipionico ha impedito le rappresentazioni teatrali di Livio Andronico, il liberto che ha tradotto l'Odissea in latino. I Greci stanno inquinando Roma con la loro cultura effemminata, e a molti questa cosa non piace.

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I Consoli Tiberio Sempronio Gracco e Publio Cornelio Scipione sono sicuri di una cosa sola: che se quei maledetti punici attaccheranno, attaccheranno senza ombra di dubbio dal mediterraneo, forse in Sicilia o in Campania, uniche e sole possibili direttrici di un attacco. Lo stesso tiranno di Siracusa, Gerone, ha spifferato al Senato che i piani di Annibale sarebbero quelli di sbarcare per Lilibeo, una cittadina siciliana, cosicché i commandi furono allertati e allestirono i primi preparativi difensivi. La prima azione militare di Roma è stata portata a termine con successo nella fortezza Melita, un isola a sud della Sicilia, che come ha visto le quinquireme romane si è arresa senza combattere e aperto le porte ai nostri manipoli. Tuttavia arrivano curiose notizie dall'Emilia, ma si tratta solo di voci e di inutili paure: i punici attaccherranno da sud.


Carthagine commentarius

218 AC

500° Ciclo solare dalla fondazione di Cartagine.-

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- -
[Scendendo dalle Alpi..]

Non vi fù bisogno di inalzare le armi contro i Galli ed i Greci, perché Annibale è nemico dei Romani e Cartagine nutre rancore contro l'unico oppressore e tiranno del mediterraneo.

Ed anziché opporsi a questo per lo più durante la tratta attraverso le coste dei Celti molti guerrieri si unirono alla nostra causa, ma ancora nessuno riusciva a capire come sarebbe stato possibile giungere a Roma passando dal Nord.

Perfino l'aquila Romana era cecamente convinta di un attacco nel mediterraneo, falsità divulgare dallo stesso Annibale. Anche questa è tattica di guerra dicono..



Ciò che quell'uomo aveva in mente non stupì solo mè ma tutti i suoi uomini e le genti che ci seguirono e molto probabilmente avrebbe stupito anche Roma, passarono dal definirlo folle a Genio in un solo istante. Sulle Alpi fuoco ed Aceto indebolirono la roccia così chè si potesse scavare un passaggio lungo la parete rocciosa in pochi giorni, gli Elefanti riuscirono a passare e Annibale giunse nel mediolanum marciando con novantamila uomini e quaranta elefanti, i Galli che abitavano quelle terre si prostrarono ai suoi piedi osservando timorosi i pachidermi, ma nonostante il terrore, nei loro occhi si intravedeva un bagliore sinistro.. come di un animo perduto da molti anni, vidi altre volte quegli occhi, un bagliore tetro e sopito nell'animo di quelle genti, al passaggio di Annibale oltre che terrore vi era anche la speranza di una vendetta che andasse a colpire i Romani non solo per conto di Cartagine ma anche di quella gente oppressa.

Molto presto, molto presto lo vedranno, vedranno l'ira di Cartagine che con sè porta solo sventura per i Romani, il Ticino ed il Trebbia sono stati solo un avvertimento, ora loro sanno che siamo qui e che siamo venuti per distruggerli...



[Articolo di Mussulmanopazzo]


~ Le Cronache Celtiche, la Saga di Viridovix.


{I, l'inizio}
~ Anagantiôs 1244 (''218 a.C).
~ ([Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]
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“Fui chiamato con tanti nomi durante la mia vita, sacerdote, poeta, eremita, sciamano, talvolta indovino, medico e filosofo, ma nessuno di questi nomi appartennero mai alla mia Essenza, poiché vissi e vivo come ciò che realmente sono: un druido degli Dèi. Nacqui in Gallia, decenni or sono, sotto la festività dei fuochi di Beltane. Ebbi la fortuna, su volontà della mia famiglia, di essere destinato a consacrarmi alla vita da Druido, e furono loro, i saggi Druidi, ad istruirmi nella Foresta dei Carnuti, imparando così cosa fossero la Musica e la Lirica, la Cultura e le Tradizioni, studiando assiduamente le Leggende e l’Alchimia, ed esercitando la Legge e la Giustizia, e non di meno, la sacra religione degli Dèi.

Pregai attorno ad imponenti menhir, e trovai ristoro dalle piogge sotto i benedetti dolmen; percorsi innumerevoli vie silvane, tutte consacrate alla Foresta sacra. Presenziai a regali banchetti, presso onorevoli Vergobret della mia Gallia, celebrai fastosi matrimoni, solenni funerali e gaudi battesimi.

Cantai dell’epopea degli Eroi, delle gesta degli Dèi, e suonai attorno alle tribù.



Nel tempo in cui divenni più venerando, e la mia barba canuta divenne bigia, ed i capelli sempre più lunghi di colore bianco trascorsi anni a studiare la flora e la fauna, e incominciai a girovagare per le Gallie a me ancora sconosciute, visitando i luoghi più disparati, che essi risultassero limitrofi o irraggiungibili.

Vi narrerò dunque di tutto ciò che vidi in quell’Epoca d’ avventure, tra dì funesti, e notti di pace.”



« Sebbene la Gallia in cuor mio sia una sola, ne esistono tre in questo grande territorio, una di queste è Celtica, chiamata anche ‘’Gallia’’ dal volgo di Roma, ivi il mio popolo coltiva le terre ed alleva i bestiami, in alcune stagioni ci si dedica alla caccia di selvaggina, vagando tra l’immensità dei boschi, ma l’attività per cui noi Galli ci distinguiamo è la raffinata oreficeria, e la commercializzazione di beni attraverso reti commerciali, in contatto con i popoli a sud, dove si erge l’imponente mare, quali gli Etruschi, i Latini, i Greci, ed i Fenici e con i popoli posti a nord, come i Germani, i Bretoni ed i Britanni. La società dei galli, e tipica anche degli Aquitani e dei Belgi, è composta dalla classe dei ‘’Druidi’’, dalla classe guerriera e da quella degli uomini liberi, a cui potevano aggiungersi gli schiavi che avessero comprovato il proprio valore come riscatto per la Libertà. Viene eletto, ogni volta che ne muore uno, un ‘’Vergobret’’ per ogni tribù di Celtica, e spesso accade uno dei vari Vergobret delle tribù galliche viene incaricato di rappresentare Celtica, e per estensione, laddove gli altri ‘’rix’’ (‘’re’’) approvano, divenire il ‘’Vergobret’’ dei Celti, sia per i Galli, che per gli Aquitani ed i Belgi; l’attuale Vergobret, originario della mia Gallia, è Viridovix, un uomo di stirpe guerriera, austero ed onorevole, che gode di grande rilevanza ed influenza anche da parte dell’Aquitania e della Belgica. I guerrieri gallici sono famosi per il proprio coraggio, e talvolta per la propria brutalità. Essi incutono timore nel nemico per via dell’aspetto imponente, caratteristica che accomuna un po’ tutti i celti, e quando in un contingente celtico si nota la presenza dei ‘’Carnyx’’, chiamate anche trombe da battaglia, si può comprendere che essi siano Galli, senza alcun dubbio. Al limite dei villaggi, che sono circondati da mura di legno massiccio, si annoverano la presenza assidua di ‘’dùn’’ o ‘’dùnon’’, fortificazioni in pietra con scopo difensivo, in modo da delineare l’area villica, e proteggerla da eventuali incursori.La seconda Gallia che visitai è tutt’ora popolata dagli Aquitani, e per questa viene chiamata dai romani ‘’Gallia Aquitania’’, o ‘’terra degli Aquitani’’, essi si trovano a sud ovest rispetto a noi, e sono ci assomigliano, nonostante lingua e costumi siano differenti, ma svolgono attività affini alle nostre, tuttavia non conoscono l’oreficeria dei metalli più preziosi; il fiume ‘’Garonna’’ divide noi dal popolo dell’Aquitania. Il ‘’rix’’ della Gallia d’Aquitania si chiama Cingetorix.

Presso i nostri confini settentrionali visitai la ‘’Gallia Belgica’’, la Marna e la Senna ci separano dalla loro tribù, che tra i vari popoli celti sono riconosciuti come i più forti, poiché vivono lontani dalla finezza delle civiltà meridionali, ed i pargoli vengono istruiti secondo la vita di Cernunnos, Dio della selva, estraniandosi dalle debolezze degli animi. Essi confinano con i Germani, posti oltre il Reno, e con quest’ultimi intraprendono battaglie e guerre sanguinose, il rix riconosciuto per le innumerevoli vittorie riportate ai danni dei Germani si chiama Orgetorix, ed è a costui che ogni tribù belga si rivolge come punto di riferimento.

Esistono poi altri popoli che vivono in questi tre grandi territori, tra i clan di Celtica vi sono gli Elvezi, considerati superiori in virtù ai Galli, poiché anch’essi combattono strenuamente ed ininterrottamente contro i Germani, per difesa o per ambire alla conquista. La loro struttura sociale, assieme a quella dei Veneti, erra al di fuori degli schemi celtici, difatti per gli Elvezi esiste solo una classe sociale, ‘’il popolo libero’’, in cui ogni individuo ha la giusta rilevanza e partecipa alla politica comune, chiunque si promuova come ‘’superiore’’ gerarchicamente viene arso vivo. Tuttavia gli Elvezi nutrono stima per un condottiero contro le guerre dei Germani, di nome Teutomalix.


La terra dei Galli, quindi, inizia dal Rodano, ed è delimitata come, già espresso, dai fiumi Garonna, dall'Oceano, e dai territori dei Belgi, raggiungendo anche il Reno dalla parte dei Sequan, e la volta settentrionale degli Elvezi. La terra dei Belgi inizia dalle più lontane regioni della Gallia, si estende fino al corso inferiore del Reno, e guarda a settentrione e a oriente. L'Aquitania, invece, va dalla Garonna fino ai Pirenei e alla parte dell'Oceano che bagna la Spagna, è volta a occidente e a settentrione.

Percorrendo invece le contrade che dalla Gallia conducono alle lande settentrionali degli italici ci si può imbattere nei Liguri, che popolano un vasto comprensorio di terra, approssimativamente dalle Alpi meridionali fino a sud, dove la costa s’imbatte nel mare. I loro guerrieri sono tra i più ambiti, e talvolta fungono da mercenari nelle guerre più barbare, la loro società conosce un solo condottiero, comune, di nomina elettiva tra le varie famiglie, e non esistono altri ceti sociali se non quelli di ‘’uomini liberi’’. I combattenti Liguri in battaglia sfoggiano elmi adornati da corna imponenti, simili a quelli dei popoli d’oltralpe; il popolo Ligure è conosciuto per la navigazione e la costruzione di flotte, che spesso fungono da mezzi per le razzie, i territori di questo popolo si riconoscono da alcuni insediamenti in pietra, a scopo difensivo, chiamati dal volgo di Roma ‘’castelliere’’, a ridosso del quale si coltivano lembi di terra, e si alleva bestiame.

Sulla strada che porta dalle tribù Liguri verso nord est, ci si può imbattere, a ridosso del mare Adriatico, in un vasto comprensorio di latifondi, dove vivono i Veneti.

Essi sono l’unico popolo celtico che promuove rapporti d’amicizia con i vicini Romani, poiché condividono la medesima origine troiana, almeno questo è ciò che sostengono gli storiografi di Roma. I Veneti possiedono un sistema sociale molto simile a quello delle Gallie, difatti nei villaggi convivono le tre classi peculiari per i Celti, ai vertici i ‘’vati’’, quelli che oltre le Alpi chiamiamo ‘’Druidi’’, poi viene la classe guerriera, ed infine gli uomini liberi, al cui seguito potevano annoverarsi schivi, laddove fossero presenti nel territorio; anche il popolo dei Veneti conosce la costruzione di navi, tuttavia essi la impiegano in modo differente rispetto ai Liguri, anziché razziare, principalmente si dedicano allo scambio con le culture in cui s’imbattono, instaurando interessanti rapporti con scopi economici. L’attuale condottiero per i veneti porta il nome di Elitovix.

Tuttavia, spingendosi invece a Sud della mia Gallia, e percorrendo quindi l’Aquitania, si può arrivare in un territorio delimitato da alte montagne, chiamate ‘’Pirenei’’, questo comprensorio montuoso è la terra degli Iberi, o meglio dei Celtiberi, un popolo d’origine celtica che vive a contatto con i Cartaginesi ed i popoli autoctoni. Il loro condottiero attuale si chiama Magavaric, meglio noto nelle Gallie come Magavarix.

Per volontà dell’illustre Viridovix, Vergobret dei Celti, ogni villaggio eresse un araldo comune a tutti gli altri, un vessillo verde, con l’immagine d’un maestoso cervo dorato.

Ma non furono gli unici stendardi a sventolare in balia dei venti del nord, tra i pinnacoli dei villaggi, infatti sempre comparvero le bandiere di ogni tribù, che durante la mia epopea mi divertii ad illustrare.

Ogni popolo celtico porta su scudi, lance e carri il proprio simbolo ancestrale, così come se lo imprimano sulle carni e sui volti durante le battaglie. I Belgi riconoscono come proprio emblema un corno animale, che indica il loro selvaggio legame con l’ambiente in cui vivono, il corno può essere usato come boccale durante i grandi Esbat (‘’feste lunari’’), ma esso può anche essere suonato negli scontri bellici per richiamare la presenza di Toutatis, sanguinario Dio della guerra.

Gli Elvezi, invece, raffigurano sui propri vessilli tribali un ‘’Carnyx’’, un corno da guerra dal volto di bestia, quando lo stendardo viene sfoggiato sul campo di battaglia esso, svolazzante, intima ai nemici d’arrendersi, altrimenti il sangue dei vinti nutrirà la terra.

I Galli, a me così familiari, sono soliti mostrare sugli stendardi da guerra un cinghiale, animale di estrema brutalità, eppure in simbiosi con la natura; mai un Gallo retrocederà difronte a nemici più numerosi o più grandi di loro, ed anche sul punto di morte i guerrieri gallici combatteranno con onore, avessero anche solo l’utilizzo di una mano ed una gamba.

I vicini Aquitani hanno adottato come proprio stendardo un cavallo rampante, animale fiero ed imponente, così come i guerrieri d’Aquitania in guerra paiono un’orda di cavalli furenti, che calpestano chiunque e qualunque cosa si trovi difronte loro.

Posti più a sud, i Celtiberi disegnano sugli araldi dei propri villaggi un animale caprino, forse uno stambecco, analogamente alla caparbietà di cui essi sono dotati, e nonostante si isolino a vivere sui monti posso assicurare ai nemici di questi che la parola sconfitta non esiste nella loro lingua.

Tra le contrade d’oltralpe, vicini ai popoli di Roma, i Liguri sfoggiano come bandiera una testa d’ariete, poiché non esistono ostacoli che non possano essere distrutti, sbaragliati o varcati con forza dai loro mercenari. Infine vi sono i Veneti, che sulle proprie navi e sui propri villaggi ereggono stendardi raffiguranti un sole, simbolo della navigazione grazie al dio Belanu.

Da quanto abbia potuto apprendere, durante il corso dei miei viaggi, l’unico popolo celtico che si annovera tra i sostenitori dell’araldo di Roma sono i Veneti, mentre i Liguri e i popoli celtici d’oltralpe giurano sanguinosa vendetta su Roma, e sostengono l’operato di Annibale, un condottiero dei popoli meridionali, che anima gli spiriti di faida tra i vari guerrieri delle Gallie.

A quanto pare alcune orde di Galli, tra cui gli Elvezi, scenderanno in battagli a fianco del popolo di Annibale, e si batteranno con essocontro le legioni dell’Aquila, opinione in linea con quanto espresso il vergobret Viridovix, che in questi tumultuosi tempi rappresenterà le forze dei Celti sul campo di battaglia.»






Nome: 10-facts-ancient-celts-warriors_10.jpg<br>Visite: 60<br>Dimensione: 43.0 KB



[Articolo di HerbertBacke]


Σελευκιδική αυτοκρατορία (Impero Seleucida)



140 Inverni dalla nascita del Sommo Seleuco



\\Όλα γεννήθηκαν με αυτόν τον τρόπο. (Tutto Nacque Cosi)//

Manoscritto redatto dagli scribi Seleuci della Corte del Re Dell’Asia Minore Acheo, figlio Andromaco, Fratello di Laodice II moglie del Grande Seleuco II.



Scritto in lingua Koinè il primo ed unico sommo dialetto derivante dal Grane Greco, lingua degli uomini illustri, artisti, scultori e grandi condottieri della storia dell’Uomo.

Sotto il volere di Acheo, Re dell’Asia Minore, codesto manoscritto, ed i prossimi, sono nati con l’obiettivo di porre l’Impero Seleucide come il più magnifico di tutti i Regni Ellenici: tra le pagine di Papiro, la pregiata pianta proveniente dall’Egitto fonte di sapere dell’Uomo, verranno dunque riportati le decisioni, e i voleri, dell’Imperatore Seleucida; l’amministrazione dell’Impero e la sua relativa vita sociale ed economica fiorente o morente essa sia.

Tali Pergamene verranno fissati nelle piazze delle città Seleucide ove degli oratori, aventi loro la grande capacità della lettura, annunceranno ai popolani ignoranti così che anche loro possano essere spettatori della Grande Potenza Seleucida.



Sono dunque passati 5 lunghi e freddi inverni da quando la grande e sontuosa Dinastia Seleucide subii una grave flagellazione che portò alla sua divisione all’interno della Sacra Famiglia e di conseguenza la divisione fisica dell’Impero.

Esso, infatti, si vede diviso e non più unito come un glorioso Impero, dai due Uomini più potenti della Dinastia Seleucida: Acheo,Figlio di Andromaco, e Antioco III Figlio di Seleuco II.



Costoro dunque bramosi di impossessarsi del grande potere Seleucida si sono dichiarati nemici dividendo l’Impero in due parti: L’Asia Minore, la Penisola Anatolia, ove si è relegato Acheo e l’originario Impero Seleucida Comandato dal Basileus Antioco III, più precisamente nella città di Antiochia di Siria, anche per questo quando si riferisce al Regno sotto il controllo di Antioco III lo si chiama “Regno di Siria”.



Torniamo indietro di 5 inverni così da spiegare ai più stolti ed ingenui popolani che hanno dimenticato la storia:

C’era un tempo in cui Acheo e Antioco scorreva buon sangue,infatti, costoro erano legati dallo stesso sangue essendo loro Cugini; Acheo era, ed è, uno dei più grandi Generali Seleucidi tanto che suo Cugino Antioco una volta divenuto Imperatore lo ha nominato Generale di tutta l’Asia Minore. Dunque Acheo guidò i soldati seleucidi del Basileus Seleuco III, Padre di Antioco, nella battaglia contro il Regno di Pergamo, posto al di là dei Monte Tauro, in cui Seleuco III perse la vita assassinato da un Soldato di Acheo volendo che il suo generale diventasse Imperatore, ma Essendo lui, Acheo, un Uomo leale alla Dinastia rifiutò di prendere il Posto del defunto Seleuco III e di quell’assassino mai più carcasa fu trovata...

Divenuto dunque Imperatore Antioco III esso ed un suo Ministro, Ermeia, lo convinse ad accusare Acheo della morte di suo Padre e così fu; il Generale sentendo il freddo alito gelido della morte incombere su di lui decise di attuare una rivolta in Asia Minore ove lui aveva pieni poteri grazie al suo titolo e creare dunque il “Regno dell’Asia Minore” per fronteggiare l’Impero di Antioco III.



Siamo quindi tutti noi spettatori di questo spettacolare scontro tra Titani Seleucidi degni di esser rivista negli anni nei Grandi teatri Greci come melodramma caratteristico di questo periodo dell’Impero Seleucide buio e tenebroso.



\\Διακεκριμένο εμπόριο. (Commercio Strangolato)//

-Il Commercio è la linfa vitale che scorre nel corpo di ogni Regno e Impero poiché da esso scauriscono nuove fonti di ricchezza; il popolo può sfamarsi liberamente senza la paura di un’annata in cui il raccolto è stato povero e dunque costretti a patire la fame ogni giorno pur di sopravvivere con la speranza che gli Dei annullino la punizione inflitta e facciano fiorire i campi di Grano, per questo nelle distese di grano, alle porte delle città, vengono ogni dì costruiti Templi alle divinità e offerti loro sacrifici come animali o semplici monete, cosi da cercare in questo piccolo gesto la grazia e la benevolenza dei Sommi Dei che dall’alto del Impetuoso Monte Olimpo, la Splendida Residenza degli Dei generata e plasmata dalle mani di Zeus, Padre degli Dei, con oro e materiali preziosi, possono con un semplice dito porre fine a tutti noi insulsi viscidi esseri Umani semplici giocattoli con lo scopo di far divertire gli Dei.

Essi possono decidere per noi, se continueremo a vivere o se la nostra fine è giunta e dunque ci spettano le fiamme dell’Ade o di poter passare il resto della nostra esistenza nei Campi Elisi ove giacciono coloro che sono stati graziati dagli Dei: un luogo in cui per noi mortali la vita sarà bellissima poiché gli splendidi campi fioriti non sono mai toccati né da pioggia ne da neve, ne da freddo, ma con eterni soffi di zefiro ove si vive perennemente sereni.



La divisione dell’Impero non agevola ovviamente la buona riuscita del commercio estero con i Regni vicini; le strade per i viscidi banditi sono uno strumento indispensabile poiché gli ignari vaganti che percorrono quelle vie maledette vengono sorpresi dagli agguati dei banditi che rubano e uccidono le loro vittime. Costoro sono riuniti in piccoli gruppi, è raro trovare dei Lupi Solitari ma non impossibile, poiché uniti riescono a fronteggiare anche le guardie Seleucide poste a protezione delle rotte commerciali e anche le stesse città che dovrebbero essere un luogo di protezione per i popolani al loro interno sono oggetto di saccheggi e razzie, ciò avviene principalmente per la mancanza di soldati nelle città occupate nella difesa del confine tra il Regno di Acheo e quello di Antioco III onde evitare possibili invasioni da parte di entrambi gli schieramenti.



In più il Glorioso Porto della Capitale Antiochia è stato soggetto ad una terribile tempesta,punizione degli Dei per la divisione dell’impero dice Antioco III, la quale ha reso il porto e le navi che dormivano beate in quel momento completamente distrutti ed inutilizzabili; ciò rappresentava la principale fonte e punto di commercio dell’Impero con gli altri Regni vicini per cui fino alla ricostruzione del Porto ogni forma di commercio marittimo sarà impossibile limitando l’attività commerciale con i soli Regni Ellenici presenti in Anatolia.



\\ Μια διαχωρισμένη αυτοκρατορία. (Un Impero Diviso) //

Oh voi popolani siete tutti condannati ad essere spettatori di quest’epoca buia, la più tenebrosa del nostro Impero che squarcia in due l’intera Dinastia Seleucida travagliata da una serie di disordini interni, causati probabilmente dall’avarizia dell’Uomo o forse per volere degli Dei, Il Megas Basileus Antioco III succeduto al trono dopo la morte del suo Glorioso Padre Seleuco III si è visto porre dinnanzi ai suoi occhi un Impero diviso ed estremamente debole, poiché non solo Acheo ha fondato un proprio Regno Indipendente in Asia Minore, ma anche i fratelli di Antioco, Molone e Alessandro, hanno costituito i loro Regni rispettivamente uno nella provincia di Media e Persia disgregando ancor di più l’Impero.



Un duro lavoro spetta ad Antioco III il nostro unico,e solo, degno Sovrano e noi comuni popolani dobbiamo aiutarlo nella sua causa ovvero quella di ricostruire l’Impero eliminando gli usurpatori Acheo, Molone e Alessandro. Nessuno sa chi vincerà la battaglia finale e soprattutto quando tutto ciò finirà, quale dei quattro Seleuci potrà sedere sul trono dell’Impero ove avrà nelle sue mani il potere di tutto e tutti; potrebbe vincere il degno erede Antioco, ma se forze esterne interverranno in questa Guerra l’esito sarà dunque un incognita…

Fatto sta che il Megas Basileus Antioco III essendo lui un valoroso Guerriere e un abile stratega nell’arte della Guerra ha giurato vendetta nei confronti di coloro che hanno osato tradire l’Impero e la Dinastia rendendola così debole.



\\Συριακός πόλεμος. (Guerra Siriaca)//

La fine è giunta anche per l'ennesima guerra che allungo ha travagliato il cuore del nostro Impero con una serie di terribili e atroci sconfitte incassate dal nostro fragile esercito ritenuto da molti forte ed imponente, ma alla luce delle recenti battaglie dimostrano che il fiero esercito Seleucida non è altro che un'accozzaglia di soldati senza capo ne coda.

L’ultima grave sconfitta registrata è quella subita contro l’Egitto Tolemaico che con estrema bravura ha spazzato via un enorme battaglione seleucida comandato dall’Imperatore Antioco III costretto successivamente ad arretrare; il Faraone Tolomeo, per grazia divino, non ha avanzato nella sua conquista limitandosi a saccheggiare dei villaggi e ha distruggere le guarnigioni seleucide.



Da questa orribile sconfitta ne sono derivate numerose ribellioni all’interno dell’Impero alimentate da un senso di disgusto e tristezza nei confronti di ciò che doveva essere il fiore all’occhiello dell’Impero: l’Esercito.

Non essendo così l’Impero si è diviso come abbiamo detto prima sotto il comando di Acheo, Molone ed Alessandro lasciando dunque solo la Siria nelle mani del Megas Basileus Antioco III che ha promesso di riacquistare l’onore perso in battaglia eliminando i traditori della patria, costruendo un nuovo esercito e vendicarsi dei Tolomei, ma tempo a tempo poichè il primo problema da debellare sono i fratelli Molone ed Alessandro per poi abbattersi su Acheo; è questa la strategia di Antioco III che sta formando un degno esercito nella capitale Antioca per poi partire nella guerra.

A noi non resta altro che attendere e pregare gli Dei che questa ingiusta guerra termini presto e che risparmi noi e le persone che amiamo.



[Articolo di Ferdinand-Foch]


♗ ::: ☥ - Divina Tavola di Horus - ☥ ::: ♗




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87° Anno di Regno (218 A.C.)

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hiero_G8.png?a8843 /-/ Ruggiva Sekhmet nella Sua gloriosa Collera /-/ hiero_G8.png?a8843



♘ - Sulla Concava Siria splende lo scettro di Ra - ♘




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Concepito dalla saliva di Atum e preso corpo in uovo, soffiava l'Asciutto Shu, il cui passo era la lunghezza del cielo, su tutto il bianco e brillante deserto che a noi fa il Mondo.

La sabbia smuoveva e il Nilo scorreva.

Si era compiuta la quarta inondazione di Hapy dall'ascesa del giovane Filopatore, il quarto dei Tolomei, quando i vili sciacalli del Seleucide, guidati da Antioco, hanno oltrepassato i valichi siriachi.

Al confine le nostre lucenti guarnigioni, guidata dal Generale Teodoto Eolo, governatore della Provincia, fortificarono le postazioni del Faraone, scavando fossati e ergendo palizzate da una parte all'altra del confine, coprendo per intero la striscia di territorio fra Brochi e Gerra.

Ivi, i nostri guerrieri, falciavano gli avversi, che in forze giungevano trovando una violenta morte sulle alabarde e sulle sciabole Tolemaiche.

Le speranze e i fulgidi desideri di conquista di Antioco, trovarono rapida soppressione quando gli venne all'orecchio la notizia di una ribellione a Babilonide.

Colto da saltuaria saggezza e consapevole di sconfitta, decise per la ritirata.

Passarono le lune e dopo aver faticosamente sedato le rivolte che lo minavano, Antioco tornò minaccioso alle porte del nostro Regno.

Riunì i suoi cani poco fuori Apamea.

Fin dall'ultimo epico scontro con la fazione dannata dell'Impero del Magno Macedone, la cittadella di Seleucia Peleria, a loro sacra, era caduta nelle nostre belle e delicate mani.

La rovinosa fine delle armate Seleucide, comportò già allora il delineamento dell'inizio della fine per i Seleuicidi.

Ora, tali, tornano sulle loro postazioni di guerra e animati da vigliaccheria, assediarono la Peleria, scoperta di adeguata guarnigione e con animo impuro, corrompevano a tentennar di danari alcuni capitani che spinsero l'ignaro Leonzio, governatore della città, a chiedere la resa, nonostante dai bastioni settentrionali, l'attacco fosse stato respinto.

Capitolò così la Seleucide, presa dai pezzi di Antioco nel modo più indegno e infamante che esista.

Ad Alessandria, giungevano le missive informanti dell'attacco, insieme alle quali arrivò anche il Generale Teodoto, che non appena smontato dalla biga, fu vittima di un vile complotto ordito da ancora non ben definiti cortigiani vicini alla Corte.

L'Eolo scampò alla morte, ma il morbo lo raggiunse ugualmente.

Fu infatti colto da un'improvvisa ed eclatante paranoia, che lo portò ad imprecare contro Tolomeo, che intanto, rompendo il suo quotidiano ozio, si sentì definire "Traditore dell'Egitto".

Il Generale risalì sulla biga e seguito da alcuni suoi fedeli subordinati, scomparve in una nube di polvere all'orizzonte, nell'incredulità di coloro che avevano assistito alla scena.

Non sorsero le 6 Lune, che all'orecchio di Tolomeo giunse la funesta notizia dell'occupazione della città di Tolemaide di Fenicia da parte di Teodoto, con il conseguente tradimento dell'intera guarnigione cittadina.




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Partirono le truppe guidate dal Generale Nicolao per rompere l'occupazione e ristabilire l'ordine, consegnando Teodoto alla Maat.

Intanto, per la seconda volta Antioco tentava vanamente di prendere la fortezza di Brochi e per la seconda volta veniva poderosamente respinto, tanto che alla notizia del supporto dell'Eolo, decise di rinunciare a Brochi per liberare dall'assedio il vecchio Generale tolemaico.

Il Sole calava e Tolemaide era in procinto di cadere, solo la cittadella fortificata intorno al Tempio era ancora salva dall'impronta del Divino. Ma proprio quando l'Eolo si preparava a trattare la resa, dall'orizzonte emerse Antioco a capo dei suoi sciacalli, che attaccando in due colonne, riuscirono prima a disperdere l'assedio interno, per poi ingaggiare un lungo e logorante scontro ove entrambe le fazioni facevano e subivano quasi le medesime perdite.

Scesa la sera, giunse a Nicolao un papiro con il sigillo Imperiale:

"A Nicolao l'Etole, Comandante delle falangi di Fenicia,

il Potente e Perfetto rampollo di Ra, Sovrano del giunco e dell'ape, Tolomeo IV,

palesa per volere del grande Horus Aureo, la volontà di condurre personalmente la Guerra incombente.

Pertanto, Sua Eminenza e Padre delle Due Terre,

le ordina di lasciare l'assedio di Tolemaide, raggruppare le truppe e ritirarsi a Pelusio,

ivi si unirà all'Armata in procinto d'organizzazione.

Salvate il salvabile e distruggete ciò che non potete salvare.




Tolomeo IV, figlio di Ra, nato da Amon e amato da Ra

La Maat di Horus è potente"




/Sigillo Reale/




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Così Nicolao eseguiva gli ordini datigli dal Divino, riunendo i suoi uomini e battendo in ritirata verso la Casa di Amon, ove si stava compiendo la Grande Riorganizzazione.

Con sè, il Generale, riuscì nell'intento di portate 130 cavalli, 70 cammelli, 42 carri di viveri, riuscendo inoltre a salvare 10 navi ormeggiate al porto, fatte salpare in assoluta sicurezza prima dell'abbandono totale della cittadella.

Altrettante imbarcazioni furono date alle fiamme, insieme a diversi depositi di armi, per impedire che questi cadessero in mano nemica.

Fu concordata una tregua per l'inverno, periodo durante il quale, si evinse la vile superbia di Antioco, che offuscato da infondati principi di superiorità, credette che nessuno, neanche un Dio, avrebbe mai osato attaccarlo...decisione di cui si sarebbe ben presto pentito.

Mai sfidare la sorte; Mai sfidare un Dio!

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Ai piedi di Horus, in 20.000 vennero da tutto l'Egitto.

Veterani e bei giovani in forze, tutti pronti a morire per il Giungo e per l'Ape.

Sopraggiunsero poi Ordini di Falangi da tutto il Paese, squadroni e armate, 1500 uomini della Guardia Reale, 1000 peltasti, 10.000 indigeni fra falangisti e cavalieri.

Richiamati dalla Sublime Luce, accorsero anche mercenari da Creta, Micene, Gallia e Tracia.

Furono preparati per il combattimento anche 95 elefanti da guerra, tra i più grossi e poderosi del Regno.

Terminata la tregua, durante le quali, Tolomeo misericordioso, tentò di accordare una qualche trattativa, ma forte di testardaggine, Antioco rifiutò ogni contatto, nonostante sapeva bene d'esser in torto, dopo che nella Battaglia di Ipso, gli Ellenici riuniti in consiglio stabilirono i confini dei nuovi Regni, chiarendo la Celesiria come territorio egiziano.

Si mossa allora l'Armata, in un ultimo e leggendario sforzo, guidato dal Faraone in persona, che in groppa al suo bianco destriero, trottava verso gli ostici confini.

Lo scontro ultimo si consumò nella zona di Raphia.

I due eserciti si accamparono a circa 10 stadi di distanza, ridotti poi a 5 per simultanea volontà di entrambi i condottieri.

Gli schieramenti erano estremamente ravvicinati, e da entrambi si alzavano urla, battiti di scudi e sciocchi di spade.

La Grande Falange Tolemaica, sola legittima discendente della gloria Macedone, prese posto al centro dello schieramento Egizio, guidata dai Generali Andromaco e Sosibio.

Alla sinistra di questa, prese posto Sua Grandezza, che al comando della Guardia Reale, dei Peltasti e della Fanteria Scelta, faceva fronte ad Antioco, da parte sua al comando della cavalleria e dei suoi elefanti da guerra.

Alla destra invece, fremevano la Cavalleria, con a capo Echecrate, e la Fanteria con a comando il leggendario Fossida.

Tutti tenevano gli occhi fissi verso la punta del proprio Squadrone, sul proprio Comandante, come uno stormo di gru che sta volando in formazione.

Suonarono i corni, quasi in contemporanea, quando il Sole arrivò alto nel firmamento e la battaglia ebbe inizio.

I Seleucidi, sfruttando la stazza dei loro elefanti, più grossi di quelli egiziani, riuscirono a disperdere le truppe guidate da Tolomeo.

Al lato opposto, intanto, un poderoso attacco di Fossida, coordinato con le forze di Echecrate, mandava in subbuglio le linee nemiche, divorando i cavalieri arabi di Antioco.

Ciò, nel mentre che lo stesso Echecrate, guidava l'assalto contro l'omologa nemica, schiacciandola per numero e capacità.

Le falangi, non ancora venute alle armi e prive dei rispettivi supporti ausiliari, avanzarono verso il centro del campo di battaglia, mentre il Faraone riorganizzava le sue forze, ordinando ad Andromaco e Sosibio di abbassare le sarisse ed avanzare, per sbaragliare la falange avversaria con il supporto della cavalleria.

I reparti guidati da Tolomeo, a cui si unirono le unità di elefanti corazzati, riorganizzatisi, volsero all'attacco degli stremati pachidermi nemici e costrinsero questi a ripiegare, mentre di Antioco, rimasto indietro durante l'inseguimento, non ve ne era più traccia, le ultime sue forze venivano brutalmente assalite e sconfitte.




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Grande era lo splendore che si scatenava quando il Faraone vedeva la linea di battaglia, come Sekhmet furibonda al tempo della Sua collera.

Le forze seleucide, in preda al caos, volsero in una funesta ritirata, spinti sempre più a nord, dall'impetuoso avanzare delle Armate Egizie.

Solo una volta superata Tolemaide, nel frattempo abbandonata da Antioco, e riannessa interamente la Celesiria, Tolomeo, diede l'ordine di fermarsi, quando in lontananza era possibile scorgere Antiochia.

I nemici erano stati sconfitti.

Il Dio aveva di trionfato nuovamente.

Eterna Gloria al Regno d'Egitto!



[Articolo di Dark II]
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Messaggio Da Falco Mar Feb 08, 2022 9:11 pm

::: :::: Annales Maximi ::: :::


217 AC

537 anni ab Urbe condita


[Foto]

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\\ Giunione, la dea adirata con Roma. \\

[Civilitas Romana]

- Continuatio Bellum Poenicum - Continuazione della Guerra Punica

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Quasi si torna ad udire il pianto antico delle nenie, prima che le leggi delle dodici tavole le cancellassero.

Gli dei quasi tutti sono adirati contro Roma, aizzati dall'incurabile collera di Giunione; per volere di Nettuno la terra dell'Etruria venne scossa da forti terremoti: le domus crollarono una dopo l'altra e delle case dei plebei, le insulae, non ne rimase traccia, benché un cumulo di polveri e di macerie là si levasse. Ma ben altra calamità, di natura umana e non divina, avrebbe da lì a presto colpito non l'Etruria ma tutta quanta la Repubblica.



Contro qualunque aspettativa, combinando i poteri dell'aceto e del fuoco, Annibale spaccò le Alpi e le valicò portandosi dietro 90mila soldati e dozzine di elefanti: dei colossali pachidermi dalla pelle robusta e squamosa come quella dei serpenti, e dalle sottili orecchie a sventola; sono dotati di due zanne bianche ai lati della bocca con le quali si dice uncinino e trapassino le vittime. Al posto del naso protende una proboscide umidiccia che ricordando "ben altro fardello" umilia i nostri fanti.

Già lo vedemmo Pirro, re dell'Epiro, a cavallo di una di queste bestie; schiacciati dall'enorme peso, con le loro mostruose zampe, comprimono ed esplodono i busti dei poveri centurioni che risultano essere delle piccole formiche al loro confronto, e le loro viscere sanguinolente vanno a inorridire il terreno.

Ma come l'uomo dinnanzi a queste mostruose bestie, si fa prendere dal panico, così anche l'elefante teme l'uomo, e in particolare teme il fuoco. Non di rado questi dispendiosi animali scappano impauriti dal campo strombettando le loro proboscidi.

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Gli dei erano adirati con Roma, parve a noi romani che per un momento persino la dea della Vittoria ci avesse abbandonati, consolando piuttosto le lacrime di Giunione. Stavano invece ancora nelle loro posizioni di combattimento Bellona, la dea della Guerra, e suo marito Marte; e questo accontentò per un po' l'animo dei bellatores.



Annibale e i suoi uomini attraversarono l'Arno e conquistarono Fiesole; nello stesso mese i punici attraversarono il Trasimeno, dopo aver vinto sul Ticino e sul Trebbia.

Fu una sconfitta dopo l'altra, tre erano le T: Ticino, Trebbia e Trasimeno. Il Senato pullulava di parole e di discorsi inconcludenti, Roma era avvolta da un alone di terrore: i punici erano inarrestabili, Annibale imbattibile, la Res Publica era in pericolo e con essa lo era la libertas dei cittadini romani.

I Senatori elessero come consoli il democratico Caio Flaminio e Gneo Gemino, ma Flaminio perse la vita sul Trasimeno, e il partito aristocratico fermentò all'opposizione. La situazione era tesa, ma la repubblica aveva ancora i suoi dadi da tirare e la partita non era conclusa: era venuto il tempo di far salire un Dictator, un uomo di raziocinio ai quali dovevano essere conferiti i pieni poteri.

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Quinto Fabio Massimo Verrucoso fu quell'uomo; così chiamato per le splendide verruche marroni che adornano il suo pallido volto.

Intere città dell'Emilia e dell'Umbria vennero devastate dall'impeto dei punici e dei loro elefanti. E man mano che il sudore scendeva dalla fronte dei romani, Annibale scendeva la penisola italica.



Sebbene Publio Cornelio Scipione fosse stato inviato in Hispania, per riaffermare le posizioni romane sul fiume Ebro, Fabio era diverso da tutti quei politici a Roma che fremevano impietriti, per un rapido contrattacco. Lui osservava e vedeva Annibale e i suoi spostamenti. La strategia di Fabio Verrucoso era quella di prendersi tempo, perché mentre Annibale se ne stava nel freddo inverno, Roma avrebbe riorganizzato le legioni: Quinto Fabio Massimo fu quindi soprannominato "il Cunctator": il "Temporeggiatore".



I punici, che erano arrivati nelle terre osche di Campania e di Apulia, non trovarono Grandi Armate contro cui battersi, ma solo piccoli manipoli, che spesso dopo alcune schermate battevano in ritirata.

Il Senato, riconobbe al Dictator Quinto Fabio Massimo Verrucoso Cunctator, la ferma e fredda razionalità raziocinante, in totale disaccordo con il panico e il terrore della collettività romana.

La speranza era tornata a Roma, ma collideva con la realtà: che i punici fino ad ora avevano soltanto ottenuto vittorie, e che una nuova minaccia stava crescendo nel nord: che barbariche orde Galliche sarebbero discese da nord al fianco di Annibale. Roma ha ricordo della brutalità irrazionale dell'animale Gallico, quando questi sfondarono le mura di Roma, si dettero alla sfrenata pazzia, derubando, appiccando incendi, uccidendo senatori, e violentando le nostre donne.



[Civilitas Barbarica]

- Conclusio Bellum Syriacum - Conclusione della Guerra Siriaca

Intanto, mentre la Repubblica Romana soccombeva all'ira Giunionica, e non si poteva essere certi che avremmo mai rivisto la luce, una lettera pervenne per conto del Faraone Tolomeo IV. Lui, il falco adorato come Horus in terra dai suoi sudditi, uscito pressocché vittorioso dalla Guerra Siriaca, e fermatosi nelle sue imprese soltanto dopo aver ascoltato una voce da dentro, risparmiando ai vili e sporchi Seleucidi il totale disastro; oltre a simpatizzare con Roma per le perdite subite, ha dichiarato di essere ben disposto a commerciare con Roma, fornendo Grano e Schiavi in cambio di metalli ferrosi.



Il Senato ed il Popolo Romano hanno risposto contenti confermando l'alleanza, tuttavia lo scambio dei beni è stato dovuto rinviare all'anno che verrà perché le risorse metalliche, che produciamo abbondantemente, erano state tutte spese. Più tardi il Senato ha dichiarato le proprie ostilità nei confronti dell'Impero Seleucide, nemico non solo dell'ora alleato Tolomeo IV, ma anche di tutti quei paesi anatolici che si sono schierati in tempo recente con Roma.


AGORÀ

217 AC
(559 anni dalle prime Olimpiadi)

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{Fatti e Antefatti}

Le Poleis di tutta l'Ellade, i centri urbani che hanno partorito filosofi, politici, matematici e pensatori: la fierezza dei Greci, cade in rovina, sconvolta da due secoli di terribili vicissitudini: il tempo di Leonida e l'età di Pericle sono finite duecento anni fa, quando dopo il colpo di stato dei 30 tiranni, era diventato chiaro a tutti che la democrazia aveva indebolito Atene, lasciando che sprofondasse nel caos; ma fu soltanto quando il popolo macedone discese dalle terre a nord del monte Olimpo che Filippo I, e poi il Giovane Alessandro presero le redini del mondo Greco, che i Greci ritrovarono l'ordine che avevano perduto dopo le Guerre Persiane.

Dopo la fine dell'Impero Macedone, smembrato dalle lotte interne tra i diadochi, il disordine e la guerra tornarono a flagellare gli Elleni: i Celti che scesero dai Balcani portarono il dio della guerra con loro, e profanarono il sacro tempio del dio Apollo, saccheggiarono l'oro di Delfi e lo portarono a Tolosa; dove i poeti dicono si trovi ancorà là, custodito dai druidi.

Grazie a Zeus, i cittadini di Delfi riuscirono a mettere in salvo l'Onfalo (ombelico, tomba del serpente Pitone): il più sacro artefatto di tutta la Grecia, che fino a quel momento era custodito nella casa del dio Apollo.

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Fin dall'inizio la colpa fu di Sparta e di Corinto, che si ostinavano a ripetere che noi macedoni non fossimo dei veri Greci; e con l'idea, che noi fossimo dei barbari al pari di quei rozzi dei romani e dei persiani, Sparta, e tutti i popoli Etoli, attaccarono le poleis achee di Corinto iniziando la Guerra Sociale. Filippo V, riuscì con successo a difendere il reame dall'attacco del sud; e per oltre un anno i macedoni hanno avanzato verso il Peloponneso, sottomettendo Tebe, e riducendo in schiavitù i Tebani.

Il cammino dei macedoni verso la vittoria fu fermato quando arrivò la notizia della discesa di Annibale dalle Alpi: Filippo V decise questo stesso anno di firmare a Napuatto un armistizio per porre fine alla Guerra Sociale. Filippo aveva teso una mano ai Greci. Gli Etoli non capiscono che anche noi come loro siamo Greci, e che la Grecia si trova in pericolo accerchiata dai veri barbari: i Romani ad occidente, e i Persiani ad oriente (sotto il nome di Seleucidi).

Gli stessi Seleucidi, dopo essere stati sconfitti in Siria dalle armate tolemaiche, mettendo a nudo le loro debolezze che fino a quel momento erano velate dalla vasta estensione del loro territorio, hanno provato a stabilire un alleanza con il nostro paese sostenendo superbamente di essere Greci anche loro. Alle sciocche e presuntuose affermazioni della lettera di Antioco III, Filippo V non ha potuto non replicare.

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Roma non potrà resistere un altro anno alla forza di Annibale che ha ottenuto importanti vittorie sul Trasimeno e sta scendendo rapidamente verso il sud dell'italia: i popoli ellenici devono accettare le proprie differenze ed essere uniti contro la minaccia romana. E la Macedonia, il più potente stato della penisola, deve essere a capo della Grecia; altrimenti presto o tardi i barbari ci conquisteranno e Ares solo sa quanto tempo ancora la nostra civiltà vedrà la luce.

Filippo V, Basileus di Macedonia e delle poleis Achee, ha intrapreso la costruzione di una flotta di quinquireme, e sta preparando l'esercito; ma pare che ancora una volta Sparta percepisca noi Achei come una minaccia, e stia a sua volta preparando l'esercito.

Che Roma possa cadere oggi anzicché domani, quando la sua potenza sarà cresciuta.



[Articolo di Astrid I]


~ Le Cronache Celtiche, la saga di Viridovix.


{II, Gli dèi della guerra}
~ Ogronniôs1243 (''217 a.C).
~ [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]

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“Non ci furono dì più gloriosi che quelli che la Gallia avrebbe conosciuto di lì a poco, grandi carri venivano trainati da selvaggi cavalli, i carnyx (''le trombe da guerra'') squillavano, e tra le miriadi di lance che minacciavano i cieli, le spade di ferro sguainate, i grossi scudi di legno incisi con gli emblemi tribali, ed i vari contingenti di uomini, in volto austeri e superbi, Viridovix si ergeva a capo di queste armate tanto nefaste quanto ''barbariche'', così come Roma sovente soleva definirci.

I Galli sia adornavano per la guerra con gli elmi alati, e gli Elvezi imbracciavano innumerevoli armi; a questi si unirono ingenti orde di guerrieri Aquitani, ed un esiguo numero di Belgi, i più spietati tra le fila dei militanti. La guerra era stata ormai consacrata con il sangue dei vergobret delle varie tribù, Orgetorix, Teutomalix e Cingetorix si inchinarono di fronte a Viridovix di Gallia, e promisero che lo avrebbero coadiuvato in qualsiasi momento con la campagna contro Roma, seguendolo in battaglia ovunque ce ne fosse stata la necessità.

I Druidi, sacerdoti vati e custodi delle eloquenti Tradizioni, consacrarono uno ad uno ogni membro della tribù disposto a combattere, sembre che se rispettasse i canoni anagrafici. E fu così che l'armata di Viridovix fu accolta presso la ''foresta dei Carnuti'' al cospetto dei sacerdoti, i quali celebrarono un rituale per Toutaits, per placarne l'ingordigia di sangue ed invocarlo a difesa delle sue genti. All'interno di una imponente scultura di vimini i Druidi segregarono un ''reietto'', un assassino, che venne fatto bruciare tra le sacre Fiamme, ed epurato dalla suo spirito decaduto.

Un insolito vento soffiava da nord, gelido e veemente si scontrava contro i robusti Menhir, eretti dai nostri padri ancestrali secoli or sono, e così il venerando Hoenir, il più saggio e lungimirante tra i sacerdoti, si levò dalla sua seduta, e si posizionò intorno al simulacro centrale, simbolo del dio Lùg; gli altri Druidi si allinearono intorno ad Hoenir, ed egli alzò lo sguardo al cielo con i suoi occhi grigi, e sentenziò con empia voce un vaticino:




« Mille frecce oscureranno il Sole,

e precipiteranno con sanguinaria violenza sopra i nemici,

catapultandoli nell'Oblio.

Toutatis discenderà assieme al suo carro da guerra,

adirato contro le Legioni dell'Aquila.

I cieli si faranno oscuri, cumuli di nebbie occulteranno ogni luce,

ed il rumore degli indomabili venti preannunceranno temibili piogge.

Tuoni rimbomberanno nel firmamento, e numerose saette brilleranno nel plumbeo cielo, evocando così l'inquietudine di Taranis.

Il sangue sgorgerà a fiumi tra le lande, e sazierà la sete di Hessus; corvi e cornacchie voleranno nel cielo, ricordando ai Celti, vestiti d'orso, la vittoria imminente.»



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{https://www.youtube.com/watch?v=1yU9QyBa-v0}

{I Druidi ed i sacri Menhir}


Fu così chel'epopea dei Celti inneggiò alla faida contro i figli di Roma, in cui gli orsi celtici si sarebbero scontrati contro i lupi italici.

Viridovix condusse le proprie armate contro quella che un tempo era terra dei Galli, ma che fu assoggettata ed egemonizzata dalla stirpe di Grecia, scagliandosi così in modo furente contro la provincia di Massalia, mentre inviò emissari e corvi presso i Celtiberi, dove Magavarix, condottiero degli Iberi, apprese che i rinforzi sarebbero presto sopraggiunti anche a meridione.

Gli Dèi avrebbero condotto gli Eroi caduti presso Annwn, l'Oltretomba degli arditi. Mentre i superstiti sarebbero stati ricoperti di Gloria ed Onore, e mai più avrebbero subito umiliazioni entro le proprie terre, all'insegna del valore autodeterminante dei popoli e alla lotta ascetica per la sopravvivenza.”




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[Articolo di HerbertBacke]


Σελευκιδική αυτοκρατορία

141 Inverni dalla Nascita del Sommo Sovrano Seleuco.


\\Επαναλήψεις της αυτοκρατορίας. (Riconquista dell’Impero)//

-Oh popolani che udite le parole del vostro Oratore, porto a voi buone novelle proveniente dal lontano Palazzo di Antioco III Basileus dei Seleucidi ove al suo interno il nostro Temibile Sovrano ha riunito nelle camere reali “L’Assemblea dei Philoi” una giunta di consiglieri: uomini saggi e intelligenti, conoscitori dell’antica e nobile arte della scrittura e della lettura gli unici e soli capaci di poter dare saggi consigli al Sovrano,

Il risultato della riunione è giunta dopo molte Lune ed è la seguente: Essendo Antioco III l’unico e degno Erede dell’Impero Seleucida ha come preciso compito quello di salvaguardare il suo bene difendendolo da qualsiasi nemico esterno ed interno, per cui le azioni di Acheo, Molone ed Alessandro sono state condannate come tradimento verso l’impero e la memoria di Seleuco, Padre fondatore dell’impero, per questo coloro che appoggeranno i traditori dell’Impero saranno perseguitati a vita finché la orrida figura della morte non giungerà da loro per portarli nel Ade ove pagheranno il tradimento commesso perendo per tutta la loro esistenza nel fuoco ardente.

Antioco III a capo di un numeroso esercito formato da più di 70.000 uomini armati e corazzati, si dirige verso Acheo il primo dei traditori che si è autoproclamato “Re dell’Asia Minore” e per questo dovrà essere giustiziato per il bene dell’Impero anche se nel profondo del cuore di Antioco questa è un orribile scelta poiché in età giovane loro erano fedeli amici e compagni di mille avventure legati da un legame che va oltre essere semplici cugini. Le Falange Seleucide sono dunque in marcia verso la città di Cilicia autoproclamata Capitale del Regno di Acheo pronti a raderla al suolo distruggendo tutto e tutti coloro che hanno scelto di seguire Acheo; sotto il forte sole trainato dal Sommo Dio Apollo i cui raggi colpiscono incessantemente la debole carne dei soldati, il lungo cordone di Falanghe segue muto e impassibile il loro Re Antioco III posto all’inizio della lunga linea di teste metalliche su di un carro trainato da dei cavalli simbolo della sua importanza poiché un Re del suo calibro non può e non deve camminare come i suoi degni, ma insignificanti soldati poiché Lui nelle sue mani ha la forza;dalla sua bocca penzola il destino di ogni vita che risiede su questo impero che può spegnersi se solo lui lo ordinasse; nel suo corpo circola il sangue puro del fondatore dell’Impero Seleuco. Quando il sole lascia spazio alla leggiadra luna che porta con se soffi freschi, gli imponenti soldati si incamminano e quando il sole picchia forte sopra i loro capi essi si fermano per potersi riparare, ma un Dì di questi un avvenimento strano che ha del Divino accade: dinanzi alla tenda di Antioco III una soave musica rimembra in tutto l’accampamento che sembrava provenire da un arpa Divina e subito i soldati si allertano e incominciarono a cercare da dove provenisse la melodia, ma in vano… Antioco stanco di dover ascoltare la melodia ripetitiva usci sbraitando dalla sua tenda ed essa subito svanì e al suo posto una sagoma misteriosa si avvicina. Era un vecchio, un anziano zoppo che si sorregge con un bastone si avvicina al Re con una sorprendente velocità e ciò subito rappresento un problema per i soldati che cercavano di bloccarlo, ma senza riuscirci poiché nessuno poteva muoversi.

Il Vecchio giunge dinanzi ad Antioco ed insieme entrano nella tenda; nessuno sa di cosa hanno parlato anche se in realtà nessuno è sicuro se ciò è avvenuto oppure è stata opera di un sortilegio, fatto sta che il Re da quel giorno ha chiesto numerosi libri da leggere durante il viaggio che riguardasse la cultura greca e la storia della città ateniese e chiunque gli domandò cosa sia successo quella mattina non risponde dicendo solo “Presto tutti sapranno” lasciando un alone di paura e curiosità.

Acheo rinchiuso nella sua città-fortezza prepara la difesa contro l’imminente attacco delle Falange Seleucide ritenuta dai comandanti seleucidi inutile poiché niente e nessuno può fronteggiare un attacco del genere, ma pur sempre onorevole è il voler di Acheo che nonostante il destino segnato dalla sconfitta e la morte non rinuncia al suo onore da guerriero combattendo fino alla fine, finché il suo cuore continuerà a battere e la sua anima non abbandonerà il corpo per giungere nell'Ade.



\\Αιγύπτιοι χωρίς τιμή. (Egiziani senza Onore)//

-Cosa è un Guerriero senza onore ?

Sicuramente un inutile essere non degno del dono della vita gentilmente concesso da Zeus destinato alla sola sofferenza che riceverà nell’Ade ove il suo corpo subirà le peggiori punizioni divine fino alla fine dei tempi, ovvero mai.

Ed è questo il destino di ogni singolo egiziano popolo indegno formato da uomini senza onore capaci di saper solo infangare chi riconosce la loro sconfitta, sentendosi forti per una banale vittoria credono di poter considerare la Siria una provincia del loro vile Impero mentre essa fa parte dell’Impero Seleucida e mai lo sporco vessillo Egiziano sarà sventolato sulle città Siriane senza che nessuna spada sarà spezzata e sangue abbevera le aride terre.

Sono giunti nel nostro Impero documenti scritti su papiri egiziani da una mano abile, uno scriba, abile nell’arte della scrittura capace di riuscir a soggiogare le menti del lettore inducendoli a far pensare che la vittoria Egiziana nell’ultima Guerra Siriaca abbia reso l’Impero di Tolomeo il possessore della Siria; costruendo intorno a questa mistica vittoria uno scenario surreale infangando il buon nome di Seleuco come fanno i giovani bambini che non sapendosi difendere sputano parole acide dalle loro fauci nell’invano motivo di logorare la loro vittima e soprattutto di far credere a chi assiste l’immaginaria superiorità Tolemaica del tutto non vera.

L’Impero Seleucida è si stato indebolito notevolmente dalla divisione dell’Impero, ma una volta che i traditori saranno estirpato.

Gli Egiziani sono un popolo la cui cultura è nulla in confronto a quella sacra e magnifica Greca che il Mitico Alessandro Magno ha cercato e riuscito a diffondere in tutti i territori che esso ha conquistato con il sangue di coloro che si sono opposti, tra cui anche i putridi Egiziani piccoli uomini che per sentirsi importanti e forti venerano Dei inesistenti così inutili e fantastici che essi vengono rappresentati con i volti di semplici e imbarazzanti Animali ripudiando ciò che Alessandro ha cercato di far apprendere loro: La Cultura e L’Intelligenza.

L’ultima disonorevole atto egiziano, riportato da dei manoscritti Romani, è quello di essersi alleati proprio con Roma, un popolo che minaccia gravemente i popoli Greci e la Cultura Greca, ma infondo cosa si può mai aspettare da loro se non ciò che stanno per diventare: Servi nelle mani dei Senatori Romani.

\\Πουνικός πόλεμος. (Guerra Punica)//

-Roma, una piccola città costruita al centro della Penisola Italica che in poco tempo ha subito dimostrato una tenacia e forza sovrumana, capace di costruire un esercito degno di essere considerato uno dei più potenti del mondo senza tralasciare la fioritura costante della loro cultura, della loro immensa capacità di gestire agevolmente l’economia del paese, ma senza dubbio il gioiello più importante di questa città è la mente di coloro che la governa.

Ebbene si la potenza di questo piccolo popolo è nella loro immensa saggezza e intelligenza dal punto di vista politico capaci di riuscire a governare un grande Regno in modo impeccabile senza troppi problemi, ma soprattutto nelle relazioni con le popolazioni estere lì eccelle la loro forza. In poco tempo possono riuscire a piegare un intera popolazione dell’interno senza nessun problema stringendo finte alleanze o promesse il cui fine è solo quello di un vantaggio proprio; gli uomini Romani sono maghi nella pregevole arte dell’eloquenza e dell’orazione e da questo possono piegare tutti i popoli che essi vogliono e un chiaro esempio è quello che sta avvenendo con Tolomeo o i vari alleati di Roma sparsi in Asia Minore e in Grecia, e se voi che udite ritenete che questa sia un futile modo per infangare Roma vi rifletto a pensare: Roma e i Romani ripetono incessantemente che qualsiasi popolo,Seleucidi, Greci, Celti, Cartaginesi e gli Stessi Egiziani, siano “Barbari” ovvero popoli senta cultura e ciò significa che l’unico Popolo Acculturato sia il Loro, ma ciò non spiega come si possibile che loro si alleino con popoli barbari, invece si: l’unico scopo di queste alleanze fa parte dell’obiettivo finale di Roma ovvero quello di piegare chiunque incontri per la loro strada.

Buone Novelle arrivano dalla lontana Penisola Romana che annunciano una grande disfatta dei Romani avente loro perso territori del nord della penisola per mano dei Fieri combattenti Cartaginesi comandati dal Prode Annibale che tramite la strategia dell’inganno è riuscito a prendere di sorpresa i Romani; facendo credere di un imminente attacco via mare i Romani hanno impiegato il loro esercito nella difesa delle coste lasciando scoperto il Nord da cui era impensabile un attacco, impensabile dai Romani ma no da Annibale che con un Esercito imponente ha percorso la terra dei Celti e attraversato le montagne della Penisola per poi attaccare senza pietà i Vili Romani.





[Articolo di Ferdinand-Foch]


Carthagine commentarius

216 AC

502 Anni dalla nascita di Cartagine.-

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E discendemmo cosi l'Italia Annibale e la sua folta schiera di soldati marciava impavida senza timore, non un solo popolo si era trattenuto dall'aizzarsi contro l'infamia e la tirannia di Roma, lentamente le vittorie di Cartagine si propagavano per mare per aria e per terra ogni schiavo ed ogni popolo soppresso.

Discesa la Gallia cisalpina ci trovammo in Etruria e marciammo impavidi verso Roma ma la nostra marcia venne interrotta dal console Gaio flaminio e da Gneo servilio Genimo cosi Annibale uomo di tattica insuperabile sposto l'esercito verso il lago Trasimeno e le truppe a piedate lungo le colline nascondendo cosi anche la cavalleria lungo una gola la quale i Romani non avevano ancora considerato con importanza. E cosi l'imboscata e la carica della cavalleria Numidica famigerata in tutta cartagine e non solo per la sua micidialità fecero breccia nelle loro difese portando alla morte oltre quindicimila morti e lo stesso numero fatto in prigionieri di guerra.

Il Console pagò cara la sua sfrontatezza in battaglia, Gaio Flaminio morì tra le atrocità che la guerra comporta e Annibale col suo nome divenne ancora più famigerato.

Ed è con quella carica che mosse nuovamente i suoi uomini verso la Puglia.

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Roma aveva paura, per la prima volta capì cosa voleva dire il vero terrore, tanto furono codardi da nominare un responsabile alla loro guida, qualcuno su cui scaricheranno le loro colpe una volta che tutto ciò sarà finito. Poveri stolti.. Quinto Fabio Massimo venne celebrato da eroe ed eletto a dictator una carica che gli conferì il potere assoluto.

Tuttavia gli Dei sono gelosi ed avidi, Annibale se fatto troppo vanto di quella miriade di vottorie impareggiabili, passando lungo le paludi campane la malaria ha colto infragrante i suoi uomini e lui stesso rendendolo cieco dall'occhio destro, un piccolo prezzo da pagare messo a confronto con la vittoria contro il tiranno.

Bisogna far capire all'aquila di Roma quanto ormai sia caduta in basso, bisogna far comprendere loro che in questa guerra non vi è l'odio di una sola nazione.

Canne diventerà cosi la tomba di settantamila Romani, la più grande tra le battaglie combattute.

Mercenari Galli, Numidi e volontari si unirono alle file dell'esercito di Carthago in quella che pare sarebbe sicuramente stata una delle ultime battaglie prima della grande vittoria.

Nei pressi del fiume Aufidio nonostante il cielo fosse sereno e neanche un corvo di malaugurio volasse tra le nuvole gli animi di Roma e di Cartagine facevano tremare la terra con l'imponenza dei loro sguardi e gridi di battaglia, gli elefanti barrivano i soldati suonavano i corni e fu tutto questione di pochi attimi Roma caricò e le la cavalleria Cartaginese battè in una falsa ritirata facendosi inseguire da questa, le truppe schierate in difesa allargarono le fila lasciando che i soldati Romani potessero adentrarsi tra di loro.. e cosi poi avvenne il grande massacro, grida sangue e budella che schizzavano ovunque, la cavvalleria Romana distrutta dopo l'inaspettata manovra di Annibale.

Varrone scappò con la coda tra le gambe insieme a quelle poche migliaia di uomini ancora in vita, come ulteriore sfregio vennero raccolti gli anelli d'oro dei patrizzi a terrà ben settantamila e furono inviate a cartagine come segno di vittoria schiacciante.

In questi giorni, molte città cambiarono il loro schieramento, Roma haveva perso le battaglie ma anche la fiducia di tutti i suoi cittadini che per disperazione in cerca di clemenza e salvezza passarono sotto l'imponente guida di Annibale il quale li grazziò.



[Articolo di Mussulmanopazzo]


::: :::: Annales Maximi ::: :::


216 AC

538 anni ab Urbe condita

[Foto]

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\\ Le triremi Greche lasciano il porto di Massalia carichi di donne e di bambini. \\

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[Civilitas Romana]

- Clades Romani Cannae - Sconfitta Romana a Canne

Roma muore, e con essa i suoi alleati. I Galli discesero dal nord atavici e iracondi, carichi di odio e di barbarici impulsi, sfondarono le innocenti mura dell'ellena città di Massalia, colpevole soltanto di aver avuto una relazione speciale con Roma; sfondate le fortezze, cadono le città. Massalia vide i Galli avanzare a passo svelto, il panico si diffuse. I capi richiamarono i vascelli dal porto, perché ormai consci della fine, prepararono per lo meno l'evacuazione delle donne e dei bambini. Furono messi in salvo. Gli schiavi e i soldati difesero invece le mura, ma senza la convinzione che il loro sacrificio avrebbe potuto cambiare le sorti dell'imminente assedio. Intanto animati ancora di un briciolo di speranza spedirono un emissario al campo di Viridovix, laddove però non riuscì a trattare la salvezza di Massalia, il quale fato era ormai stato scritto. L'emissario corse impaurito verso Massalia, ma la colonia Greca era stata evacuata, e le strade che pullulavano di mercanti, ormai vuote.



Poi arrivarono i Galli, che seviziarono infine il rimanente spirito di Massalia.

Le imbarcazioni arrivarono a Roma, le donne e i bambini erano al sicuro. Giurò il Senato, che non appena il vento avesse soffiato a favore della Repubblica, Massalia sarebbe stata restituita ai Greci. E sarebbero spettati a Roma: Mediolanum e Genua.

A parole. Ma nei fatti rapidamente muore, la nostra cara Repubblica, sorta civilmente dopo il rovesciamento della tirannica monarchia di Tarquinio il Superbo; barbari furono Annibale, che valicò le Alpi, e i nostri vecchi e pazzi senatori, che lo permisero. Barbaro fu anche Quinto Fabio il Verrucoso, che attese, e attese troppo, mentre Annibale si annetteva quei territori che Roma ottenne in tre secoli di lotte. Il Senato non rinnovò la carica di Fabio, ed elesse consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone.

Se Lucio Emilio Paolo, era un uomo prudente, non si poteva dire altrettanto di Terenzio Varrone. Varrone chiamò a se il più Grande Esercito che Roma avesse mai schierato contro Annibale; mai ricadde su un uomo solo, la responsabilità per la morte di così tante persone.

« Come pensi di vincere su Annibale, su un vasto campo erboso, quando i punici sono superiori in fatto di cavalleria? » Lo fermò il prudente Lucio Emilio Paolo.

E a Canne si scontarono Annibale e le truppe romane, con a capo i due consoli. Furono schierati 40mila soldati e 2mila cavalli, 10 mila erano invece i cavalli dei punici.

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Lottarono al nostro fianco i Sicani, i Rutuli, i Marsi, i Sanniti e i Bruzi, assieme a tutt'una moltitudine di altri popoli italici. Gli alleati italici lottarono fianco a fianco dalla parte di Roma, con la promessa che dopo la vittoria, la cittadinanza romana sarebbe stata estesa a tutta la penisola. Furono messe in campo tutte le forze che la Repubblica riuscì a coadiuvare, affinché Annibale venisse sconfitto una volta per tutte. L'esercito dei punici era costituito prevalentemente dall'abile fanteria libica e da mercenari Gallici, ma fra tutti, furono i frombolieri delle Baleari, con i loro proiettili di pietra, a sterminare centinaia dei nostri. Fu infine la cavalleria, caricando rapida sulla pianura di Canne, che accerchiò le forze di Roma e fece un ecatombe.



Quì vi perse la vita, il console Lucio Emilio Paolo, l'uomo che meditò contro la scelta di Varrone.

Lodevole fu il tribuno militare Publio Sempronio Tuditano e il suo celebre discorso, che consolò i soldati italici. Il manto erboso dei verdi prati di Canne bruciava; ma i nostri, sebbene la sorte fosse avversa, e sebbene Vittoria ci avesse abbandonati, si distinsero per il valore. Giacevano accatastati l'uno sull'altro i morti, più di 70mila contando gli ausiliari: si tratta di un innegabile disastro dalle proporzioni gigantesche.

Durante la notte, la follia omicida dei punici fu sfrenata: si ubriacarono come si ubriacano i Greci durante i Baccanali, accoltellarono i cadaveri dei soldati morti, e praticarono cose oscene su di essi. Animali furono loro. Gli dei stessi, crediamo abbiano provato pudore nell'osservare le immonde azioni delle truppe di Annibale.

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Perduta Canne, si ribellarono i Bruzi e i Lucani, e si ribellarono anche i Sanniti; animati da antiche vendette si unirono ad Annibale. I Bruzi, detti anche Brutti, abitanti della Calabria, odiavano Roma perché nel momento in cui il loro impero stava nascendo: essi furono stroncati. E i Sanniti sono noti a tutti, sono coloro che umiliarono i soldati romani, facendoli passare disarmati sotto un tunnel di lance. Anche Capua, città di Schiavi e di Gladiatori, tradì i latini unendosi alla causa Annibalica. Resistettero all'assedio, Neapolis e Taranto, che furono fedeli a Roma, come i pulcini lo sono nei confronti dell'Aquila.



Lo sconforto la fece da padrone a Roma, era ormai certo che la Repubblica sarebbe finita: Canne era una distesa di corpi inermi, non era stata riportata alcuna vittoria, la dittatura di Fabio fu inconcludente e una sconfitta dopo l'altra Annibale era ormai alle porte dell'Urbe. Quinto Fabio Pittore fu mandato dal Pontefice a Delfi, per consultare l'Oracolo di Apollo e chiedere direttamente il consilio al Dio. La sacerdotessa Pizia ha accolto Pittore dicendo: "Roma sarà assediata due anni, ma non cadrà. Poco tardi Giunione vi perdonerà."



[Civilitas Barbarica]

- Barbari in Bellum Poenicum - I Barbari nella Guerra Punica

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Ed ecco che nei tempi più oscuri della storia romana, tutti i nemici dell'Aquila escono allo scoperto e confabulano la fine della Repubblica. Filippo V il Macedone ha stretto un alleanza con Annibale, dichiarando di star preparando una flotta per l'occasione. Il Senato romano ha quindi inviato in Grecia Quinto Fabio Pittore ed alcuni emissari per stabilire delle alleanze con i popolo Etolici, nemici dei Macedoni, che tuttavia in passato rifiutarono le alleanze proposte da Roma rendendo dunque sempre tesa la disperata attesa.



I Seleucidi, barbari persiani dell'Oriente, che accusano senz'altro a torto Tolomeo di mancare di onore, quando nello stesso, l'ex Imperatore Acheo tradisce il proprio popolo fondando tutt'altro reame; scaricano contro Roma l'accusa di voler corrompere i popoli del mondo. Roma tuttavia, a differenza dei Greci, di cui i Seleucidi si vantano di essere tramandatari della cultura ad Oriente, non corrompe i popoli stranieri vendendo idee effemminate, stili artistici e letterari che traviano i Giovani e li allontanano dalla Guerra e dalla vita politica, trasformandoli in delle femminucce.

Soltanto i Tolomei sembrano essere veri alleati di Roma: nel più duro dei momenti: abbiamo potuto acquistare 1500 dei loro mercenari Galli e Traci.


~ Le Cronache Celtiche, la saga di Viridovix.


{III, Furor Gallico}
~ Qutiôs 1242 (''216 a.C).
~ ([Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]

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« O Silvano, semicelato nel sacro frassino
e sommo custode di questo nobile giardino,
a te dedichiamo riconoscenti questa poesia,
giacché attraverso i campi e i monti delle Alpi
(siamo) ospiti del tuo bosco dal soave profumo.
Proteggi, con il tuo incommensurabile amore,
me e i miei fratelli, che torniamo in patria nostra, continua a sostenerci
e concedici le nostre terre, (che) coltiviamo sotto la tua protezione.
Tosto (ti) consacrerò mille grandi alberi.»

~ (Invocazione a Sucellôs, Dio silvano).

“La profezia del saggio Hoenir, il più eloquente tra i Druidi, si avverò.

Massalia torno tra i domini delle Gallie, sotto la guida dei celti, popolo autoctono dell'ambiente.

Le mura che erano state infrante con violenza furono riparate, ed erette di nuove laddove quelle varcate risultavano irreparabili, il villaggio fu riedificato alla maniera gallica, costruendo le abitazioni attorno al centro, la piazza dove l'artigianato ed il mercantaggio animavano la vita della nuova cittadella.

Viridovix e la sua imponente armata si stanziò ivi, e si tennero banchetti e feste, e fu sacrificato un ariete per riverenza a Toutatis, Tranis ed Hessus, gli dèi che avevano assistito le furenti orde galliche a quell'assedio, che tuttavia non si rivelò impresa ardua, poiché alcun eroe, oppure ben pochi, erano rimasti a difendere il proprio villaggio.

Non esiste alcuna escatologia per deviare il corso della Giustizia e della Vendetta, il sangue che fu versato era il pegno per aver straziato le terre galliche, ed un modo per intimidire Roma ed i legionari dei consoli romani, tra cui la nomea di ''Quinto Fabio Massimo'' divenne celebre tra le file delle Gallie.



I preparativi per i prossimi obiettivi sono stati pensati durante tutta la notte tra Viridovix ed i ''rix'' Gallici, la formazione di armate più prosperose e insolenti era il compimento del primo punto, per poi poter attaccare verso altri punti strategici; alcuni manipoli di Liguri si diedero alla razzia tra le isole del mediterraneo, con lo scopo di demotivare le truppe locali ed ostentare il ''furor celtico'', e laddove fosse possibile... conquistare nuove terre.


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Le azioni di Annibale, condottiero dei Punici, erano state declamate dai bardi celtici, così come le gesta di Viridovix, il vergobret dei Galli e le nequizie del volgo romano. Le potenze d'oltremare, ostili a Roma, sarebbero presto insorse, tuttavia non avrebbero rappresentato dei veri e propri alleati per i Celti, ma solo nuove terre di cui apprendere la locazione, e forse appropriarsi di beni e ricchezze, disseminando panico e tormento.

Tra gli scaldi si palava di terre calde, e montagne di sabbie, appartenenti a Tolomeo IV, mentre d'un'altra già si conosceva la dislocazione, tra le sponde greche i nostri padri avevano travisato un cospicuo bottino, che avevano riportato in terra celtica, e disseminato chissà dove, forse solo i Druidi potevano rispondere per quanto concerne il suo nascondiglio.

Rare notizie giungevano invece dall'oriente, delle terre quasi sconosciute, di cui si narravano solo di numerose imprese belliche tra i ''seleucidi'', così i mercanti ci dissero si chiamassero la gente di quelle parti, ed il volgo di Tolomeo.

Nel frattempo i Celtiberi posavano il proprio ostile sguardo sulle legioni dal vessillo d'Aquila, essi avevano occupato una provincia non molto distante dai regni di Magaravix, e ben presto si sarebbe raccolto un contingente che da settentrione e da ovest avrebbero scacciato quell'incombente minaccia. Ma gli Dèi non si espressero attraverso i vaticini dei lungimiranti Druidi, né tantomeno essi sentenziarono il futuro, imminente o distante che fosse. Il Fato era occulto, così come le decisioni che ricaddero su Magaravix, e contemporaneamente su alcune forze di Viridovix, inviate a sostegno dei fratelli Celtiberi.”



[Articolo di HerbertBacke]


♗ ::: ☥ - Divina Tavola di Horus - ☥ ::: ♗

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90° Anno di Regno (215 A.C.)


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/-/ Sangue dalle fauci di Buchis, Api vivente, araldo di Ptah,

colui che fa salire la verità fino al Dio dal bel viso. /-/

hiero_I14.png?9d038 - [Apopi pervade Tebe] - hiero_I14.png?9d038

..................................................



220px-Amun.svg.png220px-Amun.svg.png

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Fin dagli albori dell'Antico Regno, la totale venerazione e devozione al Supremo, Amon, fu tradizione sanguigna per Tebe e per tutta la Tebaide.

Colui che aveva salvato, con la sua scesa, non solo Tebe, ma tutto l'Egitto, dalla furia dei Popoli del Mare che secoli or sono minarono il nostro Regno.

Nessuno poteva resistere alle loro armi: da Hatti, a Qode, a Cherchemish, ad Arzawa e Alashiya, tutte furono distrutte allo stesso tempo. La loro confederazione era composta dai Pelaset, dagli Tjeker, dagli Shekelesh, dai Denyen e dagli Weshesh. Essi misero le proprie mani sulla terra che si stendeva, mentre i loro cuori confidavano che il piano sarebbe andato in porto.

Razzie e malvagità si ramificarono in tutto l'Egitto, così che discese dal cielo il Sommo Amon, in soccorso al suo popolo e a suo figlio, per abbattere il male che giungeva

dal centro del mare navigando arditamente con le sue navi da guerra.

Così il Divino schiacciava i malvagi con la sua possente alabarda e a Tebe veniva eretto un Grande Complesso Templare, che in cuore lodava il Misterioso, colui che è ricco di nomi, nel suo Altare.

Ogni anno, dopo ogni esondazione del Nilo per volere di Hapy, tutto l'Ordine Sacerdotale ad Amon devoto, si riuniva a Karnak per celebrarne le gesta, venerarne la memoria e lodarne l'esistenza.

Dai sacri rituali svolti ai piedi del Dio coronato dalla doppia piuma, ne si genera la divina essenza, portata in processione sull'User-hat e poi lungo il Grande Fiume, a risalirlo fino punto in cui questo da vita al Verde Mare.

Unificate le figure dell'Occulto e del Sole in un'unica potentissima entità, Amon-Ra, anche questo divenne oggetto di venerazione, sostituendo il solo Amon.







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Nessun oracolo preannunciò però il dissacrante e terribile evento che avrebbe colpito non solo le celebrazioni, ma il Dio stesso...

Apopi, Asfet, la Malefica Serpe che cinge il mondo con il suo squamoso corpo, ha compiuto un orrendo crimine contro la Luce e contro tutta l'umanità.

Nelle Antiche Scritture è possibile ritrovare il Signore del Caos in un suo vile tentativo di sovversione contro colui che lo confinò nelle tenebre per via della sua natura malvagia.

Infierì la Lucertola contro il Sole Ra e la sua Barca, tendendo al Sommo un'imboscata poco prima della Decima Regione della Notte, quando lo scorrere dell'acqua celeste porta la barca solare a sorgere lentamente.

Si ingaggiava così un violento scontro, ove il più potente manipolo di Divinità composto da Horus, Seth, Sia, Hu, Heka, Bastet e Sekhmet, discendeva in soccorso del Padre dei Re, per annientare Apopi e i suoi simili che nel frattempo erano sorti dal Mondo dei morti.

I movimenti di Ra causavano grandi terremoti, mentre lo scontro che la Serpe ingaggiava con Seth originavano violenti tuoni.

Dopo un'epica battaglia, i maligni furono rispediti negli oscuri meandri delle nefandezze primordiali.

Solo lui, Apopi, sopravviveva, in quando incarnazione dell'eterna ed ancestrale lotta fra il Bene ed il Male, motivo per cui non poteva essere ucciso.

Da allora, la battaglia tra Ra ed il Serpente si ripete incessantemente ogni giorno, con l'intervento di Mehen, buon Dio che con il suo corpo recinge il ricovero notturno del Sole per proteggerlo dalla sue nemesi Asfet.

Puntualmente i due si scontrano e puntualmente Mehen vince, incatenando il Maligno alla Grande Colonna della Duat.

Puntualmente Mehen abusa del corpo agonizzante del suo simile; Il sangue che sgorga dalle sue ferite, tinge di rosso le acque della Barca Solare, all'alba ed al tramonto.

Ma nonostante tutto, l'orrido morbo di cui Apopi è portatore, pervade il Mondo e miete vittime, una dopo l'altra.

Questa volta, pare che il Caos si sia spinto oltre, manovrando qualcosa di terribile.

Il nubiano Haruennefer, Gran Sacerdote dell'Ordine Tebano, ha infatti ordito, sotto precise indicazioni del Male Assoluto, un triplice attacco, macchiandosi di imperdonabili peccati.

Si è infatti reso artefice della violenta sommossa che ha portato gli abitanti della Tebaide, accecati dalle ingannevoli parole del Demonio, a rivoltarsi contro il proprio Dio, sopraffacendo la guarnigione cittadina dell'Esercito Reale e dando alle fiamme l'intero Complesso Templare di Karnak.

Bruciavano funeste la cella di Amon-Ra, il flagellum e le sacre ampolle, mentre le fiamme creavano un cerchio di fuoco intorno alla Grande Statua della divina Luce.

Haruennefer, forte del corrotto appoggio di alcuni mercenari etiopi ed arabici e delle popolazioni indigene locali, proclamò decaduto Sua Altissima Eminenza Tolomeo IV, osando appropriarsi delle effigi e dei titolo Faraonici, instaurando il Regno di Tebaide, considerabile come l'incarnazione terrena della malata volontà del Maligno e dei suoi discepoli.

La Statua di Amon-Ra, che miracolosamente non era stata scalfita dal fuoco, venne abbattuta dai martelli del viscido usurpatore.

Nel preciso momento in cui l'ultimo colpo si abbatté contro la marmorea raffigurazione del Divino, ad Alessandria Tolomeo IV fu colto da un'improvvisa e lancinante fitta al cuore, a testimonianza dello stretto legame che rapporta Sua Grandezza con il Mondo degli Déi.

Il messaggio inviato da Haruannefer era chiaro e minaccioso sibilava come Apopi che si accinge ad imboscare Ra.

Il resto del clero tebano, aveva tacitamente assistito allo scempio di ogni monumento in onore di Amon-Ra e del Faraone, ed alla loro sostituzione con steli e statue in onore della Lucertola.

A Corte, giungevano quindi le terribili notizie provenienti dalla Tebaide.

Tutta l'Armata del Faraone si muoveva verso il Faiyum, dove il Perfetto e Potente Tolomeo, aveva dato ordini di adunanza.

Prezioso tempo fu perso nella formazione di una spedizione militare punitiva, per via delle precise richieste che il Generale Comano, aveva fornito: almeno 15.000 uomini e 30 elefanti da guerra, cifra non facile da raggiungere in brevi tempi, data l'impossibilità di spostare le guarnigioni dell'Antalia, di Cipro, della Celesiria e della Cirenaica.

Furono arruolati ed addestrati nuovi giovani in forze ed indigeni fedelissimi alla Corona Divina.

Intanto, si veniva a conoscenza di orribili eccidi perpetrati dal bastardo Hannuafer, che raggiunse l'apice della sua malvagità riunendo nel Grande Colonnato del Tempio, tutti coloro che si opponevano alla reggenza del Malefico.

In 400 furono i prigionieri torturati e seviziati.

Coloro che riuscirono a sopravvivere furono dunque condotti in ciò che rimaneva del Colonnato, ove dall'alto di un altare, l'usurpatore, si mise a praticare la magia allo scopo di paralizzare gli uomini lì e costringerli a restare nel luogo in cui si trovavano.Con la cera fabbricò numerose statuette che avevano forma umana e che impiegava per sprofondare nella più completa inerzia gli individui che esse rappresentavano.

Concluse il rito, costringendo gli sventurati ad uccidersi fra loro a mani nude.








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Nel mentre che tale barbarie trovava compimento, il Faraone e i suoi più stretti delegati, si erano riuniti presso l'oracolo di Crocodilopoli, ove il Sacerdozio di Sobek, evocò il Dio Coccodrillo, per richiamare la sua protezione sull'Armata di Comano e per dannare Hannuafer e i suoi discendenti.





" Le formule magiche devono essere pronunciate da un uomo casto e puro...



lui deve scrivere con l'inchiostro verde i nomi di tutti i nemici del Faraone su un foglio di papiro, sia essi vivi o morti,



oltre ai nomi di tutti coloro che sono sospetti e i nomi dei loro padri, delle loro madri e dei loro figli..



fare una statuetta in cera per rappresentare ciascuna di quelle persone e incidervi sopra il loro nome.



Unire poi le foglie di papiro con una piuma di colombo nero, sputarvi sopra e calpestare con il piede sinistro,



poi trafiggere le statuette con una punta metallica e infine gettarle sul fuoco e farle bruciare."






Così recitava il Sacro Papiro di Rollin e così fu.

Il Grande Sacerdote di Sobek, ultimò il rituale, elargendo al vento queste parole:





“Ogni nemico che faccia un atto ostile contro la figura del Faraone



o un luogo sacro, distrugga statue o danneggi iscrizioni,



avrà una vita tormentata da crudeli malattie,



soffrirà per la fame, sete e per i morsi degli animali feroci...



nessuno lo soccorrerà quando sarà in pericolo,



la sua fortuna non andrà al suo erede,



il suo nome non sarà onorato tra gli uomini



e non seguirà Osiride nel suo periplo celeste, ma anzi,



concluderà il suo vile e misero esistere tra le fauci del crudele Ammit”




Partiva così l'Armata Reale, con a capo il Generale Comano, nominato all'occorrenza Epistratego della Tebaide.

L'Usurpatore sarebbe stato punito, l'ordine ristabilito ed il Male scacciato!

---------------------------------------------------------------------------------------

[ - Oltre i Confini del Regno - ]







/-/ L'Aquila braccata dal cacciatore /-/







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Guardando aldilà dei confini del Regno, è possibile notare come il dannato sibilo di Apopi, non risuoni soltanto sulle nostre terre...

Così come l'Egitto ora si vede costretto a fronteggiare il Male assoluto, anche l'Aquila di Roma, sorella aggiunta del divino Falco Horus, si vede accerchiata pericolosamente dall'incalzante nemico Cartaginese, che dopo aver ingannato la macchina da guerra Romana, è calato dal cielo sul capo del popolo Italico.

La Corona d'Egitto è vicina a Roma e supporta la causa di questa, sottolineando come si sia concluso da poco un contratto di vendita per 1500 mercenari, tra Galli e Traci, che già avevano combattuto nelle valli Siriache.

Annibale, il condottiero cartaginese, è stato anch'essi oggetto del morbo della Lucertola, che ora mira a rompere gli equilibri dell'intero creato.

Ora, il Male marcia verso Roma, ma questa può vantare qualcosa che ai Punici (così sono chiamati i Cartaginesi nella Repubblica) manca...la mano di un Dio in terra, che seppur lontano, farà tutto ciò che è in suo potere per decretare la sconfitta di Cartagine e di Asfet!





[Articolo di Dark II]
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Messaggio Da Falco Mar Feb 08, 2022 9:14 pm

Carthagine commentarius

212 AC

506 Anni dalla nascita di Cartagine.-

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Non vi fù mai un momento più vicino alla caduta di Roma se non questo nella storia, e dire che per un breve attimo io stesso vi avevo creduto, guardavo Annibale come ad un grande eroe narrato nelle storie, ma le storie sono pura finzione..

-" Roma ha eletto nuovi consoli Q. Fabio Massimo (ex dittatore) e Tiberio Sempronio Gracco.

Di questi Claudio Marcello è divenuto proconsole. Lo stesso che con loschi sotterfugi e manovre codarde a costretto Annibale a lasciare Capua. Roma è famosa per sapere approfittare di ogni momento e questo il mio signore lo sapeva bene, arrivo un piccione viaggiatore che consegnò una missiva al nostro Generale, alcuni centri sono andati persi, in Iberia il condottiero Asdrubale è stato sconfitto a Detrosa dai fratelli Scipioni, Sagunto è caduta.

Quandè successo tutto ciò? il fato di punto in bianco ha abbandonato Cartagine sul momento decisivo, No non può andare cosi, io non lo accetto, Annibale non lo accetta.

Inviò una missiva a Filippo V l'alleanza con i Macedoni ha avuto successo, bisogna ancora aspettare attendere e sperare. A Siracusa Gerone è morto ed il suo successore Geronimo si è alleato a noi.

I Numidi visto il tentennamento e vista la prima sconfitta dell'esercito ne hanno approfittato ribellandosi e dividendosi in due regni, a capo di uno vi è Siface e a capo dell'altro Gaia, nomi di poco conto per quel che riguarda, una parte dell'esercito è stata spedita nella capitale per sedare gli avventi dei Numidi, non permetteremo a quegli stolti di rovinare i nostri piani..."-

-" E' passato un'altro inverno da quando siamo qui.. ci aggiriamo da mesi nelle terre mediterrane ma di Roma ancora nessuna traccia, ci temono ancora, una vittoria in un'altra terra non basta a rassicurare gli animi di chi ha visto la morte in faccia come i Romani.

In ogni caso, l'Iberia è un colabrodo, i Fratelli Scipione, due rivoltanti generali di giovane età tengono testa ad Asdrubale che tuttavia non cede e riporta anche esso vittorie e sconfitte a non finire..

Taranto è la prossima, nonostante il dimezzamento dell'esercito Taranto deve cadere..

Nella Sicilia Geronimo ha conquistato lentini ma si è fatto ammazzare come un idiota ed il proconsole Marcello lurido cane, ancora una volta se ne approfittato, la Sicilia è andata persa nuovamente.

Nella nostra terra il Re vasallo Siface ha attaccato Cartagine, di loro non sappiamo ancora nulla ne degli uomini inviati, Asdrubale tuttavia è stato richiamato lasciando gli Scipione a piede libero nella penisola. I macedoni al seguito di Filippo V hanno attaccato Apollonia ma sono stati pesantemente sconfitti, lentamente nell'animo dei soldati festosi e impavidi si sta sfumando quella certezza di vittoria certa di questi ultimi anni, e il loro animo cala e l'inmagine di condottiero invincibile di Annibale si sfoca come fumo al vento."-

-"Annibale ha conquistato Taranto, un ulteriore inverno ci è voluto ma la rocca, tenuta dai romani rimane ancora in piedi mentre la città brucia ed i soldati la guardano dall'alto.

Lo scontro pare incerto a questo punto della guerra, battaglie di poco conto nel mediterrane il proconsole Marcello ha attaccato Siracusa ma è stato respinto dunque ha scelto di assediare la città con Appio Claudio. Ci sono sbarchi cartaginesi e romani in Sicilia dove si combatte a tutto campo con alterne fortune, gli Dei non hanno ancora scelto la nazione prediletta pare che questa guerra non voglia finire cosi facilmente.

Roma ha inviato aiuti a Siface ma Cartagine ma Asdrubale con i suoi uomini e l'esercito di Annibale veterano della campagna nella penisola italica in sole due battaglie lo ha sconfitto, Gaia si è arreso ancor prima di combattere, gli avevamo offerto il vassallaggio inizialmente, ma questi non si sa bene il perché forse convinti della loro superiorità hanno rifiutato, le nostre truppe pare che abbiano distrutto completamente i loro sogni di gloria seppellendoli sotto i cumuli di cenere e torba."-

-"Ad Herbodia il Generale ha raggiunto i primi importanti risultati politico-strategici. Alcuni centri cominciano a cedere e ad abbandonare i Romani, come Campani,Atellani,Calatini parte dell'Apulia, I Sanniti escludendo i Pentri, tutti i Bruzi, i Lucani gli Uzentini e quasi tutto il litorale greco, i Tarentini, quelli di Metaponto, di Crotone di Locri e tutti i Galli cisalpini, e poi Compsa insieme agli Irpini. Con il grosso dell'esercito, si diresse in Campania dove riuscì ad ottenere dopo una serie di trattative la defezione di Capua. Abbiamo conquistato quasi tutto il meridione tranne Reggio e il porto di Taranto, gli unici porti adatti a ricevere rinforzi consistenti. Intervenimmo a Siracusa, ma un malanno inviatoci dagli Dei decimò l'esercito. Il Condottiero Asdrubale è tornato in Iberia, con Massinissa alla guida della cavalleria. Filippo V a attaccato via terra le città della costa adriatica facendo di queste strage... Ancora un pò Didone concedici altro tempo! Roma non può sfuggire al suo destino, deve cadere e divenire cenere.. Didone te ne prego.."-

Io sono solo un vecchio uomo, non un saggio,ne un guerriero, ne un veggente.. non prevedo il futuro ma quantomeno Spero, perché gli dei me lo concedono, ed è in Annibale che ripongo tutte le mie speranze.

-"Ho sentio dire che a Nord i Galli si stanno dando da fare nel combattere Roma, guidati da un certo Viridovix detto il Vergobret dei Galli hanno riconquistato città ed espanso i loro confini, lentamente i pezzi di Roma cadono, ma se vi è una cosa a non cadere è il servilismo Egiziano, adoratori di cani e gatti.. cosi li chiamano alcuni, poco importa anche per loro, quando sarà la fine il loro impero di cui si fanno tanto vanto ma che in realtà è poco più che un inmenso Granaio dedito a sfamare Roma, cadrà o passerà ad altre mani."-



[Articolo di Mussulmanopazzo]


Αγορά
212 AC

(564 anni dopo le prime Olimpiadi)

{Θέματα πολιτών | Questioni Cittadine}
|La flotta di Filippo V|

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Filippo V si alleò con Annibale, e fece delle idee di Demetrio di Faro il portavoce. Demetrio pensò, che se Roma fosse caduta, l'Ellade avrebbe ritrovato la pace, riunita sotto lo scudo macedone per mezzo di un sistema di alleanze. Con questo non era escluso che i Greci avrebbero riottenuto dai romani le colonie perse a Taranto e nel sud dell'Italia.

Per prepararsi alla Guerra contro Roma, il Basileus ebbe un ambizione che nessun'altro macedone aveva avuto fino a quel momento: fece costruire ai mastri carpentieri centinaia di imbarcazioni: i Lembi, navi piccole e veloci, usate dalle popolazioni barbare dell'Illiria. É concluso il tempo di Temistocle, quando tutte le Poleis, Atene in primis, si potevano permettere una flotta: soltanto la Macedonia, unico bastione della salvezza ellenica, ha abbastanza ricchezze da permettersi di costruire una modesta flotta.

Centinaia di Lembi sono partiti dal porto di Atene, hanno fatto una sosta nell'isola di Cefalonia e hanno provato a conquistare l'Illiria, caduta nei decenni addietro nelle mani romane. Verosimilmente, i Lembi, vano e improvvisato tentativo, furono affondati nelle acque dell'Adriatico come dei sassolini affondano in un fiume. Grande fu il disastro, soprattutto per le spese che la Macedonia aveva dovuto sostenere per la realizzazione dei Lembi; ma non fu tanto per le perdite, quanto per il disonore: lo stesso Basileus, aveva scommesso la vittoria contro Roma contando su queste piccole imbarcazioni.

I Lembi superstiti, fecero ritorno ad Atene, dove non accolsero nessun sorriso e nessun applauso dai cittadini. Filippo tentò una nuova invasione via mare dell'Illiria, ma i romani apparentemente indeboliti dalla sconfitta a Canne, erano invece irremovibili.

E fu così che la flotta di Filippo, vanto dei macedoni, venne annientata in una sola notte.



|Il tradimento dell'Etolia|

A questo punto, un velo di pietoso disonore aveva ricoperto la Macedonia, sconfitta per mare, ma non ancora per terra; del resto i macedoni hanno sempre preferito lottare sulla terra ferma piuttosto che tirare in ballo Poseidone.

Filippo V, dunque, deciso a riscattare una volta e per tutte l'onore perduto, partì lui stesso dalla capitale Pella, a capo di un vasto esercito. Al calare della sera salutò alla moglie Polycratia, e ci spese l'ultima notte.

Polycratia si augurò che il marito avrebbe presto fatto ritorno a Pella.

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L'esercito di Filippo si mise in marcia, tuttavia, ancora una volta il fato andò contro di lui. Sparta ed Elis entrarono in Guerra, e con loro tutti i popoli dell'Etolia, mandando a monte i piani del Basileus.

I romani mandarono i loro emissari e si allearono con i Greci del sud e con quelli dell'Anatolia.

Il Basileus Filippo non perdonerà il vile tradimento dei popoli etolici ai danni dell'Ellade: hanno permesso ai romani di infiltrarsi nella politica Greca, si sono dunque sottomessi a Roma, a quei barbari che rifiutano di imparare Omero, e detestano la nostra raffinata cultura. Il morale dei macedoni, molto basso dopo le sconfitti in Iliria, sarà tenuto alto dalla diretta partecipazione di Filippo V alla Guerra.

Possa l'Olimpo decidere per il bene della Macedonia, perché il tenace Filippo conduca vittorioso le sue armi, e non resti vittima delle sue scommesse.



|Gli Specchi Ustori di Archimede|
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I romani sono un popolo rozzo e barbaro, senza cultura, e non sopravviveranno all'assedio del potente Annibale. Fossero come i Greci, avrebbero uomini come Archimede: luminare delle scienze. Archimede ha sorpreso e spaventato i romani con una sua nuova invenzione. Ottenne dal re di Siracusa tonnellate di catrame, e enormi lastre di vetro: quando la luce del Sole colpiva le lenti, e con l'effetto del catrame, veniva a crearsi un fascio di luce concentrato, capace di appiccare il fuoco a distanza. Queste lenti vennero disposte sulle mura.

In questo modo, le navi romane che provarono ad avvicinarsi, vennero bruciate dalla conoscenza e dalla cultura di un Greco; i romani vennero sterminati dal fuoco, dalla potente luce riflessa nella lente di Archimede, come tante misere formichine.



{Βαρβαρικά θέματα | Questioni Barbariche}
|Tolomeo e i Celti|

I Greci hanno appreso con amarezza per la fine dei fratelli di Massalia, scacciati dalla loro città dopo che i Celti, furibondi e crudeli, l'hanno messa a ferro e fuoco. Fortunatamente, le trireme sono riuscite a mettere in salvo le donne e i bambini di Massalia. L'opinione delle Poleis simpatizza con i poveri abitanti della colonia massalica, in terra lontana ma sempre vicina nei cuori dei Greci.

La fine di Massalia, assesta un ennesimo colpo al morale dei Greci del sud, che si schierano definitivamente dalla parte di Roma, piuttosto che dalla parte di Annibale, e dei loro crudeli alleati Celti: una razza di barbari senza cultura e senza scrittura, che sta più in basso dei romani, e che si ostina a nascondere il tesoro del dio Apollo, che un secolo fa ci venne da loro derubato. Sono bravi soltanto a fare la Guerra, ma non si curano né delle arti, né della pace.

Gli stessi, bramano di derubare i tesori d'Oriente, e i tesori di Tolomeo, lo splendente Faraone che ha stretto un alleanza con Filippo V e ha venduto i suoi schiavi.



[Articolo di Astrid I]


::: :::: Annales Maximi ::: :::


212 AC

542 anni ab Urbe condita


[Foto]

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\\ Roma sotto assedio. \\

[Civilitas Romana]

- Res Publica ardet sed Scipionii molet - Brucia la Repubblica ma i due Scipioni calpestano le fiamme

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Se la Repubblica sta ancora in piedi, nonostante le rivolte, nonostante la palese e imminente sconfitta, lo dobbiamo ai due fratelli Scipioni: Publio Cornelio Scipione e Gneo Cornelio Scipione. Già la Gens Scipionica si distinse per il valore, e salvò in altre occasioni Roma. Ricordiamo le azioni di Publio il Vecchio, che nonostante una tempesta, riuscì a mettere in salvo i marinai romani durante l'invasione della Corsica. I due fratelli sono tutta la speranza di Roma: che mentre perde in Italia, consolida tuttavia le proprie posizioni in Hispania avvicinandosi alle coste numide.

I manipoli romani, coadiuvati dalle truppe ausiliari reclutate localmente, hanno attraversato l'Ebro, e nei due anni passati hanno liberato la città di Sagunto, nostra alleata, che i punici espugnarono.

Gneo Cornelio Scipione, lasciò volontariamente l'accampamento in Hispania e dopo aver salutato il fratello cercò un accordo con i Galli Iberici, Governati da un certo Macarovix. Gaio è stato ben accolto dal Gallo, e ha ottenuto da questi la certezza che il popolo Iberico non lo attaccherà.



I soldati difesero per bene le coste della Corsica contro i pirati Gallici che stavano compiendo delle razzie, poi si diressero a sud, per riottenere l'isola di Sardinia, caduta nelle mani dei punici dopo la rivolta dei Sardi.

Nello stesso anno si era ribellato all'Impero Punico il re numida Siface.

C'erano ancora delle speranze per la salvezza della Repubblica e il Pontefice fece costruire a Roma un tempio dedicato a Venere; ma i traditori erano dentro il Senato. Il Censore Publio Furio Filo, astuto come nessun'altro, denunciò al popolo romano alcuni membri della classe senatoria ed alcuni membri della classe equestre, che dopo la sconfitta a Canne si dissero favorevoli alla resa di Roma. « Pensate alle vite dei soldati romani! Perderemo, e tanto vale arrenderci. » Dicevano, appellandosi all'humanitas. Tuttavia l'astuto Censore ha scoperto uno scambio di lettere tra i senatori ed Annibale, che dopo la Guerra li avrebbe premiati con monete d'oro e con cariche pubbliche.

I traditori furono dapprima castrati, poi sventrati ed arsi ancora vivi, sacrificati alla dea Bellona, la sposa di Marte.

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Gli dei, assistettero all'erezione di un tempio a Venere, e al sacrificio dei traditori a Bellona. Gli dei e la stessa Giunione, iniziarono a perdonare Roma. Il Pontefice sapeva, e pertanto ordinò la pratica dei sacrifici. Gli dei erano stati allietati, e la profezia del dio Apollo presto o tardi si sarebbe conclusa: Roma avrebbe vinto; ma non tutti ne erano convinti.

Roma cercò di assediare la città di Siracusa, schieratasi con i punici. Tuttavia i Greci, che hanno buona conoscenza delle scienze, hanno sfruttato contro Roma i poteri del dio Sole. Si dice che le navi romane che si avvicinarono alla città di Siracusa, vennero incenerite dalla luce riflessa da Grandi Specchi. Si dice che il Greco Archimede, un Genio dalla folta barba, sia corso nudo per la città di Siracusa urlando "Eureka! Eureka!", ed abbia inventato questa mortale macchina di morte, che sfrutterebbe il vetro, il sole, e il catrame, per riflettere la luce del sole e concentrarla sulle navi appiccando fuoco.



Altra invenzione di Archimede, fu "la mano ferrea", una specie di Gru, che veniva montata sulle mura di Siracusa, afferrava le imbarcazioni romane, le sollevava, e poi le faceva ricadere a mare.

Tuttavia, dopo un anno di assedio, Siracusa cadde. Il Senato chiese che Archimede lavorasse per Roma, tuttavia, il Genio venne ucciso da un soldato, che lo scambiò per un semplice vecchio barbuto. L'oro di Siracusa è stato portato a Roma, assieme alle statue e alle opere d'arte.

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[Civilitas Barbarica]

- Graeci Romam Adiuvant - I Greci Aiutano Roma

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Roma vinse, dopo diversi anni che furono una sconfitta dopo l'altra, Roma stava vincendo. La profezia si stava avverando, e i discorsi drammatici dei ciarlatani erano svaniti, catturati dal vento del tempo. Stava vincendo in Hispania, aveva vinto a Siracusa.

I punici assediarono Roma, carichi di odio e di vendetta. Annibale era sicuro di vincere, questo era il suo passo finale: caduta Roma, la Repubblica sarebbe caduta.

I 7 colli furono abbandonati di corsa, il popolo dei Latini si mise al riparo dentro le mura di Roma, attendendo con ansia il resoconto dell'esercito. Il Pontefice compì innumerevoli riti propiziatori. Il Senato fece uccidere i ciarlatani, che spaventavano la popolazione raccontando sciocchezze, e fantasticavano orribilmente su quello che i soldati di Annibale avrebbero fatto alle matrone romane una volta che le mura sarebbero state abbattute.



Furono allertati i reparti militari, mentre i politici prendevano il comando dei manipoli. I tribuni della plebe rassicuravano la popolazione. I tribuni militari facevano infiniti discorsi per consolare le truppe, alle quali in cambio della fedeltà vennero promesse immense ricchezze e delle terre per le loro familias. Gli alleati italici, che erano arrivati in moltitudine a Roma, erano convinti che i consoli avrebbero esteso la cittadinanza romana a tutta l'Italia, ed erano pronti a combattere.

Gli edili controllarono le riserve alimentari, che bastavano per diversi anni. Roma era pronta.

Quando i punici l'assediarono, i soldati romani si divisero: chi difendeva il Senato dai traditori, chi difendeva le mura, chi controllava la plebe. Ancora adesso, Roma sta sotto attacco.

Prima che tutto questo avvenisse, il console Marco Valerio Levino, era stato spedito in Grecia. Gli etoli si erano decisi ad accettare i trattati e le alleanze offerte da Roma, che nei tempi passati avevano rifiutato. Alla fine i Greci del sud "civilizzati" ma effemminati, si sono sottomessi alla potenza di Roma, tanto forte è l'odio che provano verso i Greci di stirpe Achea, loro fratelli.

Filippo V il Macedone poi, fu sconfitto in Illiria ripetutamente, e le barchette di cui andavano fieri furono affondate.

Roma in Grecia vinse due volte.


{IV, Cade l'albero senza foglie}

~ Giamoniôs 1238 (''212 a.C).

~ (https://www.youtube.com/watch?v=KIbIIfQAdM0).

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« Riposino in pace le spoglie degli Avi,

Econ loro il ricordo di ciò ch’è perduto.

Conla memoria di epiche imprese

Nonsi erigono sontuosi palazzi

Meglioun riparo di frasche, un‘umida grotta,

Chemille città popolate di spettri.»



~ (Il Druido sui Tumuli ancestrali).

“Tutto è cambiato, il rumore sferzante del vento, il delicato tatto dell'acqua, la solida consistenza della terra, la danza del fuoco, attraverso cui i nostri Druidi volgevano i propri profetici occhi verso l'imminente futuro.

Pare che sia il mondo d essere cambiato, e come esso anche il Firmamento, la volta celeste con i suoi astri brillano imperituri in direzione di Roma, ed i corvi portarono malaugurio e nequizie circa le speranze riposte in Hannibalix (Annibale), ormai perse.

La fine di Roma poteva essere ingente, eppure il volere degli Dèi era favorevole alla Rinascita dell'insegna dell'Aquila.

La diplomazia del nuovo console, Gneo Cornelio Scipione, era riuscito a percorrere escatologicamente un’uscita dall'accherchiamento nella quale Roma si ritrovava, intenerendo il cuore di Magarovix dei Celtiberi, ospitale e cortese, e strappandoci il dominio sui Veneti, benché da anni ormai fossero disinteressati alle questioni celtiche, ripudiando la propria origine.

I Liguri assalirono le sponde dei mari romani, cercando di depredare e razziare nuovi beni, ma furono repressi da un contingente di legioni, sebbene affrontarono il nemico fino a raggiungere l'Annwn.

Viridovix, ristoratosi nella nuova Massalia, poderosa e ricostruita, apprese di quanto stesse succedendo nel Mondo, l'Irminsul, l'Albero sacro, era ora in tumulto, e si recò con grande spirito presso il Grande Menhir nella santa foresta dei Carnuti, dove innanzi impilò il proprio spadone, e s'inchinò col capo basso difronte all'enormità di Lùg.

Quale risposta poteva carpire dalle Tradizioni? I Druidi erano restii a sentenziare il futuro, « Gli equilibri tra il mondo divino e quello materiale sono infranti, solo nefaste e confusi simboli elargirebbero gli Dèi. » soventemente, rispondevano al Vergobret dei Celti.

Eppure tra rigidi inverni e verdi primavere egli aveva ben condotto il proprio popolo alla conquista, e Viridovix non si sentì mai minacciato, ma adesso che gli alleati si assottigliavano o risutavano lontani le Gallie ripresero il corso delle vite barbariche.

I ''rix'' discutevano, tra gli Elvezi ed i Belgi crescevano le preoccupazioni.

Difatti i Germani discesero già un paio di volte oltre le sponde del Reno, cercarono di attaccare villaggi limitrofi, e così altro sangue fu sparso, Hessus, il Dio bramoso di anime, non era soddisfatto delle battaglie fin ora riportate, e Toutaits, Dio della guerra, batteva la propria mazza tra i Belgi ed i violenti Cimbri, e gli Elvezi stessi si ritrovarono orde di Alemanni.

Tra innumerevoli frecce che vibravano sopra le teste dei guerrieri galli, tra i massi scagliati dai Cimbri e le fiamme divampate tra i campi, le guerre per la sopravvivenza barbarica erano una prova di sopravvivenza.

Orgetorix, Re degli Elvezi, condusse le proprie orde veementemente contro il nemico, sbaragliando la difesa di fanteria dei cugini poste oltre il Reno, mentre più a nord, in Belgica, Teutomalix, re dei Belgi, detto ''Il Flagetto dei Germani'', scacciò repentinamente i Cimbri, che fuggirono oltre il fiume, ed i guerrieri rimasti furono bruciati in statue di vimini, e dati al fuoco per placare Hessus, Taranis e Toutatis.

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Dopo la sanguinaria impresa bellica a difesa dei propri confini, i Re gallici si riunirono.

Teutomalix di Belgica, Orgetorix degli Elvezi, Cingetorix d'Aquitania, Magaravix de' Celtiberi ed un nuovo condottiero per i Liguri, Neunnorovix chiesero a Viridovix udienza, il quale invitò ad un lauto banchetto i fratelli celti.

Non ci sarebbero stati più tradimenti, non ci sarebbe stata più disorganizzazione, ma d'ora in avanti la completa coordinazione era delegata nelle mani del Vergobret di Gallia, che promise l'incolumità ai propri fratelli, le terre delle Gallie sarebbero rimaste tali.

Per sugellare un'amicizia, strenua e prosperosa, Viridovix chiese di erigere nella propria ''capitale'' di Celtica il Cromlech di Belanu, l'edificazione d'un osservatorio era vitale per le Tradizioni, di qui a poco si sarebbe festeggiato Ostara, uno dei Sabba, e gli Esbat erano all'ordine di ogni mese. Il Sole di Belanu era vita, per l'agricoltura, l'allevamento, le attività quotidiane, ma maggiore tra tutte le virtù del dio Belanu era quella di repellere i vili ed i nemici, il nuovo luogo di culto solare sarebbe stato un simulacro di nuova speranza contro Roma.

Ma un ulteriore opera fu posta non molto distante dal nuovo Cromlech, per le donne delle Gallie fu ordinato dal valoroso Vergobret un Menhir a Belisama, la sposa di Belanu, Dèa del fuoco imperituro, così come lo spirito che le donne dovevano avere in un'epoca di guerre e rovinose battaglie.

In Gallia la notizia della la guerra tra il popolo di Grecia, rotta di appetitose razzie da parte dei nostri padri, e la stirpe di Roma giunse alle orecchie dei ''rix'' e dei lungimiranti Druidi, che essa si fosse consumata tra i mari, decretando la sconfitta del re Macedone via mare fu appreso stata grazie alle navi Liguri che salparono mesi prima per saccheggiare le coste Illiriche, di ritorno dai loro improrogabili affari riuscirono a salpare prima che la situazione potesse degenerare. A occhi nostri era mai possibile che un dei popoli così simili in fatto di costumi, eppure così differente in fatto di sangue, potessero scatenare guerriglie?

Ma a quanto altre notizie giungono alla porta del Sud, storie di tradimenti inconsulti e di alleanze stipulate.

Del resto del mondo non ci sono pervenute notizie alcune, solo i vaticini dei saggi Druidi possono presagire cosa succeda tra le terre di sabbia.”




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[Articolo di HerbertBacke]


::: :::: Annales Maximi ::: :::


210 AC

544 anni ab Urbe condita

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\\ Auspici di un Augura (sacerdotessa). \\

[Civilitas Romana]

- Roma obsidiis superstit et Hannibalem repellet - Roma sopravvive all'Assedio e scaccia Annibale

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Le armi battevano sullo scudo ferreo. Annibale era arrivato, il cielo si era oscurato in sua presenza, la terra si era ritratta al suo passare e il vento prese a soffiare sullo scarlatto stendardo di Roma.

La Repubblica, odiata dai divini, era stata infine perdonata. Gli dei compresero che non potevano andare contro l'inviolabile profezia, che per secoli fu detta vera dalla Sibilla Cumana: la profezia, dell'avo Enea, superstite di Troia in fiamme, che venne sulle sponde laziali per mezzo della Didone innamorata, portando con se i Penati (Spiriti) dei suoi valorosi antenati.

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Gli auspici del Pontefice Gaio Livio Salinatore, che vide un aquila, trascinata dai venti, volare alta e fiera, erano senz'altro positivi e avrebbero preannunciato la nostra vittoria.

Le armi di Annibale si scaraventarono sulle mura di Roma; le arieti premevano le porte, mentre dalle rampe provavano a salire i soldati punici. Attesero due anni, perché credevano che Roma avrebbe ceduto, che le riserve di cibo, stipate efficacemente, non sarebbero durate così tanto.

Annibale era stato veduto, là, con un suo esercito, che da uno dei sette colli scrutava paziente l'esito prima di unirsi ai suoi.

La plebe si mise in salvo, i patrizi chiusero le villae timorosi del disordine e dei ladri. I punici non riuscirono a varcare le mura. Gli assedianti erano minori in numero, rispetto ai nostri, nelle quali fila fremeva forte lo spirito italico, desideroso di farsi valere e di conquistarsi la cittadinanza romana che fu loro promessa.

Poi, nel cupo cielo, si vide un picchio, uccello sacro al dio Marte. Annibale stette a vedere per un po' i suoi uomini morire alle porte di Roma: anche stavolta una delle sue carte era stata bruciata; presto lasciò il campo e si ritirò assieme ai superstiti.

Capua fu sconfitta in assedio dai manipoli di Neapolis, e fece ritorno a Roma. Gli apuli, che ad Eridania sconfissero due volte i romani, alla fine furono sconfitti. Ormai i punici avevano perduto il sud dell'Italia, era questione di un anno. Emilia e Gallia Insubre invece restavano nelle mani dei punici, che tuttavia scarsamente riuscivano ad evitare l'avanzata romana nelle paludi dell'Umbria. Contrariamente ai primi auspici, il vento soffia adesso dalla parte di Roma.

Gli dei hanno voluto temprare il modo in cui i noi romani facciamo la Guerra. Gli dei infine, ci hanno resi più forti di quello che eravamo.

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Il Gennaio il Pontefice volle che quell'illo die, in onore di Cerere, la materna dea infernale, si aprissero le tombe. In questo modo venne aperto un ponte tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Gli Inferi, che ospitavano le più valorose anime antiche, si riempirono di vivi, che parlarono alle anime dei loro cari defunti, e da loro trassero virtù. Gaio Salinatore offrì in sacrificio a queste anime, una scrofa incinta.

Questo allietò Cerere, la fertile dea infernale. Da allora il popolo italico di Sicilia fu in pace con Roma, e i prodotti alimentari dei siculi sfamarono Roma, che fino a quel momento, per colpa di Annibale, stava avendo problemi correlati all'inflazione e alle carestie.



[Civilitas Barbarica]

- Bellum Macedonicum - Guerra Macedonica

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Diversa fu invece la sorte del fronte romano debolmente accampato in Grecia, in aiuto delle alleate Sparta ed Elis, contro Filippo V: i macedoni, che accecati di illusione provarono ad invadere l'Illiria con delle barchette, ne furono fortemente disonorati. E dunque, decisero di rinunciare ad attaccare via mare, e combattere via terra, come la tradizione macedone preferisce.

Il portentoso esercito di lancieri macedoni, si compose in meno di 6 mesi ed attaccò Bisanzio, capitale della Calcedonia, alleata di Roma. Successivamente il re Filippo V, che era partito da Pella a capo di un altrettanto portentoso esercito, attaccò Corinto assieme alle truppe achee di Atene. I pochi manipoli romani, scarsamente numerosi e circondati da entrambi i lati, non potettero nulla. Corinto era caduta a Filippo V.

I soldati romani superstiti, che lasciarono Corinto, razziarono le poleis alleate (ma sconfitte) che incontrarono sul proprio cammino, suscitando l'ira e il sospetto dei Greci. Fu colpa di condottieri romani poco disciplinati, del partito democratico.

Arrivarono l'anno successivo i rinforzi. Filippo V era riuscito a conquistare Elis (Giannina), uno dei più importanti reami etolici.



I macedoni si batterono contro le truppe di Roma, e in una prima fase vinsero. I manipoli di Roma avevano perso Corinto, parti del Peloponneso, la Calcedonia, e in quel momento Elis. Difendere la Grecia dall'attacco macedone divenne un compito arduo.

Il re Filippo V, lasciò vittorioso Elis con un cospicuo esercito. A questo punto le truppe romane riattaccarono la città, e dopo diversi mesi di assedio la ripresero.

Il Senato, preoccupato perché Roma possa perdere le sue posizioni, ha inviato a Pella il console Marco Valerio Levino, per discutere di un Armistizio a fronte delle vittorie macedoniche.


~ Le Cronache Celtiche, la saga di Viridovix.


{V, La primavera dopo ogni inverno}
~ Equôs 1236 (''210 a.C).
~ (https://www.youtube.com/watch?v=Co8Qo4hTyb4).

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« Guarda la dolce curva del ventre di una donna
Quando trepida attende il primogenito.
Ascolta il canto della Primavera
Che scioglie il ghiaccio del ruscello.
Contempla il presagio di nuove imprese
Avvolto nel sudario del guerriero.»

~ (Poema ancestrale, ''nuove speranze'').

“ Il tempo del cordoglio per la morte di ogni Speranza era finito, dopo che il destino di Roma non vacillava più era doveroso per i Celti prendere precauzioni. Era il tempo della rinascita, a ogni rigido inverno succede una verde primavera, stagione di nuovi fiori e di futuri frutti. La speranza, tanto ostentava, forse era persa, ma forse non ci fu popolo più capace dei Celti di ricostruirsela; la commistione tra l'uomo e la natura, concetto d'una fusione panica, ha sempre garantito ai celti di tutte le Gallie un radioso avvenire, poiché tutto ciò che fu eretto e che verrà eretto dai celti risulterà artisticamente inglobato dalla Natura, anche se i villaggi di legno e paglia dovessero bruciare per innumerevoli guerre, i Celti hanno saputo vivere con il cielo come tetto, la selva come strada, ed i simulacri di umile pietra come tempio, immutabili, inerti alla fugacità del tempo.
Intanto i Celti, sotto la guida del proprio Vergobret, avrebbero avanzato, cercando di occupare zone strategiche nella penisola italica, come la pianura padana, che apparteneva ai vecchi alleati di Cartagine e che ora, scoperta, esso poteva risultare una nuova terra da coltivare.


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Giunse fino alle orecchie di Viridovix la notizia che a Magarovix fu concesso dai Romani ulteriore terra su cui estendere i propri domini, in nome del popolo celtibere, e nonostante il Vergobret non era solito instaurare rapporti con la civiltà di Roma vedeva di buon occhio il concordato che cedeva quell'intera provincia all'egemonia celta, forse, Viridovix il Grande, proprio come un vate, guardava agli intenti strategici e logistici del futuro imminente, o semplicemente era compiaciuto che i suoi cugini avessero altre terre da coltivare o da adibire alla ''transumanza'' dei bestiami.
Magarovix dei Celtiberi fece edificare quindi la propria città, costituendo una muraglia di legno e torri d'avvistamento che avevano larga panoramica dell'ambiente circostante.
Le terre limitrofe furono convertite all'agricoltura, e tra gli altopiani ed i colli furono ''tracciati'' piccoli sentieri per gli allevatori, così come al centro della città fu trasportato un enorme masso, un Menhir che venne consacrato a Tranis, Dio del tuono, e adornato di incisioni di culto e d'un effige della divinità venerata; in tutto e per tutto la città subì la ''celtizzazione'', come le Tradizioni di sangue dettano.



« Oggi è il gran giorno, mio giovane amico.
Ascolta il suono di trombe e di corni,
Ammira stendardi, arazzi e bandiere.
In ginocchio, la spada del re ti tocca la spalla,
La lama scintilla e sei già Cavaliere.
Ma ricorda che un giorno eri soltanto scudiero,
Pulivi le spade, gli scudi, ingrassavi stivali,
E nelle fredde notti paglia e fango avevi per letto.
Ma questa è la vera virtù, che viene da Dio.
Così egli compensa in un solo giorno radioso,
L’umiltà di diecimila. »

~ (Epopea d'un guerriero)

Un emissario, che portava lo stendardo di Roma, cavalcò verso il campo di Viridovix, allestito per un sontuoso banchetto. Le guardie, contrariamente alla spietatezza che li caratterizzava, condussero il messaggero romano presso la ''corte'' di Viridovix il Grande; l'emissario non appena varcato l'uscio della capanna chiese di stipulare un accordo tra Galli e Greci, di cui i Romani si fecero gli intermediari:
''A nome del Senato e del Popolo Romano, Roma vuole conoscere le vostre condizioni per la restituzione della colonia ai Greci."
Il Vergobret si alzò dal proprio seggio di pelli, abbandonando il lauto pasto, e rispose che giammai sarebbe esistito un accordo tra gli Elleni ed i propri Galli.


La Giustizia degli Dèi condusse i Galli alla conquista di Massalia, come viene denominata tale città in latino, e la Faida, l'estrema vendetta la privazione dei propri luoghi era compiuta.
Parallelamente Viridovix decise di far recapitare il proprio messaggio al Senato ed ai Consoli,
constatando che Roma e la sua gente doveva essere già grata che Magarovix non avesse mosso guerra, ed inotre che i Veneti fossero ora sotto il vessillo rosso dell'Aquila romana.
I popoli celti erano conosciuti per la propria superba fierezza, e per il coraggio che dimostravano difronte ad ogni tipo di nemico, ma no v'era alcuna cattiveria in loro, se non il tremendo senso dell'Onore e della Vendetta come mezzo per redimere la propria reputazione, inseguendo l'ideale d'un mondo ascetico ed ancestrale che sempre più si stava sgretolando con l'avvento della ''civilizzazione''.”


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[Articolo di HerbertBacke]


Αγορά


(208 AC)
568 anni dalle prime Olimpiadi



{Βαρβαρικά θέματα | Questioni Barbariche}


|Pace di Fenice|

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I Greci dell'Etolia si erano infine schierati con Roma, sia per i replorevoli fatti di Massalia caduta nelle mani dei Celti nemici di quest'ultima, sia per la ceca paura che gli etoli provavano verso i macedoni impedendogli di vedere invece come una minaccia la barbara Roma, che per mano loro si stava insidiando nella politica dell'Ellade.

Gli etoli presto ebbero da ricredersi, quando i romani indisciplinati arrivarono a Corinto, e si misero a razziare le Poleis loro alleate.



Filippo V, che dopo le due sconfitte navali in Illiria, scelse di muoversi al capo di un esercito, scese da Pella a Corinto, e con l'aiuto sia dei cittadini Corinzi, sia delle truppe provenienti da Atene liberò il territorio dalla malevola presenza romana.

Successivamente, in quello stretto lembo di terra che unisce Atene a Sparta, confluirono le alleate truppe Achee, che bloccarono le controffensive dal Peloponneso. Intanto, anche i reami anatolici si unirono a Roma. Fu conquistata Bisanzio, capitale della Calcedonia.



La dea Atena disse al Basileus di non far ritorno a Pella, non ancora. Le armate di Filippo V si diressero ad occidente, e conquistarono Elis, alleata di Sparta. Gli uomini entrarono nella città, e Filippo la lasciò vittorioso. Tuttavia da Roma pochi mesi più tardi arrivarono dei rinforzi. I centurioni si sfracelarono sulle instancabili mura di Elis, e il Dio Ares assisteva divertito alla scena assieme alle altre divinità dell'Olimpo. I corpi dei romani si ammassavano attorno le mura di Elis.

Caddero tanti romani, quanti rinforzi erano stati mandati.

Poi le brecce nelle mura della Polis erano diventate troppe, e cedettero al numero dei barbari, che entrarono, e razziarono la città, portando disordine e ferendo i cittadini. Elis era persa, ma i romani avevano subito troppe perdite e sapevano che non avrebbero potuto vincere sui valorosi macedoni e al contempo annientare i Celti che avevano disceso la pianura padana.



Il console Marco Valerio Levino arrivò quindi come emissario a Pella, monitorato dall'occhio attento di Atena. L'assemblea di Hetairoi (aristocrazia militare) accolse il console, che umilmente propose la Pace.

Annibale stava perdendo. Roma era troppo occupata, ed era impressionata dal valore mostrato dai macedoni. Veniva sancita tra i due popoli una pace che si sarebbe protratta per 8 anni. La Pace di Fenice fu accettata dall'Assemblea, soddisfatta per le vittorie ottenute, ma preoccupata per il mancato ritorno del Basileus dall'Ambracia.

Senza il supporto di Roma, l'alleanza anatolica si spaccò, e i Macedoni supervisionati da Atena poterono invadere il reame di Attalo I, che scappò in terra Seleucide.

Di questi Seleucidi non si stanno avendo notizie, dopo che Filippo V stresse un alleanza militare con Acheo, che voleva formare uno stato in Asia Minore separandosi dal resto dell'Impero e quindi da Antioco III.



{Θέματα πολιτών | Questioni Cittadine}

|Imboscata etolica al ritorno dall'Ambracia|
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Pella aveva appena chiuso la Guerra contro Roma, stipulando una pace di 8 anni, che avrebbe senz'altro favorito all'economia e alla prosperità della Macedonia. Filippo V, era atteso vittorioso a Pella, ma non fece mai più ritorno. Crebbero le preoccupazioni e le storie attorno alla scomparsa di Filippo V: un Basileus impavido, dalle buone maniere, e amato dal popolo macedone.

I cittadini si radunarono numerosi e disperati attorno al monte Olimpo, e chiesero a Zeus che ne fosse del sovrano.

L'oracolo di Delfi disse soltanto: "Il volere della Dea si sta compiendo", e non specificò di quale si trattasse.

Poco tempo dopo, si presentò di fronte al palazzo di Pella uno dei soldati che era sotto il comando di Filippo V e disse: "Ci addentrammo in un sentiero boschivo, eravamo una ventina e scortavamo il Basileus di ritorno dall'Ambracia. Ancora non c'era pace, ed Elis non era ancora caduta nelle mani di Roma. D'un tratto scoccarono ai nostri lati le frecce. Gli etoli ci avevano teso un imboscata. E il nostro Basileus, ivi vi perse la vita."

Dopo questo triste annuncio, l'uomo è stato condannato a morte per essere scappato, punito per la sua viltà.

|Il tempo di Polycratia|

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L'amaro silenzio afflisse i cuori dei macedoni.

L'Ade lo attendeva.

La vittoria condusse lui ad una morte.

Nella Gloria si spense.

Grave ed opaca l'aristocrazia militare discusse nell'Assemblea della sua morte e della sua eredità: mancando di eredi, pensarono di richiamare un parente da Atene. Altri proposero di instaurare una Repubblica, sul modello di Roma.

I funerali del Basileus si svolsero di sera, perché la luce del fuoco che ardeva la pira e tutto il suo corpo illuminasse la buia notte.

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Tra tutti i cuori spezzati, quello più infranto era quello della Giovane Polycratia, ora vedova del defunto Filippo, che promise il suo ritorno.

Irruppe nell'Assemblea, e a quei che discutevano della successione del defunto si ammutolirono.

Il popolo e l'Assemblea, acclamarono la Basilissa, pronta a prendere le redini del reame, lasciate da Thanatos a lei sul carro; al quale si sedette traendo consiglio da Atena e da Afrodite, dalla civetta e dal passero, che sulle sue spalle si posarono.



[Articolo di Astrid I]


Carthagine commentarius

207 AC

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<< Grido e brucia il mio cuore senza pace da quando più non sono se non cosa in rovina e abbandonata>>

Didone mia dea, ci hai puniti per la troppa arroganza nello sfidare un oppressore ben più grande di noi?.. Mossi dalla vendetta piangiamo i caduti che ora giacciono alle porte di Roma.

Ci siamo ritirati come scarafaggi al lume di torcia, Annibale dall'alto di un colle scruta,osserva ma nulla più per il resto tace e rimugina sul passato presente e futuro nello stesso momento.

-"Mio signore.. le truppe sono in minoranza abbiamo perdite su ogni fronte delle mura di questo passo cadremo!.."-

-" Ogni uomo in fine è destinato alla morte.. continuate l'attacco!.."-

-" Ma è una follia! decimerete l'esercito.."-

-" ... " -

Non più vi furono ulteriori parole, quando Annibale diede l'ordine col corno di ritirarsi ormai l'esercito era ridotto a meno di un terzo dei mercenari. Ci ritirammo verso Sud imbarcandoci abbandonando persempre forse le terre Italiche.

Ma noi ci abbiamo creduto fino alla fine, noi abbiamo aclamato la vittoria per cosi tanti anni ed alla fine nulla di fatto.. non abbiamo ottenuto nulla tanta strada percorsa e troppo sangue versato..

Rientrammo a Cartagho e il consiglio accolse Annibale come un eroe anche se questi pare non fosse lucido al momento.

Ero alla sua destra mentre il consiglio degli anziani discuteva le prossime strategie, a Nord nelle terre dei galli, un emissario è stato inviato e ricevemmo risposta, Vergobret il Viridorix ed i Clan a lui a seguito si sono alleati con noi.. dalla macedonia non abbiamo più avuto risposta.

La metà dell'esercito inviata anni prima a cartagine è stato richiamato per tornare sotto la guida di Annibale, ma ormai di lui dopo l'umiliante schianto su di un paio di mura nessuno si fida più, nemmeno lui stesso ormai usurato dal tempo e dalla guerra.

Sguardo perso nel vuoto e bocca semiaperta, visibilmente non poteva far trapelare alcuna fiducia, dava solo l'aria di un uomo distrutto, al ché quando mi voltai e vidi i volti degli anziani del consiglio mi inorridì.. occhi rossi e luminosi, occhiaie ben marcate e sguardi disperati, non potevo credere alle mie orecchie quando venne assegnato il comando ad Annibale, le manovre di cartagine sono solo disperate, gli anziani gli uomini le donne e i bambini, tutti sanno che ormai è una causa persa e che dipendevamo da quell'uomo che ora il consiglio guarda disperato cercando di aggrapparsi disperatamente ad un miracolo.

- " Mio signore!.. mio signore!..-

Chiamavo io a gran voce ma il vecchio Annibale non faceva altro che fissare il vuoto e sbavare, rivestito di mantello rosso e benda ornata sull'occhio pallido.

-" Dobbiamo muovere le truppe mio signore.. dobbiamo giungere a Zama.." -

Diedi io l'ordine, le guidai verso l'esterno di questa città e ci accampammo in attesa di un richiamo dal consiglio. Un esercito di poco conto, uomini forse mandati a morire consapevolmente, carne da macello per guadagnare tempo prima dell'assedio finale a Cartagine o forse di un accordo.

Asdrubale con l'esercito ausiliario aquisito con la forza dai Numidi come pegno di fedeltà dopo la grande riconquista ci raggiunse ben presto, giovane e con poca esperienza ma uomo di un talento forse troppo poco considerato, quantomento un sostegno morale alle truppe e per lo più una mano fraterna per Annibale che dell'eroe acclamato dal popolo poco gli era rimasto.

Ho sacrificato alla dea un bue sperando nella sua clemenza per esserci comportati in maniera avventata, il nostro obbiettivo ora è quello di difenderci come i Galli divendono le loro montagne a Nord noi respingeremo Roma.

Ma mentre noi attendiamo quest'ultima battaglia, il popolo fugge cercando salvezza nelle terre desertiche a Sud, contadini per lo più gente comune in cerca di salvezza nelle lande di sabbia che hanno mietuto cosi tante vittime, il confine di cartagine è cresciuto ma nulla di utile di fatto.

L'isola di maiorca è ancora in piedi ma l'iberia è caduta completamente, l'ultimo rimasuglio di uomini ha combattoto disperatamente circondato dalle truppe, ma anziché lasciarsi uccidere con freddezza si è fatto valere.. 900 uomini fronteggiarono una legione romana e portarono con se nella tomba due volte il loro numero.



[Articolo di Mussulmanopazzo]


::: :::: Annales Maximi ::: :::


206 AC

548 anni ab Urbe condita

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\\ Soldati romani in marcia verso il Metauro. \\

[Civilitas Romana]

- Victoria Metauris - Vittoria sul Metauro

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Roma ha sempre vinto, nessun popolo, e nessuna nazione straniera l'ha mai distrutta asservendola ai propri voleri. Con il beneplacito del Dio, qualcuno al massimo fu capace di scalfirne con un Graffio la Gloria, ma alla fine il Grande Giove non avrebbe mai acconsentito al crollo di Roma. E il popolo di Roma non avrebbe mai acconsentito al crollo della Repubblica, che tanto timore tra i civis incutono, la fine della libertas e il ritorno alla tirannide di pochi uomini avidi. Annibale divertì Giove, a cui piacque vedere elefanti attraversare le Alpi: vedere l'impensabile diventare pensabile; a Marte, il dio dal quale la stirpe romana discendeva, interessava provare la resistenza di Roma: e fu onorato dal valore dei molti, dall'unità delle stirpi italiche, e dalle punizioni inferte ai vili traditori.



Giunione tuttavia, dea madre del matrimonio e della fedeltà, detestava noi romani. Poiché Enea, quando venne da Didone, la sedusse; e la povera Didone innamorata, ruppe la fides con Sicheo, re di Tiro, trascorrendo una notte con il troiano Enea, per poi suicidarsi infilzandosi con una spada.

A causa di questo, la dea ci detestava. Il Pontefice Gaio Livio Salinatore dunque, consultò i divini, e comprese, che l'unico modo per restaurare la Pax Dei, era di calmare la collera di Giunione.

Il Pontefice ha quindi incaricato il Greco Livio Andronico, un liberto tarantino, di comporre un Inno a Giunione, per acquietare l'ira della divina e portare dunque vittoria a Roma. É stato messo in scena un partenio di 21 fanciulle, che hanno cantato e hanno recitato in onore della potente diva.

Giunione deve avere apprezzato l'opera, questo sicuramente. Infatti subito dopo la messincena di quest'Inno, i Galli, che si erano appropriati della terra padana, abbandonarono in massa la zona, mentre i punici accampati sul Metauro, erano soli e senza un comandante.

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Senza quest'Inno a Giunione, Roma avrebbe perso in terra d'Emilia, ma invece, con le lodi di Livio Andronico, la vita di molti soldati romani fu risparmiata.

Sebbene Livio abbia fatto il bene per Roma, persiste il disprezzo nei suoi confronti, in quanto Greco. A parere di molti, l'Inno non è servito a nulla, i Galli sarebbero scappati comunque intimiditi e i punici sarebbero rimasti senza un condottiero. Il Circolo Scipionico starebbe sfruttando la fama di Livio Andronico per far si che Roma si sottometta culturalmente ai Greci.

Se il partito Scipionico ha applaudito a Livio Andronico, cresce invece nella plebe il disprezzo verso questo insulso schiavo Greco e verso la sua infame opera letteraria: l'Odissea. Le fabulae di Livio fanno parte di una cultura perversa che non si allinea con i principi morali cardini di Roma, e che corrompe i Giovani allontanandoli dalla disciplina e dalla vita militare.

Lo stesso Livio Andronico sarebbe un perverso, che abuserebbe dei suoi Giovani Allievi, stando alle denunce di alcuni pater familias.

Comunque sia, le truppe romane comandate da Gaio Claudio Nerone e dal Pontefice, dopo aver attraversato l'Umbria, e le Marche, hanno sconfitto l'ultimo avamposto punico in Italia: nel Metauro, e i loro mercenari Gallici. I soldati non avevano alcun condottiero, ma se ne avessero avuto, sarebbe avvenuto un Grande Scontro, uno di quelli che restano annotati nell'Annales Maximi.

Poi, le truppe di Claudio Nerone sono arrivate alle porte di Mediolanum, e le balliste hanno colpito per mesi e mesi la corposa armata Gallica.

L'anno prima, i centurioni avevano efficacemente occupato l'accampamento Gallico di Genua.



[Civilitas Barbarica]

- Pax Galliae et Macedoniae - Pace delle Gallie e della Macedonia

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Il Senato mandava emissari ai Galli, ma questi tornavano o visibilmente scossi, o traumatizzati, o ancora senza mani. I senex di un certo spessore rabbrividirono quando videro l'emissario Caio Tizio Sempronio, fare ritorno in Senato privo di entrambe le mani. Il pover'uomo era stato spedito al campo Gallo per discutere del ritorno di Massalia ai Greci, ma Viridovix ha moncato le sue mani, e con dei tizzoni ardenti hanno chiuso la ferita. L'emissario poi, ritenendo di non poter vivere senza le sue mani, si è lanciato dalla tettoia del Senato.

Gli uomini che Roma mandava per trattare la pace, non tornavano in ottime condizioni. E il Senato aveva perso in malo modo parecchi emissari. Soltanto l'arrivo delle truppe di Claudio Nerone hanno fatto rinsavire i fieri e indomiti Galli, che sotto assedio a Mediolanum, sotto i colpi delle balliste, alla fine hanno proposto a Roma la pace. Altro motivo pare che siano in lotta con qualche altra popolazione barbara del nord.



I Galli non attaccheranno Roma, e Roma farà altrettanto. In più Viridovix riconoscerà le conquiste a Genua come territorio romano, diventando così parte della cosiddetta provincia della "Gallia Cisalpina".

Pace in Gallia, e Pace in Grecia. I macedoni, che stavano vincendo hanno accettato la Pace di Fenice proposta dal console Marco Valerio Levino. Otto anni, e forse si spera più, i due popoli non si attaccheranno. In più essi ricevono Corinto.

Le preoccupazioni di Roma sono che in questi otto anni, i macedoni ne approfitteranno per espandere il loro reame, rafforzarsi e prepararsi ad una nuova Guerra contro Roma. Come dimostrato dall'ignobile invasione del regno di Pergamo.

Tuttavia, Roma spera di poter instaurare nel frattempo, buoni rapporti con la nuova Basilissa Polycratia, succeduta al marito Filippo V (nemico di Roma), dopo che questi fu vittima di un imboscata.


Σελευκιδική αυτοκρατορία(Impero Seleucida)

(204 A.C) OFF:Comunicato di Falco: il Timeslide sarà 1G=1Anno



\\Πόλεμος στην Ανατολία. (Guerra in Anatolia)//

-L’esercito di Antioco III avanza senza sosta notte e giorno combattendo e conquistando ogni pezzo di terra su cui passano uccidendo chi ha tradito l’Impero passando sotto l’ala protettrice di Acheo. L'esercito formato da più di 70.000 soldati non ha incontrato ancora nessuna ostilità capace di poter recare ingenti perdite, l’unico ostacolo sono stati i villaggi colmi di traditori i quali hanno posto una strenua resistenza, ma essendo loro semplici contadini armati di attrezzi di legno le spade di ferro dei prodi Soldati hanno represso ogni bagliore di resistenza. I popolani disertori sono stati uccisi senza pietà per poi gettare i loro corpi in fosse comuni senza degnare loro, giustamente, di una sepoltura degna e in fine le loro famiglie sono state private di ogni forma di ricchezza però per i Bambini maschi Antioco ha scelto un destino diverso rispetto ai loro defunti padri poiché ogni ragazzo in salute sarà strappato dalle braccia delle loro madri e affidate alla vita delle accademie militari che offrirà loro l'opportunità di diventare abili combattenti al servizio della nazione; in tale modo il futuro dell’impero sotto il punto di vista militare sarà preservato per i prossimi anni e i traditori subiranno la loro giusta punizione.

Durante l’avanzata delle truppe Seleucide sotto l’occhio vigile di Antioco III e il suo ghigno di felicità il nostro Sovrano ha approfittato di questa occasione per acculturare la propria mente leggendo molti manoscritti greci e studiando le divinità Greche con attenzione nutrendo un copioso apprezzo verso il Dio della Guerra Ares tanto che ha ordinato alle guarnigioni di soldati di portare con loro degli stendardi raffigurante una Quadriga trainata da quattro cavalli immortali legati al carro con finimenti d’oro su di un telo rosso per simboleggiare il sangue, cosi facendo i soldati sono protetti dalla forza guerriera di Ares che accompagna Antioco nella sua riconquista. Ogni movimento di Sole giunge sempre più vicina la fine di Acheo che ormai sente sul suo fragile il tocco della fredda lama impugnata da Antioco che ben presto sarà tinta di sangue indegno…



\\Λατρεία του Ares. (Culto di Ares)//

-In questi tempi burrascosi, tetri e bui che sta affliggendo il nostro Impero diviso e martoriato dai traditori volenterosi della disfatta dell’Impero per raggiungere il potere personale; il Re, il Nostro Sovrano Antioco ha deciso di affidare le redini dell’Impero ad essere superiore a noi comuni mortali ovvero ad un Dio: Ares il Dio della Guerra la cui forza bruta può far svanire qualsiasi cosa esistente sulla terra; trascurato dai Greci alcune volte forse anche ripudiato trovò sede nei cuori dei Combattenti Spartani i quali Uomini di Guerra si affidavano ad Ares prima di ogni Guerra riuscendo sempre a vincere e ora anche il Nostro Impero accoglierà la sua potenza erigendo templi in suo nome e offrendo sacrifici per saziare la sua fame.

Sulla città putrida di Cilicia roccaforte del Traditore Acheo incombe la potenza distruttrice di Ares sotto forma di una violenta tempesta di fulmini: il cielo si riempì di nuvole malefiche di un nero pece da cui fulmini e acido si scagliarono con violenza sui deboli cittadini mentre dall'orizzonte le truppe di Antioco marciano con violenza.

La piccola e fragile cittadina è stata stretta in una morsa velenosa, circondata e bloccati gli accessi alle carovane di cibo così da far perire i soldati di Acheo di fame e indebolire i loro corpi. Le possenti macchine d’assedio hanno scagliato massi sulle mura di cinta che hanno aperto la strada verso il cuore pulsante del movimento rivoluzionario di Acheo; una volta valoroso Generale,Acheo, è stato terribilmente ucciso dai Soldati Seleucidi i quali successivamente hanno portato il corpo inanime al Sovrano Antioco che ha ordinato di bruciare il cadavere assieme ai corpi dei soldati traditori. La città, non più degna di esistere, è stata distrutta: case, botteghe, campi coltivati, tutto distrutto o divorate dalle fiamme…

Destino non molto diverso è avvenuto per i Fratelli di Antioco anche essi ribellatosi nelle provincie orientali della Persia, che una volta saputo della morte barbara di Acheo hanno deciso di abbandonare l’Impero per fuggire alla furia sanguinosa del loro fratello. Purtroppo dei loschi traditori non si ha più traccia, ma ora l’Impero è unito e più forte sotto un unico grande Sovrano: L’Imperatore Antioco III il quale porterà pace e prosperità in tutte le città dell’impero anche se molti stolti pensano che questa visione di ricchezza non potrà mai realizzarsi e che presto l’impero si disgregherà e la Dinastia di Seleuco morirà nel disonore.

Mentre la putrida città diffamata veniva divorata dalle Fiamme purificatrice e le anime dei dannati abbandonarono i corpi marci e carbonizzati per essere rinchiusi nell’Ade, all’orizzonte una lunga fila di soldati marciava impetuosa verso Antioco brandendo un drappello strano diverso dagli altri visti fino ad ora. Era del Regno di Pergamo, un Regno posto sulla sponda del Mar Egeo, il cui Re di nome Attalo decise di intervenire nella Guerra tra Acheo e Antioco per aiutare il traditore Acheo, ma purtroppo arrivò troppo tardi…

E mentre il corpo di Acheo lentamente si carbonizza tra le fiamme avviene l'ennesima battaglia tra Attalo e Antioco che vide vincitore, come sempre, il nostro Sovrano che essendo in superiorità numerica è riuscito, anche se non facilmente, a distruggere il nemico Attalo il quale è stato decapitato dalla spada di Antioco.





[Articolo di Ferdinand-Foch]

Αγορά

(203 AC)
573 anni dalle prime Olimpiadi

{Βαρβαρικά θέματα | Questioni Barbariche}

|Guerra Cretese|

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Roma non fa l'interesse dei popoli Greci, che ha sottomesso con la deludente scusa di tutelare le libertà di questi dalla "pericolosa" Macedonia: una rivolta anti-romana ha sconvolto Heraklion, la polis laddove si dice che un tempo vi furono il palazzo di Cnosso e il Labirinto di Dedalo, nel quale era rinchiuso il mostruoso Minotauro.

Creta infatti, non solo viene razziata quotidianamente dai soldati romani che hanno occupato l'isola, ma Roma non fa nulla per difendere i cretesi dai pirati della vicina isola di Rodi. Rodi poi, con il suo predominio navale in quelle acque, ha impoverito i cittadini di Creta, che ad un certo punto si sono ribellati al loro re e hanno cacciato via i romani chiedendo il nostro aiuto.

Gli aristocratici militari di Pella non hanno rifiutato la richiesta d'aiuto dei poveri fratelli di Creta, Greci come noi, e pentitisi di aver chiesto protezione a Roma sei anni fa. Roma non poteva intervenire stavolta a difesa del suo alleato, e Sparta era anch'essa nemica di Rodi.

La flotta navale macedone, ricostituita dopo la Pace di Fenice, accerchiò l'isola, e furono messe in atto diverse azioni per far cadere Rodi sul lastrico: le truppe macedoni a Creta distrussero i pirati di Rodi, e le poleis circostanti si poterono vendicare razziando le isole Cicladi.



|Invasione della Tracia|

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Rodi resisteva da diversi anni, ma al terzo, la situazione per loro divenne talmente disperata che chiesero l'aiuto delle loro colonie nel mar della Marmara.

Il valoroso esercito macedone, possidente della Calcedonia, ha sconfitto in meno di un mese le colonie di Rodi; e il destino dei loro abitanti fu quello di diventare schiavi dei nobili macedoni e della Basilissa innanzitutto.

Pleurato, il re dei Traci, essendo stato circondato dalla rinascente potenza macedonica, si è schierato con Rodi, forse illuso di poterci battere.

Ci fosse stato ancora Attalo I, la Guerra contro Rodi e contro i Traci sarebbe stata più complicata; ma non essendoci più quest'ostacolo i macedoni possono confrontarsi con le villane armate Trace, che più che minacciare e ritirare le loro dichiarazioni non osano avanzare, mentre i nostri marciano su tutti i fronti e Rodi è sul punto di cadere.



|Seleucidi alla riscossa|

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Ben prima della Pace di Fenice, e ben prima della stessa Guerra tra Roma e noi, l'Impero Seleucide stava vacillando, dopo che un suo Imperatore, un certo Acheo, propose l'indipendenza dell'Asia Minore, e la creazione di un nuovo stato. Acheo ricevette il supporto di tutto il mondo Ellenico, desideroso di ricacciare la sporca dinastia Seleucide nelle più lontane terre della Persia, dell'India e della Battriana, alle quali fanno realmente parte. Purtroppo Antioco III, nemico della sua stimabile idea, ha sconfitto il buon Acheo.

Anche stavolta il fato soffiò contro la volontà dei Greci, terribilmente dispiaciuti per la fine di Acheo e dei suoi mirabili piani.

In questi anni la Macedonia sta rinascendo sia a livello militare che a livello economico, e quando la situazione di Rodi e della Tracia sarà risolta, torneremo a rivestire un ruolo centrale nell'Ellade, un ruolo che funestamente ci venne tolto dopo la morte del Grande Alessandro.

Quel dio che sta a Delfi, se consultato dice: "Chi porterà la dea Atena sul monte dove nasce il sole, sarà chi porterà il sole ad Olimpia."

La vittoria di Acheo avrebbe completamente eliminato la minaccia dei Seleucidi, e lo stato d'Asia Minore sarebbe diventato inevitabilmente un nostro alleato, ma quest'occasione è stata sprecata al fato, che prescrisse per Acheo un finale diverso.

Antioco III tuttavia ha dimostrato di essere un sovrano debole, e incapace di amministrare il suo vasto territorio, attraversato da continue rivolte. La codarda dinastia dei Seleucidi non sarebbe abbastanza forte per vincere una Guerra contro la nostra maestosa Basilissa, protetta di Atena e di Afrodite.

I Persiani, anche se adorano attualmente dirsi Greci, opprimono in realtà i coloni Greci della Cilicia e dell'Anatolia.

Pella non teme la Siria, che sarà sconfitta. I luridi Seleucidi, turpi, senza fama e senza lode, saranno ridotti in schiavitù, e dovranno essere onorati di diventare i servi personali di Polycratia, per pietà e per clemenza.



{Θέματα πολιτών | Questioni Cittadine}

|Il ritorno della Democrazia ad Atene|
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Gli anni scorsi, l'ordine tra le classi sociali di Sparta ha dato un ennesimo cenno di sfaldamento, dopo che un tale Nabide, uno schiavo siriano emancipato, ha deposto il tiranno Macanide con un esercito di altri schiavi liberati. Il problema dell'indisciplinatezza dei servi non può colpire invece la Macedonia, che ha delle istituzioni forti, e accentrate nelle mani del sovrano per mezzo di una Koinon, un assemblea di persone illustri.

Sebbene la Macedonia viva della sua forma di Governo fin da quando nacque, ciascuna poleis nel resto dell'Ellade preferiva decidere della propria politica. E la democrazia, criticata dal Grande Platone, che rese decadente e fiacca Atene, fu soppressa quando la città fu invasa dal Grande Alessandro.

Stavolta per Atene e per tutti i Greci, la graziosa e aurea nobildama Polycratia ha convinto la Koinon. "Che ad Atene sia restituita la democrazia se lo desiderino, purché i Greci ci ammirino."



[Articolo di Astrid I]
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Partita GDR | Imperium [di falco1994 8/02/2018] Empty Re: Partita GDR | Imperium [di falco1994 8/02/2018]

Messaggio Da Falco Mar Feb 08, 2022 9:15 pm


♗ ::: ☥ - Divina Tavola di Horus - ☥ ::: ♗

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102° Anno di Regno (203 A.C.)

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hiero_G10.png?c4d54- // Tra le braccia della Madre Nut, si racchiude il Rampollo di Amon.



Ascende ai Campi Aaru ove il suo Regno non avrà fine.



Nel periplo celeste seguirà la Luce e giudicato da Osiride,

siederà fra gli Dei, tra birra e miele // - hiero_G10.png?c4d54

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220px-Standing_Osiris_edit1.svg.png220px-Sokar-Osiris.svg.png



Calava il freddo sulla Terra del Sole.

Un secco e penetrante freddo, raro in Egitto, aveva avvolto l'intero Regno, da Alessandria a Siwa.

Il Nilo non esondò, Hapy non piangeva, le sue lacrime non seminavano la terra.

Amon-Ra aveva posto fine alla vita in terra della Fiamma: Tolomeo IV, Re del Giunco e dell'Ape, era morto.

Il Salvatore d'Egitto, unico e solo successore di Alessandro Magno, colui che aveva soppresso il pericolo Seleucida, sconfitto Apopi riportando alla Grandezza il Divino Regno, si è infine spento nel suo letto.

Flottiglie di imbarcazioni sul Nilo si urtano all'approdo.

A centinaia di migliaia da nord e da sud hanno navigato fin qui, per assistere all'ultimo viaggio del Grande Sovrano.

In tre maestosi sarcofagi di legno, marmo ed oro, uno dentro l'altro, giace il delicato e profumato corpo del Faraone.

In solenne processione, tutti i Gran Sacerdoti conducono il corteo funerario che dal Palazzo Reale giunge fino alle rive del Nilo, con al seguito la Guardia Reale, due elefanti cerimoniali e diverse squadre di cavalleria.

Chiudono, i popolani venuti da tutto il Regno.

Sotto un baldacchino, le cui gualdrappe sono mosse dal vento mattutino, scintilla il panciuta ed aurea urna sepolcrale, come il simbolo di un altro mondo.

I sacerdoti mormorano a cantilena le sacre preghiere:



"Salute a te, Osiride Unennefer, Essere Perfetto,

Signore dell'Eternità e Grande fra gli Dei,

che molti nomi ha, e splendide forme, e segrete essenze;

Maestro di vita, dell'Universo e di milioni di anni.

Che costui, in Terra grande, possa al suo fianco sedere,

che costui, in Terra luce, possa Regnare fra i Divini,

che costui, in Terra padre, possa bere e godere".

A centinaia di migliaia, a bocca aperta guardano, s'impregnano avidamente di profumo e di odori che provengono dal tempo Ahons, all'approdo, dove per sacrificio bruciarono incenso.

Seppelliti i gioielli, tesori e cibi, seguono il feretro e vengono caricati su 42 imbarcazioni.

La folla vede sfilare il corteo e si entusiasma;

Una statuetta, una per ogni lavoro, trova posto sulla Barca Reale. Tutte senza gambe, non potranno scappare, seguiranno il Faraone nell'eternità.

Dalla prima imbarcazione, il Gran Sacerdote di Amon urla:

" O timoniere, fa rotta verso il bell'Occidente, verso la terra dei Giusti!"



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Discende il corpo verso Menfi, percorrendo il Nilo per tutto il suo lento scorrere.

Poi, una dopo l'altra, le imbarcazioni si scostano dalla riva.

L'immensa folla guarda dalla sponda. Molto meno sono coloro che attendono l'arrivo del corteo funebre fluviale.

Si tratta di un pubblico raffinato, suddiviso in piccoli gruppi. Sono gli "Abitanti dell'Occidente", i costruttori di tombe, gli operatori artistici, i sacerdoti del Tempio funerario, le sentinelle Sepolcrali, i funzionari.

Tutti lavorano qui: per loro la sponda orientale del fiume è lontana.

Se è vero che il popolo conosce gli avvenimenti che si svolgono sulla riva occidentale soltanto per sentito dire, è altrettanto vero che i lavoratori della necropoli non hanno mai visto Menfi dalle belle porte, nè gli aurei pilastri e gli obelischi.

E' una slitta di legno ed argento, finemente lavorata quella su cui caricano le regali spoglie.

Al traino quattro possenti puledri bianchi.

Un cenno del sacerdote di Ra, e i giovani e bei equini si mettono in marcia sulla rovente sabbia.

Dietro a piedi, Akhensa, il Gran Sacerdote di Horus, è a capo della delegazione sacerdotale; porta un'ampia veste bianca, con lunghe e morbide pieghe e recita monotone frasi imparate a memoria:

"Mille disgrazie!

Ogni persona che farà qualche cosa contro questo sito sacro, oppure farà qualche cosa di male contro sacerdoti, verrà punito e la sua anima dannata in eterno non troverà mai riposo...”

La terra alluvionale viene rapidamente lasciata alle spalle. I prati verdi e i campi e le casupole sono sostituiti dalle rocce carsiche. Il cammino è accidentato da scoscesi e imponenti colossi di pietra. Ora la slitta cigola su mucchi di ciottoli, avanza a serpente, aggirando le dorsali rupestri.

Si apre la strada verso il Grande Mausoleo di Menfi.

Intanto, Akhensa mormorava con voce profonda:

"Ora tu taci e nulla più dici.

Tu che avevi tanti servi, forse sei là dove non c'è nessuno, tranne gli Immensi con gli occhi ardenti.

Ma bello è questo giorno, perchè ti proteggeranno,

l'Uomo, lo Sciacallo, la Scimmia e il Falco, che sono le quattro facce di Horus aureo...

Troverai goduria bevendo zythum e curmy e bagnandoti nell'acqua degli Dei."






Il corteo funebre si articola in tre tronconi: il Faraone, accompagnato da una seconda e una terza processione che si snodano come giganteschi millepiedi. Sono il corteo di Tekenu e quello dei Canopi.

Si alternano squadre della Guardia Reale e della Cavalleria.

"Verso Occidente, verso Occidente", gridano gli uomini da soma, "La terra dove è piacevole vivere, il luogo cui sei destinato".

Nella monumentale Tomba, Tolomeo III dorme ormai da vent'anni l'estremo sonno.

Su un altare provvisorio scoppieta ul fuoco sacrificale. I partecipanti al funerale si sono andati piazzando intorno al fuoco. I servi cuociono le vettovaglie; anche i preziosi vasi vengono collocati tra le fiamme. Un giovane manzo coronato di fiori attende di essere ucciso. Ecco il sacerdote che ha l'incarico di compiere il sacrificio affrettarsi con l'ascia d'argento in pugno e staccare alla bestia con un colpo la gamba anteriore destra: il manzo stramazza.

Subito gli sono sopra e lo fanno a pezzi con coltelli ed asce. buttano i transi sul fuoco, e si diffonde il tipico odore del perlo e delle carni abbrustolite. Ora gli uomini che portano i doni sepolcrali si staccano dal corteo funebre e lo precedono.

I sordi colpi dei bastoni sui tamburi di legno accompagnano l'oscillare degli incensieri in mano ai sacerdoti che spruzzano anche il latte e il miele, mentre in fila tutti entrano nel sepolcro.

Dapprima si fa strada una processione di statue, seguita da portatori di casse e cassette; si vedono gioielli, collane, suppellettili di piccole dimensioni, stoviglie, vasi con unguenti ed oli.






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Intanto, Arsione, la Regina, entra nella Tomba e si lascia cadere nello sconforto:

"Dolore e disperazione. Questo mi lasci.

Tu che sempre eri con me nei giardini sulle rive del Nilo, immobili tra le bende sono ora le tue gambe.

Mi riconosci? Sono la tua consorte, la tua amata sorella ...

La gioia è soltanto in colui che riposa in pace. Con il segno osirideo di Djed mangerai i cibi degli Dei.

...O dolore, dolore !

Un grande desiderio ha il mio corpo del tuo, ma il tuo corpo è freddo.

Tuttavia bello è questo giorno per la mummia che in sè rinserra lo Scarabeo.

Sono tua sorella e mi hai abbandonato. Sola devo tornare al nostro Palazzo...".






Improvvisamente, nove uomini prendono il prezioso Sarcofago.

I colpi di tamburo si intensificano; gli incensieri oscillano più rapidi.

I nove gridano a turno : " Dio viene. Dio viene".

Poi la bara scompare nella tomba.

Fuori, gli elefanti barriscono con una certa ritmicità, mentre i componenti della Guardia Reale si uniscono in un comune canto di commemorazione.

I tamburi di lutto e di tristezza tacciono. La Tomba è sigillata.

Tutto è quieto.

Il corteo discende poco più a valle, ove in prossimità del Tempio si stendono le stuoie,si preparano le mense, il cibo viene distribuito, e anche le bevande: inizia il banchetto funebre. La musica è allegra.

Danzatrici con il corpo coperto unicamente da qualche fiore di loto fanno di tutto per allontanare la tristezza.

Il Dio è morto e asceso alla Maat, ove percorrerà il tragitto fluviale di Ra, per sedere dinanzi al giudizio di Osiride e dei 42 Giudici, uno per ogni crimine.

Nessuno alzerà il dito contro un suo pari e Osiride lo accoglierà negli Aaru, ove regnerà insieme a chi prima di lui superò i Dodici Cancelli.

Sia eterna pace all'anima del Grande Tolomeo, che ora lascia il Regno nelle mani del piccolo suo pargolo.

La reggenza temporanea, sarà quindi affidata al Generale e Sacerdote eponimo di Alessandro, Aristomene di Alizia, fidato funzionario del defunto Sovrano.


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hiero_I14.png?9d038 [ - La caduta di Apopi - ] hiero_I14.png?9d038



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Un davvero amaro scherzo del fato....questo si ritrovò a dover affrontare il Regno.

Proprio nel giorno dello spiro di Tolomeo, si ricordava a Tebe, il Nono anno dalla tragica distruzione del Tempio di Amon e del Complesso Templare di Karnak, ora ricostruiti.

In quel giorno, Apopi, che aveva imperversato il suo animo maligno nelle membra della Tebaide, fu sconfitto su ogni fronte e costretto a tornare nelle sue viscide e buie caverne dell'oltretomba.

Hannuafer, il vile usurpatore e incarnazione della Lucertola in terra, si era macchiato di orridi crimini e aveva guidato la sovversione della Provincia, oltre ad essersi appropriato dei titoli faraonici.

Il Generale Comano, dopo il favorevole responso dell'Oracolo di Crocodilopoli, partiva sotto comando di Tolomeo per ristabilire l'ordine nelle Terre sacre ad Amon.

Per un anno intero si protrassero i fatti, ma alla fine l'armata di mercenari arabici ed etiopi corrotti dal Male, nulla poté contro il lucente Esercito del Faraone, che avanzava veloce sotto l'ala di Benu, sbaragliava le file avversarie, ricongiungendo Tebe all'Egitto ed agli Dei, ponendo fine al malefico governo del bastardo traditore.

Hannuefer, proprio lui, fu catturato mentre tentava di nascondersi in una pila di cadaveri da lui mutilati.

Gli vennero mozzati mani e piedi ed incatenato ad una barca, fu portato fino ad Alessandria per il Nilo, lungo il quale subì incessanti e continue frustate.

Giusto al cospetto del giudizio Divino del Faraone, così come l'Unennefer giudica le anime dei morti, ne venne decretata la morte.

Un palo di legno dalla grande lunghezza fu posizionato poco fuori il salto del Nilo nel Verde Mare.

Mentre veniva portato al suo letto di morte, ad Hannuefer furono estirpate le unghie, una per una, in modo che sanguinasse assiduamente.

Appena giunti in prossimità del grande asta, vi fu violentemente impalato partendo dal nst (OFF: sarebbe l'ano).

Fu lasciato lì, mentre lentamente scendeva e il sangue scorreva attirando i coccodrilli e le altre creature del Mare.

Le sue urla risuonarono per ore, potendo esse essere udite fin dal porto di Alessandria.

Il suo cadavere, mezzo sbranato, ancora oggi è lì, monito della Sacralità del Regno e del Faraone.

Questa sarà la fine di coloro che si piegheranno alla Lucertola, ora e per sempre.

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[Articolo di Dark II]


Σελευκιδική αυτοκρατορία

(203 A.C)

\\Εδαφική διοίκηση. (Amministrazione Territoriale)//

-E’ passato un anno dall’unificazione definitiva dell'Impero con la disfatta militare e la morte dei traditori che hanno osato infangare, e disonorare, il buon nome dell’Impero creando piccoli Regni indipendenti, piccoli ed insignificanti, che sono stati subito annientati dall’esercito di Antioco III e i suoi Generali i quali sono riusciti a spezzare ogni forma di resistenza senza riceve dure perdite.

Ove un tempo risiedeva la roccaforte di Acheo, prima distrutta e poi bruciata da Antioco, è stato costruito un Tempio in onore del Dio della guerra Ares il quale ha sicuramente aiutato i nostri soldati dando loro la forza divina per poter piegare ogni nemico, e per questo noi lo rendiamo omaggio costruendo un tempio a lui dedicato: un tempio composta da 13 colonne per lato fatte di calcare conchilifero il cui interno, completamente aperto, è presente una statua del Dio in cui si erge in tutto il suo splendere su di una quadriga trainata dai suoi invincibili cavalli dal respiro di fuoco, legati al carro con filamenti d’oro. L’accesso al tempio è possibile solo ai degni sacerdoti e al Sovrano Antioco chiunque cercherà di profanare questo luogo sacro sarà atrocemente ucciso; ogni mese saranno offerti sacrifici e doni al Dio così da avere la sua protezione e invincibilità.

L’Impero essendo molto vasto rende la sua gestione notevolmente difficoltosa per cui il Basileus Antioco III ha deciso di dividerlo in tanti piccoli territori affidati a suoi parenti, o comunque che hanno dimostrato la loro lealtà, ed essi avranno il compito di amministrare con buon senso le loro terre nei limiti del loro potere e dovranno, ovviamente, obbedire solo ed esclusivamente al Basileus.


\\Ο αέρας του Πολέμου δεν παύει ποτέ. (Nuovi soffi di Guerra)//

-Noi siamo un popolo di Guerra, nel nostro corpo scorre il sangue di veri guerrieri forti e valorosi leali al nostro Re e al nostro Impero, per cui qualsiasi uomo voglia unirsi all’Esercito Seleucida pronto per la prossima imminente battaglia sarà accolto come un degno discendente di Seleuco.

Per continuare a sopravvivere, per evitare la fine del nostro popolo, siamo costretti ad assoggettare i piccoli Regni che ci circondano così da far accrescere le nostre ricchezze e da ottenere nuove risorse da utilizzare per agevolare la vita del nostro Basileus e del suo popolo, quindi lo sguardo assetato di sangue di Antioco si è posto sul piccolo Regno posto a Nord dell’Asia Minore popolato dagli Armeni e saranno proprio loro le prime vittime dell’espansione territoriale Seleucida pianificata dal Re per preservare la sopravvivenza del suo popolo.

Dunque le Falange Seleucide sono in marcia verso il Nord dell'Anatolia armati di lance, spade e scudi raffigurando il simbolo della Dinastia e brandendo lo stendardo in onore di Ares ormai entrato nei dogmi dell’Esercito poiché rappresenta per molti la vicinanza tra il Dio e noi comuni uomini.





[Articolo di Ferdinand-Foch]


::: :::: Annales Maximi ::: :::


202 AC
552 anni ab Urbe condita

[Foto]
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\\ Minerva. \\

[Civilitas Romana]

- Assassinatio Livii Andronici - Assassinio di Livio Andronico

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O Minerva, che ci colpisca il pudore dopo lo scabroso atto, che nella casa tua abbiamo lasciato avvenire!

Lucio Livio Andronico, il Tarantino che aveva portato la letteratura Greca a Roma, ha perso la vita, e non di certo per mano naturale, ma per mano dell'uomo losco e crudele. Il liberto abitava su concessione del Senato nel Tempio di Minerva, la savia dea che i Greci chiamano Atena. Quivi vi aveva fondato la sua scuola: si era circondato di scrittori, di attori e di istrioni, che studiavano dal maestro la sua immensa cultura.

Il vecchio Andronico, ormai anziano, era rimasto con un filo di voce, ma la sua mano, la sua mano continuava a incidere nella tabula di cera, in una costante opera di traduzione delle opere di Eschilo, di Sofocle e dei Grandi Greci.

Il suo compito di portare la cultura all'incolto popolo di Roma era ostacolato dalla sciocca plebe, diffidente dell'avanzata medicina di Ippocrate, e ancorata ancora alle tradizioni della Roma antica, che cadono ormai in disuso, con l'incessante avanzare del tempo. Soltanto la Gens Scipionica e il Partito Aristocratico, erano tanto colti e illuminati, da riconoscere la Grandezza dei Greci, della loro letteratura e della loro cultura.

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« Diffido dei Greci, e dei doni che portano. »

Quest'affermazione, che ritroviamo nel mito di Troia, e del funesto Cavallo, dovrebbe essere impresso nella mente di tutti i ricchi patrizi romani, che affidano l'educazione dei puer ai maestri Greci, e li traviano conducendoli su un effemminata strada.

Il Senato è per lo più composto da vecchi aristocratici, e i difensori della plebe sono pochi. I tribuni sono solo dei corrotti: perché se il popolo di Roma potesse parlare, la cultura Greca sarebbe stata bandita molto tempo fa.

« Stanno rapidamente rimpiazzando la nostra cultura con la loro, le nostre tradizioni stanno morendo, e tra meno di vent'anni, state a vedere, che a Roma ci saranno i Baccanali. Feste immorali e scostumate, dove le traviate fanciulle restano incinte per mezzo di sporchi ubriaconi ai quali scorre il vino nelle vene. »

Il Greco Livio Andronico, causa principale della distruzione dell'identità italica, ha perso la vita nel Tempio di Minerva, dove fu concesso a lui di abitare. Era appena tornato dal Teatro, e nella sua testa frullava ancora l'applauso dei patrizi che ascoltarono le sue fabulae cothurnate. Il suo assalitore, che si finse suo allievo, lo avvicinò di notte. Andronico, provato dalla sbornia, che come tutti i Greci, ha delle innate pulsioni amorose nei confronti dello stesso sesso; lo aveva lasciato avvicinare.

A penetrarlo fu però il coltello dell'assalitore che si conficcò nel suo petto, ed una volta estratto, strappò via alcuni lembi del cuore.

L'assalitore fece cadere a terra l'arma del delitto, e forse restò a contemplare l'ultimo spasmo della sua vittima, la cui espressione evidenziava un certo terrore.

Poi corse via, quando qualcuno bussò alla porta, ed aprendo, vi vide il corpo morto del Greco Andronico.

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Il Circolo Scipionico Grida al lutto. La casa di Minerva è stata profanata dallo scabroso atto, e Roma chiede perdono alla dea. Gli indizi portarono a "Publio Dentato Elva", un allievo unitosi di recente alla scuola di Livio Andronico, e ritenuto sospettoso dai più. Giudicato direttamente dai Consoli, il criminale, dopo essere stato difeso dal tribuno della plebe, e da parte del Senato, in fine fu condannato a morte, per delitto ai danni della Res Publica.

Sebbene la plebe fosse contraria, Publio Dentato Elva, è stato impalato su un tronco di Ulivo: un albero sacro a Minerva.

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[Civilitas Barbarica]

- Stadium Stabilis Bello Punico - Fase di Stallo nella Guerra Punica

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Dopo la vittoria nel Metauro e la Pace con le Gallie, non sono avvenuti scontri di particolare importanza contro Annibale e i suoi eserciti, che si sono ravveduti della Potenza di Roma, e non osano sferrare alcun attacco. Possiamo dire che la Guerra Punica sta attraversando una fase di stallo. D'altra parte Roma non vede né la possibilità, né la necessità di effettuare uno sbarco, in un momento in cui la vittoria è ormai nostra, e il controllo del mediterraneo da parte dei punici è cosa passata.

Il Senato Romano, in un certo momento, aveva pensato follemente di offrire la pace ad Annibale inviando un emissario per trattare con questi, sebbene il parere di molti era che se Roma avesse dovuto vincere, sarebbe dovuta essere una vittoria totale.

Il console mandato per le trattative di pace, ha parlato di fronte al senato: « Ci dicono che dobbiamo temere i punici, perché fanno sacrifici umani e uccidono i bambini. Tuttavia, da quello che ho visto, i punici sono una razza di codardi. Come videro un piccolo veliero solitario battente bandiera romana, scapparono terrorizzati, come se avessero visto un intera flotta di quinquireme. Poi, quando finalmente ritrovarono Giove, ci lasciarono approdare. Parlai con uno di loro. Pensate: ci hanno scacciati rifiutandosi anche solo di trattare. Io vi dico che i punici hanno terrore di noi, hanno terrore di Roma, e delle truppe ausiliari inviate da Tolomeo. »

Dopo le parole del console, il Senato scoppiò a ridere. Si era diffuso il parere che un modo per risolvere questa fase di stallo, era quello di bloccare i commerci marittimi nel mediterraneo.

Di fatto, furono messe vedette nei mari del mediterraneo occidentale, e iniziammo a prendere accordi con Aristomene di Alizia per impedire il commercio di Annibale con le Gallie, e con i paesi dell'Oriente.



- Resurrectio Potestatis Macedoniae - Rinascita della Potenza Macedone

Tolomeo IV era morto, e nel suo paese avvennero un mucchio di efferati delitti, Hannuafer il traditore della corona era stato atrocemente torturato e impalato e contemporaneamente lasciato in pasto ai coccodrilli e alle terribili creature del mare, alla fine ebbe i poteri un tale Aristomene di Alizia. Intanto, l'Impero Seleucide ad Oriente, aveva sconfitto per mano di Antioco III il traditore Acheo, nonostante l'aiuto proveniente da tutto il mondo ellenico. I Seleucidi, nemici di tutti, sono stati fortemente umiliati dalla Macedonia, che li ritiene deboli e incapaci di controllare il loro vasto territorio: dichiarazioni comprensibili, ma il fatto che Antioco III sia riuscito ad eliminare Acheo nonostante il supporto che avesse da parte di tutto il mondo ellenico, lascia intendere che le forze persiane sono ancora capaci di infierire i loro colpi.



Come previsto, la nuova Basilissa Polycratia, la potente donna che ha succeduto al defunto Filippo V, protetta di Afrodite la dea della bellezza, e di Atena la savia dea, sta approfittando della Pace di Fenice, per accrescere la potenza macedonica su tutta la Grecia, espandendosi pericolosamente non solo in Anatolia, e a Creta (dopo una rivolta anti-romana), ma anche a Rodi e in Tracia. Tra due anni, la Pace di Fenice si concluderà secondo quanto pattuito. E in quel momento, cresceranno le tensioni nell'area, e crescerà la minaccia che la Macedonia rappresenta per la libertas dei Greci. Non si lascino illudere i Greci, dalle riforme di Polycratia: la restaurazione della democrazia ad Atene è solo un illusione.

Se la nuova Basilissa riuscirà ad invadere la Tracia, cosa di cui Roma totalmente dubita vista l'inesperienza delle donne alle arti militari, allora potrebbe essere un incubo per il Senato di Roma e per i Greci ancora liberi: l'Impero Macedone sta rinascendo per mano di questa donna.


~ Le Cronache Celtiche, la saga di Viridovix.


{VI, La spada di Toutatis}
~ Elembiuiôs 1229 (''202 a.C).
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“ Ancora una volta si sarebbe parlato di Roma nelle cronache dei saggi, il Fato fa presagire un prestigioso avvenire il Senato e la sua gente.
Le truppe dallo stendardo aquilinio risposero alla avanzata verso la grande pianura Padana, terra di antiche popolazioni celtiche ormai soggiogate, con strenua resistenza, sebbene tra le nostre fila fossimo stati superiori numericamente i Romani dimostrarono di avere Valore, imponendosi per ciò che sono di sangue, i figli di Enea.
Roma controllò così anche la provincia di ''Genua'', così come la definivano nella loro latino idioma, l'armata condotta fallì, forse Giunone aveva finalmente ascoltato le suppliche del proprio popolo, ed in parte anche la discesa dei Germani oltre le rive del Reno costituiva una motivazione per il quale le truppe Galiche retrocessero. I Cimbri ed i germani Alemanni erano disposti ad ostentare nuovi scontri, e le falangi celtiche ripiegarono oltralpe, mantenendo però ''Mediolanum'' sotto il nostro controllo, parallelamente ad un concordato con Roma, in cui Viridovix il Grande riconobbe Genova come provincia di Roma, ma che Mediolanum rimanesse terra gallica.
Non avremmo attaccato Roma nei dì avvenire, la nostra furia doveva essere destinata ai nemici che incombevano come minaccia nel cuore delle Gallie, per tanto, Viridovix, il Vergobret dei Celti, decise che potevamo lasciare al volgo romano nuove città, d'altronde il Fato soffiava a loro favore.
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~ (Le forze Galliche in guerra contro Roma}

Le guerre che giungevano da settentrione dovevano essere sedate, e solo occupando l'altra riva del Reno sarebbe stato possibile riportare l'equilibrio e la prosperità tra i popoli Celti.


Viridovix, Orgetorix e Teutomalix avrebbero guidato una coalizione contro Cimbri ed Alemanni, non vi era altro modo che dedicarsi ai preparativi per la guerra. L'invasione dei territori oltre Reno era un'ambizione eroica, ma non onirica, per quanto l'impervia zona ospitasse foreste intrecciati con selve di rovi e pantani di grande estensione, il popolo celtico, e quello gemanico, avevano in comune una discendenza barbarica dedita alla vita presso zone dove la conduzione delle proprie civiltà poteva risultare ardua.
Il valore dei popoli del settentrione vigeva nella virtù di seguire la vita dei propri padri ancestrali, i Celti, come i Germani, preferivano vivere in capanne di paglia presso vaste valli, alle pendici di impetuosi massicci montani, piuttosto che evolvere la propria comunità all’insegna di una dispendiosa architettura, tipico delle società meridionali. Quando un villaggio era dato alle fiamme, per motivi bellici, non si percepiva negli occhi dei Galli la disperazione di dove poter rifugiarsi, poiché il proprio regno era la Natura, ed essa si estende finché l'occhio umano non s'imbatte nell'abisso del oceano.
Il popolo Celtico ha imparato che la volta celeste sarebbe stata il proprio tetto, così come le foreste le proprie dimore.


Presso i confini con il fiume Reno gli ‘’opidia’’ dei Belgi, più a nord, e quelle degli Elvezi, più a sud, rinforzavano la propria cinta di mura, i fabbri s’accingevano a produrre ingenti quantità d’armi, di qualità ben superiore alle comuni spade, gli artigiani del legno intagliavano grandi scudi rotondi e rettangolari, ed i Druidi consacravano l’élite di guerrieri al volere di Toutatis, austero dio della Guerra, e adornava gli scudi ed i volti dei combattenti con pitture tribali.
Orgetorix Signore dei Belgi, aveva radunato una grande armata contro i Cimbri, egli s’apprestava ad invadere le proprie terre per soppiantare le continue minacce che incombevano contro la prosperità delle Gallie. Teutomalix, invece, condottiero degli indomiti Elvezi aveva raggiunto i villaggi in cui s’addensavano gli Alemanni, e con la sua poderosa armata sentenziò l’inizio della battaglia scagliando sulle teste dei nemici, nei propri villaggi, innumerevoli frecce di fuoco. Le fiamme divamparono tra i tetti di paglia, e le fondamenta di legno si carbonizzavano lentamente; la Vittoria dei Galli su entrambi i fronti si preannunciava funesta sulle sorti dei Germani.
Viridovix rimase nel centro delle Gallie, presso la sua corte a Celtica, attendendo i messaggi dai corvi di Orgetorix e Teutomalix, mentre Egli radunava nuovi contingenti di forze per provvedere alla costituzione di ‘’falangi di rinforzo’’.


Lo spadone sguainato da Toutatis ricadeva sulla testa di Ariovist, Re dei Cimbri, e Gaeseric, re degli Alemanni, enunciando una Fine funesta ed imminente delle lotte tra i Galli ed i Germani per l’espansione egemonizzante delle terre limitrofe.
I saggi Druidi a proposito di tali epopee consultarono, con i propri vaticini, gli Dèi, e chiesero a Cernunnos, Dio delle forze selvagge, - dove si sarebbero consumate le battaglie di sangue tra Galli e Germani -, di proteggere i propri figli e di donare al proprio popolo una visione profetica di quello che sarebbe risultato il futuro.


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~ (La testa del condottiero dei Cimbri portate a Viridovix.)




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« Esulta, giovane Eroe, intona il Canto di Vittoria
Grandi imprese oggi si sono compiute
Le gesta dei nobili e dei grandi
Risuonano già nel Annwn, l’Oltretomba degli Eroi.
Quando si conquista il proprio cuore
Nulla più si può perdere. »
~ (Profezia di Cernunnos; Hoenir il Druido)


Nei regni celtici del sud, Magarovix, Sire dei Celtiberi, fu messo in nuovo contatto con Roma, grazie all’arrivo d’un messo. Roma avrebbe voluto soggiogare il popolo dei Lusitani, un popolo che era ostile a tutto e a tutti, e che Magarovix mai calcolò come nemico o come amico, perché non degni d’essere considerati.
Il Senato ed i Consoli volevano estendere i propri domini in terra d’Iberia verso tali popolazioni autoctone, dotati di esigue forze e poche risorse da loro sfruttabili, tuttavia l’emissario recapitò un piano strategico a Magarovix, attraverso un attacco da settentrione, delle fila celtibere, i Celti d’Iberia si sarebbero impadroniti del nord della Lusitania, mentre i romani avrebbero condotto un attacco da ovest e da sud, impadronendosi del meridione della Lusitania, cancellandoli dal novero delle popolazioni autodeterminanti.”

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~ (Le tribù germaniche e la caccia.)

[Articolo di HerbertBacke]


202 AC .-

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//Imbarcazioni Romane Respinte alle coste di Cartagine.-

- - -



Roma codarda! aquile di malaugurio portano l'annuncio di una falsa pace a Cartagine, mentre le loro navi si avvicinano e giungono alle coste con l'intento di fermare i commerci con Cartagine l'esercito ed i mercenari guidati dalla indomabile furia di Asdrubale e Magone barca infliggono cadute sotto i colpi delle catapulte, costringendo i folli Romani a indietreggiare e liberare le aree nei pressi delle coste liberando i passaggi del mediterraneo che fungono da rinfornitori per le terre di Didone.



Roma si è montata fin troppo la testa dopo aver vinto un paio di battaglie di poco conto dove l'esercito era in ritirata o in minoranza numerica, le strabiglianti gesta di Annibale e dei Barca rimarranno impresse nella storia e nell'animo di chiunque si metterà contro Cartagine.

Il Consiglio ha esitato per troppo tempo durante lo scontro arrivando a supportare la famiglia dei Barca solo ora nelle fasi finali di questa guerra dove Roma tenta di far divenire il tutto uno scontro di logoramento, ma noi non glie lo permetteremo.



Annibale è impazzito lo schianto contro le mura della capitale Romana lo hanno reso debole ed il logorante tempo di questa guerra passata nella penisola italica hanno debilitato il suo corpo ed il suo spirito, egli si è ritirato di sua volontà esiliandosi verso le terre del Sud abbandonando cosi Cartagine nel momento di più bisogno, ma i suoi fratelli ripuliscono l'onta scagliatasi sulla sua famiglia difendendo la capitale e le sue terre il giuramento dei Barca ora si estende non solo alla famiglia ma anche a tutta Cartagine, è stata rintrodotta la leva obbligatoria oltre ottantamila soldati si sono uniti all'esercito e le mura delle città costiere sono state rinforzate rendendo le nostre terre inespugnabili al nemico.

La prossima manovrà sarà quella di riformare un piano d'attacco contro l'oppressore Romano,

e non importa quanti alleati egli chiamerà noi li respingeremo tutti e vinceremo questa guerra.



- - -

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Si fanno vanto gli stranieri di aver ormai in pugno il nostro impero, la perdita dell'iberia è stato un duro colpo come anche la ritirata costretta alle truppe quando ormai la capitale Romana era cosi vicina, il consiglio degli anziani ha deciso all'unanime di togliere il titolo di Suffeta ad Annibale concedendo quest'ultimo a Magone e Asdrubale i due fratelli minori con la speranza di completare ormai l'operato iniziato al più grande dei tre.



Le truppe fremono per combattere ma i due condottieri evitano il più possibile lo scontro, non è Roma a tenere in pugno noi ma bensì il contrario, finché non potranno occupare la nostra terra natia, finché non potranno impedirci di navigare per le coste il dominio sul mediterraneo per quei folli sono solo parole al vento, chiamano noi codardi quando le loro barche cadevano ai primi colpi di catapulta, chiamano noi codardi quando abbiamo inflitto le più pesanti perdite al loro esercito in tutta la loro storia. Chiedono aiuto agli egizi e tentano di privarci di supporti economici costringendoci alla fame ma non sanno cosa li aspetta.



Il popolo di Cartagine pare essersi calmato durante questo periodo di stallo, gli inverni passano silenti e nulla ci tange, forse avevamo avuto solo il miraggio di aver perso questa guerra cosi lunga e dolorosa.

Didone la nostra dea madre ci ha benedetti con abbondandi piogge e forza d'animo tale da potenziare l'apparato bellico, l'afflusso di danaro è aumentato dopo la decisione dei Suffeta di tassare le popolazioni delle lande desertiche, si sono creati veri e propri insediamenti Cartaginesi di uomini che puntavano a fuggire, li dove vi erano piccole Oasi ora si ergono villaggi parte del nostro regno, le miniere d'argento ci hanno concesso di recuperare parte delle spese economiche.





[Articolo di Mussulmanopazzo]


Σελευκιδική αυτοκρατορία(201 A.C)
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\\Το τέλος τελειώνει. (La Fine Incombe)//
-Quando tutto sembrava andare bene, niente più guerre e sofferenza, un nuovo nemico incombe sul capo del nostro Impero pronto a pugnalarlo ripetutamente fino a vederlo perire sui suoi piedi soffocato dal suo stesso sangue, un atto di un vile e senza onore codardo, ovvero lo sporco popolo del Nilo che tanto desiderano le terre nostre: belle, ricche di natura, baciate dagli Dei, mentre il loro Regno, formato da sola sabbia, è orribilmente deplorevole.

Da anni ormai gli uomini di sabbia bramano le ricchezze del nostro Impero indebolito assai dai vili traditori, che Zeus riservi a loro la più dura delle punizioni, colpa loro se la nostra vita è giunta dinanzi al baratro della morte pronta ad essere spinta dal dirupo dalla fredda Morte che giace dietro di noi, con il suo fiato freddo e mortale, attende il momento di porre fine alle nostre sofferenze e divertirsi con le anime dei poveri brutalmente uccisi dal nemico. E’ colpa di costoro, i traditori, se i bambini dell’impero non potranno vivere in pace, giocare tra loro e non guarderanno più il volto del loro valoroso padre chiamato dal Re per combattere il nemico con la speranza, con un briciolo di speranza, di proteggere la sua casa, la sua famiglia, suo figlio che forse non vedrà crescere per colpa del sadico nemico.



//Rivolta di Smirne\\
-Alle luci dell’alba di una calda giornata un gruppo assai numeroso di mercenari,mandati dal senza onore Sovrano della Sabbia, hanno aizzato la popolazione della città di Smirne contro l’esercito e l’impero con l'obiettivo di abbattere il dominio Seleucida in quelle terre ed instaurare la brutale tirannia Tolemaica. Della brutale rivolta, aimé, si conoscono i particolari grazie ai racconti dei fortunati fuggitivi scappati dalle lame egizie; raccontano di uomini crudeli che hanno torturato chiunque trovavano dinanzi ai loro occhi e che i poveri soldati di guardia non sono riusciti a fermarli. Hanno distrutto i templi e i monumenti dedicati agli dei senza rispetto, hanno appiccato incendi in varie zone della città bruciando raccolti e case alcune di esse sono state saccheggiate e distrutte uccidendo uomini e bambini ancora dormienti per poi catturare le belle donne per far di loro ciò che vogliono.

Uomini senza cuore e onore come il loro mandante che dall’alto del suo palazzo,costruito dalle mani di poveri schiavi costretti a lavorare giorno e notte senza alternativa, ride e si diverte senza pensare alle vite spente per mano dei suoi uomini, ma un giorno quando gli Dei saranno stanchi di osservare tale abominio, il Regno di Sabbia brucerà ponendo fine alla sua vita.



Il Re Antioco in un grido valoroso chiama a se ogni uomo dell’Impero con il compito di unirsi all'Esercito, indossare elmo e armatura, impugnare spada e scudo, con l’unico ed il solo obiettivo di combattere per ogni singolo pezzo di terreno, in montagna o in pianura, in mare o a terra, a cavallo o corpo a corpo, per l’impero ma soprattutto per la loro famiglia, Moglie e figli, che attendono nelle loro case il ritorno del loro Padre, con la speranza che questo incubo presto finisca e di riabbracciare il loro Papà.

Come a Smirne in tutta l’Anatolia soffiano venti di malcontento che alimentano il focolaio di rivoluzione che è divenuta la penisola ormai in preda al panico tartassata di guerre e morte. Ciò rappresenta per molti Regni vicini un opportunità unica per ampliare i suoi domini a discapito del nostro Grande Impero incapace di poter contenere così tanto potere.



\\Πόλεμος της Αρμενίας και λήψη της Άγκυρας.(Guerra d'Armenia e presa di Ankara)//
-A nord dell’Anatolia il piccolo Regno d’Armenia è caduto sotto l’assedio delle guarnigioni seleucide che hanno assediato le città Armene fino a giungere alla sua Capitale stringendola in una morsa letale tagliando ogni collegamento con il mondo esterno. Senza viveri e i continui attacchi degli arcieri seleucidi, il Re Armeno è stato costretto ad arrendersi per preservare la sua vita e quella dei cittadini della città aprendo le porte della città e disarmando i soldati all’interno. Il Re assieme alla sua famiglia è stato spogliato dei suoi oggetti preziosi e cacciato dalle sue ormai non più terre e se mai dovesse tornare per rivendicale morirà.

Come gli Armeni destino non fu molto diverso per il Regno di Bitinia anche esso a nord dell’Anatolia. Le Guarnigioni Seleucidi entrate in terra nemica passo dopo passo hanno conquistato i piccoli villaggi dinnanzi al loro cammino trovando però resistenza una volta giunti nella capitale Nicomedia, ma anche essa dopo molti giorni in cui si sono difesi con audacia e forza le mura della città hanno ceduto sotto gli attacchi Seleucidi creando uno spiraglio verso la città completamente indifesa. Il Re del piccolo regno ha combattuto con onore assieme ai suoi soldati fino alla morte per questo gesto d’onore gli è stato concesso una sepoltura degna di un Sovrano.



[Articolo di Ferdinand-Foch]


♗ ::: ☥ - Divina Tavola di Horus - ☥ ::: ♗

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104° Anno di Regno (201 A.C.)

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220px-Ammit.svg.png220px-Sekhmet.svg.png

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hiero_G8.png?a8843 // - Ancora una volta si destava la Leonessa,



il cui respiro fa il Deserto e con Ptah inebria l'aere del Mondo.



Colei davanti a Cui perfino il Male trema, punta ora le sue vittime.



Ruggisce nella sua Grandezze e nella sua Ferocia.



Di nuovo discende per conto di Ra a cui diede dono un Fiore di Loto.

La sua ira non troverà fine, e questa volta guarda oltre la Libia....Cartagine! - // hiero_G8.png?a8843

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[ - L'Oracolo ha parlato: Cartagine dev'essere distrutta! - ]







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L'Oracolo di Amon a Siwa, già meta del nostro padre Alessandro Magno più di duecento anni or sono.

Il Grande Macedone, vi si recò dopo esser disceso nelle Terre del Nilo per essere consacrato come Figlio dell'Occulto e ottenere Grazie e Vittorie in quelli che sarebbero poi stati i suoi Trionfi in Persia.

Ora, Sua Eminenza il Gran Sacerdote eponime dell'Alessandro e Reggente della Corona Aristomene di Alizia, vi si è reca nel medesimo modo del Sovrano Macedone.

Un nuovo nemico minaccia l'integrità del Regno e la vita di Sua Grandezza Tolomeo V, orfano dell'ancor compianto Salvatore dell'Egitto.

Questa volta è il viscido elefante Cartaginese a barrire altero oltre le dune libiche.

Cartagine infetta i Mari da troppo tempo e il suo aver osato attaccare alcune nostre triremi al largo della Cirenaica, ha ormai reso insopportabile la sua esistenza.

Si faceva dunque necessaria la parola degli Dei.

Un corteo di 40 puledri, 20 bighe, 200 uomini della Guardia Reale e 1 elefante sacrificale, lasciava il Palazzo di Alessandria per percorrere la stessa strada percorsa anni prima dal Padre Fondatore.

Il Sole era cocente e tra la sabbia Shu muoveva il suo fiato facendo il vento.

Nel cuore del raggruppamento, vi era un pargolo, 10 anni appena, quasi sufficienti a governare, ma ancora in Reggenza.

Tolomeo V aveva espressamente chiesto al suo protettore di partecipare alla spedizione, con non poca meraviglia da parte di Aristomene, che comunque accordò la richiesta e fece allestire un baldacchino parasole sulla Biga reale.

Calò la notte e uno strano evento trovò compimento: vicino agli esploratori, in testa al corteo, emerse un serpente che parve seguire a pari passo gli equini, i quali stranamente non si mostrarono spaventati.

Venne il turno di un secondo serpente, e poi un terzo, un quarto, un quinto...dozzine di serpenti emersero pian piano dalle sabbie sibilando e strisciando veloci come a guidare la spedizione.

Tra i vari sibili, secondo i soldati che hanno assistito all'evento, era possibile udire delle parole: .... "Amon è Grande!" - cosi sembravano parlare le serpi che si moltiplicavano a vista d'occhio.

Quando Aristomene fu fatto partecipe del mitico evento, neanche lui poté dare una spiegazione a tutto ciò.

I rettili erano ormai centinaia, disposti quasi secondo un ordine squadrato e veloci avanzavano.

Fu l'alba e all'orizzonte emersero i due colossi Siwani.

I serpenti si erano dissolti, probabilmente erano tornati sotto la sabbia...

Il corteo fece il suo ingresso nella sacra cittadella sotto gli occhi stupefatti dei giovani e degli anziani.

Velocemente la Guardia si attestò fuori dal Grande Tempio.

Nella Sacra Aula, fecero il loro ingresso Aristomene, Tolomeo V, l'elefante e 40 uomini della Guardia Reale.

Il Sacerdozio di Amon si dispose come da rituale e il Gran Sacerdote prese parola dopo aver acceso le fiaccole incenso:

« Signore di ciò che è, permanente in tutte le cose,




unico in sua natura come il Seme degli Dei di cui sei il Capo.



La tua dolcezza è nel cielo settentrionale,



la tua bellezza rapisce i cuori, l'amore di te fa languide le braccia,



la tua forma bella rende deboli le mani, e i cuori, alla tua vista, ogni cosa dimenticano.



Tu sei l'unico che fece tutto ciò che è.



Dinanzi a te il tuo umile e fedele servo, tua missive in Terra,



ti chiedo di mostrarti per tuo figlio Tolomeo ed il suo Reggente,



il valoroso Aristomene di Alizia! »




Una grossa fiammata blu si sprigionò dal grande incensiere ai piedi della Statua di Amon.

Un globo di luce celeste e fiammeggiante pareva elevarsi dal resto del fuoco ed illuminare la marmorea scultura.

Aristomene, allora, si fece avanti e parlò:

« Signore della verità e Padre degli Dei,



Artefice degli uomini e Creatore degli animali,



Signore delle cose che sono e Creatore del corpo della vita,



Io sono colui che ha l'onore di Reggere il tuo Rampollo in terra,



in virtù del mio dovere di Protettore d'Egitto e del Faraone, io ti chiedo:







Il Glorioso Falco d'Egitto combatterà l'Elefante di Cartagine? »








Dal globo di luce esplose una scintilla e per mezzo del Gran Sacerdote, Amon pronunziò:





«Il Falco combatterà! »







Allora Aristomene continuò:



« Vincerà? »








L'Oracolo sputo un'altra fiammata e dalla bocca del Gran Sacerdote emersero le parole:

« Vincerà »




Concluse Aristomene con una terza domanda:








« Concederai dunque al mio Protetto e figlio Tuo, di Regnare su tutti gli Uomini? »








Il Dio gli rispose:





« In quanto frutto del mio Seme, ciò gli sarà concesso.



Il suo volere si estenderà su tutto il Mondo,



tutto ciò che in terra vive non potrà sottrarsi dal piegarsi alla sua Ombra.



Che della mia volontà, sia fatta Legge »

Il globo di luce calò, le fiamme si estinsero e il Gran Sacerdote fu libero.

Amon aveva sentenziato, Cartagine sarebbe stata distrutta dall'artiglio del Falco.

Aristomene fece quindi un cenno ad alcuni soldati, i quali finemente coordinati, conficcarono delle pesanti lance d'argento in ognuna delle quattro zampe del pachiderma, il quale stramazzò a terra, sanguinando copiosamente.

Si udivano i suoi lamenti in tutta la città.

Aristomene si avvicinò all'animale e guardandolo nei suoi grandi e lacrimanti occhi, afferrò le sue zanne, una per mano, e con forza sovrumana gliele staccò di nettò.

Il grosso essere barrì di dolore, ma non riuscì a concludere il suo primo languito di dolore, che fu trafitto da una spada nel capo. Il valoroso Generale, voltatosi esclamò:





« Che gli Dei e che tutto l'Egitto veda in questo animale, il destino di Cartagine!»









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Nelle terre dell'Hispania, compiutosi il rito, l'Armata comandata dal Generale Policrate, inviata lì su richiesta di Roma, ricevette dunque l'ordine di attacco.

L'Esercito s'imbarco su un'imponente schiera di triremi e partì per le coste nubiane.

Approdò dopo 2 lune di viaggio e subito dovette far fronte alle prime ostilità: una tribù indigena al soldo dei vili Cartaginesi, i quali avevano ramificato la loro serie di alleanze su tutta la costa limitrofa.

Non ci volle molto però, prima che la falange del comandante Tlepolemo schiacciasse gli insignificanti esseri che vi si opponevano.

Fu quindi intrapresa una lunga e faticosa marcia, tra le sabbie della Numidia più interna e desolata.

Solo dopo la nona luna, all'orizzonte si destò l'ombra della cittadella di Mzab, così la chiamavano i punici.






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All'alba, i corni di guerra risuonarono, facendo sprofondare nel panico più totale l'intera valle.

Discesero le nostre furie, facendo terra bruciata di tutto ciò che incontravano.

La Cavalleria, nuovamente al comando di Fossida, che dopo la Raphia si ritrovava nuovamente sul campo di battaglia, travolse chiunque gli si presentasse davanti: soldati, donne, bambini ed anziani. La Guardia Reale ebbe modo, grazie alla presenza di graziose donzelle, di soddisfare i propri bisogni più interiori dopo un duro e faticoso viaggio.

La guarnigione locale poté ben poco contro un'Armata meglio addestrata e che la superava per 60 volte in numero.

I punici furono rapidamente circondati e schiacciati dalla potenza del Faraone.

Prima che potesse concludersi la traversata celeste di Ra, l'intera vallata fu ripulita dalla presenza della feccia cartaginese.

Della cittadella e dei villaggi che vi erano, non rimanevano che macerie, mentre l'erba bruciata veniva cosparsa di sale. Policrate decise di accamparsi, avrebbero continuato la loro inesorabile avanzata l'indomani...

Nella notte però, qualcosa successe: Sekhmet venne in sogno al Generale, suggerendogli la ritirata.

Le forze puniche erano state allertate e sarebbero ben presto giunte.

Non vi era modo di pianificare una nuova avanzata, bisognava tornare sui propri passi. Policrate, svegliatosi immediatamente dopo la dissoluzione della Leonessa, ordinò l'adunanza per l'intero accampamento: l'Armata doveva ritirarsi!

Sotto gli occhi di un incredulo Scipione, generale romano, e delle sue truppe, le armate egizie abbatterono le tende e prepararono il necessario.

I romani non comprendevano il motivo di tale scelta e solo dopo un colloquio privato fra i due Generali, Cornelio si convinse, ordinando anch'essi la ritirata per le truppe romane. Solo una voce si alzò contraria al coro, quella del Comandante Fossida e dei suoi uomini, convinti nel dover continuare l'avanzata verso Sud, come pianificato.

Seguirono diverse schermaglie fra lui e Policrate, ma il vecchio e leggendario generale greco-egizio, aveva ormai preso la sua decisione: sarebbe andato in contro alla morte con gloria ed onore;

"Mi rimangono ormai pochi anni e voglio porre fine alla mia vita nel modo in cui ho sempre vissuto questa; COMBATTENDO! - così avrebbe detto Fossida a Policrate, il quale, profondamente commosso, salutò il compagno con un abbraccio.

Fossida prese il comando dei suoi 2000 uomini, tutti compatti nel seguire il proprio Generale anche se consapevoli della sorte, e partì verso Sud, verso i monti.

Intanto, così come aveva predetto Sekhmet, si intravidero gli elefanti di Cartagine, avanzare lentamente sulla linea ove la sabbia e il cielo si congiungono. Tutto era pronto, l'Armata s'incammino in una veloce ritirata, senza però che Policrate, in virtù del suo investimento sacerdotale avvenuto anni prima, lanciasse una maledizione contro Annibale, Asdrubale e tutta Cartagine:





“Cadi a terra, o abominio venuto da Ashfet...



immondo frutto nato nelle viscide caverne della Duat,



tu hai alzato il braccio contro l'Occhio di Ra e hai catturato i figli di Horus...



corri verso Sekhmet, che ella bruci le tue carni, che ella tronchi le tue dita,



che ella respinga la pianta dei tuoi piedi lontano dalla terra d'Egitto.



Che la disgrazia ti colpisca nel tempo che hai ancora da passare sulla terra ..non mi fai male... o Straniero...!!!”








Disse questo e interrò un medaglione nella terra morta...





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[ - Morte al Popolo di Seleuco - ]







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Erano trascorsi 16 anni da quando Tolomeo IV graziò Antioco III e il suo infido popolo dalla distruzione totale.

Da allora il Regno Seleucide, cadde nel caos più totale, con rivolte interne e una serie di guerre dinastiche per la conquista del trono. Impiegarono anni, quei cani che abitano oltre la Celesiria, per ristabilire l'ordine nei loro insignificanti domini, ma evidentemente nelle membra di Antioco il ricordo di quella calda giornata in cui sfiorò la morte, si era sfaldato...

Iniziò una folle campagna di restaurazione, in cui l'Armenia e la Bitinia trovarono la caduta, per mano del corrotto pensiero del popolo di Seleuco.

Subito dopo, vennero però alla luce, dei contatti diretti fra i Seleuicidi e i Cartaginesi, una situazione che non poteva essere tollerata!

I due popoli, piegatisi ad Isfet, ordivano ora contro il Falco Egizio: occorreva porre immediato rimedio alla situazione! Un'Armata di 15.000 fanti, 2000 falangisti e 1500 arcieri e 1500 cavalieri, trovò rapida creazione.

Al suo comando fu posto il giovane Pelope, governatore di Cipro e valoroso combattente.

Compiuto un breve rito sacrificale, ove questi sgozzava un capro, diede l'ordine di marcia verso Damasco, la cui guarnigione intanto, aveva però vilmente disertato, lasciando i propri fratelli e le proprie sorelle in balia delle nostre lame, che senza alcuna resistenza, entrarono nella città.

Intanto, in Anatolia, la città di Smyrna, i cui lungimiranti abitanti avevano ben inteso quale fosse la situazione, sbaragliava la propria guarnigione seleucida, acclamando a gran voce l'ingresso delle Truppe d'Egitto, le quali non si fecero attendere.

.......................................





[Articolo di Dark II]
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Partita GDR | Imperium [di falco1994 8/02/2018] Empty Re: Partita GDR | Imperium [di falco1994 8/02/2018]

Messaggio Da Falco Mar Feb 08, 2022 9:17 pm

Αγορά


(201 AC)
575 anni dalle prime Olimpiadi


{Θέματα πολιτών | Questioni Cittadine}


|Vittoria in Tracia|

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Gli ultimi anni passati sembrarono che il fato preparasse uno splendente avvenire per il nostro popolo, sembrava che alle pendici di quel sacro albero che sta nell'Ade, le moire stessero laboriosamente intessendo un vellutato tappeto blu con al centro l'aura stella: il vessillo della Macedonia.

Cloto, la prima moira, filava la lana del nostro destino. Di fronte a lei Lachesi, la seconda delle tre anziane sorelle, intrecciava i fil di lana in un unico e spesso tessuto. E infine Atropo, la terza moira, rifiniva e abbelliva l'arazzo del nostro destino.



Gli stessi dei sono impotenti di fronte al fato e non possono cambiarlo. Gli uomini sono ciechi di fronte ad esso, e solo per mezzo dell'Oracolo, riescono ad anticipare il proprio destino.

Gli uomini comuni sono si ciechi di fronte all'aletheia (l'inarrivabile verità), ma con la dote della saggezza, possono scorgere attorno a loro i segni lasciati dagli esseri superiori. E possono quindi accorgersi tra le tante cose divine quale sarà il mantello con cui li vestiranno le tre moire.



Creta, che veniva continuamente razziata dai pirati ed era trattata dai romani non come un alleata ma come una conquista, si era ribellata cercando il nostro aiuto contro la nemica città di Rodi, che fu presto accerchiata per mare dalla flotta Ateniese che ne distrusse le navi mercantili. Non potendo sostenere più la propria economia, Rodi si arrese dopo quattro anni, lasciando che le imbarcazioni di Atene approdassero, e la riducessero ad uno stato tributario.

Pleurato, re dei Traci, temendo l'accerchiamento intervenne al fianco di Rodi, e infuse tra le sue truppe e tra la sua Gente la falsa speranza di poter impedire che la Macedonia si rinnovasse come principale potenza ellenica, ritrovando lo splendore e la forza perduti il secolo scorso.

Corsero quindi verso il monte Olimpo, rassicurati da falsi auspici varcarono le barriere naturali che separano la Tracia dalla Macedonia.



Ai piedi del monte Olimpo si svolse il primo, cruento e decisivo smacco delle forze avversarie. Gli dei da lassù osservarono sotto la coltre di bianche nubi i due popoli che si confrontarono: Atena predilisse i macedoni, mentre Ares, amante delle eroiche morti, avrebbe dovuto preferire i traci ma tradì le aspettative. Gli avversari furono sconfitti, le forze più cospicue di Tracia erano state annientate, e questo fu innanzitutto dovuto al Genio dell'abile comandante macedone Filopemene.

Successivamente nello stesso anno, le imbarcazioni Ateniesi nel mar della Marmara annientarono la flotta Trace, e una volta approdati si impadronirono della zona costiera. Il secondo ed ultimo anno di Guerra si svolse in una serie di rapide vittorie per l'Armata Macedonica che aveva inizialmente invaso la zona occidentale della Tracia, e aveva infine schiacciato sotto il sandalo di Polycratia le ultime miserevoli resistenze nei territori centrali.

I Traci, che hanno un ottima reputazione in ambito militare, e che sono dei rinomati mercenari, erano stati quasi del tutto sconfitti, e ormai si potevano avvalere solo dei mercenari Odrisi: un popolo celtico dedito alle armi che si era insediato in quelle terre da oltre un secolo.



{Βαρβαρικά θέματα | Questioni Barbariche}


|Il Carro Trionfale di Pella|

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Il re Pleurato fu catturato dalle truppe macedoniche assieme a numerosi altri Guerrieri Traci. E in catene furono trasportati a Pella come schiavi. Il territorio di Tracia era diventato un tributario della Macedonia, com'era ai tempi del Grande Alessandro, e al popolo celta di Odrisia venne concessa l'amministrazione di quelle terre in cambio dell'amicizia e del fedele supporto in Guerra.

Gli schiavi furono scortati dalle armate reali e marciarono in fila a Pella, capitale della vittoriosa Macedonia. Pleurato era stato rinchiuso in una Gabbia, trasportato da un Carro Trionfale, cosicché tutti potessero ammirare il successo dell'impresa militare.



Gli schiavi e il carro trionfale furono fatti sfilare sotto il sole a passo lento e a suon di frustate per le strade della capitale, dove si erano riuniti a schiere i cittadini che volevano assistere allo spettacolo. Pleurato era seduto a torso nudo, rannicchiato nella stretta Gabbia, e cercava di tenersi con le mani sulle fredde sbarre metalliche. Guardava ancora fiero la folla, nonostante tutto. Gli occhi del re non lacrimavano, ma si poterono rattristare alla visione di quello che ne era dei suoi soldati, che marciavano in catene sotto un sole rovente, ripetutamente colpiti dalle fruste.

Poi i cavalli smisero di trottare. Il corteo si era fermato, non appena che il Carro era arrivato a destinazione.

Aprirono la Gabbia del re, e la clemente Basilissa vedendolo in quelle pietose condizioni, decise che a Pleurato fosse risparmiata la vita, purché subisse la stessa sorte dei suoi soldati: essere venduto come schiavo.


|Collasso dell'Impero Seleucide|
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Era il penultimo anno della Pace di Fenice, dopo la quale sarebbe scaduto l'armistizio stipulato otto anni prima. Il desiderio dei macedoni era quello di rinnovare in un qualche modo questo armistizio, o comunque di far continuare questa fruttuosa pace, ma restava capire se Roma ricambiava questi desideri.

Asdrubale, succeduto al fratello Annibale, ormai fuori di se, non cedeva, e continuava a tenere sotto scacco Roma e la Repubblica. Entrambe le parti avevano buoni motivi per non attaccarsi, e sebbene i macedoni non vedessero di buon occhio la presenza dei romani in Grecia, il barbaro assassinio di Livio Andronico, un uomo che stava solo esportando un po' di cultura, e il modo in cui i romani trattavano i nostri fratelli Greci, mantenere la pace con Roma restava un obiettivo prioritario in quel momento: restavano da risolvere la questione di Massalia, il problema con le popolazioni dell'Illiria, e poi non trovavano fine le tensioni con i Seleucidi ad Oriente.



Sono queste le ultime lune del dominio dei persiani Seleucidi nella penisola Anatolica, e della minaccia che essi rappresentano per l'indipendenza dei popoli dell'Ellade. I Seleucidi sono miseri, i loro soldati disprezzano i loro comandanti, i loro stessi sudditi disprezzano la dinastia, e rifiutano di esserne tributari.

Smirne, l'antica colonia Greca nei pressi di Efeso, ha rifiutato di sottostare ai nipoti del diadoco Seleuco, e ha affermato con forza il diritto di proclamare l'indipendenza, preferendo sottostare ai Tolomei, piuttosto che ai persiani. Certo, hanno diffidato e temuto la Macedonia tuttavia la rivolta di Smirne prepara tutta una serie di successive ribellioni, che una dopo l'altra, scacceranno per sempre la feccia orientale dai nostri confini.



Dopo la rivolta di Smirne, gli egizi hanno ripreso le loro azioni bellicose contro gli odiati persiani. É arrivata l'occasione tanto attesa, nella quale i Seleucidi saranno rispediti a casa loro nelle più desertiche e abbandonate lande dell'Asia.

Antioco III rifiutava di perdere l'Impero che aveva ereditato da Seleuco ma che non era riuscito ad amministrare, l'avarizia e la codardia erano tratti tipici di questo essere talmente infimo, un abominio in terra che non possiamo chiamare uomo e che nella sua bassa e umile viltà, non sarebbe stato neppure abbastanza degno di prostrarsi ai piedi della nostra Basilissa per implorarle pietà.

Più tempo passerà perché se ne andrà questo flagello parassitario, e più saranno iracondi e vendicativi i rivoltosi popoli della Grecia.

Il valoroso comandante Filopemene, distintosi per la Guerra in Tracia, sarà inviato nei territori occidentali dell'Impero Seleucide perché alimenti i fuochi dell'insurrezione tra i Greci delle colonie, e porti avanti l'idea del defunto Acheo, quella di costituire uno stato in Asia Minore.





[Articolo di Astrid I]


200 AC
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// Nell'inmagine un beduino osserva le conquiste Egiziane.

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<< Chissà quale embolo è partito ai barbari mia regina, la guerra infuria da anni ormai ma Cartagine resiste e regna sovrana nelle sue terre. Le truppe impreparate hanno perduto uno scontro alle coste Numidi un grande esercito di sessantamila uomini guidati dal celebre Policrate. Lo scontro è imperversato per pochi giorni troppo era il numero delle forze congiunte e alla fine l'Egitto ne è uscito vincitore, ma chissà se per mano tua o di altri Dei la svista del caldo ha compito con prepotenza il loro esercito... Egizi e Romani sono uomini strani ma giungere fino a Sud nelle terre di Sabbia è una mossa da stupidi oltre che da codardi.

Hanno evitato il nostro grande esercito, ad ogni arrivo dei nostri elefanti le loro legioni si sono spostate sempre più a Sud fino al punto che il generale Asdrubale sospettò di una strategia di guerra, magari avrebbero voluto invaderci da Nord mentre l'esercito era disperso nelle dune di Sabbia?.. Il Suffeta ordinò di tornare a Cartagho per difendere la città da eventuali attacchi ed al nostro arrivo non credemmo ai nostri occhi, nessuna legione, nessuna truppa solo la solita pace ed armonia che da anni ci accompagna.

Ma allora mi domando perché mia Regina?.. messaggeri parlano di vittorie Egizie in città inmaginarie, una certa Mazda, mai sentita nominare ed io il mio regno lo conosco a pieno. Dunque erano veramente stati cosi folli da imprigionarsi dasoli in terre mai esplorate?.. condummo l'esercito verso le montagne rocciose nei pressi di Cesarea ma non riuscimmo a cogliere in tempo l'attimo perché gran parte delle legioni riuscirono a scappare. Eccezione fatta per un discreto numero di soldati che impavida secondo i beduini che cavalcano le dune continua a dirigersi verso Sud ignaro di cosa possa attenderli, soffrono la sete e si decimano dasoli, senza generale o comandante alla loro guida. Una tale pena da spingere i più a dargli la caccia e far finire le loro sofferenze per compassione, più che per rivalsa nei loro folli tentativi di conquista.

Le risate di Asdrubale la notte dell'avvento non smisero di assordare l'accampamento dell'esercito e con lui a seguito Magone e tutti i generali di rango superiore a quello dei Miliziani.Mentre il rimasuglio dell'esercito egiziano fugge distrutto da sete e fame verso l'iberia nei caldi mari del mediterraneo infuriano le battaglie navali, cadono a centinaia le imbarcazioni Romane sotto le triremi Cartaginesi, il dominio dei Mari da lungo discusso tra i nostri popoli per molti secoli prima di Roma appartenne a noi, e la tradizione strappataci con violenza da Roma durante la guerra condotta dal padre dei nostri tre eroi ora riemerge come una piaga per l'aquila e il suo popolo.

Hanno parlato di noi come gente codarda, ma i fatti sono fatti e come dice un loro proverbio."Scripta manent verba volant" I fatti sul campo di battaglia danno ragione a Cartagine che anche nel momento di stremo più assoluto vince le battaglie per terra e per mare. I Pirati della Numidia sono dalla nostra parte in tutto ciò, seicento piccole imbarcazioni insieme a quelle dei ribelli numidi fendono le onde e addentano il legno dei legionari. L'abbattimento di una grande flotta alla costa di Zama è stato solo l'inizio le grandi imbarcazioni munite di marchingegni da guerra come anche triremi con soli soldati cadranno tutte se oseranno avvicinarsi alle coste di Cartagho. >>



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// Nell'inmagine la morte per ingestione di Cicuta da parte di Annibale.

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<< Puoi sentirlo? anche il cielo piange per la tua scelta.. oh prode Annibale tu che scavalcasti le Alpi e dell'odio a Roma facevi una tua religione. Ora sei tra le mie braccia è sei freddo, pallido ed in volto hai un espressione sofferente. Comprendo a pieno la tua scelta, non hai sopportato l'onta che Roma ha riversato su di te e che la tua salute e il tuo fisico non ti hanno permesso di lavare via scacciando tutto sui tuoi fratelli...



Ora tutto tace, non un sospiro si leva per tutta Cartagine, tutti rimangono in silenzio la stessa Regina Didone versa lacrime dall'alto ma ti accoglie nel suo tempio come Eroe e prode guerriero il quale ti sei dimostrato di essere.

Non solo lei ma tutto il Regno giura qui davanti il tuo corpo vendetta contro il popolo di Roma, ciò che hai fallito ora verrà portato a termine da ogni uomo capace di afferrare il suo destino per combattere l'oppressore che viene dal Nord.



Mia regina, mi senti?.. te ne prego, fa si che questa tempesta scacci i presagi di malaugurio e le maledizioni inflitteci dai nostri nemici.. purificaci con quest'acqua ed accetta il sommo sacrificio di Annibale come tributo a te per la vittoria di Cartagine, una vittoria totale che non lascierà spazio a compromessi di alcun vantaggio per Roma ed i suoi alleati, conducici verso la vittoria e non importa quanto essa sarà difficile da raggiungere, non importa quanto sangue sarà versato la fenice risorgerà dalle sue ceneri e Cartagho regnerà incontrastata >>



- Ma mentre parlavo messaggeri partivano da Cartagho in diezione delle coste Siciliane in cerca di un compromesso stavolta che avesse soddisfatto le richieste di Cartagine che più di ogni altra nazione si è fatta valere. I Suffeta hanno detto che non accetteranno pace ammenoché Roma non ceda a Cartagine le Maiorche e l'assenza da tributi di guerra da pagare, Roma ha già quello che voleva ottenere, il dominio seppur parziale del mediterraneo e la penisola dell'Iberia terra cartaginese ora date alle fiamme dai conquistatori Romani. Pensano a difendere ciò che ancora ci appartiene i Consiglio degli anziani ma non pensa ai caduti che hanno combattuto per un fine ben più grande. -



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// Nell'inmagine i raccolti di grano andati a male.



- Ci puniscono ancora le maledizioni di Roma, Cartagho patisce la fame dopo l'ennesimo anno di secca, i raccolti appassiscono e muoiono, siamo stati costretti a comprare grano di contrabbando dai pirati. Sono infidi e conoscono corsi d'acqua che Roma non pattuglia, comprano grano da altre nazioni e lo rivendono al doppio se non al triplo del prezzo costringendoci a razionare gli alimenti per ogni cittadino. Magone il più giovane dei Barca ma il più ingegnoso ha tentato di porre rimedio a ciò cercando di dar vita a cisterne d'acqua piovana più grandi e dando vita a nuovi canali che ora attraversano Cartagine. Ma la terra ha sete come se sotto la terra vi fossero le fiamme vive dei vulcani, e a poco serve quando anche l'acqua potabile va razionata.





[Articolo di Mussulmanopazzo]


::: :::: Annales Maximi ::: :::

200 AC

554 anni ab Urbe condita


[Foto]



\\ Baccanali. \\


[Civilitas Romana]

- Bacchanalia Romae - Baccanali a Roma

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Squallore, Indecenza, Scostumatezza. O Roma, cosa ti abbiamo fatto? Anzi, cosa ti hanno fatto i senatori e i traditori del popolo? Sotto l'arco di Settimio Severo, una lastra quadrata con incisioni entrusche dice che vi fu sepolto Romolo, il fondatore di Roma. Da quelle parti di notte si odono strani rumori, provenienti forse dalla tomba, al cui interno lo scheletro di Romolo si volta e si rivolta su se stesso non trovando pace per quello che il Circolo Scipionico ha permesso.

Il baccano e l'immondizia fetida dell'effemminata cultura ellenica, hanno potuto diffondersi persino a Roma, su concessione del Senato e di quella ristretta cerchia di aristocratici Scipionici. In queste prime notti di marzo si sono svolti per la prima volta i Baccanali a Roma. Il chiasso dei Greci, dei Lucani e di tutta quell'immonda razza, ha risuonato nei sette colli. Si udivano donne strillare, vecchi stonati cantare, e urla animalesche dappertutto. Tanto che i cittadini romani non hanno potuto fare a meno che rinchiudersi nelle loro insulae e stendersi sui morbidi letti sperando di cadere tra le braccia amorevoli di Somnium, il dio del sonno.



« Ho dovuto tenere i miei schiavi all'interno. » Si lamenta un patrizio. « I miei schiavi mi stavano implorando di uscire nonostante li tenessi dentro la villa, erano come dei lupi in una notte di luna piena: ululavano alle stelle incomprensibili parole in Greco. »

I disturbanti rumori hanno scacciato Somnium da Roma, e la plebe ha protestato davanti al Senato per chiedere la proibizione di questo culto immorale. Il mattino successivo le strade di Roma erano piene di cocci di vetro frantumati, e qualche Greco se ne stava ancorato a terra ubriaco, qualcun altro si muoveva ancora disorientato, provato dalla sbornia della sera prima.

E non scriveremo delle fanciulle, perché simili oscenità non meritano di essere impresse nella storia di Roma.

« Crediamo che il Dio Bacco sia schifato da questi sporchi rituali in suo nome. In suo nome ci si avvelena con litri di vino, e sempre in suo nome le donne rompono la fides matrimoniale. A tutto c'è un limite. »

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Marco Porcio Catone, un plebeo nato a Frascati e portato a Roma dal console Lucio Valerio Flacco, adesso questore e proposto edile di Roma, aspira al corsus honorum e a diventare Senex: accedere quindi al senato dopo una vita sacrificata alla Repubblica. Catone sembra avere le idee chiare, nonostante abbia appena 34 anni, sembra sicuro di riuscire a diventare Console, e sembra abbastanza convinto delle sue austere posizioni.

Catone, il plebeo che diventa politico, ritiene in fatti che il Senato non stia facendo nulla per Roma e che nel frattempo il Circolo Scipionico lascia che Greci insozzino la cultura romana con la loro lasciando entrare centinaia di letterati e filosofi ellenici.

E Catone quindi, in testa alla voce del popolo di Roma, protesta contro i Baccanali, e ne chiede la proibizione.



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[Civilitas Barbarica]

- Seditio Graeci Ambraciae - Rivolta dei Greci in Ambracia

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I Greci non solo inquinano Roma, non solo chiedono l'aiuto di Roma in quanto incapaci di difendere la propria libertas, ma Roma deve imbrattarsi le mani reprimendo le loro ribellioni. I Cretesi furono i primi a ribellarsi, lamentandosi di Roma, e del fatto che non li difendessimo dai pirati di Rodi sebbene loro stessi disponessero di imbarcazioni piratesche. I secondi furono i Lacedemoni per mezzo di Nabis, uno schiavo siriano che cercava di liberare i propri consimili di Sparta. Gli ultimi furono i cittadini di Elis e dell'Ambracia, esausti della presenza delle truppe ausiliari romane nelle loro terre, e a dir loro, del controllo di Roma sulla loro vita politica.



Roma ha dovuto sporcarsi le mani di questi sudici Greci: le truppe romane hanno perfettamente sedato la rivolta, e in compenso si sono procurati numerose opere d'arte, statue e tesori di inestimabile valore che sono stati venduti a Roma.

Sembra che i Greci non sappiano stare fermi, che essi vivano quotidianamente alla maniera dei Baccanali e che non sappiano controllare i loro impulsi: l'Impero Seleucide sta collassando per via di numerose rivolte che attraversano il suo territorio come un brivido attraversa una spina dorsale.



É proprio l'instabilità dell'animo ellenico che preoccupa i senatori romani: l'anno prossimo, scade la Pace di Fenice, che sanciva un armistizio di 8 anni con la Macedonia. Polycratia, una donna potente che contrariamente alle spettative del Senato ha dimostrato di saper condurre un esercito alla vittoria, sembra riluttante a riaprire un epoca di ostilità con Roma. Guidati da una donna hanno sconfitto i Traci, popolo di tenaci Guerrieri, e hanno umiliato il loro re Pleurato. Roma non teme di essere sconfitta, tuttavia il Senato teme che un attacco macedonico in combinazione alla Guerra Punica potrebbe far precipitare la Repubblica nell'oblio.



- Praeda Lusitaniae - Conquista della Lusitania

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Essendosi Roma insediata in Hispania nelle fasi più critiche della Guerra Punica, e solo con le abili manovre dei due fratelli Gneo e Publio Scipione, per consolidare il dominio nel territorio era diventato necessario stabilire buoni rapporti con le popolazioni locali e con i vicini: i Celtiberi, il cui capo si chiama Macarovix. In onore di questa alleanza, Roma ha deciso di aiutare i Galli contro i loro storici nemici: i celti della Lusitania. Alcune fonti ci dicono che i Celtiberi non siano realmente nemici mortali dei Lusitani, ma il Senato di Roma preferisce offrirci un altra narrazione.

Quantunque disponessimo di pochi uomini e soltanto di una decina di balliste, in pochi anni i manipoli romani sono riusciti ad umiliare i Lusitani Grazie al Genio Latino.



I soldati erano posizionati in difesa delle balliste, che colpivano con dardi infuocati l'accampamento dei Galli. La combinazione di fuoco e ferro distrusse in poco tempo le forze Lusitane, che nonostante tutto lottarono fiere corpo a corpo con i manipoli romani, numericamente inferiori, e sacrificarono la loro vita. Roma aveva invaso il meridione della Lusitania, mentre i Celtiberi si sarebbero appropriati del settentrione.

I comandanti in capo delle forze ispaniche, riconobbero tuttavia il valore del popolo dei Lusitani, e decisero, che una volta conquistati, avrebbero ricevuto la confoederatio. I Celtiberi quindi, forse, avrebbero apprezzato il rispetto di Roma nei confronti dei loro fratelli Lusitani.

- Praeda Lusitaniae - Conquista della Lusitania

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Essendosi Roma insediata in Hispania nelle fasi più critiche della Guerra Punica, e solo con le abili manovre dei due fratelli Gneo e Publio Scipione, per consolidare il dominio nel territorio era diventato necessario stabilire buoni rapporti con le popolazioni locali e con i vicini: i Celtiberi, il cui capo si chiama Macarovix. In onore di questa alleanza, Roma ha deciso di aiutare i Galli contro i loro storici nemici: i celti della Lusitania. Alcune fonti ci dicono che i Celtiberi non siano realmente nemici mortali dei Lusitani, ma il Senato di Roma preferisce offrirci un altra narrazione.

Quantunque disponessimo di pochi uomini e soltanto di una decina di balliste, in pochi anni i manipoli romani sono riusciti ad umiliare i Lusitani Grazie al Genio Latino.



I soldati erano posizionati in difesa delle balliste, che colpivano con dardi infuocati l'accampamento dei Galli. La combinazione di fuoco e ferro distrusse in poco tempo le forze Lusitane, che nonostante tutto lottarono fiere corpo a corpo con i manipoli romani, numericamente inferiori, e sacrificarono la loro vita. Roma aveva invaso il meridione della Lusitania, mentre i Celtiberi si sarebbero appropriati del settentrione.

I comandanti in capo delle forze ispaniche, riconobbero tuttavia il valore del popolo dei Lusitani, e decisero, che una volta conquistati, avrebbero ricevuto la confoederatio. I Celtiberi quindi, forse, avrebbero apprezzato il rispetto di Roma nei confronti dei loro fratelli Lusitani.



- Facta Bellum Poenicum - Fatti della Guerra Punica

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Fanno sacrifici umani, talvolta uccidono i bambini all'altare dei loro dei, e osano chiamarci barbari. I punici sono la razza più detestabile che abita il mediterraneo. Se i Greci hanno la cattiva abitudine di essere pervertiti ed effemminati, i Punici, che sono un popolo di mercanti fenici, hanno il vizio di mentire pur di nutrire la loro avarizia, che si traduce nell'insaziabile sete di accumulare danaro. Ci chiamano tiranni, quando noi romani abbiamo sconfitto la tirannide dei monarchi secoli addietro, e abbiamo instaurato la forma di stato più efficiente del mondo conosciuto, che consente a tutti i cittadini di avere la libertas.

Ci chiamano tiranni, e dicono che noi ambivamo alla conquista, ma se apriamo i repertori annalistici dei secoli scorsi, scopriamo che Roma venne ripetutamente attaccata da diversi popoli, e che questi popoli furono sconfitti e quindi annessi a Roma. Furono i punici ad attaccare Roma 18 anni fa, e lo fecero sia nella Prima e nella Seconda Guerra Punica. Furono sempre i punici ad opprimere i popoli del mediterraneo, come i mamertini, che si ribellarono e chiesero il nostro aiuto.



Il loro stesso Impero si fonda su un territorio straniero. I Fenici hanno invaso le coste della Libia e della Numidia e si sono insediati come coloni. E osano criticare Roma.

Il sacrificio simbolico di un Elefante annunciò l'entrata in Guerra dei Tolomei.

Publio Cornelio Scipione indossò una pelliccia di leone e fu mandato in Africa assieme alle truppe Tolemaiche, e ai loro comandanti Policrate e Tlopelmo. I Geni discussero tra di loro, e infine, si dice, per idea del Grande Scipione, fu ideato lo sbarco delle truppe alleate in una zona occidentale della Numidia, al confine con la Mauretania. Scipione ordinò alle quinquiremi romane di distrarre l'esercito locale, mentre Tolemaici e Italici sbarcarono. Il piano prevedeva di attraversare il deserto per poi sorprendere i punici risalendo l'entroterra. Purtroppo i punici se ne accorsero troppo presto.

E per mancanza di risorse non potevamo sostenere una Guerra nel Deserto per oltre un anno, dunque optammo di ritirarci per mettere in salvo le truppe dei nostri eroi.



Ad un certo punto, si dice che Scipione abbia avuto un accesa disputa con Policrate e Tlopelmo durante la ritirata. Infatti, sempre stando a quel che si dice, Policrate dette di matto incolpando Scipione di aver intrappolato le sue truppe sotto i soli roventi del deserto. Infatti alcuni emissari dettero il falso annuncio dell'arrivo di un immensa armata punica.

I due comandanti stavano per azzuffarsi, se non uccidersi addirittura, ma poi si scoprì che le truppe tolemaiche avrebbero fatto in tempo a ritirarsi, e che l'emissario vide solo un piccolo manipolo di spie beduine.

Il Grosso dell'Esercito punico sarebbe arrivato più tardi, quando le truppe erano state portate in salvo in Hispania.

Fossida invece scelse di sacrificare alla Gloria quello che restava della propria vita, non partecipando alla ritirata ma morendo nelle roventi sabbie.

Il colpo inferto avrebbe dovuto far arrendere i punici, tuttavia la ritirata fu doverosa e non riuscimmo nei nostri intenti.

Asdrubale Barca propose lo stesso anno una strana pace a Roma: il Senato l'avrebbe ben accolta, del resto ci fidiamo di Asdrubale che al contrario di Annibale rispettò i trattati del fiume Ebro, ma i punti dell'accordo di pace non erano ben chiari, né tantomeno precisi.

C'era in ballo la restituzione ai punici delle Isole Baleari (che loro chiamano Maiorche), ma nessun trattato realmente definito.

Σελευκιδική αυτοκρατορία

(200 A.C)



\\Η αιγυπτιακή πρόοδος. (L’avanzata Egiziana)//
-A Sud nelle aride terre Siriache l’impavido nemico avanza giorno dopo giorno conquistando le terre un tempo nostre.. Gli abitanti dei villaggi sono stati costretti ad abbandonare il caldo dei loro letti per sfuggire alle atrocità che il nemico Egizio riservava per loro, molte famiglie senza più cibo e denaro sono state decimate dal demone della fame durante il loro viaggio alla ricerca di un giaciglio in Anatolia ritenuto dal Re più sicuro e lontano dalle perfidie della Guerra.

Per volere suo le terre dell Siria sono state abbandonate e ai soldati il doveroso compito di distruggere le città fu dato così da far trovare al nemico solo terreni aridi e distrutte, doloroso è stato il compito poiché molti di loro sono nati in quelle case e vederle in rovina suscita tristezza e paura per ciò che avverrà se il nemico non verrà fermato.

Il popolo rifugiatosi in Anatolia vede una sola speranza nelle difese erette nella terra della città di Haleb che delimita il confine tra Siria ed Anatolia, una piccola linea di terra che può regalare la salvezza come la morte per il nostro Impero; mura di pietra sono state create in poche notti in difesa degli accampamenti ove i soldati sono posti di guardia pronti ad azzannare il nemico che incombe a pochi passi da loro.

Un contrattacco è inutile finchè il fulcro della battaglia si troverà nei pressi dei mari poiché grazie alle imbarcazioni da loro possedute e dai loro costruzioni demoniache scagliano sui nostri indifesi soldati rocce e massi fornendo loro un notevole vantaggio, per ciò le terre montuose dell’Anatolia lontane dal mare sono il teatro favorevole in cui affrontare il nemico in un leale scontro tra guerrieri, ma parlando di Egizi ciò non avverrà mai. Il loro esercito non varcherà mai la soglia di Haleb difesa da centinaia di uomini che lottano per la vittoria e per i loro cari alle loro spalle sicuri che perdere significherebbe la morte della loro moglie, la morte dei loro figli, la fine dell’Impero.

Antioco III Sovrano, nostro Sovrano, si è spogliato dei suoi gioielli per indossare un'armatura per calarsi a livello dei suoi leali soldati e combattere con loro l’ultima battaglia dei Seleucidi quella che decreterà la fine o la rinascita del Regno. Anche esso si trova ad Haleb posto sulle sue mura guardando l’orizzonte aspettando il nemico avvicinarsi pensando al palazzo Reale di Antiochia abbandonato e distrutto ,poiché troppo vicino al mare e al nemico, al suo popolo che muore di fame e di stenti ogni Dì ponendo le ultime speranze in lui e nella sua spada.

\\Επέστρεψε στη Δύση.(Rivolte ad Occidente)//
-Ad occidente dell’Anatolia sulle sponde dell’Egeo imperia un nuovo nemico dell’Impero il cui volto ha quello di un Generale Macedone di nome Filopemene che soggiogando la mente di molti popolani in preda alla fame, forse comprati proprio per un pezzo di pane, si sono rivoltati contro l’Impero facendo entrare nelle loro città i soldati Macedoni di Filopemene il quale ha subito posto lo stendardo Macedone sopra le mura della città simboleggiano la caduta del dominio Seleucida su quelle terre. Filopemene incaricato dalla Basilissa di Argo ha ricevuto il compito di conquistare quante più terre in terra seleucida ed annetterli ai domini macedoni ora che l’esercito seleucida è impegnato in guerra contro l’Egitto in Siria, riscuotendo molto successo grazie soprattutto all'appoggio dei popolani, non tutti, molti hanno cercato di opporsi all’invasione, ma invano alcuni sono morti e altri catturati e mandati in Macedonia come schiavi.

La mente malefica dei sovrani Macedoni da anni ha bramato la fine del nostro Impero per poter ampliare i loro domini e purtroppo quel momento è giunto, le terre costiere dell’Anatolia occidentale sono nelle mani dei soldati macedoni e al momento il Re Antioco non può fermare l’avanzata Macedone con la Spada e per questo si affiderà alla diplomazia cercando un modo per poter trattare con la Basilissa.



[Articolo di Ferdinand-Foch]

Αγορά

(199 AC)
577 anni dalle prime Olimpiadi


{Θέματα πολιτών | Questioni Cittadine}

|Rinascita dell'Impero Macedonico|
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Grazie ai virtuosi ideali del comandante Filopemene, che anche nelle ore più tetre restava convinto sostenitore dell'unione e dell'indipendenza dei popoli ellenici, per questo soprannominato "l'ultimo dei Greci", i fratelli coloni in Anatolia si salvarono dalle perfide mani dei barbari Seleucidi. Cilicia, Ponto e Bitinia, Cappadocia e Galatia: erano state liberate tutte quante le colonie Greche. Che prendendo esempio da Smirne soffiarono i venti della rivolta e che come fu per Creta decisero di allearsi con noi macedonici e con l'astuto acheo che portava il nome di Filopemene.



Gli stati dell'Anatolia, censi delle fiamme della ribellione, caddero uno dopo l'altro ai piedi dell'aurea Basilissa, di fronte ai quali si inchinava umile Antioco III implorandole misericordia. Il Seleuco si illudeva di poter trattare in questo modo con la potente sovrana, mostrandosi modesto e mansueto: sperava ancora che del suo stato, fondato sull'avarizia, potesse restarne qualcosa; ma il suo tempo era finito, sia per l'arrivo di Filopemene sia per l'umiliante accerchiamento di Antiochia da parte di Aristomene.

Il barbaro leone alato persiano era stato sconfitto, e incatenato nelle lontane terre dell'Oriente.

Filopemene e i suoi uomini catturarono numerosi soldati, e diversi sostenitori della dinastia di Antioco, che furono poi portati a Pella e furono ridotti a schiavi personali di Polycratia. I Seleucidi erano stati simbolicamente sconfitti una seconda volta: se i Greci loro sudditi erano i loro schiavi, ora sono proprio quei Seleucidi ad essere schiavi di una Greca.

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In onore delle vittorie ottenute dalla splendente Polycratia prima a Creta contro Rodi, poi in Tracia contro Pleurato, e infine in Anatolia contro i Seleucidi, un corteo di opliti ificratei ha sfilato dalla Calcedonia fino a Pella, dove li attendeva la Basilissa. Gli schiavi seleucidi hanno sollevato sulle proprie spalle la "lectica" sulla quale era seduta la luminosa sovrana, e sono arrivati assieme ai soldati ad Atene, dove salendo infine fin su l'Acropoli sono arrivati al Tempio di Atena Nike.

Gli schiavi personali della regina hanno lasciato che Polycratia scendesse dalla lectica, e poi le si inchinarono rispettosamente al suo cospetto; e la Basilissa sorrise come soddisfatta.

Il cielo sull'Acropoli era ricolmo di bianche nubi, e l'aria era umida.

Polycratia dopo aver varcato i Propilei, le porte del sacro tempio, dette dei doni alla statua della dea Atena, sua protettrice. Dal cielo piovve bianca brina.

Risalendo sulla lectica, i servi seleucidi discesero l'acropoli di Atene, e la Basilissa fu acclamata felicemente dalla popolazione che sventolava ramoscelli di ulivo.

Polycratia fece visita al tempio di un altra sua protettrice: Afrodite, la dea della bellezza, che era motivo del suo incanto. Fu accolta nel tempio con dell'acqua di rose, con la quale si sarebbe rinfrescata.

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Il corteo lasciò Atene e la Basilissa, trasportata dai suoi schiavi seleucidi, fece ritorno a Pella, dove la attendeva una folla incredula ed entusiasta. Grazie a lei, l'Impero Macedonico era risorto: esso si estendeva su buona parte dell'Ellade, e abbracciava dolcemente i Greci dell'Anatolia.

Gli dei applaudivano dall'Olimpo le opere di Polycratia, e lo spirito di Alessandro che riposava nell'Ade era onorato di lei. E sebbene il vecchio Impero fosse ben più potente dell'attuale, e promosse l'esportazione dell'avanzata cultura ellenica ai popoli barbari dell'India e della Persia, il limpido cammino intrapreso dalla donna non poteva non essere celebrato.





{Βαρβαρικά θέματα | Questioni Barbariche}



|Pace Greca|
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Grazie non solo a Filopemene ma anche ad Aristomene di Alizia, che aveva attaccato l'Impero Seleucide assediandone la capitale, le colonie elleniche in Anatolia trovarono la salvezza. Con la sconfitta e il futuro smembramento dell'Impero Seleucide, il mondo ellenico vive di due soli: Pella ed Alessandria.

Polycratia spera che l'Impero Macedonico possa prosperare accanto a quello del Giovanissimo Tolomeo V, e che possa nascere una duratura "Pace Greca", dopo secoli di interminabili lotte fratricide.

E cercheremo di arrivare ad una pacifica soluzione diplomatica, affinché l'Ellesponto (Smirne), e la Lydia (Antalia), si uniscano alla Macedonia. Tuttavia non crediamo che sotto la buona Polycratia la "Pace Greca" possa essere interrotta dalla speranza di ottenere il resto dell'Anatolia.



|Rivolta in Ambracia|
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Al momento esatto in cui l'Impero Macedone era risorto, la Pace di Fenice stipulata con Roma 9 anni prima era scaduta, e i senatori romani erano assai preoccupati di fare la stessa fine dei Traci e di Antioco III, cioé di essere sconfitti dall'Imperatrice.

Polycratia aveva dichiarato di voler continuare la pace con Roma, evitando di entrare in conflitto con i suoi interessi, ma le continue provocazioni di Roma e le loro macabre e replorevoli azioni contro i cittadini Greci dell'Ambracia, hanno fatto cambiare idea alla Koinon (Assemblea) di Pella, che non rinnoverà la Pace di Fenice.

Già si sono pentiti i Greci del sud di aver chiesto la protezione a Roma, sempre più influente e crudele nella politica Greca. I barbari disprezzano il culto di Dioniso e non hanno avuto nessuna pietà nei confronti dei Greci, ai quali hanno rubato opere d'arte di inestimabile valore portandosele a Roma.

"Aspettatevi o romani, che in qualunque momento l'ira dei macedoni incomba su di voi per vendicare i soprusi subiti ilio tempore dai popoli ellenici. Giacché potete ancora salvarvi restituendo all'Ellade la libertà e i tesori che le avete derubato." Ha sentenziato l'Oracolo del dio Apollo a Delfi.



|Bato, re dei Dardani|
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I Romani non sono i nostri unici nemici, lo sono i Celti. I Greci non dimenticano la barbara fine di Massalia, colonia a sud della Gallia, terribilmente assediata dai Celti. Massalia nel prossimo futuro deve essere restituita ai coloni che l'hanno fondata.

Ci sono altri popoli, oltre ai Celti privi di scrittura, e ai rozzi Romani, che sono nemici della Grecia e dell'indipendenza dei Greci: essi vivono nelle lande fredde e desolate a nord della Tracia e ad ovest dell'Illiria. Sono anch'essi di stirpe celtica, tuttavia si sono mischiati con un coacervo di popoli e in particolar modo con i Sarmati e i Daci: sono i Dardani (Serbi).

Il re dei Dardani, di nome Bato, ha mostrato simpatia nei confronti di Roma, forse nell'illusione di riuscire ad ottenere dai "riconoscenti" romani l'autorità su tutte le terre della Paeonia (Dalmazia). E quindi, i Dardani si uniranno a Roma sotto il comando di Bato qualora l'Imperatrice decidesse di vendicare le vite dei ribelli dell'Ambracia.

Gli anni che verranno ci diranno se una Guerra contro Roma e i suoi alleati (Sparta e Dardania) risulti inevitabile, ma l'Oracolo di Delfi non mente mai.





[Articolo di Astrid I]
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Partita GDR | Imperium [di falco1994 8/02/2018] Empty Re: Partita GDR | Imperium [di falco1994 8/02/2018]

Messaggio Da Falco Mar Feb 08, 2022 9:18 pm

♗ ::: ☥ - Divina Tavola di Horus - ☥ ::: ♗



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106° Anno di Regno (199 A.C.)

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hiero_G8.png?a8843 // - L'Ombra di Seth eclissa Antiochia,



il suo urlo assorda i nemici, la sua zampa ne schiaccia la prole. - // hiero_G8.png?a8843

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220px-Set.svg.png220px-Set.svg.png

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[ - Accordata la pace, Seleuco crolla - ]




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Un solo anno, ecco quanto durarono le file di Antioco.

Non sbocciò la nuova inondazione del Nilo, che la Guerra si disse conclusa.

Le nostre valorose Armate partirono nuovamente dal Pelusio e dopo aver preso Damasco senza colpo ferire, si divisero in due colonne.

La prima, contate 9.000 fanti, 1000 falangisti e 30 elefanti da guerra, marciò verso la sabbiosa città di Antiochia, assai cara alla dinastia di Seleuco.

La seconda, contante invece 13.000 uomini, prese il via per la Sposa del Deserto, Palmyra, città dalle mille palme.

Antiochia fu rapidamente raggiunta e circondata, mentre a Palmyre, l'Esercito entrò senza alcuna resistenza.

La Siria era perduta, ma i Seleucidi resistevano in Anatolia, ove per due volte, una grossa armata di circa 8000 fardelli, tentò di espugnare la salda roccaforte costiera di Antalia.

Per due volte fallirono, e ingenti perdite ricevevano dalle baliste che dalle nostre quinqueremi, bersagliavano il nemico fuggente.

Antioco comprese, in un raro e fulgido momento di lucidità, di non avere speranze.

Il Faraone è però un essere Misericordioso e in collaborazione con il suo Reggente, decise di proporre dei termini di resa, per far salva la vita al nemico.

Fu dunque stilata ed inviata una missiva reale, in cui si proponeva:

1) La consegna immediata di Antioco III al Regno Tolemaico, come prigioniero di guerra;

2) Un indennizzo di guerra pari a 250.000 dracme;

3) La dichiarazione di capitolazione e dissoluzione dell'Impero Seleucida per mano del Faraone;

4) L'esilio immediato dell'intera Dinastia seleucida in Persia, lì dove l'Indo si getta nel suo Mare;

5) Il divieto di commercio con Cartagine, almeno fino a quando questa vedrà la luce;

6) L'abbandono di Antiochia come Capitale del Regno e il cambio di nome di questa in "Sirio", con una guarnigione massima di 1000 uomini.

In tal modo la vile razza del dannato fra i Diadochi, fu posta dinanzi ad un bivio: Morte o dolorosa Salvezza.

Saggiamente fu loro indicata dal Cielo il giusto sentiero.

Antioco firmò la resa, la Guerra era terminata.

I seleucidi sarebbero stati esiliati nella lontana Persia, mentre in Anatolia il tempo avrebbe fatto il suo corso, con l'inasprimento delle ribellioni locali che avrebbe infine portato alla frammentazione del territorio.

L'indennizzo fu saldato, Antioco si consegnò l'indomani alla guarnigione della Guardia Reale di Damasco, insieme a 20 carri trainati da buoi e pieni di oro, argento, rubini e smeraldi ...

Al nipote dell'odiato Seleuco, va però riconosciuto il senso del dovere in quanto Sovrano, ponendo la sopravvivenza del proprio popolo, prima della propria singola.

Drawing_of_ancient_Pergamon_acropolis-Turkey-tarih-06.09.2008.21.28.15.jpg



Fu dunque portato in trionfo, come prigioniero di guerra, per la Grande Via d'Alessandria.

La folla, in silenzio, lo guardava sfilare...le fruste non schioccavano, i soldati non schernivano, Aristomene, che seguiva il corteo da dietro, era chiuso nel suo rispettoso silenzio.

Arrivati alla città Alta, dinanzi al Tempio di Horus, Antioco veniva portato al patibolo, ove sarebbe avrebbe scontato la sua condanna a morte per decapitazione, la più onorevole fra le morti.

Sulla marmorea e fredda lastra templare, si inginocchia il decaduto sovrano.

Poggiava il suo capo sul morbido cuscino porporeo davanti a lui.

Il boia caricò il colpo, la lucente alabarda vibrò alla luce di Ra e si abbattè sul collo del condannato ...

un taglio netto ed indolore;

La testa rotolò nella cesta ornata di filamenti d'oro.

Nessuno esultò, nessuno fiatò.

Aristomene rimase immobile a fissando il cielo.

Antioco era morto e con lui il tanto odiato Impero...

Che la terra sia morbida per il Seleuco, che Osiride possa avere pietà di lui.

Lunga vita all'Egitto.

Lunga vita al Faraone.

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[ - Visita Romana in Egitto - ]



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Bussava leggiadra l'Aquila di Roma alle porte di Alessandria.

Un misterioso senatore, rivelatosi poi essere tale Tiziano Sempronio Sannitico Massimo, emissario diplomatico inviato dal Senato in Egitto per discutere di affari.

Ad attenderlo, c'era Aristomene in persona, il quale abbracciò con calore il compagno romano.

Scortati dalla Guardia Reale e da alcuni centurioni, giunsero al Palazzo Reale, ove avrebbero intrattenuto una discussione nello studio della Biblioteca.

Durante il viaggio, il Reggente Egiziano, mostrò al romano le meraviglie di Alessandria, tra cui il luccicante Faro della città e, poco più in là, gli scheletrici resti di Hannuafer, l'usurpatore impalato in mare anni or sono.

Mentre erano quasi giunti a destinazione, il senatore fu colpito da un improvviso e acuto dolore alla schiena, un messaggio degli Dei a detta sua.

Pareva infatti che le Divinità romane, inviassero messaggi ai propri fedeli, tramite dolori temporanei, che indicavano un messaggio diverso a seconda della zona del corpo che interessavano.

Oggetto di tale missiva divina, erano questa volta i punici!

Su richiesta di Tiziano, Aristomene condusse questo nella Sezione Sacerdotale della Biblioteca, accessibile solo ai Reali ed ai Sacerdoti, dove studiarono a lungo antichi manoscritti di magia nera ed arti oscure, per poi discutere sul da farsi.

Appena ebbero finito, giunti ad un comune accordo, Aristomene propose al senatore di cimentarsi con lui in un rilassante e caldo bagno alle Terme, ove però emersero i malcontenti di Tiziano per l'invecchiamento del suo membro.

Dopo aver assistito ad uno spettacolo di danzatrici, furono consegnati all'ospite romano, alcuni sacri talismani di enorme valore, sia materiale che spirituale.

Fatto ciò, e trascorsa la notte in una stanza del Palazzo appositamente preparata per ospitarlo, Tiziano Massimo salutò l'Egitto, reimbarcandosi per Roma, con la promessa di un futuro viaggio in terra romana da parte di Aristomene.

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[ - Il sacrificio di Fossida - ]




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Mentre in Numidia, dopo aver devastato la valle del Mzab, l'Armata Faraonica, batteva in ritirata sotto consiglio divino, Fossida, il leggendario Comandante greco-egizio, decideva, cosciente, di proseguire la spedizione puntando sempre più a Sud.

I suoi fedeli uomini, in tutto circa 700, consapevoli di andare in contro a morte certa, decisero di seguire ugualmente il proprio Generale.

L'eroico Comandata era avanzato in età, ma in cuor suo ancora batteva l'ardimento e il calore della battaglia, della gloria, dell'onore. Aveva partecipato ad innumerevoli scontri, prima sotto i vessilli greci e poi con quello di Tolomeo III e Tolomeo IV.

Ora combatteva e moriva nelle secche e sabbiose lande, ben lontane dal crespo mare, ove era solito destreggiarsi al comando delle sue triremi.

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Fossida, discendeva quindi nelle desertiche lande della bassa Numidia, lì dove i punici avevo allungato le loro sporche grinfie.

Dopo due giorni di marcia, s'imbatterono in un'oasi, per volere di Ashu, incrociando però un manipolo di mercenari beduini al soldo di Cartagine, i quali erano stati avverti dell'incursione egizia.

Gli uomini del deserto, avvolti nelle loro bende scure, caricarono gli uomini di Fossida in groppa a dei cammelli, ma subito questi, reagirono prontamente, chi mozzando una o più zampe agli scorrazzanti ippopotami di sabbia che stramazzarono in terra permettendo ai nostri di accanirsi sugli ostili individui.

Altri, con agili movimenti, si aggrapparono alle groppe degli animali, salendoci sopra e sgozzando i loro manovratori.

In pochi istanti, di quei beduini non rimaneva nulla.

Dopo aver fatto scorta di provviste ed aver passato la fredda notte in prossimità della bella oasi, la spedizione continuò, sempre più Sud.

Raggiunsero, dopo 3 lune di costante marcia, una roccaforte nel deserto.

Su uno dei torrioni sventolava una bandiera insabbiata che sfoggiava un bruno elefante...Cartagine!

Si delineava così un fitto sistema di mercenari a sui i punici avevano affidato il controllo delle loro terre nel deserto, consegnate ai propri coloni che dalle profumate coste, calarono nelle sabbie.

Fossida non esitò un attimo, e ne ordinò l'assedio e la presa.

Centinaia di belve assetate di sangue e leggermente intontite dal cocente Sole, si davano rabbiose all'assalto delle postazioni nemiche, sfondando su ogni lato, penetrando da ogni porta e massacrando chiunque vi si porgeva davanti.

Ra iniziava ad ergersi nel firmamento, quando il massacro cessò.

Nella cittadella non era rimasta anima viva, se non quella di Fossida e dei suoi, i quali però non erano stati esenti da perdite: 273 vittime si contarono fra le fila dell'eroe, periti in uno scontro contro una guarnigione di mercenari che li superava tre volte in numero.

Al mezzodì, Fossida lasciò la cittadella e continuò verso Sud, ove marciò per 20 lune, fino a giungere nella gola di Madama.

Ive però, si interrompono le sempre puntuali comunicazioni dell'Esercito di Fossida, il quale ogni 3 lune, inviava messaggi all'Uccelliera di Cirene, tramite piccioni ed aquilotti.

Che il volere del grande Generale si sia infine compiuto?

Per ora, solo gli Dei godono del diritto di conoscenza, ma nel Regno non c'è ormai egiziano che non creda nella morte del valoroso Generale ellenico.

Se davvero dovesse essere spirato, confidiamo nel fatto che il suo cuore sia risultato leggero e che Osiride gli abbia concesso la Duat.

In memoria del Grande Fossida, sarà eretto un mausoleo nella zona ad est del porto di Alessandria.



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[ - La nuova Leontophoros - ]




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Erano appena trascorsi i primi 24 anni del Regno di Tolomeo I, quando il Sovrano Macedone Lisimaco, ordinò la costruzione della Leontophoros, una nave recante la figura del Leone, ereditata dalla Flotta tolemaica che quello stesso anno sconfisse la flotta di Antiogono II.

La grande Octareme, contava 800 vogatori per bordata, con una lunghezza di 360 piedi e godeva di stupendi ornamenti che ne fecero una meravigliosa stella in Guerra.

Menmone di Eracleia, la descrive così:





« C'era un'octareme che si chiamava Leontophoros, nota per la sua grandezza e bellezza. In questa nave mentre c'erano cento uomini che remavano su ogni fila così da esserci ottocento uomini da ogni lato, da ambo i lati c'erano mille e seicento rematori. Quelli che combattevano sul ponte erano mille e duecento. E c'erano due timonieri. »








Continua poi descrivendo le gesta in battaglia della nave:

« Quando si unì la battaglia, la vittoria andò a Tolomeo che sbaragliava la flotta di Antigono, con le navi di Eraclea che combattevano con la massima audacia; e delle navi di Eraclea, la vittoria andò alla octaremi "Leontophoros".



Nonostante abbia preso parte ad altre azioni,



la sua bellezza in battaglia penetrò nelle membra dei marinai di entrambi gli schieramenti. »

Spentasi la sua gloria nel tempo, Tolomeo IV decise di costruire una sua Leontophoros, ancora più grande e più maestosa, ma la sua improvvisa morte, portò alla sospensione del progetto, fino a quando Aristomene non decise di realizzarla, ma in tre esemplari gemelli: una Nave Templare, una Nave Reale e una Nave Ammiraglia della Flotta.

Per 14 mesi si lavorò incessantemente all'allestimento delle 3 imponenti imbarcazioni, ad Alessandria ed a Pelusio.

"Tessarakonteres", così venne nominata questa nuova tipologia di navi, più grande di qualunque altra che abbia mai solcato i mari, con un ordine di quaranta vogatori per colonna, con un totale di 4000 rematori, 2000 per scafo.

Infatti, questi innovativi Giganti del Mare, possono contare su due scafi uniti fra loro da una robusta pavimentazione in legno e ferro.





« Fu costruita una nave di quaranta banchi di remi, che avevano una lunghezza di duecentottanta cubiti e un'altezza, in cima alla sua poppa, di quarantotto; era gestita da quattrocento marinai, che non facevano canottaggio, e da quattromila rematori, e oltre a questi aveva spazio, sulle sue passerelle e sui ponti, per quasi tremila uomini d'arme.



Quattro timoni, ciascuno lungo trenta cubiti. . . E la nave aveva due teste e due poppe e sette becchi . . E quando mise in mare tenne più di quattromila rematori e quattrocento sovrannumerari; e sul ponte c'erano tremila marinai, o almeno duemilaottocentocinquanta. E oltre a tutto questo c'era un altro grande gruppo di uomini sotto i ponti, e una grande quantità di provviste e rifornimenti.»




Così ne parlava Callixeno di Rodi, che ha assistito alla prima uscita in mare di tutte e tre le navi.

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| - Sacra Tessarakonteres Templare - |




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// Dedicata ad Amon-Ra ed a tutti gli Dei, ospita un enorme Tempio Gallegiante,

che permetterà agli Abitanti del Cielo, di prender parte in prima persona

alle epiche battaglie navali in cui la nostra Flotta si cimenterà. //

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| - Tessarakonteres Reale - |







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// Ad uso e proprietà esclusiva della Famiglia Reale,

rappresenta la Casa del Faraone in mare, monito del potere assoluto del Re,

sulla terra e sulle acque. //

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| - Tessarakonteres da Guerra - |







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// Tre grandi torrioni tra i due scafi, offrono le postazioni d'azione per le baliste e le catapulte.

Sotto lo scafo, la vastità della struttura centrale, permette di accumulare grandi quantità di viveri e rifornimenti.

Sul ponte principale, la pavimentazione permette il posizionamento di intere squadre d'arcieri e/o squadre d'abbordaggio. //

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[Articolo di Dark II]


"Cronache Del Mondo Antico"
{LA FINE}

\\La Fine di Un Eroe...//

{youtube.com/watch?v=XYKUeZQbMF0}

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-Le lande desolate e sabbiose dell’Anatolia sono state teatro di battaglie epiche tra gli eserciti Seleucidi e quello Egiziano i quali si sono affrontate di giorno e di notte, con la pioggia e con la neve, senza mai fermarsi, finché l’ultima goccia di sangue dei cadaveri in decomposizione non bagnò la terra arida segnando dunque la fine della guerra.

Nei mesi di gelo i soldati del Faraone Tolomeo IV ebbero conquistato la Siria o meglio, ciò che rimaneva delle Siria distrutta dai Seleucidi fuggiti in Anatolia, ma comunque persa; giunti alle porte di Haleb i soldati del Nilo sotto ordine di Tolomeo il loro Faraone inviarono una lettera ad Antioco III che dalle mure della città, ultimo bastione seleucida, osservava immobile con aria di sfida gli imponenti campi egiziani abitati da centinaia di soldati. Una lettera il cui contenuto ha portato la pace per i Seleucidi, Tolomeo offrì ad Antioco la pace per il suo popolo solo se egli avesse riconosciuto la difettosa seleucida e la vittoria Egiziana oltre ad altri punti:

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All'infido popolo di Seleuco,



L'Occhio di Ra vi saluta e vi grazia.

I vostri fronti si sono sfaldati contro l'impetuoso avanzare delle truppe di Horus in terra.

I soldati del Faraone hanno circondato Antiochia e un solo cenno di capo potrebbe far scattare l'occupazione.

In Siria non vi rimangono che pochi insediamenti, i quali saranno però presto abbattuti dalle nostre Falangi.

L'Anatolia è circondata, dopo il rovesciamento di Smyrne non vi rimane che attendere inesorabilmente la vostra ora.

In alternativa però, Sua Grazia il giovane Tolomeo V, Misericordioso, in colloquio con il suo Reggente, ha ritenuto doveroso proporvi delle richieste di pace per farvi salva la vita:



1) Antioco III dovrà essere consegnato all'Esercito Reale Tolemaico;

2) Pagamento di 250.000 Dracme (25.000 monete) come indennizzo di guerra;

3) L'Impero Seleucida dovrà dichiararsi decaduto per mano del Regno d'Egitto;

4) La dinastia Seleucida dovrà essere esiliata nella più remota regione della Persia, lì dove l'Indo trova il suo Mare;

5) Vi sarà vietato, in ogni modo, il commercio con Cartagine, fino a quando questa avrà vita;

6) Antiochia, decadutene lo status di "Capitale", cambierà nome in Sirio e non potrà accogliere una guarnigione maggiore alle 1000 unità.



Queste sono le condizioni, che la ragione vi guidi nella vostra scelta.

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Antioco Sovrano Seleucida discendente di Seleuco alla fine era un uomo come tanti, un uomo che provava emozioni come tutti e dinanzi a questa scelta: la sua vita in cambio di centinaia di migliaia di vite. Le stesse vite che per anni lo hanno sostenuto venerando come un Dio greco, corsi in suo aiuto nel momento del bisogno, patito la fame e la miseria quando di cibo non ce n’era e mai hanno osato opporsi al suo volere a ogni sua decisione… Ripensa a quando ogni mattina camminava per la strada di Antiochia, la sua Città, ed al suo passaggio ogni uomo si inchinava non poggiando minimamente lo sguardo verso di lui per rispetto, per lealtà. Ed ora gli stessi uomini che si inchinarono a lui si trovano alle sue spalle, al d là di Haleb, con la paura che li divora secondo dopo secondo, terrorizzati dalla fine imminente ma comunque fiduciosi in quell’uomo seduto su quelle mura senza porre su di lui le colpe di centinaia di morti, anzi ritenendolo un Eroe.

Proprio questo Eroe ha scelto di porre fine alla sua vita da uomo libero scegliendo dunque di affidare la sua vita all’Esercito Egiziano e a Tolomeo, ovvero diventare uno schiavo senza abiti logori e sporchi, costretto a lavorare sotto il sole ardente per il suo nuovo Padrone: Il Faraone Tolomeo.

Egli alle prime luci del mattino riunì nella piazza della città i suoi fedeli soldati per porre loro l’ultimo saluto, si vedeva nei volti dei guerrieri l’ombra della tristezza che li divorava l’animo nel veder il loro sovrano dirigersi verso la morte, tanto che molti di loro cercarono di opporsi invano:

#Soldato:<<Mio signore, la prego non esca dalla città. Noi tutti siamo disposti a dare la vita per lei..>> *Si getta sui suoi piedi*

Antioco III:<<Alzati ! Essere un Re significa porre la vita dei tuoi sudditi prima della tua. Ci saranno altri Sovrani dopo di me, ma non ci sarò un’altro popolo di Seleuco, questo è il sacrificio che gli Dei hanno scelto per me. Ora vai ad abbracciare i tuoi cari..>>#

Si aprono le grandi porte della città ed Antioco in groppa al suo purosangue bianco dalla chioma nera, compagno di mille avventure, si dirige verso gli accampamenti egiziani privo di armi e armature. Era una giornata di sole come sempre, i raggi dolci di Apollo baciavano con amore il corpo di Antioco mentre dall’alto delle mura i soldati con gli occhi lucidi suonano all'unisono una leggiadra melodia in onore del loro sovrano, del loro Eroe, Antioco. I sentimenti, le paure, che inondano il corpo del nostro Eroe in quel momento non sono descrivibili. Giunto dinanzi ai soldati egiziani senti subito su di lui mille sguardi di odio e violenza sicuro che se non fosse per volere di Tolomeo tenerlo in vita, non avrebbero esitato ad ucciderlo in quel momento.

E sempre da quelle mura si intravede quell’uomo discendere dal suo cavallo per poi allontanarlo togliendo la Capezza dal suo muso e dandogli un colpo sul dorso; l’uomo si inoltra in quella foresta di soldati per poi non esser più visibile...possano gli Dei essere clementi ed accoglierlo nell’Olimpo dei grandi guerrieri il posto in cui merita di essere.


\\...La Fine di un Impero//

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-Con il Sacrificio di Antioco termina l’esistenza del Glorioso Impero Seleucida in terra Siriana ed in Anatolia, ma no del suo Popolo costretto ad un grande Esodo verso la Persia luogo d’origine dei loro antenati pronti a creare un nuovo Regno prospero e potente: il Regno di Persia il cui sovrano,chiamato re dei Re, sarà Antioco IV figlio dell’Eroe Antioco che, come suo padre, governerà con saggezza e forza il nuovo Regno e ponendo sempre la vita del suo popolo prima della sua. Molti giunti nelle terre fertili della Persia hanno create le loro prime abitazioni, ponendo inizio a nuove città amministrate da un Signore scelto dal Re dei Re; una terra bellissima dove la natura vive in armonia e in pace, il verde delle pianure e il blu del cielo suscitano negli abitanti un senso di pace interiore come se quel posto fosse casa loro da anni…

Destino diverso fu per coloro che decisero di abbandonare per sempre quelle terre fuggendo dallo spettro dei ricordi malefici di morte e distruzione, in un gesto di futile pazzia decisero di salire su di una nave stretti gli uni vicino agli altri con poco cibo e acqua per arrivare in terre sconosciute per loro alla ricerca della pace sperando di dimenticare la loro ormai passata vita. Quindi si dirigono verso coste frastagliate e prospere di Leptis dove la figura di Cartagine regna sovrana nella speranza di trovare un piccolo territorio fertile dove coltivare e dormire al sicuro dalle avversità notturne.

\\Filopemene Stratega Macedone//



{https://www.youtube.com/watch?v=uNvTSlGyKUs}

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-Le terre dell’Anatolia ormai senza un padrone fu come un banchetto pieno di prelibatezze per l’ingordigia Macedone la quale senza esitare si è impossessata della costa occidentale e del suo entroterra grazie alle gesta militari dello Stratega Filopemene scelto dalla Basilissa in persona per questo compito.

Senza trovare resistenza arguta lo stendarda Macedone è stato innalzato sulle città della Bitinia, di Cilicia, del Nord Antiolia e Armene ampliando dunque i confini del Regno Macedone a discapito del defunto Impero Seleucida. L’Amministrazione di questi nuovi territori sono stati affidati allo Stratega conquistatore Filopemene il quale ha ordinato la costruzione del suo palazzo, nonché simbolo della dominazione Macedone, nella bella cittadina di Sinopi (Sinope) la quale posta in tutto il suo splendore sul Mar Nero il futuro obiettivo dello Stratega che punta a diventare il dominatore del Mare.

Le famiglie rimaste nelle città seleucide ormai dominate dai Macedoni non hanno accolto con entusiasmo il nuovo Sovrano di quelle terre, ma ciò non rappresenta un problema per lo Stratega poiché esso ha intenzione di sfruttare i benefici di quelle terre senza occuparsi della loro fioritura tanto che ha annunciato che ogni città, da oggi Polis, saranno autonome ed esse sceglieranno i loro governatori seguendo il modello prospero e culturale Ateniese o il governatore seguendo il modello guerriero e feroce Spartano, ponendo l’obbligo di pagare alla Basilissa somme di denaro quando ella lo richiede e aiuti militari in caso di guerre.

Inoltre le grandi prodezze diplomatiche della Basilissa sono riuscite a raggiungere un accordo con l’Egitto Tolemaico per uno scambio di territori ovvero: Smirne dominata dagli Egizi diventerà Macedone mentre le terre Siriane di Tall’Afar, vuote e prive di un Sovrano, saranno assoggettate al Regno Tolemaico.

Questo è il tempo dove i grandi Sovrani scambiano tra loro pezzi di terra incuranti dei pensieri dei loro abitanti trattando loro come futile merce di scambio con l’obiettivo di raggiungere un solo ed unico scopo: diventare ricchi e potenti a discapito di coloro che non hanno voce in capitolo.





\\Il Popolo di Sirio Chiede Aiuto a l'Aquila Romana//




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-Sirio è solo l’ombra di ciò che era Antiochia capitale dell’impero Seleucida ormai scomparso e i suoi abitanti, pochi e deboli, senza un Sovrano circondati da nemici, Egizi e Macedoni, in un ultimo atto di speranza hanno chiesto aiuto a l'Aquila Romana le cui ali coprono la penisola italica e i suoi artigli fanno paura anche ai cuori più impavidi. Tarda fu la risposta dei Romani, ma che nei cuori degli scoraggiati Siriani significa una nuova rinascita, poiché i Consoli Romani hanno accolto la richiesta d’aiuto inviando a loro un piccolo contingente di soldati romani,circa 100, e uomini di politica che formeranno il nuovo governo.

La città di Sirio, e il suo entroterra, si trovano dunque anche egli sotto l’ala dell'Aquila Romana il cui popolo non avrà un solo Sovrano bensì un Proconsolato composto da Consoli Romani.

Dalle defunti ceneri dell’Impero Seleucida nascono nuovi Regni con diversi padroni, cosa accadrà a queste terre massacrate dalla guerra troveranno mai la pace o l’ombra assassina della morte regnerà padrona ancora per molti secoli ?





[Articolo di Ferdinand-Foch]


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198 AC
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Historiarum ab Carthagine
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// Imbarcazioni Seleuce avvistate nelle coste di Leptis.
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Roma Pax Pacis .-

"E' il portatore di sventura o il portatore di conforto?.. "

- Come un ronzio fastidioso si udivano molti soldati e popolani borbottare mentre osservavano come ipnotizati l'imbarcazione al largo della costa giungere verso Cartagho. Una tensione mai vista, di cui le genti si faceva carico prima di scoppiare in un grande pianto o festeggiamento che sarebbe conseguito dall'annuncio dell'emissario inviato a Roma a seconda del suo annuncio. Ora... fa ritorno dopo mesi d'attesa e lascia con quella cosi elevata lentezza il fiato spezzato ai più sensibili.

<< Oh grandeBaal accetta i sacrifici degli infedeli uccisi nel tuo nome! Compiaciti per il dono che ti porgono i tuoi servi e ringraziaci con portatori di buone notizie!... >>

Un giungere di grida dalle coste, pianti e lodi al panteon dei nostri dei mentre lacrime calde e amare solcavano il viso delle giovani donne e dei bambini.

"Roma annuncia che la pace proposta dal consiglio di Cartagho sarà accettata... le isole dove risiede Maiorca città fedelissima a Cartagine tornerà tra i nostri possedimenti e le guerre giungeranno al loro termine fintanto che Asdrubale il Suffeta manterrà la parola di non tentare di entrare in acque territoriali Romane senza permesso e non aggredirà inmotivatamente Roma.
Le colonne d'ercole saranno divise tra i due stati e verrà considerata una zona neutrale, cosi decreta il sacro consiglio e il senato di Roma. "

- In Fine è stato cosi, il sacro consiglio ed il Suffeta hanno tradito il pensiero di Annibale, hanno tradito Cartagine e la fiducia che il popolo riponeva nelle loro mani per recuperare le terre perdute.
Hanno salvato ciò che era salvabile ed abbandonato chi è stato inrecuperabile, ora i soldati fanno ritorno si.. ma i loro fratelli caduti in battaglia no.. ed io mi domando per quale motivo..

<< Reshef accetta al tuo fianco i campioni degni... Tanit, decomponi i corpi dei codardi nel Thopet..
Baal, perdona i nostri peccati... mia Regina benedici Cartagho ora più che in ogni altro momento.. >>

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Irae Reshef
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- E' giunto il tempo di vendicarci contro coloro che hanno alzato la mano contro di noi senza motivo, è tempo di punire con l'ira di Reshef gli sporchi Egizi, i quali hanno osato sfidare la grande Cartagho.
Gruppi di Milizie armate sono stati formati lungo le nostre coste e premono affinché ci si imbarchi il prima possibile, premono affinché l'acciaio possa affondare nella carne di un gruppo di stolti contadini. Null'altro che un misero popolo di coltivatori di frumento, sfruttati da tempi antichi, si pentiranno della loro scelta, rimpiangeranno il giorno nel quale si sono messi contro di noi..
Per Baal e Reshef.. per la nostra Regina è tempo che la carne si dilagni e che il sangue scorra..

<< A te mia Regina sacrifico questo schiavo... a te mio supremo dio dono questo sangue.. >>

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Exitus fidem saleuca
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- Fuggono come formiche da quello che è ormai l'ultimo nemico ancora determinato a combattere per noi gente di Cartagoh. Sono stati raziati, hanno sacrificato il loro stesso Re ma giungono fin qui per tentare di ricominciare, magari ospitati da noi gente onesta, fedeli seguaci di Baal e del comune dio delle loro terre Reshef.

<< Poiché è mio compito vi darò il consenso.., io dirigo tutto ciò che entra a Cartagine.. e tutto ciò che ne esce.., voi popolo sfollato e senza più un passato, distrutti dal vostro nemico ora giungete da noi ed io vi porgo la mia mano come segno di amiciza...>>

- Un Campo allestito forse troppo frettolosamente, giusto un appostamento sulle coste di Leptis, dove poter ricevere acqua, contribuire a coltivare e lavorare nelle città limitrofe e pagare le tasse che ne conseguono nel nostro regno.
Quanti saranno?.. mille?.. diecimila?.. che importa, ora è divenuta gente comune come tutti gli altri e fintanto che lavoreranno la terra e chineranno il capo, perché in terra straniera, saranno ben accetti tra di noi.. .ed il Suffeta garantirà loro protezione e prosperità..
Mentre noi parliamo.. nel mare altre barche continuano a viaggiare ed il numero degli sfollati accresce, ben presto dovremo spostarli anche da Leptis.. il Suffeta pare avere un certo piano su come sfruttare a pieno questi uomini ma ancora rimane celato nel mistero perché egli esita ad annunciarlo e di rado parla ai suoi sottoposti di cosa farà per gestire il nuovo regno che stiamo facendo lentamente risorgere.


[Articolo di Mussulmanopazzo]


::: :::: Annales Maximi ::: :::

198 AC

556 anni ab Urbe condita

[Foto]

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\\ Folla alle prese con un senatore. \\

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[Civilitas Romana]

- Conclusio Secundum Bellum Poenicum - Conclusione della Seconda Guerra Punica

Il Senato ha deciso: dopo un attento esame ed un doloroso dibattito tra le diverse anime della Repubblica, abbiamo inviato un aquila reale ai punici, recante la lettera che attestava l'accettazione dell'offerta di pace in cambio della restituzione delle Isole Baleari. Il clima fu talmente teso, che tra l'ironia dei senatori, si era sollevato il dubbio che Asdrubale avrebbe mandato a sua volta un elefante volante per rispondere alla nostra lettera.

E si levò un inarrestabile risata tra i presenti, che sdrammatizzò l'aria cupa e silenziosa di quel momento.



I Senatori non erano tutti contenti. Roma stava vincendo, o almeno, avrebbe potuto portare a compimento una vittoria totale. Altri ancora non ritenevano possibile la restituzione delle Baleari, in un momento in cui i soldati romani aveva la "spatha" dalla parte del manico, e credevano che i punici si sarebbero dovuti arrendere a mani levate e risarcire i danni provocati alla Repubblica: quasi venti anni di terribili attacchi sul territorio italico, insurrezioni, razzie e terrore.

Publio Cornelio Scipione stesso, l'eroe che si distinse per il valore nelle pianure dell'Hispania e nei deserti dell'Africa ha protestato contro le decisioni assurde del Senato che rattristano il morale dei cittadini e dei soldati romani, ai quali erano state promesse diverse terre e incalcolabili ricchezze.



I tribuni della plebe hanno aizzato il popolo iracondo scontro il Senato, che due anni fa concedeva ai Greci di insozzare Roma con i Baccanali, e adesso, tradisce le promesse fatte ai romani. Dopo i primi scioperi sull'Aventino, i senatori devono essere riusciti a corrompere i tribuni della plebe con immense somme di danaro, poiché questi con delle abili e convincenti orazioni hanno convinto la plebe a ritornare a lavoro, poiché il Senato pentendosi ha riconosciuto i propri errori.

I tribuni militari poi, portando di fronte al Senato la collera di centinaia e centinaia di soldati romani hanno facilmente convinto i senatori a ricompensare comunque i valorosi combattenti della Guerra Punica, redistribuendo le terre alle loro familias, e facendo piovere sui loro capi i tesori dello Stato.

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Gli alleati Italici che lottarono al fianco di Roma, sia durante il drammatico assedio di Annibale, sia durante i primi e nefasti anni di Guerra, non sono stati accontentati: il Senato non ha voluto che la cittadinanza romana venisse estesa a tutta l'Italia. Di fronte a questo sprezzante rifiuto, i popoli italici sono rimasti allibiti. E diversi politici romani hanno iniziato a prendere le loro parti chiedendo al Senato di approvare le mozioni, ma sembra che l'assemblea dei vecchi sia restia ad accettarle e che anzi, non le abbia neppure prese in considerazione.



Marco Porcio Catone, candidato a console per i prossimi anni, ha preso in tutto e per tutto le parti della plebe contro quelle che definisce "Follie". Catone ha fortemente criticato la pace con i punici, ricordando come questo acerrimo e storico nemico di Roma sia intrattabile, e abbia stracciato i patti diverse volte in passato. Giudica la scelta del Senato come « un tradimento verso Roma, il popolo, e tutti quei valorosi soldati che hanno lottato, combattuto e perso la vita per la Repubblica. », una « decisione irrispettosa, sia verso la plebe, sia verso i patrizi, sia verso i cadaveri dissacrati barbaramente a Canne, sia verso tutte quelle donne romane che sono cadute vittime dell'Elefante e non hanno potuto mantenere la fides matrimoniale a causa di quelle proboscidi. »

Catone ha infine promesso che l'anno prossimo, durante i natali di Roma nel mese di Aprilis, porterà in Senato la propria candidatura a Console « per salvare la Repubblica dalla perversione dei Greci e dalla follia dei Senatori. ».



- Tertium Bellum Illyrium - Terza Guerra Illirica

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« O Giano, misterico dio dalle due facce. O Giano, primordiale dio dell'inizio e della fine. O Giano, dio bifronte la cui fiamma riverbera al mattino. O Giano, dio bifronte, la cui aura brilla luminosa la sera. O Giano, dicci quando le porte del tuo Tempio potranno essere richiuse: il momento in cui rivedremo la pace a Roma, come era ai tempi di Numa Pompilio.

Quando la Natura si occupava di temprare l'uomo, e Marte del raccolto.

Quando i dodici sacerdoti saltavano in cerchio battendo le armi sullo scudo. E il loro suono riverberava su una Roma che era ancora all'alba del suo tempo. »

Pace dice il Senato, ma Pace non fu.

Ci sono arrivate lamentele dalla colonia Greca di Isso, secondo cui il re illirico Genzio avrebbe tradito l'accordo di pace che stipulammo illo tempore con suo padre, lanciando i suoi connazionali liberi di scorazzare per i mari dell'Adriatico a seminare il terrore. Isso, un alleata di Roma, sarebbe stata razziata ben tre volte consecutive dai pirati illirici.

Inoltre si dice che il re Genzio stia percependo dai macedoni enormi somme di danaro, e che proprio per questo abbia tradito con tanta sicurezza l'accordo preso da suo padre, senza preoccuparsi minimamente delle reazioni di Roma.

Gli auspici erano favorevoli: i polli beccavano da terra come affamati e non si saziarono neppure dopo la quinta razione di cibo. Il Pontefice dopo un attento esame rassicurò che una Terza Guerra Illirica non avrebbe rotto la Pax Dei, e il Senato decise di inviare il console "Sesto Elio Peto" al comando di una spedizione militare in Illiria.

Decisero che sarebbero bastati 2900 uomini, una flotta di venti quinquiremi e una decina di balliste per annientare le forze di Genzio: stavolta Roma avrebbe preteso la totale sottomissione del popolo illirico, e avrebbe consolidato il proprio domino sulle sponde dell'Adriatico e nell'entroterra.



[Civilitas Barbarica]

- Polycratia, matrona Graeca, hostis publicus - Polycratia, donna Greca, nemica pubblica

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Il Senato trema furioso, come se Poseidone avesse scatenato un terremoto: Polycratia, la potente donna Greca, matrona e consorte del defunto Filippo V, ha rifondato l'Impero Macedonico. Antioco III cade umile e morente e la sua dinastia viene esiliata nelle lontane terre della Persia, mentre il piccolo Tolomeo V eredita alcuni territori della Siria, da Damasco a Palmyra. Gli esuli, che l'anno prima erano i padroni dell'Anatolia, adesso trovano un povero riparo a Leptis, per la pietas di Asdrubale.

Gli stati ellenici dell'Asia minore sono caduti uno dopo l'altro ai piedi dell'Imperatrice Polycratia, che li ha resi provincia, e il quale Impero ora si estende dalla Grecia orientale fino in Cappadocia, minacciando immancabilmente la libertas di quei Greci del sud che sono protetti sotto la piumosa ala dell'Aquila romana.

I Greci ci accusano di tormentare i popoli che abbiamo posto sotto la nostra protezione, dimenticando che se non fosse stato per Roma, a quest'ora tutta la Grecia sarebbe stata occupata dalla Macedonia, e la loro libertas sarebbe stata cosa appartenuta al passato. L'oracolo di Delfi ci preannuncia una triste profezia, qualora dovessimo venire a meno alle richieste di Polycratia. Gli eserciti sono stati allertati e le flotte di quinquireme e i rinforzi sono pervenuti attorno a Sparta e in Ambracia.

Roma non teme questa donna, che il Senato ha dichiarato unanime "hostis publicus", "nemica pubblica", cioé nemica della Repubblica: la più diffamante delle accuse.



- Syriaci Romam administratione petit - I Siriaci chiedono a Roma di amministrarli

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Anime perdute, che si muovono tra le desolate rovine della vecchia Antiochia: appaiono descritti in questo modo i cittadini di Sirio, veduti per la prima volta dall'emissario romano nelle loro misere condizioni. Queste anime sconsolate senza dimora e senza re, hanno chiesto l'aiuto e la protezione sotto la calda e piumosa ala del pennuto di Roma, che ha accettato pietosamente di tenerli, per badare la zona: come un padrone accetta di tenere dei cani per badare ai ladri. Il popolo siriaco in cambio della sua alleanza, vedrà edificare strade, acquedotti, ponti, case, teatri, e tanto altro. La Siria diventerà una provincia proconsolare, amministrata direttamente da uno dei due consoli.


~ Le Cronache Celtiche, la saga di Viridovix.


{VII; Imbolc, la Gallia rinasce}
~ Aedriniôs 1225 (''198 a.C'').
~ ([Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]


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“ Con ferro e fiamme le falangi Galliche s’impadronirono di quelle che erano le terre degli Alemanni, tribù germanica da sempre in competizione ascetica con i celti Elvezi; dopo un’intera notte d’attacco gli indomiti germani hanno subito una schiacciante e conclamata sconfitta, le lande da loro popolate e le zone che ospitavano i villaggi dei vari clan d’Alemannia sono stati piegati con il fuoco, difatti, gli arcieri di Tutomalix, austero condottiero elvetico, avevano incendiato le proprie frecce e queste sono state fatte scoccare sopra le capanne di paglia, divampando in fiamme danzanti e vermiglie.Una volta arso in uno sciagurato rogo ogni Speranza che Tîwaz, Dio germanico della guerra, potesse sopraggiungere in ausilio del proprio volgo, le nostre orde massacrarono spietatamente i soldati delle guarnigioni locali, decretando l’egemonizzante Vittoria a favore delle tribù Elvetiche; dal poggio posto dislocato dinnanzi al brutale scenario si potevano scorgere i corpi dei vinti tra fumo, fiamme e sangue; Teutomalix, Signore degli Elvezi, ed i suoi due figli, Erix e Brenn, si ergevano sopra tre solenni cavalli, e con gli sguardi alti, fieri, e talvolta superbi, osservavano l’esito turpe degli Alemanni, non sarebbe più stata reiterata alcuna aggressione nei dì avvenire, ed in lontananza si poteva scorgere la testa del Re Gaeseric impalata su una lancia, presso l'uscio del villaggio reale.


Dopo un'intera notte di combattimento, nella quale l'astuzia di Teutomalix garantì una lauta Vittoria, i guerrieri Elvezi furono assolutamente certi di poter accedere alle Sale degli Eroi, accolti da Sucellos ed il suo corno traboccante di idromele, sognando già i regali banchetti che si sarebbero consumati fino a quando la Fine del Cosmo sarebbe sopraggiunta, e da Annwn sarebbero discesi gli Eroi per completare il ciclo imperituro della Vita, sentenziando con le spade la distruzione di ogni Esistenza.


La situazione nel Settentrione era agli albori della vincita, i confini nord del Reno si sono dimostrati un ulteriore campo di battaglia nel quale consumare decine, centinaia di sacrifici per placare Essus, inarrestabile Dio della guerra, mosso dal richiamo del sangue.
Orgetorix aveva radunato quanti più Belgi potesse, costituendo un innumerevole armata che avrebbe intimorito Toutatis in persona, se solo l’avesse incontrata in guerra.
Il Signore dei Belgi avanzò verso i villaggi dei Cimbri, una zona boschiva molto florida, caratterizzata dalla presenza di imponenti abeti rossi, solenni larici bronzei e prosperi olmi, e si fece strada tra l’impervietà del territorio pianeggiante, talvolta paludoso, ricolmo di rovi e pruni, Orgetorix ed il suo seguito distruggeva ogni singola abitazione in cui si imbattevano, ed ogni soldato Cimbro che osava affrontare i celti furono dilaniati, i corpi scarni e pallidi dei nemici furono appesi inanzi ai portoni degli oppida, come un manifesto delle conseguenze che avrebbe portato schierarsi contro i Galli, contro i Belgi ed il proprio Signore.
Una volta che le forze celtiche furono giunti nel vasto territorio controllato dai Cimbri i Galli s’imbatterono in un esteso agglomerato di capanne di paglia e legno, al cui centro si ergeva un grandissimo edificio d’abete, esso era il villaggio reale, dove re Ariovist controllava il proprio popolo dal suo trono di pelli.
L’armate di Orgetorix circondarono per intero quel grandissimo villaggio, a prova del fatto che la falange celtica era ben più vasta di quello che si potesse credere, e con un urlo di battaglia, pronunciato all’unisono, scagliarono macigni e scoccarono frecce sul villaggio.
Una parte dell’armata, l’avanguardia di Orgetorix, sfondarono i portoni della cittadella di Ariovist, precipitandosi all’interno del centro abitato, dirigendosi verso la dimora del Rix.
Le guarnigioni locali erano poche, e quelle poche che erano impegnate nella difesa del villaggio soccombettero al furore gallico, alcuni furono lapidati dalla collusione con le grandi pietre scagliate oltremura, alti furono trapassati da miriadi di frecce.
Una volta aperto una breccia nella cittadella reale il re Orgetorix cavalcò assieme alle proprie guardie personali fino all’uscio della magione di Ariovist, ed una volta varcato il portone il re dei Belgi avanzò verso il re Ariovist, seduto scomodamente sul suo trono, con il capo chino e l’animo afflitto, egli aveva perso la guerra, ed aveva perduto il diritto d’essere Re, a quale scopo concedergli la vita?
Orgetorix intimò al sovrano dei Cimbri che da quella notte egli non avrebbe più avuto un regno, e non sarebbe stato più un re.

- ‘'Il vostro Tempo è scaduto, Ariovist, figlio di Aroldr, re dei Cimbri.’’ declamò il signore dei Belgi.

Fu allora che quell’uomo anziano, dalla barba e dai lunghi capelli ormai più argentei che biondi, alzò il capo, e guardò Orgetorix dritto negli occhi.
-‘'Immagino che la Vittoria debba essere motivo d’immane orgoglio per il tuo Vergobret, Viridovix di Gallia. Eppure posso percepire nei tuoi occhi riluttanza nel sacrificare il mio sangue al tuo Essus, e di infrangere la tua spada contro le mie membra, invocando il tuo crudele Toutatis.''

Orgetorix allora si tolse dalla propria testa l’elmo alato, simbolo dei condottieri gallici, e rispose alle constatazioni di Ariovist, fin troppo lungimirante.
- ‘'Avete letto meglio d’un indovino, caro Ariovist. L’umiliazione di questa notte e la perdita d’un reame è gia motivo d’umilizione, una dura sconfitta per il proprio Onore.
Eppure non posso non provare che compassione per i miei cugini; per anni Cimbri e Belgi hanno vissuto accanto, alcuni dei nostri uomini sposarono le vostre donne, e viceversa, creando un’interazione fra i nostri due Popoli, eppure l’era delle guerre, mosse dalla fame e dall’avidità rovinarono le nostre speranze, nel tempo in cui il nostro Belanu per voi non era che Phol, e Baldur per gli Juti. Ma non posso redimermi dal compito che a mi è stato consegnato, non posso tradire il mio popolo, il mio Vergobret.’’

-‘’Allora vibra la tua spada! Spediscimi ora presso le Aule degli Eroi, affinché io possa raggiungere le anime dei miei prodi figlioli.’’ e fu in quell’istante, in cui Ariovist s’alzò dal trono e si inchino a capo basso difronte ad Orgetorix, che il Signore dei Belgi sfoderò repentinamente il proprio spadone, e con un colpo secco decapitò la testa del re dei Cimbri.

- ‘’Westu hál. Ferðu, Ariovist Ferðu.’’ furono le parole pronunciate da Orgetorix dopo la sentenza di morte emessa contro Ariovist, ‘’Che tu stia bene. Addio Ariovist, Addio.’’
Il comportamento tenuto da Orgetorix nei confronti del nemico non risultava che onorevole ed usuale, niente di più che una caratterista ecumenica di tutti i popoli celtici, poiché difronte al Valore e all’Onore non c’è sminuimento, non c’è vanificazione dell’individuo, che esso sia un guerriero od un Rix. I popoli celtici, in particolare quelli dell’assoluto settentrione, erano imparentati con le culture germaniche, ed ecco che difonte al compito più arduo, la sentenza di morte, anche colui che è vincitore piange il vinto, così come Orgetorix pronunciò la formula funebre per garantire ad Ariovist l’entrata nell’Annwn.


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~ (Orgetorix acclamato dal proprio popolo).

Nelle terre d’Iberia i regni soggetti alla nomea di Magarovix s’apprestarono al ricorso delle armi contro i Lusitani, per via della campagna di Lusitania, intrapresa parallelamente a quella di Roma.
Il territorio era sfavorevole ai Celtiberi, e la visibilità tra le nebbie nelle alture ostacolava le possibilità d’una vittoria imminente, priva di necessità di rinforzi.
Una volta individuati i punti sensibili, i villaggi su cui scatenare la propria veemenza, gli Dèi si mostrarono ostili al suo stesso popolo.
Belisama e Belanu, che era i protettori delle terre d’Iberia, non erano soddisfatti dei pegni donati loro come offerte, e Toutatis probabilmente era impegnato a nord, assieme ad Essus, ad osservare lo smantellamento delle minacce germaniche.
I luogotenenti di Magarovix condussero diverse offensive contro i villaggi, straziando imperterritamente il nemico, tuttavia i Lusitani, addensati dietro le proprie mura di pietra e legno, resistettero all’assalto, apprendendo che gli invasori da nord erano dotati di un numero più esiguo di guerrieri. Fu così che reprimettero l’offesa perpetrata dai Celtiberi, riuscendo a far ripiegare l’armata celtica. Ma i loro superstiti superarono di poco il numero del nostro cordoglio, poiché la Vittoria stava per essere consumata in maniera risoluta ed organizzata, da settentrione discendeva la temibile falange d’Aquitania, gli Arverni, figli di Viridovix.
Nel frattempo Roma inviò un emissario per comunicare il rammarico che i Romani provarono per le perdite galliche, guidando un assedio ai villaggi di Lusitani che erano risultati superstiti all’assalto celtico, smilitarizzando buona parte delle forze di Lusitania, e fu così che i Celtiberi discesero dai propri villaggi ed inflissero il colpo finale, la conquista assoluta.


Adesso che anche le eventuali minacce del sud erano state sedate le Gallie potevano tornare a trascorrere la vita lietamente, in prosperità con il Mondo ed in comunione con la Natura.
I Celti allargarono i propri domini, ed i Re nemici furono sepolti in grandi tumuli, in modo che i Cimbri e gli Alemanni superstiti considerassero la conquista come libertà, e non come imposizione, poiché i Germani che perirono furono solo guerrieri, e alle popolazioni locale non furono inflitte alcune discriminazioni.
Viridovix di Gallia visitò ognuna delle conquiste dei propri fratelli celti, e fece consacrare i nuovi villaggi ai Druidi, e ordinò i festeggiamenti per le Vittorie.

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~ (Magarovix conduce la campagna contro i Lusitani)


~ (Belisama, la Dèa di Imbolc)



L’Inverno stava per giungere al termine, nelle contrade celtiche si poteva avvertire la freschezza di nuove brezze, la letizia di venti dimenticati, il fiorire della vegetazione rigogliosa, gli animali sereni presso i pascoli verdi.

In tutti i villaggi celtici ci s’apprestava a tagliare la legna di alberi vecchi, ed accatastarla nei centri della città o sui colli circostanti, e quando la luce di Belenos (‘’Belanu, Apollo’’), il Sole, indugiava nel mostrarsi, catapultando nell'oscurità il panorama, scenario necessario per l’avvento della luce di Luna, i falò furono appiccati consumando le cataste di legna, ed onorando il rituale di Belisama, dèa del fuoco, protettrice dei Druidi, dei guerrieri, dei combattenti e dei fabbri.



Era così che i Galli festeggiavano ‘’Imbolc’’, una delle Grandi feste celebrate dal popolo celtico nel periodo di transizione dal gelo alla calura, dalla morte alla vita, così come le antiche Tradizioni consigliavano di raccogliere bucaneve, fiori che illustrava il comportamento che 'ogni Gallo doveva attenere, sopravvivendo al rigido inverno per poi liberarsi dalle tediose nevi e godersi la letizia dei mesi avvenire.

Imbolc rappresenta la purificazione, il metodo escatologico per cui gli individui si epurano dalle ombre del passato per adempiere alle prospettive di vita futura.

Anche se la primavera si è manifestata essa non riesce ancora a dominare la Natura, che tutt'altro, ritrae un paesaggio idilliaco, immutabile, tappezzato di nevi e ghiaccio.





« Ecco ritorna la dolce Primavera,

Si sciolgono le nevi e fanno capolino i primi fiori.

Le fanciulle danzano e si ornano i capelli

Quale letizia si respira nell’aria!

Come dopo lunga e tormentosa sete,

Un sorso di idromele! »

~ (Profezia, l'avvento di I'Imbolc).





I nostri corvi, che recapitavano e trasportavano messaggi in lungo a largo, avevano appreso degli eventi che avrebbero riportato l’apparente stabilità dei paesi ellenici sotto la guida dei Macedoni, istituzione democratica retta da una certa Polycratia, una donna capace di reggere le redini d’uno stato.

Mentre Roma poteva godere del lustro e delle vittorie del proprio Impero, la Grecia s’apprestava a ristabilirsi, e tuttavia i Celti, ed in particolare Viridovix stesso, sapeva che un giorno sarebbero sopraggiunti gli elleni a rivendicare la propria ‘’provincia’’ oltre mare.

Ma il patriottismo e l’innato senso di giustizia dei Galli non avrebbe permesso alcun’invasione, ed anche se la civilità ellenica considerasse i celti barbari, i Celti vantavano l’intellettualità pragmatica e naturale dei propri Druidi, e l’onore dei propri condottieri, le Gallie non avevano e non avrebbero avuto bisogno di astrusi filosofi che ragionassero su cosa si celasse dietro l’Infinito ed il Vuoto, ma i Bardi, gli Ovati ed i Druidi s’impegnarono, dalla loro primigenia istituzione, nella ricerca della Natura e dei suoi misteri; i Galli trovavano inusuale, e talvolta onirico, elaborare sistemi che errassero al di fuori della comprensione e della comunione della Terra, visto che la verità delle cose più semplici non era noto neanche ai Greci, così come risultava occultata agli occhi di tutti i cittadini del Cosmo.



I principi gallici consultarono, per nome dei rix (''condottieri''), i Druidi affinché gli Dèi potessero rispondere sugli eventi che investirono gli altri popoli, talune risposte parlavano di battaglia, altri vaticini sancivano un nuovo inizio di ostilità, ma solo il Tempo avrebbe confutato il responso dei Druidi.”



[Articolo di HerbertBacke]
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Partita GDR | Imperium [di falco1994 8/02/2018] Empty Re: Partita GDR | Imperium [di falco1994 8/02/2018]

Messaggio Da Falco Mar Feb 08, 2022 9:20 pm

Cronache Del Mondo Antico

{Persecuzioni}
\\La morte dilaga tra le lande dell’Anatolia//

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-Un anno è passato dalla scomparsa del defunto Antioco forse ora si troverà in un campo egiziano costretto a lavorare senza sosta debole e affamato, mentre egli porta sulla sua schiena le pietre per costruire i monumenti egizi rimembra i bei momenti da Sovrano: al suo palazzo accogliente, il suo letto di pura seta e la sua dolce famiglia, a suo figlio lasciato ragazzo ad Haleb ora risiede nella capitale Persiana divenuto Re dei Re, forse ciò dava la forza dell'Eroe Seleucida che, anche sotto torture Egiziane, non si è mai pentito della sua scelta anzi sentendosi orgoglioso della sua decisione.

Il cielo dell’Anatolia è offuscato da nubi grige cariche di acqua che per mesi inondano i campi dei contadini distruggendo il loro faticoso raccolto, forse quelle gocce di acqua non sono altro che le lacrime versate dagli occhi di Antioco o forse una punizione di Zeus… Su quelle terre il nuovo padrone Macedone volle plasmarle a suo piacimento erigendo statue agli Dei Greci che prima, sotto il dominio Seleucico, mai furono uditi quei nomi e per volere della Basilissa un monumento gigante è in costruzione a Siniope, capitale delle colonie macedoni, il quale rappresenterà il corpo prospero della stessa Basilissa. Costruita in marmo dalle mani degli sventurati e poco fortunati schiavi seleucidi non riusciti a fuggire, anche i bambini furono costretti a portare pesanti carichi di marmo che molto spesso più pesanti delle loro deboli braccia.

Ben diverso è stato il destino per chi schiavo non divenne che furono costretti a passare la loro vita a fuggire dai cavalieri Macedoni e dalla loro spada sempre assetata di sangue; in Armenia accadde il più sanguinoso dei massacri attuato dalla mano dei macedoni barbari, intere famiglie furono spazzate via mangiate dai brutali soldati macedoni uccidendo senza pietà donne e bambini piccoli. I pochi che scapparono raccontano le tragedie di quel massacro capace di rabbrividire ai i cuori più coraggiosi:

“Era una normale notte fredda e buia, il cielo era limpido senza nuvole con la luce delle stelle e della luna che illuminavano debolmente le strade della nostra bella cittadina. In un attimo la pace di quella notte venne spezzata dal suono stridulo dei corni da battaglia, noi tutti in preda alla paura uscimo dalle nostre case per capire cosa fosse quel rumore terrificante, mai decisione non fu più sbagliata, dinanzi i nostri occhi videro dei cavalieri neri correre verso la città urlando, il cielo blu scuro presto divenne di un arancione fuoco a causa della pioggia di frecce infuocate lanciate dagli arcieri macedoni. Molti di noi cercarono di opporsi all’Invasore, ma trovarono solo una morte brutale… ricordo che mentre cercavo di scappare tra le strade della città proteggendo i miei piccoli con il mio mantello, per non far assistere alle loro anime pure una visione così terrificante, vidi questa donna con in braccio un pargolo di pochi mesi che inciampo. Caduta per terra senza forze per rialzarsi si avvicini uno di quei cavalieri della morte che senza esitare estrasse la spada, in un gesto istintivo volsi il mio sguardo altrove rifiutandomi di assistere, ma il gelido urlo di dolore della donna accompagnato dal pianto del pargolo mi rabbrividì il corpo… Vivo ormai con quelle immagini nella mente che ritornano in sogno la notte per tormentarmi..”

Questa è la storia di tanti popoli costretti a vivere in ciò che è diventato un inferno in terra “l’Anatolia” ormai sede di demoni che si divertono a torturare i deboli mortali, sembra che un solo popolo non sia scalfito da codesti demoni i Macedoni popolo di Alessandro Magno, forse loro potranno portare la pace in queste buie terre solo il tempo ci dirà…

\\I Piani di Filopemene//

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-Mentre Filopemene parla con i suoi ufficiali di piani militari e future espansioni, al di fuori di quelle stanze la morte incombe sui popoli perseguitati dai cavalieri neri e del tutto indifferente lo Stratega continua a consultarsi con i suoi sottoposti. Lo stratega fu un uomo molto abile di mente capace di apprendere facilmente e possedeva una degna cultura, come ogni greco del resto, ed egli aveva una visione utopistica di ciò che sarà il suo più grande obiettivo: ampliare i confini macedoni a nord del Mar Nero divenendo dunque il Padrone di quei Mari.

La realizzazione di questo suo grande piano non ebbe grandi ostacoli, anzi la Basilissa condivideva la sua visione, gli unici problemi furono la mancanza di un esercito in grado di poter attuare un invasione e nelle terre che circondano il Mar Nero risiedono un popolo rozzo e barbaro dei Roxolani provenienti anche egli, come i seleucidi, dalla Persia il cui ceppo originario è quello dei Sarmati.

Ovviamente Filopemene scarto subito l’idea di un approccio pacifico e diplomatico con i Roxolani poichè, ritenuto un popolo rozzo, era inutile cercare di comunicare pacificamente con loro. Allo Stratega bastava solo aspettare l’arrivo dei soldati dalla Madre Patria Macedone per poi, a capo di questa enorme guarnigione, spazzare via i Sarmati.

\\Siria Sempre più Romana//

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-Sirio principale città della Siria ha accolto l’arrivo dei Romani con calore acclamando loro come i “Salvatori della città” portando con sé l'intelligenza e la forza dell’Aquila Romana. Per le strade della città i soldati di Roma sono posti di guardia rispettati dai popolani, nelle scuole ragazzi e insegnanti vengono istruiti dagli oratori romani che insegnano loro la parola di Roma il leggiadro e incantevole Latino.

Le abitazioni distrutte sono state ricostruite, i campi incendiati ora hanno lasciato spazio a nuove opere pubbliche e lungo i fiumi fertili sono nati nuovi raccolti prosperi, la vita della città di Sirio sembra aver visto la luce della salvezza. In un palazzo di degno aspetto, certo non paragonabile al lusso di Roma o ai palazzi greci, risiede il Consolato Romano ovvero il luogo in cui tutte le decisioni vengono prese ed è il luogo che tiene unito Sirio e Roma.

\\Finita la Seconda Guerra Punica//

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-Nell’anno 556, secondo le usanze di Roma, viene posta la fine delle ostilità tra Roma e Cartagho che per anni si sono cimentate in battaglie in mare e sulla terraferma con vittorie tra uno schieramento e l’altro, senza che uno dei due eserciti si diede per vinto.

Vengono narrate le vicende di Annibale, grande condottiero cartaginese, l’unico riuscito veramente a far tremare i ricchi consoli di Roma poiché egli condusse il suo possente esercito fino alle porte della Capitale Romana passando per l’Iberia e tra le montagne italiche, scavando tra le rocce riuscì a creare un sentiero per raggiungere il cuore dei Romani e per poco non ne pose fine. Negli anni seguenti i successo cartaginesi diminuirono ed egli furono costretti a rifugiarsi nelle loro città costiere del Nord Africa mentre in Iberia l’Aquila Romana conquistava i domini di Cartagho; assieme a Roma si unì alla guerra anche il Regno di Tolomeo volenteroso di far conoscere il suo potere a tutto il nome sconfiggendo i Cartaginesi, ma qualcosa andò storto. Le manovre militari Egiziane permisero al loro esercito di penetrare nell’Entroterra cartaginese razziando e saccheggiando i villaggi, ma ciò durò poco poiché l’esercito dei grandi elefanti riuscì a scacciare gli egizi in mare.

Quest’oggi Roma e Cartagho firmano un trattato di pace ponendo fine alle loro divergenze, ma del conflitto tra Cartagho e Tolomeo fine non c’è.

\\Dolce e bella Basilissa//

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-Dagli scalini di marmo bianco del Palazzo sontuoso ed affascinante di Salomonica questa figura femminile incantevole scende leggiadra la scalinata, vestita con un elegante abito di seta bianca fermo con una spilla d’oro posta sopra il suo petto ed una corona sul capo. Era la Sovrana della Macedonia che dopo la morte di suo marito ricevette il compito di Regnare sulle terre del Capostipite Alessandro Magno, aiutata ed accompagnata in questo suo compito dalle due Dee Greche: Atene ed Afrodite. Il suo volto sembra esser stato scolpito nella roccia da gli abili scultori greci e talmente che è perfetto sembra emetta luce propria quando ella sorride nei cuori di chi la guarda pace ed armonia li invade.

La donna più potente e bella della Grecia, forse di tutto il mondo conosciuto, ed è grazie a lei che l’Anatolia sta trovando la pace, aiuta i greci abitanti di quella zona a sopravvivere e rende onore al nome di Alessandro ampliando i confini del Regno conquistando la Tracia e battendosi valorosamente contro i Romani.



[Articolo di Ferdinand-Foch]

Αγορά


(197 AC)
579 anni dalle prime Olimpiadi


{Θέματα πολιτών | Questioni Cittadine}


|Culto Imperiale|

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I Greci impararono presto ad amare la loro splendida Basilissa, Polycratia, protettrice dei nostri fratelli in Anatolia, e sinonimo di libertà e di restaurata democrazia per Atene e i Corinzi. Il suo nome fu immancabilmente associato a quello di Alessandro: l'Imperatrice aveva sconfitto i Traci, un popolo tanto valoroso e tanto abituato alle armi quanto quello macedone, aveva poi umiliato il debole persiano, e aveva infine ottenuto Smirne e l'Ellesponto con una semplice richiesta verbale, quindi pacificamente e senza alcun problema.

Gli schiavi personali dell'Imperatrice, che un tempo erano dei vili seleucidi, ritrovarono poi alla propria misera vita un senso, servendo con tutto il cuore la donna.

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Il popolo acclamava entusiasta le opere della Basilissa, una sovrana dolce e comprensiva con i Greci, ma sorprendentemente spietata nei confronti dei nemici dei Greci, ed ella restava di sasso, come parecchi altri, quando la narrazione del nemico (del seleuco relitto, o della romana lupa) sminuiva l'anima dell'Imperatrice rappresentando una versione che rispondeva ai loro loschi scopi.

Polycratia decise che ciascuna poleis della nuova provincia d'Asia minore avesse la possibilità di discutere democraticamente e riferire al comandante Filopemene i dubbi, i rancori, le problematiche e le perplessità.

Sempre fu un suo esplicito ordine, quello di redistribuire i servi seleucidi equamente tra i cittadini delle poleis, per assicurare che ciascuno potesse avere la propria vendetta.

I Greci scolpirono una colossale e marmorea statua all'Imperatrice, che afflitta nel sapere che anche i bambini erano stati usati senza un suo esplicito ordine, fece si che solo schiavi adulti e in forze lavorassero.

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Il nome aureo di Polycratia meritava di risalire l'Olimpo e sedersi accanto alle divinità, pertanto i Greci adorarono la loro Basilissa restaurando il Culto Imperiale e fondando templi dedicati a lei: come al suo tempo fu per Alessandro.

Polycratia fu rapita dalle sue ancelle, bendata, e portata sull'Acropoli di Atene, dove le cambiarono i panni, con altre vesti, candide e intarsiate di fili d'oro, le misero una corona di rose sul capo, e poi le tolsero la benda dopo che ebbe pronunciato la sacra formula: Polycratia, quasi trent'enne era diventata una dea, rampolla di Atena e sorella di Afrodite. Discesa dall'Acropoli fu ricoperta di fiori colorati dai sudditi che esultavano il suo nome.

Il culto dell'Imperatrice si diffuse rapidamente in Grecia senza dover essere imposto, e lentamente ma inesorabilmente in Tracia, che la Basilissa sconfisse vittoriosamente. Il culto si sarebbe diffuso anche in Anatolia.



{Βαρβαρικά θέματα | Questioni Barbariche}

|Tolomeo V dalla Basilissa come ospite d'onore|

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Il piccolo Tolomeo V, venerato come Horus dal popolo delle sabbie, si trova in Grecia presso la divina Polycratia come ospite d'onore. La nave reale "Tessarakorentes", un enorme octareme con quaranta ordini di rematori, ha attraccato nel porto di Atene, con le difficoltà dovute alle dimensioni dell'imbarcazione. Il faraone bambino, appena 13enne ma ricoperto di ori e di emblemi e di una pesante veste che non si confaceva alla sua altezza, è stato portato dalla Basilissa, alla quale è affidata l'incolumità del rampollo di Ra.

Tolomeo V resterà sotto la tutela di Polycratia altri due anni, durante i quali imparerà il Greco e farà conoscenza della cultura ellenica, e avrà a disposizione 3 servi seleucidi che saranno infine donati a lui quando dovrà ripartire. Questa visita avrà lo scopo di rafforzare l'idea di una Pace Greca (Omovonoi Ellanas), che sotto la divina sta dando i suoi frutti: sia con la rapida cessione di Smirne, e le donazioni di schiavi da parte di Aristomene, sia con i contributi macedoni alla realizzazione dell'imponente tempio di Apollo in Cirenaica.



|Offensiva in Dardania|

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Con l'invasione dell'Illiria, e ancor prima la repressione in Ambracia, i romani avevano respinto le parole veritiere dell'Oracolo di Delfi, provocando l'ira della nostra Basilissa. La vendetta della diva si abbatterà sui romani, che per troppo tempo si sono beffati dei Greci, come un poderoso fulmine si abbatte su una Quercia (simbolo di Roma) riducendola in cenere.

E questo destino colpirà tutti i nemici dei Greci, finché la divina sarà sul trono di Macedonia.

Roma tema l'Imperatrice.

Roma tiranna avrebbe perso, stavolta.

I fratelli dell'Anatolia dovranno aspettare solo un paio di anni per le loro ambizioni sui territori dei Sarmati.

Parallelamente all'attacco in Illiria, le forze macedoni hanno ripetutamente assediato le fortezze Dardane di re Bato, alleato dei romani, e hanno conquistato la parte occidentale della Dardania con poche perdite.

I soldati macedoni mantenevano le proprie posizioni nelle decidue foreste montane della Paeonia mentre le balliste continuavano l'assedio, e una cascata di dardi pioveva sui barbari decimandoli. Il loro re, Bato, scomparve tra i colli al crepuscolo; con le abili manovre dell'Imperatrice la Dardania cadde sconfitta in meno di 6 mesi.



[Articolo di Astrid I]

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Historiarum ab Carthagine

197 AC

- - -

La Carestia ha spazzato via quel senso di sicurezza e gioia scaturiti un'anno fà dalla dichiarazione di pace, lentamente tornano i fantasmi della guerra per le strade portando con se malattie e debiti.

I Mercenari berberi non sono stati pagati all'ultimo, causa della mancanza di argento speso tutto nella campagna di guerra troppo prolungata, e lamentando questa mancanza hanno dato del "codardo" al Suffeta Asdrubale, marciando per le vie della capitale raziandola dal suo interno.


Un certo Annaz Chabhad, ha combattuto numerose guerre come leader dei mercenari, un uomo forse secondo solo allo stesso Annibale durante il periodo di guerra nelle lande italiche, comandava le sue truppe e la cavalleria numidica durante gli assalti. Il Sangue versato per le strade ha macchiato perennemente la città della Regina. Cartagho ora va a fuoco e la sua gente all'interno viene arsa viva, quando i cavalli se ne sono andati e quando l'ultima sciabola ha smesso di squarciare, l'esercito guidato da Asdrubale arrivarono fin troppo tardi, Magone Barca stesso è morto rimanendo a difesa del tempio di Baal con un gruppo di guardie cittadine, i berberi hanno cosparso di grasso e pece i portoni di metallo massiccio lasciando che l'intero tempio divenisse un forno rendendo cenere i soldati e magone stesso. Un cumulo di carcasse di carne putrida e informe è ciò che ne rimane e ciò che i soldati di Asdrubale hanno visto, lui e l'esercito regolare sono dunque fuggiti lungo le coste di Tingis in un esilio forzato.


Ben presto il regno si è spaccato in piccoli stati, la devastazione della capitale è stata una scusa per gli infidi Numidi i quali sostenuti di Chabhad si sono nuovamente dichiarati indipendenti, occupando le coste di Utica e Tapso, Masinissa figlio del Re Gaia ucciso durantel a prima rivolta dei regni si è auto proclamato Re di tutta la Numidia creando uno spacco al centro del Regno ed al suo seguito molteplici popoli berberi si sono rivoltati a Leptis nelle terre d'oriente.

Unica fu la città di Maiorca sulle isole baleari, fedelissime a Cartagine si sono unite al Suffeta Asdrubale il quale governa dall'esilio in un conflitto civile a stento riesce a mantenere il controllo di Tingis la quale ben presto volente o meno cadrà.

Alla fine dei conti abbiamo perduto tutto, in un azzardato tentativo di resistere lo scontro è finito con una terribile disfatta. Se solo Asdrubale avesse continuato il conflitto anziché terminarlo bruscamente scordandosi del popolo dell'Iberia e se solo Annibale non si fosse voluto schiantare sulle mura della capitale di Roma a quest'ora tutto ciò non sarebbe mai successo ed il nostro regno sarebbe esteso fino al Nord dell'Italia ed in tutto il Mediterraneo.



Laggiù nelle coste ove i Saleuci sono sbarcati, il popolo dei Berberi ha visto invasori, nella notte stellata di Melquart dove le stelle con l'imponente luce combattono l'oscurità giorno nel quale i devoti portano doni al tempio degli Dei per compiacerli, tribù nomadi hanno invaso i villaggi degli emigranti, stuprando le loro donne e uccidendo i loro bambini. I Corpi dei fanti e degli uomini sono stati squartati ed esposti con pale lungo le spiagge, come monito agli eventuali futuri coloni di non provare mai più a sbarcare la dove le lande del deserto si fermano per dar spazio alle Oasi.

Mille è il conteggio finale dei morti Saleuci, i restanti coloni sono fuggiti verso Est portando alla loro volta l'intero popolo in un secondo Esodo per la loro terra promessa, hanno fondato una città lungo le coste, la chiamano Surt in onore a quale loro dio, circa cento decurie di uomini, hanno eretto grandi mura per difendersi dagli attacchi dei selvaggi.

I Conflitti sono continuati ma stavolta con esiti bilanciati, all'ultimo Masinissa ha proposto loro di divenire vassalli del nuovo e grande regno di Numidia, in cambio avrebbe lasciato loro libertà e privilegi unici, un uomo basso dalla lung barba scura chiamatosi Dhul Fiqaar a capo di quella piccola colonia si fece avanti presentandosi alla corte di Re Massinissa accettando le sue condizioni.



Ben presto le dune di sabbia si sono colorate di sangue, sconti sotto il cocente sole hanno dato vita ad uno spettacolo di carni e sangue contorti. Le prime riforme del Re dei Numidi furono di mettere al ando il culto degli dei di Cartagine, instaurarono il culto divino degli dei Romani i quali durante le loro prime rivolte si schierarono dalla loro parte.

Fuggirono dalle città e dai villaggi i seguaci di Baal, fuggirono in un disperato tentativo di raggiungere Tingis, ma percorrere le coste senza imbattersi in guerrieri berberi è impossibile stesso vale per le dune del deserto i quali conoscono più di chiunque altro.



Fù celebre il tentativo di fuga da Leptis di un gruppo di ventitremila tra uomini, donne bambini ed anziani. Tentarono il passo più lungo della gamba passando per il percorso della morte, un tragitto che solo i più temerari tentano, avrebbero evitato le coste ed accorciato il tragitto di tre giorni ma la cavalleria dei berberi in groppa a cammelli solcava la sabbia come fossero demoni alati e tinti di un nero pece. Gridavano e agitavano le sciabile, ben presto il popolo di Leptis si trovò circondato e per loro quelle dune divenirono tombe di sabbia.



La seconda riforma di Massinissa fu quella sul grano, rimosse la tassazione sui cereali che i Suffetta instaurarono per poter pagare le spedizioni di guerra ma che non venne più tolta.

Poi ordinò la costruzione di canali che partissero dai fiumi di Tafna, Mejerda, Chelif, ed Abiod cosi da portare l'acqua sui campi e nelle città ove la siccità ha stroncato ogni possibilità di coltivazione.

Lentamente il potere dei Numidi accrebbe portando al definitivo crollo di ogni resistenza da parte dei cartaginesi.





[Articolo di Mussulmanopazzo]


::: :::: Annales Maximi ::: :::

196 AC

558 anni ab Urbe condita


[Foto]

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\\ Grande Giove. \\

[Civilitas Romana]

- Cato et Flaccus consules Romae creati sunt - Catone e Flacco eletti consoli di Roma

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O Giove, a voi offriamo questa testimonianza liberatrice. O re, attraverso il tuo capo apparvero queste cose divine, la dea madre terra, e le erte cime dei monti, e il mare e tutto quanto il cielo dentro racchiude. Giove che dal tuo scettro, animo forte, scuoti la terra e la purifichi, ascoltaci: concedi salute perfetta, alla dea Pace e alla Repubblica, la cui fama sia di irreprensibile ricchezza. A te offriamo in sacrificio questo latte e questo vino, o Grande Giove, noi ti adoreremo, in cambio della tua promessa. Perché la Repubblica non muoia, dopo il tristo tradimento dei senatori verso i cittadini, verso le donne, verso i soci italici e verso i soldati, che il punico elefante per venti anni fece suoi cattivi.

Il Senato, contro cui si rivoltarono iracondi la plebe e i soldati, e contro cui inveirono le potenti orazioni, ha eletto consoli nel mese di Ianuarius Lucio Valerio Flacco, e Marco Porcio Catone, del partito popolare. Flacco, della rinomata Gens Valeria, fu edile e pretore di Sicilia, mentre Catone, un homo novus, nacque plebeo ed era il primo della sua Gens, quella Porcia; aiutava il padre contadino a mandare avanti la tenuta di familias, finché non fu portato a Roma, dove apprese la politica, e si ripromise di scalare il cursus honorum e di diventare un vir bonus (cioé di diventare un buon romano, attivo in politica, e soprattutto sviluppare un eloquente oratoria.

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Già amici e conoscenti, i due consoli, Valerio Flacco e Porcio Catone hanno accostato le loro cariche politiche sostenendosi l'un l'altro e ripromettendosi di portare avanti l'inascoltata voce del popolo romano, "silenziata nel sottofondo dall'eco rimbombante delle insulse parole dei senatori". Il popolo attendeva numeroso fuori al Senato il responso, e i senatori dovettero votare contro i loro interessi i due populares: poi i due, Flacco e Catone, uscirono in abiti purpurei, presentandosi alla folla come i nuovi consoli di Roma, almeno fino al December dello stesso anno, allo scadere della loro carica.

Catone avrebbe sempre e comunque scalato il cursus honorum, pure se i senatori non avrebbero quasi certamente rinnovato la sua carica: diventare consoli è soltanto un primo importante passo per accedere alla vita politica, diventare un vir bonus, un senex ed entrare a far parte del cuore di roma, il Senato, sempre che il senex sia prescelto come Pontefice. E dunque, la sua elezione come console, avrebbe scolpito il cammino che la Repubblica avrebbe intrapreso nei decenni a venire.



Gli aristocratici Scipionici hanno impallidito di fronte alla scelta di un Senato codardo, che non sa affrontare una folla di plebei. « Erano pretori, erano questori, erano edili, erano consoli, prima di diventare senex, e accedere al Senato: questo vuol dire che la nostra Repubblica soffre di una malattia senile chiamata corruzione, poiché taluni, fecero si che anche i vir malus (i cattivi romani) scalassero il cursus honorum. Ci ritroviamo pertanto in un paese, amministrato da vecchi corrotti e rimbambiti, e i vir bonus sono ridotti a pochi scarsi membri nella qualità e nel numero. » Dichiara Catone. « I ladri di beni privati passano la loro vita in carcere tra topi e catene, ma i ladri dei beni pubblici passano la loro vita in Senato, tra ricchezze ed onori. »



Catone ha riaffermato i capisaldi delle sue teorie politiche, poiché Roma, finita delle mani di corrotti senatori, si sta sfaldando, trascurando i costumi della tradizione e i suoi principi fondanti: il mos maiorum, ed essa si avvicina ad una morte certa, provocata da diversi fattori: quali la corruzione tra i senatori, l'influenza del Greco, la persistenza dei punici, e la recente tendenza di alcuni patrizi ad essere morbidi nei confronti della classe servile: lo schiavo non deve essere trattato come un uomo, il pater familias non deve riservare al suo schiavo un trattamento speciale, "essere dolce e apprensivo" come cercano di dirci i filosofi Greci.

Quando l'equilibrio tra le classi sociali sarà rotto, vedremo le nobili matrone accoppiarsi con i loro servi, vedremo delle umili schiave diventare donne nobili, o al contrario, uomini miserevoli, diventare ricchi patrizi per semplice atto matrimoniale. E in quel momento potremo dire che la società romana sarà morta, poiché è morto il principio fondante di quella società.



[Civilitas Barbarica]

- Secundum Bellum Macedonicum - Seconda Guerra Macedonica

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Polycratia era una donna tanto potente, quanto temibile, crudele e affascinante al tempo stesso: un raro caso nella storia, ma si illudevano di poterci battere. Roma non avrebbe perso, non avrebbe ceduto un sol passo al nemico, né su territorio italico né quando esso si sarebbe trovato alle porte della capitale. Il Senato ebbe modo di dichiararla hostis publicus, nemico pubblico, delle istituzioni, del popolo, e dei soci nostri alleati. Era venerata dai Greci come una dea oltre che come un Imperatrice. In una decina di anni era riuscita a far recuperare alla Macedonia il titolo di potenza conquistando le terre dell'Asia, della Tracia e della Dardania, dopo aver sfruttato abilmente la Pace di Fenice e la difficoltosa situazione di Roma, distratta con Annibale prima ed Asdrubale poi.



« I Greci sono una razza dalle strane abitudini: i loro uomini lottano come delle femminucce, e le loro donne lottano come fossero uomini. »

Traci e Dardani sono stati battuti da quest'Imperatrice, ma erano barbari. Roma ha sempre vinto, e anche stavolta l'aquila sorvolerà vittoriosa le fortezze distrutte dei suoi avversari. I centurioni sono affluiti numerosi in Grecia per difendere la libertas dei poveri elleni dalle spietate ambizioni di un Imperatrice avida e lussuriosa. E i manipoli di Sesto Elio Peto, operanti in Illiria, una volta sconfitto re Genzio e pacificato il territorio Adriatico, hanno minacciato le posizioni macedoni in Dardania.

Funesta, Polycratia ha messo sotto assedio Lacedemone, capitale di Sparta. I Lacedemoni si sono prontamente rinchiusi nelle mura, scarsamente difendibili, aspettando l'arrivo di rinforzi da parte di Roma, dopo che qualche manipolo romano ha cercato in vano di fermare le truppe assedianti in un combattimento corpo a corpo. I tentativi furono inutili: i macedoni ottennero una prima vittoria entrando nelle mura di Sparta dopo che tutte le difese erano state annientate. Roma aveva subito una prima sconfitta, ma non voleva dire che aveva perso.



« Cattureremo quella donna e la faremo sfilare a Roma su un carro trionfale! »

Ioannina, antica città ellenica dell'Ambracia, fu messa a ferro e fuoco dall'inarrestabile sete di vendetta di Polycratia, ma stavolta i romani e i soci opliti erano di numero considerevole, e poterono resistere all'assedio fino ai tempi attuali; parte dei manipoli stanziati nella polis si spinsero poco verso oriente per conquistare Corinto, nella speranza che l'accerchiamento di Pella avrebbe causato sfiducia presso le truppe macedoni, che invece non desistevano sicure di se.

L'essenziale era resistere, poiché le truppe dall'Illiria, possibilmente coadiuvate da ausiliari Gallici, sarebbero discese sui Dardani e avrebbero sconfitto sicuramente i macedoni sia per numero che per valore.



- Bellum Africanum - Guerra d'Africa

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I punici non sono mai stati bravi ad amministrare e prendersi cura del proprio territorio: i loro uomini non sentono di combattere per la difesa della patria e delle loro donne, i loro schiavi non sentono di dover lavorare per i propri padroni. Quindi i punici, una razza di avidi mercanti, ha sempre sfruttato il danaro per corrompere i popoli stranieri, e far si che questi lottassero per la difesa dei loro confini, dato che nessun uomo punico era dotato di attributi. Capitava spesso che i mercenari non ricevessero il proprio stipendio perché lo stato si era indebitato o si era scordato di loro: e capitava quindi spesso, che i mercenari dei punici si ribellassero, e tenessero sotto scacco l'Impero.

Poiché anche stavolta, l'elefante di sabbia si stava sfaldando sotto il sole. Le massicce e ruvide cosce cadevano sotto il peso insostenibile del debito di stato. E i mercenari d'Africa, alcuni di essi alleati di Roma, altri provenienti dalle sabbie, presero il controllo della situazione. Il Senato decise, che trovandosi in Guerra con Polycratia in Grecia, non si potevano condurre le armate in Africa, piuttosto, si sarebbero potute sfruttare le popolazioni della Gallia con la promessa di terre e cariche politiche.

Roma avrebbe potuto vincere Asdrubale con la spada, oppure con la clessidra, attendendo che il tempo li divorasse. Roma scelse di attendere.


Αγορά


(194 AC)
582 anni dalle prime Olimpiadi

{Βαρβαρικά θέματα | Questioni Barbariche}


|Assedio di Heraklion|
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Bianca per i suoi sassi e fertile era l'Isola di Creta, battuta dal sole e circondata dal celestio mare. Roma era venuta come alleata diversi anni prima, ma l'incuria fece ricredere i Cretesi, che solo con l'aiuto macedone riuscirono a scacciare i pirati ed eliminare per sempre la concorrente Rodi. Senza Rodi la produzione ittica, che era contesa e frammentata, fu monopolio di Creta. Heraklion tornava a fiorire, la popolazione faceva dal porto ritorno nelle case bianche dal tetto azzurro costruite in calce, che raffreddavano le ore diurne e riscaldavano quelle notturne.



Il cielo era piatto e azzurro, come le acque del mare che circondavano Creta, tutte lisce e prive di increspature, poche onde si riversavano sulle sabbie color canarino.

Roma non aveva risparmiato Creta, che essendo indifesa, fu l'unico obiettivo su cui la flotta navale romana era riuscita a puntare, troppo codardi per mirare ad Atene, che era presidiata da 300 triremi achee, oppure per puntare alle coste del Peloponneso e dell'Ambracia, ben difesa dalle katapeltes elleniche.

Pertanto, dato che essi preferivano non sacrificare alla vittoria alcune delle loro navi, la povera e indifesa Heraklion, fu l'unica a subire la violenza e la razzia per mezzo delle quinquiremi di Roma.

Heraklion era a quel tempo sorvegliata da novecento opliti, e non era immaginabile che Roma avrebbe attaccato Creta piuttosto che altre e più importanti poleis della Grecia.

Gli assedianti disponevano di 300 quinquiremi e 1500 marinai. Quando le navi attraccarono nonostante i venti avversi, lanciarono i colpi delle balliste e discesero sulle coste e le truppe oplitiche non poterono fare nulla se non resistere.



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I cittadini di Heraklion corsero ai ripari, i pescatori si allontanarono dalle acque e portarono la notizia ad Atene, che tuttavia in un primo momento non intervenne con la propria flotta poiché questa sarebbe servita ad altri scopi, ma poi, vedendo la disperazione e il senso di abbandono dei poveri cretesi, e sentendo le distruzioni delle case di Heraklion, la divina Basilissa decise che la flotta dovesse avvicinarsi a Creta, perché Roma perdesse interesse in quell'obiettivo.

Quando la flotta di Atene fu sospinta dai venti verso Creta, le quinquiremi romane lasciarono l'Isola e i cittadini di Heraklion ricostruirono quello che era andato distrutto, bruciarono i corpi dei caduti, e lodarono la divina Polycratia per il suo aiuto.



|Invasione del Peloponneso|

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I Dardani furono sconfitti in poco tempo dalle forze macedoniche, e i romani, che speravano nei rinforzi provenienti dall'Illiria, recentemente invasa, dovettero invece ricredersi della forza di queste popolazioni, che nonostante le vittorie ottenute da Roma, inflissero numerose perdite tra quelli che sarebbero dovuti essere i loro rinforzi. Roma attendeva accampata in Illiria e sperava in un qualche aiuto, forse nei Celti. Il tempo e la fortuna furono alleate di Roma in passato, durante la Seconda Guerra Punica, ma non era detto che anche stavolta i venti del fato avrebbero cambiato direzione a loro favore.

Roma non era pronta a difendere i suoi possedimenti in Grecia. Invasero la Corinzia, sperando di poter attaccare le katapeltes da dietro le linee, e poi marciare direttamente verso Pella, ma i comandanti macedoni si accorsero di queste manovre e diressero i colpi delle katapeltes su Corinto mentre un esercito oplitico si muoveva verso di loro per fermarli. Ricatturata Corinto, i romani a Ioannina si ritirarono verso l'Epiro dopo aver capito che resistere all'assedio sarebbe stato un inutile massacro.

Anche Sparta, nemica storica di Atene prima, e della Macedonia poi, era caduta. Nabis, un tempo schiavo e poi tiranno di Sparta, era stato catturato dalle forze achee, che dopo un intenso attacco sia terrestre che navale permisero l'Invasione del Peloponneso e la distruzione della storica rivale. I cittadini di Sparta furono ridotti tutti in schiavitù e la polis venne occupata da coloni achei.



|Roma in Paeonia|
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Roma nonostante tutto, credeva che avrebbe vinto, e si illudeva che una volta sconfitti i macedoni, avrebbero catturato la splendente e potente Basilissa, e l'avrebbero fatta sfilare a Roma su un carro trionfale. Invece le cose stavano andando diversamente. Roma e i suoi alleati non riuscirono a mantenere efficacemente le proprie posizioni in Illiria, le cui indomite popolazioni continuavano a resistere. Gli aiuti che davano per scontato che sarebbero arrivati, non arrivarono, perché erano stati annientati da Genzio, il sovrano Illirico. Pertanto, Roma restava immobile in Paeonia, e non poté sferrare alcun attacco in Dardania.

E mentre la Grecia venne liberata, l'aquila romana si era incastrata in un inestricabile pianta di rovi illirici dalla quale cercava di divincolarsi perdendo piume. E in Ambracia si stavano addensando le truppe achee, pronti ad una spedizione che quasi ricalcava quella di Pirro, re dell'Epiro: dal porto di Cefalonia erano partite le truppe macedoni, e le loro imprese sarebbero state cantate nei secoli a venire, mantenendo il ricordo della sconfitta di Roma, e dell'indipendenza ormai certa dell'Ellade.

Gli occhi di Roma erano puntati sull'Illiria, e sulle drammatiche perdite che riportarono per opera di quei barbari: i loro comandanti ciecamente fedeli ai loro piani erano ancora convinti che aspettando i rinforzi avrebbero potuto sferrare un attacco in Dardania, ma non si accorsero che l'attacco venne dal mar Ionico, in Lucania, dove sbarcarono numerosi i Greci, e quando se ne resero conto era troppo tardi perché le forze romane stanziate altrove discendessero l'Italia.

Evitarono di assediare Neapolis, dato che la polis resistette ad Annibale, e sarebbe stato un vano tentativo per i Greci provare a conquistarla. Piuttosto si mossero in Campania e nel Sannio, dove avevano la simpatia dei popoli autoctoni.

E dopo aver assediato e conquistato Capua, presero di mira Roma: la capitale della Repubblica.


{Θέματα πολιτών | Questioni Cittadine}

|Roma pietosa al cospetto della Basilissa|
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Roma sotto assedio fu colpita nelle mura dalle katapeltes che i Greci avevano portato con se, le spie si erano intrufolate furtive nella notte, e avevano svelato che il numero di romani a difesa della capitale era inferiore al previsto: probabilmente il resto dell'esercito era stanziato in Illiria, o comunque nell'Italia settentrionale, o ancora disperso su fronti. I comandanti Greci discutevano il da farsi. Intanto i colpi delle katapeltes dopo essere lanciati in aria ricadevano con un boato dentro le mura di Roma provocando danni. Infine i comandanti dopo aver fatto abbastanza danni ordinarono sicuri alle truppe di marciare verso la capitale.

Il Senato terrorizzato dei Greci, come vide le truppe marciare verso Roma, e consci di quello che sarebbe successo, ne uscirono a braccia levate, mandando un loro emissario, un vecchio senatore, ad annunciare la resa.

I comandanti ordinarono alle vittoriose truppe di fermarsi, e mandarono l'impotente senatore al cospetto della divina Polycratia. Il senatore aperta la bocca stava per pronunciare le sue parole, ma prima che emettesse un sol suono, dovette prima inchinarsi umilmente di fronte al trono della Basilissa, che stava seduta e calma, nella sua ordinaria posa, come una dea. E scrutava pietosa in basso quell'implorante misero e piccolo uomo di Roma chino ai suoi piedi.

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Il Senatore annunciava la resa di Roma, per decisione del Senato, sebbene ci fossero state aspre polemiche. Prostrato ancora al cospetto dell'aurea Imperatrice, questa rispose che avrebbe accettato la resa di Roma a queste condizioni: avrebbero dovuto cedere l'Epiro, riconoscere i nuovi territori della Macedonia, rinunciare a qualsiasi ambizione in Grecia, abbandonare la Siria e offrire 40mila talenti. Roma aveva accettato. Prima che il senatore si alzasse e se ne andasse, dovette baciare i piedi dell'Imperatrice, che solo per clemenza aveva risparmiato Roma.

Grazie alla divina Polycratia Roma era stata sconfitta ed umiliata.

I Guerrieri abbandonarono i devastati campi disseminati di centurioni morti e fecero ritorno a casa.

I Greci vittoriosi, protetti dallo scudo macedonico riottennero la pace e l'ordine dopo secoli di Guerre, e si affollarono nei templi della Basilissa venerando con eterna riconoscenza per la vittoria ottenuta la loro dea.



[Articolo di Astrid I]


~ Le Cronache Celtiche, la saga di Viridovix.


{VIII, ''Seppellitemi con una spada di bronzo''}
~ Cantlôs 1221 (''194 a.C'').
~ (https://www.youtube.com/watch?v=vMAleH0ZN2s).



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“Ora che la Gallia si estendeva ben oltre i confini conosciuti dai nostri avi, e dagli ascendenti prima di loro, la pace stabilita, con la conclusione delle ''guerre germaniche'' e l'egemonizzazione delle terre dei Cimbri e degli Alemanni, iniziava a ristabilirsi entro i confini territoriali.

Viridovix veniva considerato il più magnificente condottiero gallo, oltre che il più longevo, poiché, stranamente, aveva vissuto oltre le media d'aspettativa di vita d'un uomo celtico, in parte l'esistenza prospera del Vergobret sarebbe dovuta alla condotta d'una vita eroica, da furente guerriero, l'altra perché baciato dall'augurio degli Déi.
I rapporti tenutosi con Roma stavano migliorando di giorno in giorno, e per decisione dell'autorevole Senato venne concesso alle tribù galliche di poter popolare alcune delle terre di Mauritania, che per i Celti rimanevano semi sconosciute, difatti, essi, avrebbero potuto insediarsi e vivere nelle nuove colonie, ed i condottieri tribali sarebbero divenuti principi celtici, costituendo dei protettorati romani; Viridovix stesso scelse come principe delle nuove terre Galliche oltre mare lo stesso Magarovix, che sarebbe divenuto ''Signore dei Celtiberi e della Nuova Gallia''.
Inoltre, Roma stessa aveva assoldato un contingente di Galli a scopi difensivi, per poter impiegare in battaglia il ''furor gallico'', l'assoluta barbarità con cui i Galli riuscivano a fronteggiare i nemici sul campo di battaglia era inauditamente tremendo, e talvolta cruentemente violento.
In cambio delle lealtà e della fedeltà del contingente gallico un emissario portò a corrente Viridovix della decisione di donare la città di ''Tergestum'' e le sue lande alle Gallie, sotto il verde vessillo con un cervo dorato. Dislocati non molto lontani dalla Dalmatia e dalle terre dei Pannoni si ergeva lo stato ellenico, sorretto dall'Imperatrice Polycratia, i Galli più facoltosi allora rimembravano ancora le gesta di Brenno e dei suoi figli Galati, che riuscirono a trafugare un lauto bottino, definito dagli storici di lingua latina come ''Aurum Tolosanum'', dalle terre di Grecia, saccheggiando il Santuario di Apollo presso Delfi, e disperso l'ingente tesoro tra l'immensità delle Gallie.


Il martirio perpetrato dai Macedoni ai danni dei ''cugini'' Dardani poteva risvegliare nei Celti, e nelle richieste d'aiuto dei popoli d'origine celtica, dislocati limitrofamente, la veemenza barbarica di cui i Galli facevano sfoggio durante sanguinarie battaglie.

''Che Toutatis, Dio delle Guerre, possa essere testimone della tremenda Vendetta che dovrà subire la Macedonia!'' pronunciò il venerando Viridovix, sguainando il proprio spadone e recidendo, orizzontalmente, il proprio palmo della mano, cospargendo di sangue la lama della sua arma.

''E che Hessus, allo stesso modo, possa essere invocato oggi con il mio Sangue ed abbattersi con violenza sul nemico, ma che sia il sangue ellenico a sfamare la Tua tremenda sete nei dì avvenire, quando gli occhi dei Greci non noteranno nient'altro che le Fiamme della guerra ed il Terrore delle sue genti.''




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I variaghi celti avrebbero solcato i mari come un tempo, alla ricerca di nuove ricchezze, ed i guerrieri ed i propri condottieri avrebbero celebrato sontuosi banchetti e feste notturne alla luce di grandi focolari, in cui bardi avrebbero cantato soavi canzoni sui giorni avvenire, e sulle nuove avventure, mentre il sacro Vergobret avrebbe convocato i ''rix'' delle Gallie, Teutomalix, Orgetorix, Magavarix e Cingetorix a presenziare ai convegni di Guerra.
Intanto si sarebbe vociferato tra le contrade di Gallia che Viridovix avrebbe volentieri lasciato il proprio titolo al primogenito tra i suoi quattro figli maschi una volta sopraggiunta la propria morte, alcuni bardi avrebbero detto che Viridovix avrebbe intimato ai propri figli di non dimenticarsi delle usanze celtiche a cui ogni guerriero che voglia varcare la soglia dell'Aula degli Eroi, entro l'Annwn, deve rispettare:
''Figli miei, quando le mie membra si faranno pallide e pesanti, quando la mia vita avrà cessato di vacillare tra la Morte e la Vita, e la vecchiaia mi avrà quindi dilaniato, seppellitemi con una spada di bronzo, e che i Druidi facciano ereggere un tumulo degno della mia nomea, secondo il loro inappellabile giudizio, che io pretendo di oltrepassare l'uscio di Annwn da eroe, e ricongiungermi al padre di mio padre, circondato dai miei fratelli ed i figli caduti per le guerre incessanti.''



'' I Stanza

« Ecco giungono il Saggio e il Mago
Cessate ogni lamento e vaniloquio
Ascoltate e prostratevi alla potenza della parola
Non siate stolti o superbi
guardate intorno a voi i segni dell’eterno
e troverete Guida sicura.

II Stanza

Ingenuità e Stoltezza,
Pigrizia della mente!
Mai abbastanza rimpiangerai
La perdita di ogni tua fortuna
Se in mani ingannevoli
L’avrai affidata

Se cedi alla voce dei demoni oscuri
muto diventa il tuo cuore nel petto
freddo e stanco il tuo corpo
se ti fermi il sonno cattura la mente
e tutto è perduto. [...] »

~ (''Canzone declamata dai Bardi'').
(''https://www.youtube.com/watch?v=hFGtmZQyAbI&t=85s'')

Nome: 1319372961_huxoll_anton_the_bard_before_the_royal_family-[Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] Visite: 18 Dimensione: 172.2 KB”

[Articolo di HerbertBacke]


Cronache Del Mondo Antico

{Disfatta Romana}


\\Roma pugnalata dalla spada Ellenica//

-Roma tanto potente quanto ingenua, ebbene si il fiero popolo Romano in due stagioni si è arreso dinanzi alle truppe Macedoni guidati dagli Strateghi Ellenici i quali dopo aver conquistato il peloponneso e le città romane in Grecia, si sono spinti ben oltre sbarcando nella penisola Italica risalendola e giungendo alle porte della capitale.

I senatori videro il nemico fuori le porte di cosa loro e presi dalla paura della morte hanno deciso di arrendersi ed iniziare delle trattative di pace con la Basilissa Macedone la quale è riuscita ad ottenere i territori dell’Epiro, l’abbandono da parte dei Romani della città di Syrio e 40 mila talenti.

Prima i cartaginesi con Annibale e adesso i Macedoni e i loro generali, sembra che il potere di roma stia crollando lentamente dinanzi alla potenza degli stati che lo circonda. A nord i celti: un popolo di guerrieri, ritenuti dai romani un popolo barbaro, espande i propri territori giorno dopo giorno ai danni dei piccoli regni indifesi raggiungendo una potenza tale da poter spazzare via l’Aquila Romana in qualsiasi momento; a Sud il grande Regno di Cartagho si è disgregato sotto i colpi dei mercenari assoldati e non pagati, spezzando di conseguenza il territorio in piccoli regni; ad Est l’impetuoso Impero Macedone ha dato l'ennesima dimostrazione del suo potere infliggendo un duro colpo a Roma.

\\Invasione dei Sarmati//




-Il piano di espansione dello Stratega Filopemene è dunque iniziato nella stagione dei fiori, quando le acque del Mar Nero erano calme e limpide, centinaia di navi macedone inviate dalla Basilissa hanno aperto il fuoco sui villaggi dei Sarmati che ignari del pericolo hanno ricevuto numerose perdite civili e militari.

La linea difensiva posta a nord dell’Anatolia funge da muro impenetrabile in difesa delle truppe terrestri dell’esercito macedone che aspetta l'ordine di invasione dello Stratega per partire con l’attacco.

Centinaia di migliaia sono coloro che ben presto varcheranno la soglia dell’Anatolia per giungere in terra straniera ove dovranno dare prima del loro valore uccidendo i nemici Sarmati i quali dovranno essere del tutto annientati come ordinato dallo Stratega.

Un popolo di nomadi senza una cultura ferma e decisa non merita di vivere nelle terre che gli Dei hanno regalato a noi comuni mortali, per cui ogni forma di contatto diplomatico sarà inesistente come la pietà che i lancieri macedoni avranno dinanzi alle famiglie Sarmate.



\\Non c’è pace per i seleucidi//




-Tempi Orsono raccontamo il prode viaggio dei Seleucidi scappati in un lungo Esodo verso le coste estranee del Nord Africa combattendo contro la fame e le insidie del mare con la speranza di trovare un posto dove vivere in pace, e per coloro che sono sopravvissuti le speranze sono state avverate.

I sovrani Cartaginesi concedettero ai poveri seleucidi un posto dove abitare e vivere, un terreno fertile per coltivare e poter crescere i propri figli lontani dall’Inferno dell’Anatolia, ma ciò durò poco. La caduta di Carthago ha fatto cadere il regno nel caos, diviso in piccoli regni e senza una figura dominante i vili cartaginesi, infuriati contro i seleucidi che li vedevano come degli invasori, hanno sopraffatto i villaggi indifesi uccidendo uomini e donne senza pietà, torturandoli e abusando delle donne.

Avvertito il pericolo i seleucidi fuggirono ad Est ai confini con il Regno di Tolomeo e li crearono,questa volta, un'unica città chiamata Surt in onore di abile condottiero Seleucida il quale ha aiutato il popolo a scappare dall’Anatolia perdendo la vita contro i Macedoni.

Innalzando le mura della nuova città, e costruendo le prime abitazioni, gli uomini pieni di odio nei confronti del nemico cartaginese hanno imbracciato le armi rubate dagli insediamenti Cartaginesi e hanno dichiarato guerra a chiunque minaccia la loro pace.

Gruppi di uomini si sono incamminati verso sud du Surt per creare nuove città ed ampliare i confini del nuovo regno che stava per nascere dalla sabbia dei deserti, un regno governato dai Seleucidi, destinato a durare nel tempo oppure essere abbattuto dai feroci nemici esterni.

\

\Lode Alla Basilissa//


-Oh Basilissa, tu che illumini le nostre mattine con la tua magnifica bellezza ti ringraziamo per averci liberato dall’ingordigia e ripugnante Impero seleucida che infangava il buon nome della cultura greca autoproclamandosi discendente del nostro grande antico condottiero Allesandro Magno.

A te dedichiamo una statua in tuo onore fatta di marmaro, molti dei costruttori sono morti certo, ma per te varcheremo anche le insidiose Colonne di Ercole per affrontare le attroci e mostruose creature che infestano quel luogo.

Il suo nuovo culto è stato apprezzato da tutto il popolo greco che vede in lei la figura di una sovrana forte ed intelligente in grado di piegare Roma al suo potere ed ampliare i propri confini a discapito dei popoli barbari che ci circondano eliminandoli ed uccidendo qualsiasi forma di cultura estranea alla nostra.


[Articolo di Ferdinand-Foch]






::: :::: Annales Maximi ::: :::
193 AC

564 anni ab Urbe condita

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\\ Il Senato preda della plebe. \\

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[Civilitas Romana]

- Roma abdicat cum Senatum populum tradisset - Roma si arrende, il Senato tradisce il popolo

O Bellona, perché non abbiamo convocato te, dea razionale, sposa di Marte, tu Bellona, che sei sempre intervenuta al fianco dei nostri soldati nelle difficili e concitate fasi. O Bellona, mia dea, tu che rinnovi i campi, tu che sei sfrenata e non conosci clemenza. Dea della spada, dell'elmo, della lancia, della frusta, della torcia, e della mezzaluna, se ci avresti favorito, vi avremmo dedicato tanti templi; ma invece no: Genzio l'illirico dovette decimare i nostri rinforzi, la speranza dei nostri capi e unico piano di vittoria. I Dardani dovettero restare sudditi di quella donna, e noi e i nostri alleati non potemmo avanzare, accampati dietro le linee in numero effimero. I Greci intanto, persero la libertas, e i Lacedemoni, che fino a due secoli prima acclamavano Leonida, adesso erano ridotti in catene.

I Greci sbarcarono in Lucania, come Pirro, re dell'Epiro, ma senza elefanti e con ben altro destino. Eravamo ancora fedeli all'Illiria e alle speranze che avevamo nutrito, e in poco tempo i macedoni passando per la Campania e per il Sannio, come Annibale presero Capua e assediarono Roma, priva di importanti difese, visto che l'esercito romano non solo doveva controllare il confine con le Gallie e in Hispania ma perché molti persero la vita in Grecia e in Illiria.

Roma non ha potuto resistere molto, le mura cedettero, i soldati morivano e la popolazione aveva fame. Gli auspici andarono male: furono trovate morte 10 aquile, e i polli non beccavano a terra da una settimana. I politici temevano per la propria vita, ed erano certi che Roma sarebbe caduta.

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E Roma cadde, come corpo morto cade.

Il Senato, popolato da viscidi vermi anziani, che strisciano sotto la burrasca, sospinti dal vento dei malefici, temendo per la vita di quei vecchi: ai quali comunque poco ancora sarebbe rimasto da vivere, fece arrendere Roma. E si arresero nel modo più vile, ed umiliante, che potesse arrendersi un senex: ne fu mandato uno per trattare la resa, e questi si dovette inchinare umilmente di fronte alla Greca Polycratia seduta sul suo trono, e dovette baciarle i piedi "per esprimere riconoscimento per la clemenza dimostrata".

I Greci che premevano alle porte lasciarono Roma, ma non potemmo tirare un solo sospiro di sollievo. I senatori avevano nuovamente tradito il popolo romano. Si alzarono polemiche pesanti per quello che il Senato aveva fatto: Roma era stata sconfitta, per la prima volta nella sua storia.

« E noi potevamo vincerla: ma il parassita della corruzione viveva dentro di noi. Roma sopravvisse ad Annibale, che per dieci anni aveva controllato tutta l'Italia e aveva sobillato contro di noi i popoli italici, e non sopravvive ora, a delle femminucce Greche. » Dichiara Catone. « Bastava aspettare. Che nel mio nome avrei richiamato le truppe dalla Gallia Cisalpina e avremmo salvato Roma. Dite voi senatori: non avremmo fatto in tempo. E io vi racconto, di quella volta in cui i Galli assediarono la capitale, e furono le Oche capitoline a salvarci. Chi vi dice che Roma non sarebbe sopravvissuta anche a questo? E che merito ha Roma di vivere, dopo essere stata sconfitta ed umiliata dal popolo più effemminato del mondo conosciuto? »

« Io, che con la Lex Oppida ho reso illecito che tra consorti ci si baciasse in pubblico (una perversa usanza dei Greci). Io, che ho proibito alle donne romane di vestirsi in modo troppo succinto, e di indossare collane e altri monili preziosi. Io, noi, il partito popolare siamo l'unica speranza di Roma. Roma sta morendo, concittadini miei, e lo vediamo: le matrone rompono la fides, i servi si ribellano ai padroni che li trattano troppo umanamente… nelle strade il diffondersi della perversione e della corruzione che erano sconosciute ai nostri antenati. »

I plebei, aizzati dai populares, hanno protestato contro l'odiato Senato, che non si cura di Roma. « i Senatori hanno rotto la formula SPQR, Senatus Popolusque Romanus (Il Senato e il Popolo Romano), sta venendo a meno il fondamento della Repubblica: l'unione tra popolo e Senato. »


♗ ::: ☥ - Divina Tavola di Horus - ☥ ::: ♗

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112° Anno di Regno (193 A.C.)

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hiero_G8.png?a8843 // - Il Febo Apollo vedeva sorger la sua città,

lì ove le verdi acque si scontrano con le roventi sabbie - // hiero_G8.png?a8843

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[ - La nuova Apollonia - ]



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Duravano ormai da decenni i lavori di concepimento della nuova città di Apollonia, in Cirenaica, simbolo dell'indissolubile legame greco-egizio, ove le genti di Atene ed Alessandria, avrebbero condiviso la loro vita quotidiana, coesistendo pacificamente e cordialmente.

Giungevano quindi al termine le ultime opere, fra cui spiccava il Tempio di Zeus-Ammone, il più grande complesso templare della Libia ove avrebbe trovato lode il frutto dell'unione fra il dio greco Zeus e il nostro padre Amon.

Nella città di Colui che scruta nel cielo e nelle nubi, ora si erige la casa del più grande dei Signori tra i Pantheon.

Un'enorme struttura marmorea, dalle auree finezze e dai colorati ornamenti, trova così la vita nel cuore della nuova città, anche grazie ad un finanziamento greco, pari a 3000 dracme.

L'imponente sforzo di erezione del nuovo complesso urbano cirenaico, è stato reso possibile anche grazie al gran numero di uomini, per lo più schiavi arabi e/o seleucidi, coinvolti nell'opera.

Importante è però anche il lavoro di estrazione e trasporto.

All'estremità del nostro Regno e sui territori limitrofi dell'Arabia e dell'Etiopia, c'è una regione che possiede un gran numero d'importanti miniere d'oro metallo che viene estratto in gran quantità a prezzo di molti tormenti...

Sono le miniere di marmo e pietra di proprietà esclusiva del Faraone, che grazie alle sua presenza, permette agli Dei di plasmare quella che è la più nobile fra le rocce.

Le rocce aurifere sono di colore nero intenso, ma nel loro interno si può notare una pietra più bianca, che i minatori bruciano con fuoco di legna, quando questa è ammorbidita la spezzano in piccoli frammenti...

Il lavoro fondamentale è quello svolto dall'operaio specialista che indica ai manovali il filone che contiene l'oro.. Egli distribuisce il lavoro: i più forti e giovani spezzano la roccia nel punto in cui è bianca per mezzo di martelli..gli uomini si servono della sola forza bruta per scavare numerose gallerie nella roccia..

Sono poi i bambini che scivolano nelle gallerie, raccolgono faticosamente i frammenti di pietra che trascinano all'ingresso della miniera..qui una moltitudine di vecchi e ammalati prende il minerale e lo mette a disposizione di uomini robusti che lo pestano in mortai di pietra fino a quando il pezzo più grosso non supera la misura di un lenticchia.

A seconda dell'utilizzo e della mole del blocco estratto, questo veniva lavorato e modellato sul posto, per poi essere trasportato sul luogo, oppure veniva portato grezzo in cantiere.






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Per lungo tempo si ripeté il ciclo, ma ora, finalmente, Apollonia splende come un rubino tra il deserto e la verdeggiante costa.

E mentre ora la nuova città del Febo si prepara alla consacrazione, Sua Eminenza il Faraone Tolomeo V, raggiunta l'età necessaria a reclamare il Trono ed i titoli reali, ha intrapreso un lungo viaggio, della durata di 2 anni, in Grecia, ove sotto la supervisione personale di Polycratia ha studiato il greco ed ha avuto l'onere di ammirare la terra natia del Grande Alessandro, nonché la generale bellezza della Grecia.

-------------------------------------------------------



[ - L'Aquila ferita dal fendente greco - ]


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Estintosi il pericolo cartaginese, dopo che questo si è improvvisamente smembrato in una moltitudine di regni e tribù sotto la salda egida nubiana di un tale Massinissa, Roma non poté dirsi esente da disgrazie a lungo.

Sorgeva infatti all'orizzonte, il sole macedone, che con i suoi pungenti raggi, finì per porre sotto assedio la Repubblica.

L'Aquila, che inizialmente sembrava aver la meglio dopo il positivo attacco all'isola di Creta, fu tutta d'un tratto costretta a ripiegare sulle sue posizioni, abbandonando prima il Peloponneso e poi dovendosi arrendere in terra italica quando le truppe della Basilissa circondarono l'Urbe.

Il Senato romano, ove nidificarono viscidi e corrotti esseri, non esitarono a dichiarare la resa, senza neanche tentare di trattenere l'assedio per poi ricacciare indietro l'invasore una volta richiamate le Legioni in Illiria ed Hispania.

Coloro che giurarono di proteggere Roma, non esitarono a prostrarsi al nemico, pur di avere salva la vita e di mantenere i propri privilegi.

Roma piange, lamentando la perdita delle austere tradizioni, della disciplina e della fermezza che fino ad ora l'aveva contraddistinta.

In un momento di cotanta difficoltà, come già si era fatto più volte in passato, venne proclamato un nuovo dittatore: Marco Porcio Catone.

Le legioni della Repubblica sono ora costrette ad abbandonare la Grecia, mentre la bella Polycratia proclama il nuovo Impero Macedone.



[Articolo di Dark II]





Cronache Del Mondo Antico

{La Statua della Basilissa}

[192 AC]

//-La Questione delle Polis-//

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-La lettera scritta dallo Stratega Filopemene inviata al palazzo della Basilissa è giunta a destinazione con leggero ritardo a causa della lentezza del messaggero, ma,nonostante il ritardo, la leggiadra Basilissa,avendo a cuore la situazione dei suoi territori, ha risposto con positività al richiamo di Filopemene il quale, dopo esser venuto a conoscenza della vita malsana dei cittadini nelle Polis, ha chiesto il via libera per poter risolvere il problema dei “Parassiti” così definiti dallo Stratega riferendosi ai Tiranni che governano le Polis.

Analizzando la situazione delle Polis si è trapelata la conclusione che molte di questi centri urbani sono estremamente invivibili a causa del potere mal esercitato dai nobili al potere; il numero di morti aumenta costantemente complice del fatto che i cittadini non aventi ricchezze da poter permettere loro una vita agiata, combattono contro il demone della fame ogni singolo giorno per sopravvivere e molto spesso i genitori pur di far mangiare i loro bambini si astengono dal nutrirsi danneggiando loro stessi fino al sopravvento della morte, che condanna i poveri pargoli a vivere senza la propria famiglia riducendoli a mendicare e chiedere l’elemosina per le strade oppure rubare ai mercati un pezzo di pane o una mela, e proprio questi piccoli ladri, no per scelta ma per sopravvivenza, molto spesso si riuniscono in gruppi creando una rete criminale formata da piccoli ragazzi che in comune hanno la perdita della loro famiglia e l’obiettivo di non morire di stenti.

Avendo ottenuto maggior potere sul territorio Anatolico, lo Stratega, ha deciso di porre fine a queste piccole dittature dei tiranni presentandosi in ogni città assieme alla sua cavalleria per rivolgere al popolo una semplice, ma importante, domanda:“Cittadini di *nome della città* sono oggi qui venuto da voi per porvi una fatidica domanda e gradirei una solenne e sincera risposta:



L’Impero Macedone è eretto da semplici, ma fondamentali, principi tra cui il consenso e l’amore del popolo verso la loro Patria rappresenta, forse, il punto più importante per la vita dell’Impero, per cui quando questa viene a mancare cadrà anche l’Impero. Per evitare tale tragedia lo Stratega ha liberato le Polys dai “Parassiti” condannando loro a essere rinchiusi per sempre nei sotterranei delle prigioni, ridotti in povertà e alla fame come loro condannarono le povere famiglie che egli hanno distrutto.

Filopemene ha esposto ai cittadini nella piazza principale della loro città si rivolge a loro dicendo:

“Ora che i malvagi Tiranni usurpatori del potere, che hanno lucrato per anni sulle spalle dell’Impero sbeffeggiando della Basilissa e di tutto il suo popolo, sono stati rinchiusi dove loro meritano di stare: In Gabbia.Porgo a voi una nuova domanda e dovrete fare una scelta la quale avrà pesanti ripercussioni sul vostro futuro e quello dei vostri figli e quello dei figli dei vostri figli:

“La nostra Basilissa mi ha concesso il potere decisionale su queste terre e io vio liberati dai tiranni, ma ora le vostre città senza un governo non può durare per cui chiedo a voi di votare se volete che la città sia amministrata da me o da un consiglio di cittadini basato sul modello Ateniese oppure oligarchico come quello Spartano.””



//-Viaggio della Basilissa-//



-Il nuovo culto imperiale della Basilissa ha reso la sua figura mistica paragonata a quella dei grandi Dei dell’Olimpo e molti dei cittadini, che hanno accolto con amore questo nuovo culto, sono esplosi di felicità e gioia nel sapere che la sontuosa Imperatrice farà un viaggio per le città dell’Anatolia per conoscere i nuovi cittadini dell’Impero e per ammirare la statua a lei dedicata.

La Basilissa ha girato per le Polis Anatoliche assieme alle sue guardie imperiali e ai suoi servi i quali l’hanno trasportata su di una lettigo su la quale è seduta, o distesa, la Dea Imperatrice che al suo passaggio per le strade è stata per tutto il tempo osservata e venerata dalla folla che gli stava intorno.

A Sinope è stata costruita la statua della Basilissa, all’interno di un enorme palazzo di marmo bianco risiede in una grande sala l’impetuosa Statua d’Oro che raffigura il corpo bellissimo della Dea seduta su sul suo trono vestita con abiti eleganti, con la corona sul capo ed i simboli reali Macedoni.

Il culto imperiale è subito divenuto quello principale da venerare soprattutto dalle donne dell’Impero che guardando la Basilissa vedono in lei la più grande figura femminile dell’impero la venerano ogni giorno, e proprio loro hanno organizzato una magnifica festa degna di un imperatrice nella grande sala della Statua piena di cittadini e sacerdoti, con tavoli stracolmi di cibo e musicisti e bardi che cantavano e ballavano per la Basilissa.



[Articolo di Ferdinand-Foch]
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Partita GDR | Imperium [di falco1994 8/02/2018] Empty Re: Partita GDR | Imperium [di falco1994 8/02/2018]

Messaggio Da Falco Mar Feb 08, 2022 9:23 pm

~ Le Cronache Celtiche, la saga di Viridovix.


{VIII; Suonano i Carnyx}
~ Cantlôs 1217 (''190 a.C'').
~ ([Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]


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~ (La fondazione di Massalia).

“ Le lande dove il popolo celtico prosperava erano divenute massivamente estese, le nuove terre della Mauritania, - ancora in corso di colonizzazione -, e le terre ad est, dove un tempo gli illiri vivevano nei propri villaggi, erano le ultime conquiste del sangue celtico, forgiato dal ghiaccio delle proprie terre e dalle fiamme delle guerre.


A Sud, i nuovi protettorati romani popolati dai Celti venivano riorganizzati in villaggi simili a quelli delle Gallie, anche se lo scarseggiare di risorse di legno, e la calura a cui i Celti non erano abituati rappresentavano delle limitazioni logistiche, così come molti dei guerrieri che erano stati inviati da Celtica perivano durante le battaglie contro i popoli autoctoni, che andavano sovvertiti e ''civilizzati'' secondo l'etica gallica.
Le terre d'Illiria si rivelavano una buona zona strategica, anche se non molto l'istante si ergeva l'Impero della basilissa Polycratia; l'Imperatrice della stirpe macedone, infatti, aveva condotto fino ''Massalia'', come sono soliti enunciare nella loro lingua, un'ambasciata. L'emissario delle sentinelle di Viridovix, Berenix, aveva cavalcato fino a dove il vascello ateniese approdò, ed una volta raggiunto il punto d'incontro intimò alle genti di Grecia di discendere a riva, e di dichiarare il motivo per cui avessero condotto un viaggio così lungo ed attraccare presso le Gallie del Vergobret, a tal punto gli elleni scesero verso il messaggero celtico, e risposero che avrebbero voluto iniziare delle trattative per la restituzione di Massalia alla Grecia, obiettivo della propria Imperatrice. Tuttavia il furore celtico, specialmente quando si trattava di terre del proprio patrimonio ancestrale, non era votato alla discussione ed alla diplomazia sui diritti naturali che i Galli dovevano vantare sulle terre dei propri antenati, e fu così che lo stesso emissario sogghignò difronte all'ambasciata, delineando la posizione del popolo gallico a riguardo: Alcuna mediazione.


I greci risposero che avrebbero mobilitato un'imponente flotta, degna di poter riconquistare Massalia, ed Berenix controbatté prontamente:

- ''Che l'Imperatrice e la Grecia diriga presso le nostre sponde qualsiasi flotta, ma Viridovix il Grande risponderà all'attacco con il doppio, il triplo, il quadruplo delle vostre forze!''

Così si conclusero le ''trattative'' tra la Grecia e la Gallia, con una dichiarazione firmata col sangue dei guerrieri, dove si sarebbero dimostrati non solo i valori delle proprie forze armate, ma anche la superiorità nel rivendicare le terre ambite.




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~ (Il Sacco di Delfi; l'impresa celtica in Grecia di Brenno).


In un fresco dì, dove nell'aria si poteva avvertire lo sbocciare dei dolci castagni ed i fiori selvatici schiudersi dal gelo notturno, le sentinelle delle coste celtiche notarono che una flotta, dall'araldo greco, s'apprestava a muoversi verso Massalia, minacciando l'offensiva, proprio come promesso dalla stirpe macedone nel giorno dei futili tentativi diplomatici. Cingetorix, signore degli Aquitani, assieme a Viridovix, il Senzamorte, radunarono un'armata così spaventosa e così numerosa che la flotta, che a detta dei greci doveva rivelarsi invincibile, fu costretta a ripiegare, sotto i colpi degli arcieri celtici.


- ''Toutatis, invochiamo la tua discesa fra Noi! Con queste freccie consacriamo la nostra Vita alla guerra! Che il sangue dei vili elleni possa essere un pegno per accedere alle Aule degli Eroi!'' e con taluna ritualità, vocata all'arte bellica, Toutatis discese fra i Mari, e sbaragliò l'offensiva macedone, che ripiegò in lontananza, per non essere colpita dagli attacchi dei Celti.



Tuttavia un altro territorio s'attestò come fronte della guerra tra i Galli e gli Elleni, difatti nelle lande d'Illiria le falangi greche avevano radunato da due cittadine due eserciti diversi, meglio attrezzati dell'impresa marittima di Massalia.
I contingenti celtici nelle terre degli illiri erano rappresentati da un esiguo numero di fanteria e cavalleria, ed una unità d'arcieri, l'impreparazione dei giorni di festa aveva tratto in inganno i Celti, che su questo nuovo fronte si ritrovarono sensibilmente in minoranza.
La guerra nelle terre illriche doveva ancora rivelarsi una vittoria od una nefasta disfatta, ma solo il volgere di nuove notti e nuovi giorni avrebbero potuto rivelare l'esito della battaglia.


I Druidi erano impegnati nella celebrazione dei culti lunari, e l'avvento di giorni grigi come quelli che stavano per essere vissuti non mancarono né sacrifici a Toutatis né tentativi di vaticini in nome degli Eloquenti Déi; i druidi recitavano sovente la stessa profetica visione riguardo tale materia:

« Dalle dense nubi d’Autunno
La pioggia fitta riempie i torrenti.
Tracimano i canali di nero fango,
I campi sono paludi, le strade sepolte,
Scivolano lenti uomini, carri e cavalli,
Ogni sforzo è vano, unica via la rinuncia. »




Che gli Déi avessero previsto gli esiti della battaglia nell'Illiria? O che le loro ermetiche parole intendessero disquisire d'altro?
Una cosa è certa, la battaglia, qualunque essa sia, non è la Guerra, le battaglie per i Celti potevano essere perse, ma la Guerra mai!
E con il suono dei Carnyx, le trombe belliche, la stagione di sangue poteva iniziare!”

Nome: arminius-oder-hermann-der-cherusker-bei-den-priestern-und-druiden-g587xr.jpg Visite: 41 Dimensione: 132.7 KB




[Articolo di HerbertBacke]


::: ::: Historiae di Tacito ::: :::

190 AC

564 ab Urbe condita

[Anteprima]
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\\Camene, muse italiche.\\


[Civilitas Romana]

- Dictatura Catonis et Bellum Civile - Dittatura di Catone e Guerra Civile

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Carmenta, italica musa, dammi il tempo e dammi la forza per scrivere e raccontare ai profani di Roma, della sua storia e di quello che ne fu. Concedimi, O musa, l’ispirazione necessaria, e aiutami ad ultimare la mia opera, perché essa duri più di un secolo. A voi la dedico, o Camene, a Roma e a tutti i posteri. E partiremo da illo tempore, poiché fu tanto decisivo e può rappresentare l’inizio della nostra storia, l’inizio di un periodo nuovo per Roma attraverso il quale, il popolo romano, del tutto cambiato, non si riconoscerà più nel suo antico passato.

I cieli del Lazio erano opachi e fredda era l’aria: il clima era più duro due o tre secoli fa, e questo faceva si che la natura decidesse tra il forte e il debole. Giove sussultava, un lampo luminoso ed un boato proruppe, e poi l’acqua vi cadde. Nembi crudeli, nubi spietate si erano radunate sul Senato: la rivoluzione era ormai imminente. Roma era stata sconfitta cinque anni prima per mano macedone, e questo non testimoniava il declino del valore dei soldati romani, quanto piuttosto il declino della classe politica all’epoca. Il senatore che per chiedere la pace si prostrò ai piedi dell’Imperatrice Macedone baciandoli, trafisse definitivamente la fiducia dei romani verso il Senato, e ruppe simbolicamente quell’unione tra il popolo e i senatori che era riassunta nell’espressione "SPQR".

In tutto questo, mentre la società romana declinava nello squallore, nella corruzione morale e nella perversione, i soci italici premevano affinché la cittadinanza fosse estesa a tutta l’Italia. Il Sannio e la Sardinia avevano dichiarato l’indipendenza, mentre i Lucani e i meridionali respinsero i collettori di tasse. Solo i Veneti restavano fedeli a Roma, non senza nutrire dei dubbi. Questi, erano tra i Galli, il popolo più amichevole e affabile, dai tempi di Annibale ma anche prima, e non ricordiamo un solo momento in cui i loro interessi si misero contro Roma. Gli altri Galli si erano insediati in Illiria perché i mercenari non si adirassero tornati a casa a mani vuote: parecchi avevano perso la vita per conquistare l’Illiria, e il loro sacrificio fu reso vano. I tribuni militari non smettevano per questo fatto di rimproverare i competenti.

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Marco Porcio Catone, console e astro del partito populares, avendo il totale supporto della plebe, aveva forzato i senatori, spesso sotto minaccia di morte, a votarlo Dittatore, poiché un uomo come lui avrebbe senza ombra di dubbio riportato la Pace a Roma. E infatti ricoprì la carica, e mise ordine laddove poteva, ma la Repubblica venne creata per tutelare la libertas dalla tirannide: per questo, quando dopo 6 mesi la dittatura scadde, il Senato l’avrebbe dovuta rinnovare. Catone chiese il rinnovamento della carica, ma il Senato fu silenzioso, e non fece trapelare nulla. Il popolo era in attesa, Roma era ferma. Ai senatori spettava la parola.

In quella silenziosa ma breve fase, il Senato aveva chiamato in sua difesa buona parte dell’esercito, e solo dopo si seppe che la carica di Catone non era stata rinnovata, e venne proclamato dittatore l’aristocratico Publio Cornelio Scipione detto "l’Ellenico", acerrimo nemico della plebe.

Catone, che a quel tempo si trovava a Genua, fu avvertito dello schieramento delle truppe e della decisione del Senato, fatta a danno del popolo.

Catone rifiutava di riconoscere l’impopolare scelta del Senato, che ancora una volta voleva favorire i propri interessi e quelli di una ristretta cerchia di aristocratici. Roma era spaccata in due, da un lato il popolo, dall’altro l’aristocrazia, da un lato Catone, dall’altro Scipione. Publio Cornelio Scipione controllava Roma, e i dintorni, l’Italia meridionale, e l'Hispania mentre erano alleati di Catone i Veneti. I Sanniti non si schierarono, e fecero altrettanto i Corsi e i Sardi.

Gli eserciti si prepararono, e marciarono nelle rispettive direzioni, i cavalli aspettavano di poter nitrire, Catone scrutava immobile dall’alto del colle il campo di Scipione. E in quel momento disse la celeberrima e indimenticata frase: « Alea iacta est. » (Il dado è tratto.), con cui ebbe inizio il periodo della Guerra Civile a Roma.



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- Prohibitio Graeci - Proibizione del Greco


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O Carmenta, italica musa, lascia che io parli brevemente anche dei Greci, di quello che successe a loro, in questa turbolenta fase della storia di Roma. I Greci ebbero la fortuna all’inizio della Guerra, di abitare nell’Italia meridionale, che all’epoca era controllata da Scipione l’Ellenico, mentre Catone deteneva l’Etruria, l’Emilia, il Veneto, l’Umbria e parte del Lazio. Territori in cui essi erano una minoranza, mentre avevano i loro storici insediamenti in Campania, in Lucania, in Sicilia, a Neapolis e a Taranto, dove erano fomentati da Scipione contro Catone.

Catone comunque era ancora dittatore per i suoi sostenitori, e non contavano le scelte del Senato, dunque possedeva i pieni poteri e rese illecito il Greco. Fece uccidere i dottori, accusati di portare avanti un piano occulto per avvelenare i romani: la medicina tradizionale, erbalista e naturale, supera quella di Ippocrate. Fece bruciare i papiri Greci nelle biblioteche: la letteratura ellenica mette a nudo la perversione dei Greci, in essa troviamo racconti erotici che descrivono rapporti tra membri dello stesso sesso, in esse ritroviamo norme morali malate estranee alla nostra sana cultura, in esse esaltano l’Eunuco (il castrato) e l’Efebo (Giovane dai tratti femminei). Aristofane, considerato il celebre letterato della commedia antica, fu il più malato tra tutti: riuscì a pensare ad un sistema di parità politica che prevedeva che i giovani consumassero rapporti con donne anziane prima di accedere alle giovani



[Civilitas Barbarica]
- Diplomatia Bellum Civile Tempora - Diplomazia al tempo della Guerra Civile
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O musa, italica musa, quanto mi addolora dover scrivere di quei tempi tristi, che quasi mi si para davanti alle fosche pupille la Lupa capitolina, cadaverica, a tratti priva di pelo, incapace di ululare, caduta ormai nel fosso del decadimento morale, che i Greci a terra avevano scavato tendendo come trappola. Al tempo della Guerra Civile pur di vincere i due schieramenti cercarono alleanza al di fuori di Roma.

Publio Cornelio Scipione aveva meditato sui macedoni, ma alla fine pensò che cercare l’aiuto di chi aveva portato in quella situazione Roma lo avrebbe solo messo in cattiva luce, e inoltre essi erano impopolari presso i Greci dell’Italia, perfettamente inquadrati nell’ideale di libertas repubblicana. Pertanto, pensarono ai numidi, ma non si sapeva molto di quello che stava succedendo in Africa, e a dire il vero, neppure ora si sa con esattezza quello che accadde presso i Libici e i Punici. Scipione l’Ellenico era solo.

Catone aveva meditato anche lui sui numidi, ma sempre a causa della scarsezza di informazioni, rivolse le sue attenzioni a settentrione: verso i Galli, storici nemici, ma potenziali alleati. Catone preferiva i Galli ai Greci, poiché i primi erano dei Guerrieri e i secondi delle Donne. Tuttavia in quel momento Catone non chiese ai Galli di intervenire, sia per un fatto di onore, sia perché essi erano occupati con i macedoni, che dopo aver sconfitto Roma si stavano espandendo in Sarmazia e avevano reclamato Massalia. Catone in quel momento preferiva fare da solo, e ai condottieri Gallici si limitò a scrivere delle lettere amichevoli.

Roma, la tua sorte la conosco, e vale la pena raccontarla.


Αγορά


(188 AC)
588 anni dalle prime Olimpiadi

{Θέματα πολιτών | Questioni Cittadine}


|Il Tramonto e l’Alba|
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Polycratia, nostra aurea e splendida dea, quaranta anni fa nacque rendendo felice suo padre, Arato di Sicione, il militare corinzio, orfano a sette anni di Clinia, ucciso dal tiranno Cleone. Il padre fu partecipe ad un banchetto in onore di Filippo V, al tempo re di Macedonia, che tra tutte le nobili fanciulle presenti, cadde proprio in amore dell’aratide Polycratia. E solo dopo aver insistito ostentando il proprio essere re, ne ebbe la mano meno che ventenne. Gli stessi dei dell’Olimpo parteciparono al matrimonio, consapevoli del promettente destino di quell’aratide fanciulla.



Il matrimonio fu fedelmente speso, anche dopo la morte di Filippo V, il nostro caro e antico re, che tradito dal fato ritornante vittorioso dall’Ambracia, perse la vita vittima di un imboscata etolica. E l’aurea Basilissa poi, madre di due eredi, addolorata della perdita, assunse da Thanatos le redini del carro reale, e si posarono savie e comprensive sulle sue spalle le protettrici dive, Atena e Afrodite, la civetta e il passero.



Il suo divino portamento si distinse sin da quando sconfisse vittoriosa i Traci, i Seleucidi, e poi Roma e i Dardani. In meno di trenta anni, Polycratia aveva reso pensabile l’impensabile: aveva restaurato il nome dell’Impero Macedone, aveva restituito ad Atene la democrazia, aveva offerto ai Greci l’indipendenza e la protezione dai tiranni, aveva riportato nel mondo ellenico la Pace, e riuscì infine a battere Roma, l’eterna minaccia, caduta ai suoi piedi misera e supplicante.

Battuti senza alcuna perdita anche i riottosi Sarmati, annessi alla Provincia di Filopemene, la divina fece ritorno dall’Asia a capo delle sue truppe. Erano tre ad intessere le moire, padrone del destino, e la trapunta di Polycratia era ormai stata ultimata: c’era lei sul suo cavallo che batteva sulla terra le zampe, e un verde aspide che sibillava. Polycratia, nostra diva, aurea e splendente, che ricalchi Alessandro, e i Grandi Greci, che riunisci la bellezza di Afrodite e il potere di Atena, nata dalla testa di Zeus. Gli dei, come l’anima e come le idee, non possono morire, ma i corpi mortali si. Epicuro sostiene che l’anima sia mortale come il corpo, ma noi resteremo fedeli a Platone. Quella vipera ti morse non appena apristi la cesta, non c’erano solo fiori e diamanti, c’era anche un serpente.

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Era morta l’Imperatrice, morsa da una fatata serpe. Pensarono fosse opportuno consultare l’Apollo Delfico, e l’Oracolo rispose: "Gli dei muoiono, come muore il Sole al tramonto, il verde in Inverno, la Luna vecchia prima della Luna nuova, l’anima di un uomo quando entra in un corpo nuovo. Gli dei sono creature perfette, sferiche, dai molti cerchi, e quello che si scompone poi si ricompone."

Il dolore per la perdita della Basilissa non poteva essere nascosto, tuttavia ella era un olimpide dea, e se il fato aveva voluto morisse in quel modo e in quel momento, tornante come il defunto Filippo vittoriosa dalla Sarmazia, allora non c’era nessun motivo per dispiacersi.



Il corpo della defunta fu lavato dalle ancelle, unto nel balsamo, e poi dopo essere stato avvolto in un delicato sudario, venne portato nella capitale. Si riunirono attorno alla bara i cantori, i servi, i politici, i nobili. E, inodore e intatta per la bravura delle ancelle, la salma fu esposta per un mese al popolo, che recava sulla bara i crisantemi, i fiori del lutto. Si svolse il banchetto funebre tra i familiari e i conoscenti, poi la bara venne finalmente portata sulla pira da donne in lacrime, e data alle fiamme. Fu poi portata nel tempio Imperiale l’urna contenente le ceneri della dea.

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Sfilarono il testamento di Polycratia, e lessero le ultime disposizioni della divina.

"Quanto alla successione, affido ad Apame IV la parte occidentale dell’Impero, e a Perseo quella orientale, entrambi saranno riconosciuti come Imperatori, ed entrambi saranno venerati. Ecco, ai Greci offro i miei due Gioielli: i vostri Imperatori, ai quali consracrai e impartii l’educazione." Il lettore si fermò e poi lesse la raccomandazione conclusiva della lettera: "Perseo e Apame miei. Abbiate cura di quanto vi ho lasciato."

Il principe e la principessa, e tutti i presenti ascoltarono attentamente la lettura del testamento della madre, e si commossero.

Come aveva profetizzato la sacerdotessa di Delfi era l’alba dopo il tramonto. Gli dei erano rinati, il verde primaverile era riapparsoo, la Luna mostrava la sua nuova faccia, e l’anima dell’uomo aveva ritrovato il suo nuovo corpo: le cose decomposte si erano ricomposte.

Apame IV e Perseo sfilarono da Pella ad Atene trasportati dai servi su una lectica, e come la madre furono portati sull’Acropoli, dove fecero la conoscenza della dea Atena, e poi, Apame di Afrodite e Perseo, del maschile Apollo. Il principe fu vestito dei nuovi panni imperiali e la principessa fu inzuppata nell’acqua di rose, e poi rivestita dei nuovi abiti divini, e calzata ai piedi dei sandali d’oro.

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Fu costruita in ricordo di Polycratia e delle sue vittorie, la Kale di Samotracia, una statua alla dea Kale, la bella. I nuovi divi vennero acclamati dalla folla in festa. Il Basileus Perseo,di 25 anni, fu mandato in Asia, come volle il testamento, mentre la Basilissa Apame IV, di 20 anni, dopo aver salutato il fratello fece ritorno a Pella, seduta su una morbida lectica trasportata da dodici schiavi celti catturati in Illiria.



{Βαρβαρικά θέματα | Questioni Barbariche}

|Guerra Celtica|
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Il ricordo di Massalia non muore, e non si smette di cantare la dolce storia d’amore tra Protis e Gyptis, un matrimonio che i Celti tradirono dimenticandosene. I Greci hanno a cuore il riscatto dell’antica colonia, nata quattro secoli fa, durante l’epoca d’oro. Con la morte di Polycratia, i comandanti ellenici occupati in Illiria erano quasi sicuri che ci sarebbe stata la cessazione delle ostilità ed erano pronti ad offrire la pace ai Celti, ma la divina Apame ha respinto quest’idea, dichiarandosi continuatrice della madre, ribadendo che i Celti non vedranno pace finquando non si prostreranno umilmente a lei come fece quel senatore di Roma.



Giovane e divina, la nuova Imperatrice, dalla lucente chioma, dimostra un carattere forte e severo, sprezzante verso i nemici, e viziata verso schiavi e sudditi. Apame fece pervenire in Illiria nuove armate, e 400 katapeltes, che distrussero le rudimentali armi d’assedio celtiche. I nemici si ritirarono, e l’Illiria fu interamente conquistata dalle forze elleniche; l’Imperatrice dispose che i conquistati venissero tutti venduti come schiavi, senza differenze, e ordinando la costruzione di nuove colonie fece espandere l’areale ellenico.

Fu facile conquistare l’Illiria, ma era invece complicato assediare Massalia, difesa da una piccola flotta e da numerosi ordini di arcieri. I comandanti Achei pensarono di poter corrompere i Pannoni e passare attraverso le Alpi, mentre la flotta ateniese era stata radunata numerosa nelle acque di Massalia, pronta ad un nuovo assedio.



|Guerra Civile Romana|
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Era bastato un colpo netto, perché Polycratia facesse precipitare Roma nell’oblio della Guerra Civile che vede contrapposti Catone e la plebe da una parte e Scipione l’Ellenico e il Senato dall’altra. I Greci vedrebbero di buon occhio una vittoria di Scipione, amante del Greco, e del Senato, vile e ben disposto alla resa. Scipione tuttavia resta ancora dell’idea che Roma debba fare da tutrice della "libertas" Greca, rimarcando una visione imperialista, cieca, fossilizzata su uno scenario ormai passato, come se Roma avesse ancora dell’influenza sulla politica ellenica. Catone d’altra parte, sarebbe un nemico intrattabile. E’ indiscutibile parere della divina Imperatrice, che Roma debba sacrificare a Giove qualcosa di prezioso, perché solo la Guerra contro i Celti le impedisce di intervenire nella Guerra Civile, e se l’aurea Grazia volesse, Roma cadrebbe definitivamente in suo potere con un sol tonfo.



[Articolo di Astrid I]


::: Historiae di Tacito :::
187 AC
567 ab Urbe condita
[Anteprima]
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\\Catone attraversa il Rubicone.\\

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[Civilitas Romana]
- Continuatio Bellum Civile - Continuo della Guerra Civile

O Carmenta, mia musa, non lasciare perfavore che svanisca la mia ispirazione, fa che il fuoco infonda dentro di me la forza di continuare a scrivere. Concedimi altro tempo, ancor prima che sia troppo tardi. Lascia che almeno scriva di come la Guerra Civile si protrasse il terzo anno, poiché la Repubblica come la conoscevamo sarebbe finita, indipendentemente dal vincitore. Essa si sarebbe profondamente trasformata, e nessuno poteva salvarla. Il dado era stato tratto, la fiducia tra il popolo e il Senato tradita, l’equilibrio delicato tra populares e optimates rotto.



Attraversato l’umbro fiume del Rubicone con le sue armate, Catone riuscì ad accerchiare Roma, e con l’aiuto soprattutto della plebe prese la città, e con essa molti senatori, che furono impalati lontano dalla città, formando una scia di numerosi pali sormontati da sofferenti cadaveri, come una fitta foresta di alberi dalla chioma umana. Con rammarico i populares appresero che Scipione e i suoi erano riusciti a scappare prima che Roma venisse catturata. I cittadini acclamarono Catone e i suoi soldati, che li avevano liberati dalla tirannide senatoria.



Successivamente Lucio Valerio Flacco, braccio destro, fidato di Catone, e forse suo unico vero amico, assunse il comando di Roma cittadina, facendosi nominare Proconsole, e riformando il Senato, dopo che un centinaio dei suoi membri erano stati uccisi, oppure persi per presa parte con Scipione. Ci si chiede ancora al tempo attuale, se Flacco credesse davvero nella possibilità di risanare la Repubblica. Era nelle speranze di tutti salvare quella tanto rara e iustas forma politica che caratterizzò Roma per quasi tre secoli, tuttavia, la nuova Repubblica sarebbe dovuta essere fondata sui presupposti della Guerra Civile, che evitino la corruzione della classe politica e richiedano il severo rispetto del cursus honorum.

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Licinia Salonina fu affidata dal marito Catone alla tutela di Flacco.

Se Lucio Valerio Flacco si fece nominare Proconsole, Catone si mosse a capo dell’esercito poiché doveva infondere fiducia presso i suoi uomini, e inoltre, il suo carattere fortemente austero, e le dure punizioni, talvolta a colpi di frusta, inferte sui suoi stessi soldati per incentivarli a marciare, provocava in essi sconforto e perplessità. Diverso era invece il comportamento del buon Marco Fulvio Nobiliore, accusato da Catone di dare premi ai suoi uomini per futili motivi, come per aver anche semplicemente ucciso un soldato nemico a mani nude, oppure per essersi comportati bene con le donne del nemico.



Liberato il Lazio, il dittatore Marco Porcio Catone represse il Sannio, che da pochi anni si era dichiarato indipendente, e si confrontò in Campania con le truppe di Gaio Lelio, stretto collaboratore di Scipione l’Ellenico. Se Neapolis resisteva e restava nelle viscide mani senatorie, Capua e Benevento passarono in breve tempo sotto il comando dei populares, e Gaio Lelio dovette ritirarsi in Apulia e nel Bruttium, che assieme alla Sicilia erano rimaste le ultime postazioni scipioniche in Italia.

Lucio Valerio Flacco ricevette un ordinanza da Catone: veniva richiesto l’assassinio pubblico di Plauto, il comico che al tempo si trovava a Roma. Con freddezza e fedeltà nei confronti dell’amico, Plauto venne catturato, e fu crocifisso nel teatro romano, proprio dinnanzi alla folla di spettatori che si era radunata quella sera per assistere alla messa in scena di una delle sue commedie. Innoridirono tutti: era stato ucciso l’uomo che aveva fatto ridere a crepapelle tutta Roma.



« Plauto fa ridere solo ai Greci e ai pervertiti, ai plebei che pensano ad oziare piuttosto che a salvare la Repubblica. E’ un insulto a Giove. E’ il simbolo della decadenza della morale e dell’irriverenza del nostro tempo. » Disse Catone.

Gaio Lelio fu mandato dal Senato prima in Sardinia, poi in Corsica dove c’era stata un altra dichiarazione d’indipendenza, ma nonostante le due isole fossero state conquistate, in Italia il fronte senatorio rischiava di perdere. E fu proprio nello stesso anno che Publio Cornelio Scipione detto l’Ellenico, ebbe da Emilia Terza, Cornelia Scipione. Decise quindi di affidare ad un suo amico la tutela di Emilia e della bambina Cornelia, che vennero espatriate alla corte di Tolomeo V. Poi Scipione colto dalla disperazione chiese anche l’aiuto dell’esercito Tolemaico, di raffinata cultura Greca, e storico alleato di Roma.

Il Senato durante quel periodo aveva trasferito la propria sede a Brindisium, capitale dell’Apulia, tuttavia pensarono che nel caso Catone fosse riuscito ad avanzare nell’Italia meridionale, Scipione avrebbe potuto provare ad utilizzare come suo avamposto la Phasania, un debole paesino del deserto. Indipendentemente dal fatto che i Phasani lo avessero accettato pacificamente, o ne fosse richiesta una Guerra.

Ancora doveva terminare la Guerra Civile a Roma, ma era questione di pochi anni, e l’esito non era scontato.



[Civilitas Barbarica]
- Excessus Polycratiae et Locus Graeco - Morte di Polycratia e Scenario Greco
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Frattanto che Catone vinse su Gaio Lelio in Campania, una lieta notizia fece respirare le due anime di Roma: che la perfida e potente Imperatrice macedone Polycratia era morta. Colei che aveva sconfitto i Latini e li aveva portati verso quella direzione. Donna mai tanto più pericolosa e temuta di lei fu vista, fino a quel momento, poiché vi furono tempo dopo altre Imperatrici, tra cui la viziata Apame IV. Ella distrusse la speranza di libertas per i Greci, conquistando tutta l’Ellade e tutta l’Anatolia, restaurando l’antico Impero, e facendo elevare superbamente se stessa a divinità. Roma ancora detesta, nei propri ricordi, quella donna. E all’epoca della Guerra Civile si credeva che la morte di Polycratia, avrebbe aperto nuovi scenari nel mondo Greco, che prima o poi l’Impero Macedone non avrebbe retto la doppia carica Imperiale e si sarebbe spaccato.

Fu solo fortunata Roma, a quel tempo, poiché i macedoni erano occupati su Grande Scala contro i Galli per la passata questione di Massalia, ma se Catone avesse vinto, probabilmente i Galli avrebbero trovato un alleato.


~ Le Cronache Celtiche, la saga di Viridovix.


{IX; Venti funesti}
~ Samoniôs 1215 (''186 a.C'').
~ ([Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]

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“ Ed anche la longeva reggenza del Vergobret, Viridovix, volgeva al termine, lasciando le Gallie in balia d'una guerra inarrestabile e per certi versi avvilente.
Le ingenti masse di Galli giunsero da ogni zona per presenziare alle ritualità funebri in onore di Viridovix, padre delle Gallie e condottiero indomito, celebrato da una larga schiera di Druidi di Belgica, Celtica e d'Aquitania, senza dimenticare i druidi elvetici e quelli d'Iberia.
Viridovix, ormai anziano e scavato dalle nefandezze delle guerre dimostrò tutto il proprio coraggio, tuttavia negli ultimi turpi eventi, la guerra contro Policratya e la stirpe ellenica aveva consumato ogni energia che Egli potesse donare al proprio popolo. Il vergobret di tutti i Celti morì in età molto veneranda, soprannominato quindi dal suo stesso volgo il ''Senzamorte'', colui che per divine doti resistette alla fugacità del tempo.


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Il cordoglio funebre consisteva in una lunga processione, che avrebbe visto sfilare innumerevoli carri, ricolmi di doni, ed un fiume
di persone costituire una fila interminabile di animi afflitti, ma al contempo essi si sarebbero dimostrati strenui e risoluti, poiché nonostante i comandanti greci si siano rivelati abili strateghi essi mai avrebbero sottomesso le volontà celte, che del Sacrificio di guerra ne fecero un Onore, per consentirsi, una volta caduti, di soggiornare tra gli Eroi in Albiox, il mondo Bianco.
Nei pressi di Celtica, landa di nascita di Viridovix, furono accatastati ciocchi di legno, paglia e viticci attorno ad una piattaforma di legno, che si sarebbe eretta poco più della massa di legname. Era così pronto il rogo dove la carne del defunto Vergobret avrebbe bruciato, si sarebbe purificata dalle vacuità umane, attraverso le fiamme di Belisama, il fuoco della Creazione, il fuoco della Distruzione. Così fu che tra le schiere dei Celti veniva trainato il carro che traspsortava le membra pallide e fredde del loro Vergobret, e portato dinnanzi al proprio rogo. A quel punto i Druidi, che fino a quel momento avevano guidato la processione si radunarono in cerchio nel luogo dove il corpo di Viridovix il Grande sarebbe stato arso, e coloro che portarono il cadavere del condottiero gallo l'adagiarono sulla piattaforma di legno, per poi riunirsi al resto delle persone, che circondarono l'intera zona, delimitata da un immenso complesso megalitico di Menhir.
Il Druido più anziano e più riverito prese la parola, annunciando l'inizio delle Celebrazioni.



« Fratelli e sorelle, figli e figlie di Gallia,
innanzi a Voi ed all'immensa presenza degli Déi è stato esposto Viridovix, il Grande, il Senzamorte.
Quanti di voi, oggi, si sono sentiti vacillare nel vuoto del Cosmo all'annuncio della morte del Vergobret trovi ristoro, poiché la Morte è solo una delle trasformazioni di un ciclo imperituro, che eleva i nostri Spiriti al mondo superiore, in Albiox, in Anwnn.
Il regno di Arawn, Dea delle Aule dei Morti, quest'oggi permetterà a Viridovix, nostro condottiero, di banchettare affianco dei suoi vecchi compagni, dei suoi amici d'arme e dei figli che Egli ha dovuto seppellire per l'incombere di nefaste
Guerre.
O Belisama, O Beltane!
Attraverso il tuo elemento, il Fuoco, noi consacriamo agli Déi il corpo di Viridovix;
proteggi il suo Viaggio ed aprigli i portoni delle tue Aule di Gloria, tra le ricchezze che Egli ha meritato, tra gli Onori a cui Egli ha adempito. »



Un altro druido, una volta che il più anziano lasciò la parola al Silenzio, s'apprestò ad appiccare le fiamme, bruciando il corpo privo di Vita del Vergobret, ed esse divamparono in un falò alto e solenne. A piangere la Morte di Viridovix non erano solo i cittadini dei villaggi di Gallia, né gli altri ''rix'', ma soprattutto coloro che ne erano la famiglia reale, la moglie, Eimèr, ed i propri figli, tra cui il primogenito, che sarebbe succeduto alla carica di nuovo Vergobret, per volontà degli stessi altri condottieri.
Una volta che il corpo fu consumato dalle fiamme il rogo venne spento, e le ceneri e le ossa di Viridovix sarebbero state prelevate e riposte in una teca di legno chiusa; a questo punto, dopo l'arsione, il cordoglio funebre si sposto non molto lontano, radunandosi sotto un grandissimo tumulo, all'interno del quale fu riposto ciò che rimaneva delle membra di Viridovix.
Successivamente, dopo che ricchezze ed ogni tipo di bene, dai capi di vestiario alle armi, furono ammassate dentro il tumulo, e la teca di legno sigillata, i Druidi uscirono dal complesso funebre, rivolgendosi alla folla.



« Viridovix, adesso, è in Pace figli e figlie di Gallia!
Che alcun timore possa permanere nei vostri animi;
in alto l'Onore e la Gloria del deceduto Vergobret,
ed in Alto il nome di colui che lo succederà, suo figlio Celterix!''
La folla, dopo le ore passate per compiere la celebrazione del Funerale di Viridovix si dileguò lentamente, in uno scenario dominato da panorami di neve ed il soffiare di impetuosi venti tra le querce e gli abeti. »

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I risultati della guerra, che Viridovix non ha potuto condurre, si rivelarono delle sconfitte.
Le terre d'Illiria furono state conquistate dai comandanti elleni, a seguito della ritiriata dei Celti verso terre più vicine alla propria patria, ma tuttavia la profezia che i Druidi ottennero grazie al vaticino con gli Déi indicava che le sconfitte si sarebbero ripetute, e così fu.
I Greci avanzarono conquistando i territori delle Alpi, passando dalle lande popolate dei Pannoni, per poter attaccare la cittadina di ''Mediolanum'', come gli amici di Roma definivano, riuscendo a strappare i territori conquistati dalle campagne di Teutomalix contro gli Alemanni.
Ma il supplizio non terminò, di fatti i Greci si fecero strada fin dentro le Gallie, che erano in tumulto per le condizioni del proprio Vergobret, e alle guerre con le colonie d'Oltre mare, nel meridione estremo.
Gli elleni volevano Massalia, e questo era ben risaputo, e con la morte di Polycratia la politica ellenica non virò direzione, ma Apame IV, la nuova basilissa, seguì le orme dell'Imperatrice Polycratia. Le informazioni che arrivarono ritraevano la nuova Imperatrice come di una bellezza soave, tipica delle donne elleniche, una caratteristica a cui gli uomini Galli, anche i guerrieri più indomiti, non potevano resistere, ma parallelamente gli stessi Celti denotarono in Apame la risolutezza d'una donna d'arme, dedita alla Guerra e alla Politica.
Solo gli Déi avrebbero sancito come le vicende si sarebbero concluse, tuttavia fu impiegata una resistenza per scacciare il nemico dalle proprie terre, sfrontatezza che faceva ardere d'astio i cuori dei celti: finché si trattava di territori limitrofi, concessi o su cui essi si espansero ai Galli non recava un danno profondo, ma l'Orgoglio di perdere terreno entro casa propria era motivo di vergogna.
Funesti venti avrebbero scosso le vicende di Gallia?




« Hai preparato il terreno, piantato il seme,
Eccoti ora le messi verdeggianti.
Dedizione e cura, fedeli compagne,
Ti sono vicine e non ti deluderanno
Ma non puoi comandare alle stagioni.
Da sé giungerà il tempo della mietitura.
Allora ti potrai concedere il meritato raccolto.
Allora danzerai e canterai
Alla festa d’estate. »

Nome: Monte Graupius AD 83.jpg Visite: 67 Dimensione: 96.8 KB”




[Articolo di HerbertBacke]


Cronache Del Mondo Antico

{Si Spegne la Luce della Basilissa}

[186 AC]


//-Perseo Imperatore della Macedonia Orientale-//

Polycratia, la Basilissa, Sovrana del grande ed impetuoso Impero Macedone divenuto così grazie alla linea guida della donna più saggia del mondo Ellenico, ma la vita giunge a termine anche per la Dea di Macedonia che per volere degli Dei è stata chiamata a sedere affianco ai Sommi Celesti ed abbandonare noi miseri uomini.

Sul cielo dell’Impero minacciose nubi nere pece oscurarono la faccia del Sole ed il mondo cadde nelle mani delle tenebre ed il loro gelido fiato congelo gli animi dei poveri uomini; coloro che amavano la Basilissa, tutti essendo lei odiata da nessuno, piansero dalla tristezza come se a morire fosse un loro figlio.



Quel funesto giorno il corpo della Bellissima venne curato e profumato per il suo ultimo viaggio verso la vita eterna; la sera dello stesso giorno fu organizzata una grande cena in cui vennero riuniti tutti i membri della Dinastia per rendere omaggio alla morte dell’Imperatrice e per leggere il testamento da lei rilasciato.

Non tutti mangiarono, il dolore e la tristezza chiusero lo stomaco dei presenti, l’atmosfera in quella grande sala era tetra e in reale.Un nobile uomo prese il testamento della Basilissa ed inizio a leggere:

“Quanto alla successione, affido ad Apame IV la parte occidentale dell’Impero, e a Perseo quella orientale, entrambi saranno riconosciuti come Imperatori, ed entrambi saranno venerati. Ecco, ai Greci offro i miei due Gioielli: i vostri Imperatori, ai quali consacrati e impartii l’educazione.”

Mentre il nobiluomo leggeva molti dei presenti, soprattutto la principessa Apame e il principe Perseo, dai loro occhi scesero innumerevoli lacrime salate e neanche dopo aver saputo che entrambi sarebbero diventati Imperatori le lacrime non cessarono, anzi aumentarono e per consolarsi si abbracciarono.



Cade una grande Donna simbolo della Macedonia che sicuramente sarà ricordata nella storia per le sue prodezza e per la sua bellezza, ma l’Impero non può fermarsi ha il dovere di ricominciare a vivere e divenire sempre più forte per renderle onore, per cui il Reame venne diviso: ad occidente l’Imperatrice Apame IV; ad Oriente l’Imperatore Perseo.

Giunto in Anatolia nella città di Sinope, la nuova capitale dell’Impero Orientale, si è mostrato dinanzi ai suoi nuovi sudditi i quali l’hanno accolto lanciando lungo il suo cammino,per la città, fiori e ghirlande floreali.

Perseo si è subito imposto come un Sovrano Rigido e inflessibile, ma anche giusto e generoso nei confronti del suo popolo, ma il suo animo giovane lo porterò a commettere sbagli però ciò non abbatterà il suo coraggio e affronterà qualsiasi insidia con onore.



//-Civiltà Barbare-//

La Guerra regna nella penisola Italica ove una volta la Supremazia di Roma dettava legge su tutti e tutto, ma ormai ciò sembra un lontano ricordo poiché l’Aquila Romano dalle ali spezzate sta lentamente morendo afflitta da una ferita profonda recata anni orsono dai Greci della Basilissa.

Tutt’ora codesta ferita sanguina senza tregua facendo annegare i poveri cittadini romani le vere vittime di questa orribile Guerra Civile scoppiata da Scipione e Catone entrambi vogliono raggiungere il potere con la Spada.

Proprio Catone, eroe del popolo, circondò Roma con i suoi fidati uomini e la catturò, credendo di aver sconfitto anche il nemico Scipione, ma egli scappò facendosi beffe di Catone… come e dove porterà questa Guerra nessuno lo sa, ma una cosa è certa: Roma è destinata a non ritornare al suo splendore antico.



[Articolo di Ferdinand-Foch]


Αγορά


(185 AC)
591 anni dalle prime Olimpiadi

{Θέματα πολιτών | Questioni Cittadine

|Apame IV umilia i Celti|
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Graziosa e potente, Apame IV, la divina Imperatrice che a soli 22 anni successe alla luminosa Polycratia, decise fermamente di continuare la Guerra Celtica, che fu iniziata dalla madre per la restituzione di Massalia. Il fascino indiscusso della nuova Basilissa sembrava aver colpito anche i Celti, dai quali veniva ritratta come una donna dotata al tempo stesso di risolutezza e di soave e irresistibile bellezza. Ella era del tutto sicura che avrebbe infine ottenuto la vittoria, perché dalla sua parte c’era il dio Apollo, derubato dei suoi beni da Brenno all’epoca del sacco di Delfi, durante il quale molte cose sacre vennero distrutte.



I macedonici corrussero il popolo dei Pannoni ed ottennero di poter passare per le Alpi sorprendendo al fianco il nemico. Il difficoltoso terreno montuoso impediva rapide manovre, e i Celti appresero in tempo della valicata alpina dei Greci, e schierarono le proprie truppe sul Brennero, dove si confrontarono con le armi elleniche. In territorio dei Brenni, furono distrutte le rudimentali armi d’assedio celtiche, e il nemico fu costretto a ritirarsi a Mediolanum, dove aveva radunato un numeroso esercito, composto da circa 10000 uomini e 300 macchinari.



I nostri comandanti disponevano di 9000 uomini e 400 katapeltes, e misero sotto assedio l’accampamento fortificato di Mediolanum. Avendo resistito per oltre 4 mesi, consapevoli di non poter catturare la fortezza i macedoni si ritirarono nel Brennero, dove attesero i rinforzi provenienti dall’Illiria.

Il nemico era convinto che l’esercito macedone sarebbe tornato ad assediare Mediolanum, tuttavia l’astuta Apame IV ordinò ai suoi di spostare le manovre militari più a settentrione, in terra Elvetica, che essendo scarsamente difesa cadde e permise ai Greci di farsi rapidamente strada in Celtica. Passarono per fredde lande montuose, passarono per verdi e immensi prati, camminarono su un terreno umido abitato da molti insetti, e tra impraticabili foreste dominate dalla quercia e dall’abete.

Con l’approvazione dell’Imperatice i soldati vendicarono il dio Apollo dando le capanne elvetiche alle fiamme e massacrando tutti indistintamente, senza fare eccezioni. Gli opliti si divisero: alcuni si spinsero molto a nord, terre poco difese dove continuarono i massacri, altri distrussero alcune armate ad occidente, oppure distrassero i nemici in Elvezia, mentre il resto dei Greci si preparava ad assediare Massalia.



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I Barbari disponevano di circa 8000 uomini e un centinaio di macchinari, e di duecento triremi ereditate dal precedente passato ellenico. Gli ateniesi, che li superavano per esperienza, riuscirono con la loro flotta ad annientare le imbarcazioni celtiche senza subire alcun danno, e la flotta achea, che occupava da ormai oltre un anno il porto di Massalia, fu pronta ad attaccare la fortezza nemica.

Altri macedoni discesero da nord e si unirono all’assedio di Massalia ben muniti di macchinari, mentre i Celti di Mediolanum erano occupati con alcuni plotoni stanziati in Elvezia. A quel punto il nemico, dopo aver anche sofferto per la perdita del loro capo Viridovix, cercava inutilmente di resistere sotto Celtovix.

Celtovix tuttavia sul lungo termine non volle evidentemente essere ricordato come il responsabile della più disastrosa ecatombe per il suo popolo. E mandò all’accampamento ellenico due emissari, che riferirono la disposizione alla resa del nuovo re. I comandanti Greci risposero che questa resa sarebbe stata sicuramente accettata, ma che per rispetto e precisione, essi dovevano essere portati al cospetto della divina.



I due emissari barbarici vennero portati per mare a Pella, capitale dell’Impero, e furono fatti inchinare al cospetto della maestosa Apame IV, i cui capelli chiari erano sormontati da una corona di fiori di rosa, e vestiva un abito bianco e azzurro, mentre ai piedi calzava i sandali d’oro delle divinità. Lei era seduta sul trono, di poco distesa su un fianco, le era stampato in volto un sorriso compiaciuto e aveva un espressione superba, come se quei due barbari non meritassero di poter parlare o anche solo vedere una donna della sua statura.

Gli emissari celtici, con non poca evidente ammirazione e imbarazzo, annunciarono la resa, e di essere disposti a restituire la colonia di Massalia. Il sorriso e la compiacenza di Apame IV divennero evidenti, e la divina rispose a quei due, che la pace sarebbe stata concessa al loro popolo in cambio della resituzione del tesoro di Apollo, e del servizio mercenario di almeno 60 ordini di fanteria celtica. Apame IV sorrise poi un ultima volta, e allungando la gamba offrì a quei due umili barbari il dorso del suo piede, che dovettero baciare per ufficializzare la sottomissione e la resa della Celtica, e dimostrarle riconoscenza per la sua immensa clemenza.

Stessa sorte era toccata a Roma, ed era ormai diventata prassi per le Imperatrici macedoni trattare in questo modo i perdenti.



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Gli indomiti barbari erano stati domati.

Massalia venne abbandonata dai Celti e restituita ai Greci, e i suoi esuli cittadini furono richiamati da Roma a ripopolarla: non tutti fecero ritorno, poiché si erano abituati a vivere da romani. Furono ricostruite le abitazioni e tutte quelle cose che i Celti avevano distrutto, lasciandole distrutti incuranti. Il tesoro del dio Apollo, le opere d’arte, i monili, le statue, il danaro, e tanto altro, fu riportato al santuario di Delfi e la sacerdotessa le custodì. Inoltre, i macedoni avevano a disposizione da 60 a 100 ordini di mercenari celtici, da sfruttare in caso di Guerre e quant’altro. Apame IV, bella e potente fanciulla, aveva sconfitto un forte nemico in meno di quattro anni, facendo inchinare suppliche anch’esso ai piedi della Grecia. Lei era la divina, perfetta succeditrice di Polycratia. E il popolo doveva riconoscerle le sue indiscutibili doti, prostrandosi alle sue statue e adorarla con devozione.



{Βαρβαρικά θέματα | Questioni Barbariche}

|Ambizioni di Apame IV|

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Apame IV venne trasportata in lectica da Pella fino a Massalia da numerosi schiavi: il lato destro era sorretto da 6 persiani, catturati al tempo di Antioco III, mentre il lato sinistro era sorretto da 6 romani, e il centro da 3 traci e 3 dardani. Davanti, 12 schiavi celti con le catene al collo tiravano affannosamente la lectica. I cittadini della colonia mostrarono la propria riconoscenza acclamando il carro trionfale e offrendo fiori di diverso tipo alla divina, che stava beatamente seduta nell’ammirare il proprio reame, mentre un servo sventolava una piuma per farle vento.



Che la vittoria contro i Celti avesse rafforzato la posizione di Apame IV era scontato, e probabilmente l’Imperatrice poteva concentrare la sua attenzione verso nuove ambizioni. Forse era arrivato il tempo che Tolomeo V restituisse la Lydia, ma spettava alla divina decidere se valesse la pena riottenere la provincia anche a costo di rompere la delicata Pace Greca, che era riuscita a costruire Polycratia circa 10 anni prima. Restava ancora da risolvere del resto la Guerra Civile a Roma.

In onore della vittoria in Celtica della Giovanissima Apame IV, a Massalia è stata dedicata alla divina Imperatrice la costruzione di una statua ed un tempio di proporzioni colossali, fedeli sia alla statura che all'impareggiabile splendore della Basilissa. Apame aveva ereditato da Atena il suo affascinante carattere, dalla dea Afrodite la sua ineccepibile bellezza, e da sua madre i dolci lineamenti del viso. Tuttavia, essendo nata e cresciuta in un prosperoso ambiente adatto ad una principessa, ed essendo stata abituata sin da piccola ad essere adorata come una dea, Apame IV crebbe immancabilmente viziata, superba, presuntuosa nei confronti dei servi e dei sudditi e dei nemici dopo tutto. Dava per scontato di essere una dea, e che tutte le altre persone le fossero devote. E se era tale da principessa, quando divenne Imperatrice iniziò ad imporre con la forza il suo culto.





[Articolo di Astrid I]
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Messaggio Da Falco Mar Feb 08, 2022 9:23 pm


185 AC

-

Aureos dierum.-

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Cartago è stata sdradicata dalla terra come una pianta nociva nei campi, la Grande Numidia è divenuta realtà i popoli delle grandi coste rocciose sono liberi dal tirannico oppressore, ed i sacri riti tornano ad essere praticati sotto la brillante guida del Re Massinissa il Vendicatore.

Nei primi anni della rivolta, molti popoli si unirono a noi in un impeto di furia dovuto alla debolezza di Asdrubale, il quale prontamente si era ritirato a Tinger oramai tra le falangi Celte dopo un impressionante quantomeno confusionale tradimento da parte degli alleati dei Cartaginesi.



Da duna a duna la voce si è sparsa, Asdrubale e tutta la dinastia dei Barca è caduta, ed i berberi hanno cavalcato lungo il deserto portando notizie in ogni angolo dell'impero.

Il regno dei Saleuci precedentemente formatasi come stato Vassallo dopo un lungo scontro con i libici di Leptis è emigrato verso le dune d'oro dell'Est ed alle porte del Regno si è formata la repubblica di Phasania, Ma il sommo Massinisa non ha concesso loro permesso per rimanere in quegli insediamenti senza garanzie, la loro condizione vede la Repubblica divenire cliente del sorgente impero delle sabbie.



Le terre che un tempo sventolavano le bandiere rosse con gli stemmi degli Elefanti ora si dividono in 4 principali stati che fanno capito all'imperatore.

Il Regno dei Berberi situato al Sud esteso lungo tutti gli insediamenti nomadi e fissi tra le grandi dune, un regno di sabbia che prospera solo grazie alle poche oasi.

Il Regno dei Libi, tra le coste al oriente si affiancano alla repubblica Phasania ed erigono grandi mura lungo le coste sabbiose, la principale fonte di soldati e manovali di tutto il Shahara.

Il Regno della Grande numidia che ora occupa ogni angolo delle ormai sotratte terre del defunto regno di cartagho.

Il Regno delle maiorche il quale a seguito della sconfitta definitiva di Asdrubale ha concesso il vassallaggio a Massinisa il quale prontamente ha accettato concedendo molte libertà all'isola un tempo più alleata dei nostri oppressori.

Gli anni sono passati e pian piano dalle ceneri di Cartagine è sorta la nuova frontiera dell'impero, Numud rifondata è la principale città commerciale, supera persino la stessa capitale per importanza tattica ed economica.

Difronte a tanta ricchezza gli stessi Dei hanno fatto dono ai popoli delle sabbie donando loro prosperità ed abbondanza, le magnifiche manovre dell'imperatore sulla deviazione di fiumi inscavati in canali di solida pietra.

Lentamente la cultura dei Romani si è insediata tra la nostra gente dando il via allo sviluppo di maestose mura e città.

La defunta Cartagho non può egualiare in bellezza ed in potenza il nuovo impero che ne ha preso il suo posto estinguendo il suo culto barbaro che vedeva la pratica di sacrifici umani sostituendolo a quello del sacrificio di animali di bestiame.



- -



Giunti dalle sponde di una caotica guerra civile Roma ora è piegata tra due grandi fazioni, l'aristocrazia e la Plebe.

Dopo grandi disquidi con le legioni dei nobili Romani nella Phasania il sorvrano ha concesso loro il beneficio dell'ospitalità come compenso per i passati soccordi alla Numidia nei tempi dell'oppressione quando sua maestà il Re Gaia venne ucciso dai Cartaginesi su ordine di Asdrubale nel tentativo di combatterli,

ma nulla di più per loro che quando la Numidia venne rasa al suolo si misero a pattegiare con Cartagine una pace per la stremante guerra mandata avanti fin troppo a lungo.





[Articolo di Mussulmanopazzo]


::: Historiae di Tacito :::

184 AC
570 ab Urbe condita

[Anteprima]
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\\Catone dittatore a vita.\\

[Civilitas Romana]
- Conclusio Bellum Civile - Conclusione della Guerra Civile

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O Carmenta, musa dalla bella voce, tu che hai inventato il nostro alfabeto, e che assieme alle tue sorelle Camene custodisci il parto dei neonati, e il corso dei fiumi. Che sia sotto tua custodia anche quest’opera, a te e a voi tutte dedicata, che questa sia protetta dalla minaccia dei numerosi detrattori, e per prima cosa dal perfido tiranno di Roma, sputo lutulento del mio tempo che successe al buon Lucio Cornelio Silla. Scrivo di Catone, il conservatore, e di come vinse la Guerra Civile ottenendo il potere assoluto, restituendo alla storia di Roma una nuova fiamma, una vampa di fuoco che distrusse per sempre la vecchia statica politica senatoria rinnovando i sacri antichi valori di maiestas, fides, pietas e virtus, che del mos maiorum erano ormai stati dimenticati, perduti nel perverso vortice dell’ellenismo.



Porcio Catone dopo aver attraversato il fiume del Rubicone prese la Campania e la Lucania, e Neapolis si arrese infine dopo un duraturo assedio: i suoi abitanti, tutti elleni, furono romanizzati, venendo imposti a loro i costumi di Roma ed essendo proibito il Greco.

Il Senato, che aveva trasferito in Apulia la propria sede, dovette ritirarsi in parte in Hispania, in parte in Phasania, poiché Catone invase la terra apulica, il Bruttium, e poi la Sicilia e tutta l’Italia. In Phasania c’era Scipione, e i suoi uomini si comportarono da indisciplinati razziando i cittadini che li ospitavano e prendendosi le loro donne: un simile carattere non si poteva invece vedere tra le truppe del moralista Catone, che venivano punite a colpi di frusta anche per le minime colpe.

Scipione ricevette lettere minacciose dal sovrano numida Massinissa, e quindi, per sicurezza, l’Ellenico dovette ritirarsi dalla Phasania cercando ospitalità presso i Tolomei, dove tra l’altro c’era la sua puella Cornelia, e sua mulier Emilia Terza. I Tolomei avevano annunciato privatamente che avrebbero sostenuto Scipione, ma nei fatti ancora nessun esercito venne mosso e le speranze di vittoria del Senato andarono via via scomparendo, e il fronte Scipionico venne virtualmente esiliato in terra straniera, al di fuori della penisola Italica, nella vana idea che resistendo avrebbero prima o poi riportato a Roma il loro ordine.

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Il Partito di Catone aveva essenzialmente trionfato: restava da pacificare l’Hispania, nelle mani di Gaio Lelio, poi il tempo avrebbe pensato ad uccidere l’anziano Scipione e i senatori ultrasessantenni. Gaio Lelio aveva un esperienza militare lodevole, per la quale si distinse in Hispania al tempo della Seconda Guerra Punica, tuttavia non fu capace di prevedere lo sbarco dei Catoniani in Hiberia. Il duce Scipionico poté radunare l’esercito sull’Ebro, ma le tattiche plebee e il numero dei militari schierati da Catone furono capaci di annientare per la prima volta le postazioni senatorie in Hispania. Anno dopo anno, l’Hispania venne del tutto pacificata dai populares, e i senatori si suicidarono per non cadere nelle mani del loro nemico. Gaio Lelio si fece perforare il cuore da un suo servo, e venne trovato esanime nel suo accampamento, appena in tempo per poter innalzare il dito medio verso Catone e i suoi sostenitori.

Scipione seppe della morte del suo fidato amico Gaio Lelio, e allo stesso tempo, per le minacce di Massinissa dovette abbandonare la Phasania, provocando scontento tra i suoi uomini, che oramai si erano abiutati a razziare i cittadini dell’Africa, e a farsi coccolare dalle splendide donne Phasane. E sebbene il duce aristocratico non fosse morto, e resistesse in terra di Tolomeo, meditando l’invasione dell’Italia, per molti scrittori la Guerra Civile era effettivamente terminata con la ricomposizione del Senato da parte di Lucio Valerio Flacco, e con la vittoria ottenuta dai populares su Gaio Lelio.



- Finis Respublicamque Cato imperium - Fine della Repubblica e dominio di Catone
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Dunque Catone, miei lettori, vinse sui senatori in Italia, in Hispania, e su tutte le terre della Repubblica, a Roma Lucio Valerio Flacco divenne proconsole, e un nuovo Senato venne costituito, debole rispetto al precedente, con meno iscritti, ma pur sempre un Senato. Stavolta a Roma mancavano i Consoli, i Censori, i Pontefici: essi dovevano essere rieletti. Catone tuttavia, successivamente ebbe ripensamenti in merito al risanamento della cosa pubblica, e respinse le richieste di coloro che premevano per la rielezione delle suddette cariche. Porcio Catone si fece invece proclamare "Imperator", e al tempo stesso si fece nominare "dittatore a vita", facendo costruire due statue sue accanto a quella dei vecchi re di Roma, e sedendo su un trono d’oro dedicato soltanto a lui nel Senato.



Il nuovo Senato aveva conferito a Catone i pieni poteri: nacque povero plebeo, e divenne padrone assoluto di Roma. Fu posta una mattina sulla sua statua una corona, e due senatori, sconcertati, lo accusarono di volersi proclamare Re, e di aspirare alla tirannide. Poi, durante i Lupercali, mentre Catone assisteva ai ludi pubblici, un suo ammiratore dette un diadema d’oro: per molti era ormai diventato chiaro che il savio Catone aspirava alla monarchia, e il fatto che detenesse a vita pieni e smisurati poteri accrebbero i nemici. Gli oratori parlarono male di lui, accusandolo di aver tradito coloro che credevano nel risanamento della Repubblica. Il potere fa questo effetto, rende solo l’uomo che lo detiene.

Era una mattina, alle idi di marzo, e i politic non potevano accedere al Senato, dato che c’erano lavori di ristrutturazione, ma si spostarono nella curia di Scipione. Si dice che la sera prima si videro bruciare fuochi celesti, si udirono strani rumori, e che uccelli solitari entrarono nel Foro, ma era certa una cosa: che quel mattino qualcosa sarebbe successo.

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« QUOQUE TU FLACCO, AMICO MI! »
Disse il dittatore, assalito alle spalle da Lucio Valerio Flacco, ritenuto da Catone suo unico vero amico. « Giustizia sia fatta. » Aveva esclamato Flacco, schieratosi dalla parte di chi vedeva in Catone il nuovo re di Roma. Giaceva morente sotto la statua di Scipione, e i senatori si divisero, e lottarono l’uno contro l’altro a mani nude tra Catoniani e Catonicidi. Gli dei tuttavia risparmiarono il pio Catone, che appena ripresosi venne acclamato dai suoi « Ave Cato, salvaturi te salutant! ».

Flacco e i suoi lasciarono la curia convinti di essere riusciti ad uccidere l’uomo che si era proclamato a vita dittatore, e scapparono a Brindisium, dove furono catturati, e prima che potessero essere esposti al vilipendio pubblico, si suicidarono. O Carmenta, fu quello un raro momento, nel quale Giove intervenne nelle faccende umane deus ex machina. Fu quello il preciso momento in cui la Repubblica cadde.



[Civilitas Barbarica]
- Damnum Gallorum a Graecis manu - Sconfitta dei Galli per mano Greca
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Prima di tutto questo, nel mondo barbarico anche il virtuoso popolo dei Galli, riconosciuti come temerari e indomiti, venne sconfitto per mano macedone. Era una buona notizia: il disonore non aveva ricoperto soltanto Roma, poiché anche altre nazioni valorose erano state umiliate dalle donne elleniche. Polycratia prima, e Apame IV dopo. Sembrava che le Imperatrici adorassero far sottomettere i perdenti facendosi baciare i piedi dall’ambasciatore del nemico: erano donne spietate, crudeli, viziate, che sfruttavano i loro sudditi e schiacciavano la libertas. I macedoni tuttavia, avevano spaventosamente esteso il loro Impero a occidente, appropriandosi dell’Illiria, e di una fetta delle Gallie. E lo strapotere dell’affascinante Imperatrice Apame IV, imbattibile in Guerra e in Politica, bella e pura all’apparenza fisica, minacciava Roma.



Roma non poteva chinarsi una seconda volta di fronte al cospetto di quelle potenti Imperatrici, e provare a sfidarle sarebbe stato un inutile azzardo. Catone a differenza di Scipione era indifferente al Greco, la cui visione filo-ellenica celava un interesse imperialistico verso i territori della Grecia decise di restituire ai Greci le opere d’arte rubate nei decenni passati, purché celebrassero la loro cultura pervertita a casa loro, e non inquinassero Roma con i Baccanali, la Filosofia e la Letteratura.

Del resto la stessa Apame aveva dato prova di essere ostile nei confronti di Tolomeo V, alleato di Scipione e nemico del nuovo regime romano, e un alleanza tattica tra le due nazioni poteva essere fondata su alcuni presupposti. Quanto ai numidi, le posizioni del dittatore erano incerte, ma essi erano visti come dei successori dei punici, e il loro controllo sul mediterraneo non era ben visto.



Finis Numidiae perveniret albo

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Procerum seditione

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Scioccanti le notizie giunte da oltre il mediterraneo, una rivolta che ha visto contrapporsi la plebe alla nobiltà di Roma in una guerra civile che ha scosso non solo la Repubblica ma anche l'impero di Numidia che dopo i riscontri si è prevenuta contro eventuali manovre plebee nel paese cosi da evitare la stessa fine dell'Eroe Scipione ed i membri del senato.

I quattro Re dell'impero ed i loro consigli si sono mossi in favore della mozione Regiis meditationis custodiam, editto emanato dall'imperatore Massinisa che vede l'entrata in vigore di nuovi diritti esclusivi per i Plebei, tra i quali il diritto al voto.



Fino all'anno precedente e nei secoli prima ancora nell'ormai defunta Cartagine solo chi apparteneva a casati nobiliari ne aveva diritto durante i periodi di guerra, l'editto ora si estende anche ai proprietari terrieri ed ai cittadini di ceto alto che svolgono mansioni pubbliche anche in periodi di pace.

La cosa pare aver riscosso grande successo nella popolazione di Numid prevalentemente composta da Plebe, tuttavia pare essersi diffusa l'impopolarità del Regiis meditationis custodiam da parte della nobiltà che considera ciò una manovra codarda da parte dell'imperatore e vede i propri interessi contrapposti a quelli del resto della popolazione,

lo stesso Almoadi gran consigliere del regno berbero ha pubblicamente sfidato Massinisa affermando che lo stesso fosse solo un debole ed impressionabile e che di certo non si sarebbe nemmeno preso la briga di punire i rivoltosi nel caso la stessa situazione avvenuta a Roma avvenisse a Numid.

Dopo le sue dichiarazioni pare che le popolazioni nomadi del grande deserto si siano rifiutate di pagare i tributi annuali per verificare quanto detto, e di fatto nessuna truppa o legione imperiale si è mossa dalla capitale, solo alcuni emissari sono stati mandati ai centri d'incontro delle Oasi per trovare una soluzione pacifica.



L'Imperatore è rimasto chiuso nel suo palazzo senza muovere un dito infischiandosene delle proteste dei consiglieri degli altri regni che affermavano che se non si fosse mosso nell'immediato ben presto anche gli altri Regni si sarebbero rivoltati.

Difatto successivamente alle tribù del Deserto i Libi hanno tentato una manovra di sotterfugio a Leptis attaccando con la cavalleria le grandi caserme imperiali, senza tuttavia riscuotere successo per via del basso numero e della barbara tattica, dopo questo avvenimento pare che l'Imperatore abbia ancora rumuginato mesi prima di inviare truppe verso le lande del deserto, e si vocifera che non fosse stato neanche lui a muoverle ma bensì il Ciambellano Arafu.



Intanto la ritirata delle legioni guidate dal nobile Scipione dalla Phasania dopo la lettera di minacce dell'Imperatore contro gli effemminati Ellenici ha restituito un pizzico di prestigio al suo casato, lo stesso Scipione che perse battaglia sotto la sua legione di 30.000 uomini in Hispania al tempo della seconda guerra punica quando suo padre morente il Re Gaia era costretto alle manfrine di Annibale e lui stesso doveva ubbidire per principio.

Pare che i nobili Romani alla fine siano fuggiti alla vista delle truppe imperiali e delle macchine da guerra, verso i domini Egiziani di Tolomeo senza far più ritorno nelle terre clienti della Numidia.

Al fine poi di garantire amicizia con il dittatore Marco Porcio Catone egli ha inviato missionari a Roma affermando di aver accettato di supportarli se mai fosse necessario nel futuro imminente.

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Ma i dissidi e la brama della vendetta in Numidia non si sono placati al solo dissolversi di Cartagine grande nemica e dittatrice dei popoli che ora compongono l'Impero, ogni territorio precedentemente appartenente al popolo discendente dei Fenici dve giungere sotto dominio del Grande Impero.

Il Gran Ciambellano Arafu ha dichiarato pubblicamente che le terre della giacente Cartagine devono essere recuperate ed i popoli berberi uniti sotto un unica bandiera, i popoli celti ad Owest ma sopratutto i domini di Tolomeo dissacrano la libertà e la tradizione del nostro popolo a tal punto da dover essere rivendicati e messi sotto la guida di un vero Impero e non in un fantomatico magazino per il Grano.



Nitriscono le fruste e si muovono i carri da guerra sul confine della Phsania in prossimità del grande scontro, l'ultimatum al regno del debole Tolomeo è stato inviato con non pochi riscontri da parte del loro testardo popolo.



<< Vivete una vita misera sulle sponde del Nilo ma è li che il vostro popolo deve stare, non insozzerete le Tribù berbere e il popolo dei Berberi unito sotto un unica bandiera venuto per voi come il Jin della morte, restituite le nostre terre al popolo e di voi non sarà versata una sola goccia di sangue.>>



A differenza di Cartagine il sistema militare Imperiale prevede la formazione di due gruppi militari, quello della Plebe che occupa per lo più il ruolo di fanteria di terra e quello della nobiltà, su carri e cavalcature, la temibile cavalleria Numidica inoltre è stata rinnovata e riformata dalla formazione dell'impero divenendo pilastro dell'insegna militare Berbera.

Per il resto si attendono notize dall'Egitto e dal suo sciocco popolo che non degna di risposta il Ciambellano.



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In fine nella piccola Repubblica di Phasania gli scontri si sono fermati e le legioni Saluche hanno vinto sulle truppe berbere rivoltose che hanno abbandonato definitivamente quelle terre rinunciandovi come possedimenti.

Su di essa di verrà solo detto :<< Un grande ammasso di sabbia nulla per cui valga la pena combattere..>> Parole di poco conforto nel vedere che tuttavia il modello intrapreso dalla nascente repubblica è quello Romano, difatti la formazione di un senato guidato da 500 membri della plebe e l'abolizione della schiavitù hanno reso il loro paese un aglomerato di popolazioni ed un fiorente porto commerciale, ben sfruttato dall'Impero che li lascia prosperare senza troppi intoppi.

L'unica pecca è quella della mancanza di sufficenti Tributi, questione che l'Imperatore ha messo a verbale nella riunione dei 4 Re i quali hanno decreato che sarebbe giusto tassare anche il Grano coltivato con l'acqua dei pozzi della terra che apparteneva ai Libi un tempo, e su questa sciocca base però che il consiglio dei 500 si è ribellato rifiutandosi di mandare ulteriori danari d'argento a Numid come protesta per l'eccessivo maltrattamento.



Arafu il gran Ciabellano ha parlato a tutti i sovrani dell'Impero durante la riunione successiva dall'avvenimento.



<< Chi credono di essere questi Saleuci?.. emigrano da terre lontane.. gli diamo ospitalità e lasciamo loro fondare una nuova casa.. ed ora?.. ora pretendono di dettare leggere a casa nostra?.. cosa pensano di fare.. se li lasciamo agire ben presto chiederanno anche l'indipendenza.. è qualcosa che l'imperatore e l'impero non possono permettere..>>



Dopo una votazione unanime si è deciso poi di spostare le legioni verso gli avamposti Saleuci con i conseguenti messaggeri che hanno affermato che se la Repubblica non cesserà di esistere e non cederà sotto la pressione di Massinisa sarà solo morte per loro.

Le truppe guidate dal Idris dei Libi Mezetulo sono ora posti fuori dalle mura di Surt puntando verso di loro le grandi macchine da guerra, le truppe urlano e gridano bramando sangue Saleuco come in una rivincita vendicativa, non è più sopportata l'oppressione straniera e la gentilezza dei Berberi è terminata quando i Saleuci si sono rifiutati di adempiere al loro compito di ospiti nella nostra casa, sperano con tutto il cuore che i 500 decretino la loro stessa fine.



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