L'angolo delle storie - L'angolo dei ruolisti
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Partita GDR | Diocleziano (di Mussulmanopazzo) 16/03/2021

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Messaggio Da Falco Mar Feb 08, 2022 9:46 pm

Oligarchia significa "governo di pochi", ma nell'antica Grecia il termine spesso indicava in modo più specifico il "governo dei ricchi": lo si ritrova usato in questo senso sia da Platone nella Repubblica (550c) sia da Aristotele nella Politica

Il termine oligarchia conteneva quindi una valutazione negativa che ha mantenuto a lungo anche in seguito, tanto più che ad Atene, nel V secolo a.C., vi furono, con pessima stampa, il governo oligarchico dei Quattrocento nel 411 a.C. ed il regime dei Trenta tiranni del 404 a.C.. Governi oligarchici furono presenti anche in altre città, come Sparta o Tebe, presentati come degenerazione delle locali aristocrazie; pure a Roma la legittimità «risiedeva, piuttosto, nella nobilitas, poggiava su una concezione aristocratica del governo della cosa pubblica. L’ascesa alle massime cariche pubbliche, anche se consacrata da una votazione, era l’epilogo di un cursus honorum che prendeva, di regola, le mosse dai natali illustri e procedeva per tappe contrassegnate dalle sperimentate virtù militari e di attitudine così all’ubbidienza come al comando, dalla ricchezza accumulata, dalle precedenti cariche pubbliche ricoperte, dalla comprovata eloquenza, che era poi fattore spesso decisivo delle vittorie elettorali»
In Un determinato periodo della sua storia Roma fu divisa da 4 poi da 5 e anche da 6 imperatori contemporaneamente verso l'inizio del suo ultimo secolo di vita. In questa ricostruzione in GDR che proverò ad avviare ci saranno piccole modifiche rispetto al territorio frammentato della repubblica in origine ovvero:



Difatti sarà possibile giocare province come la Spagna e l'Inghilterra ed il resto austro ungarico come province alternative e governate da un generale od un governatore mentre le principali tra le quali La Francia l'Italia la Grecia e la Turchia con i rispettivi membri della Tetrarchia.


AMBIENTAZIONE:
Anno 287 l'impero romano si espande dalle fredde terre del nord dell'Anglia fino all'arido deserto d'Egitto.

Il Potere è mantenut in equilibrio da una sottile linea tracciata sui papiri nei documenti Romani.

Il Potere dell'impero più grande del mondo conosciuto è diviso tra le mani di Ex generali e conquistatori che ora utilizzano ogni mezzo in loro possesso pur di accaparrarsi il dominio del mondo.

A Nord ed oriente tuttavia i Barbari osservano nell'ombra mentre attendono uno spiraglio di opportunità che gli permetterà di porre fine alla storia romana e di poter conquistare le calde terre di meridione cosi da garantire prosperità alla loro prole.

Solo gli antichi dei sanno come andrà a finire e come Roma cadrà o si espanderà oltre ogni immaginazione.



Stati Giocabili:



IMPERO ROMANO -
(I Nomi delle altre parti di impero sarà di libera scelta dei player come anche il titolo tra Generale e Governatore)
- - -
Provincia della Gallia (Francia) Augusto dell'Impero Romano -Constantius Chlorus: Astrid I
Provincia della Dacia (Romania): Governatore - Re decembalo il Bravo - falco1994
Provincia Italica (Italia) Imperatore Marco Aurelio Valerio Massimiano Erculeo: HEINZ GUDERIAN90
Provincia Greca (Grecia) Augusto Gaio Galerio Valerio Massimiano:Von Moltke il Vecchio



POPOLI BARBARI -
(I Nomi e titoli dei governanti barbari sarà di libera scelta per i player)
- - -
Tribù Germaniche (Germania): Mussulmanopazzo
Popoli della steppa (Ucraina): Baumann91
Nomadi Unni (Caucaso): Generale Antonio Cascino



Questo ovviamente non è uno scontro 6 contro 6 poiché non è una storia storicamente accurata parti dell'impero potranno trardirsi o tentare di dichiarare l'indipendenza sempre se prima altri giocatori non intendano mantenerla sotto il proprio giogo.

Regole della guerra:

- Come per la partita precedente è possibile sottrarre al nemico un numero massimo di 3 provincie per guerra oltre che la richiesta di un tributo che non vada oltre le capacità della nazione sconfitta o che in nessun modo la debiliti per il tempo che dovranno restare in pace.

- Alla nazione sconfitta non possono essere prelevate province ne possiede 7 ma possono essere richiesti tributi ragionevoli e sostenibili dallo sconfitto per un tempo moderato non superiore ai 4 giorni.

- Se il giocatore raggiunge un numero di province superiore alle 10 sarà possibile sottrargli il corrispettivo di 3 province + 1 per ogni due province di surplus.

- Una nazione non può essere attaccata se ha già perso una guerra finché non finisce il periodo di pace obbligatoria dopo una guerra a meno che quest'ultima non decida di dichiarare guerra di sua iniziativa.



- Una nazione sconfitta ha il diritto ad un tempo massimo di riposo di 10 giorni per riprendersi dai danni della guerra e produrre nuove armi per la propria difesa oltre che truppe.



- - - - -
CONSIGLI PER L'INTERPRETAZIONE:

Normalmente in una partita storia è consigliato anche far riferimento a cose e fatti realmente accaduti ma nulla vieta di giocare personaggi o soggetti totalmente di fantasia con idee proprie e propri valori.



Essendo i giornali non ancora in uso visto che la stampa impiegherà quasi mille anni a venire al mondo, è bene che i giornali della partita vengano raccontati come una storia orale o un annuncio nelle piazze pubbliche, o anche entrambe le cose, immaginate di tornare alle medie e di fare il Tema d'Italiano con il topic incentrato sulla partita.



Spesso anche le storie secondarie possono essere avvincenti se bene di poca utilità, non incentratevi troppo sulla politica interna o estera ma raccontante anche fatti di vita quotidiana interessanti.



{ - I discorsi del Forum di Tréveris - }

Diocesi delle Gallie



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Gennaio del 287 DC



Lunae Dies



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””Galli??”” bofonchiò con disprezzo l’oratore del Foro.

Era un uomo basso, e calvo, con più ciccia in corpo che intelletto. Si muoveva attorno con l’aria orgogliosa di chi aveva visto la storia venir scritta sotto i suoi larghi occhietti neri.

””Brutta razza questi Galli. Credono di essere diventati romani, ma in fondo restano pur sempre dei barbari, non dissimili da quelli che Cesare descrisse nei suoi resoconti”” borbottò.

Ben pochi si erano fermati ad ascoltare le sue imprecazioni, ma il vecchio oratore tra i suoi innumerevoli difetti non contava certo l’arrendevolezza, e avrebbe potuto parlare anche da solo se gli scranni fossero stati vuoti.

Là, sopra dei blocchi di pietra sedevano alcuni anziani romani, chiamati ad amministrare la Diocesi della Gallia Treverorum. Dietro di loro in piedi, gruppetti di giovani soldati di sangue misto ridevano e prendevano in giro l’anziano signore, il quale ricambiava i loro scherni con le occhiatacce severe di chi sta lanciando una qualche forma di maledizione.

””Voi, piccoli mocciosi: soltanto perché indossate la divisa di Roma credete di essere figli della lupa. Ma dentro di voi scorre ancora il sangue animale dei barbari: ubriaconi, sporchi, tornatevene nelle vostre taverne a riempirvi la pancia di costole di cinghiale e birra! Imparate a parlare il latino come si deve anzicché venire in questo sacro tempio dell’oratoria a disturbare chi cerca discussioni civili.””



””Non sia tanto veemente, Calpurnio!”” sopraggiunse un secondo oratore aggiustandosi la toga sopra la spalla destra.

Era un uomo magro dai capelli grigi tagliati fin dietro la nuca, e dalla barba riccioluta e pettinata com’era in voga ai tempi del tardo impero. ””Come diceva il buon Pacuvio: la patria di Roma è dovunque si stia bene, amico caro...”” sospirò gagliardo, ””Queste genti sono state vinte, si sono arrese, e dopo molte lotte hanno accettato Roma come la loro nuova domus. Questi Galli hanno oggigiorno sposato i valori di Roma: la libertà, le leggi, la giustizia, la pace… Da lungo tempo ormai, essi non sono più gli animali feroci che tu leggevi negli scritti di Cesare. Queste genti si sono lasciate alle spalle le tenebrose foreste e le più ataviche passioni per crescere nella civiltà e nella filosofia. Come noi, anche i Galli sono uomini, caro Calpurnio...”” sibillò il vecchio, guadagnandosi applausi dalla platea.

””… E poi, caro mio: non dimentichi, che molti di questi giovani sono per metà di sangue romano. Le loro madri si sono accoppiate con i più coraggiosi guerrieri di Roma, abbandonando i loro vecchi mariti. Essi sono in tutto e per tutto romani.””



””Questo perché le galle sono di facili costumi, infide, come i loro uomini!”” replicò l’anziano, seguito da qualche risatina maliziosa.

””Sta forse sostenendo che i figli di Roma hanno scelto di soggiacere con delle prostitute?””



L’altro oratore si innervosì, rivolgendo al suo avversario un’espressione pallida e formale, che celava due occhi di fuoco e invidia. ””Lei non ha tutti i torti”” ammise, ””ma lungo il faticoso cammino della mia vita ho conosciuto ben pochi Galli degni di sfoggiare la cittadinanza romana”” si giustificò agitando le mani mentre pensava a un modo per rispondergli: ””Lei dimentica cosa accadde pochi anni fa?”” Il pubblico sospirò, rammentando quei tristi accadimenti.

””Lei dimentica, amico mio, quel che fece il barbaro Tetrico, non è così? Bene. Lascia che sia io a ricordarvelo: Tetrico era un Gallo proprio come quegli ingrati giovanotti laggiù, e fu nominato prima tribuno, poi fu eletto senatore... Peccato che dopo appena un anno di opere giuste, e di medaglie, Tetrico tradì Roma. Si fece incoronare Imperatore delle Gallie, e portò la guerra fin sopra le Alpi!!”” gridò amareggiato il vecchio oratore. ””Lascia che ti ricordi quanti romani accorsero da tutte le provincie dell’Impero e persero la vita per sopprimere le rivolte col ferro e col fuoco”” pianse Calpurnio, ””un mio carissimo amico, ora dorme negli Inferi, ammazzato da quelle bestie che tu chiami uomini…. Che la terra lo accolga nel suo dolce grembo...””

””E’ storia passata, vecchio mio”” rispose l’altro.

””No. E’ stato appena dieci anni fa... Caro mio, i Galli sono illeali e inclini al tradimento, l’omicidio scorre nel loro sangue. Odiano Roma, e se potessero, ucciderebbero anche te. Ho veduto molte teste come la tua appese sulle loro capanne.””

Inorridì, immaginando la propria testa legata a un traliccio.



””… E allora che dice al qui presente e a chi ci ascolta del nostro adorato Cesare, Costanzo Cloro? Egli è fermamente convinto, ...come ogn’uomo di buonsenso del resto… , che l’assimilazione dei Galli stia procedendo senza ostacoli: ciò è senzaltro vero nelle principali città, dove i nativi hanno ormai assorbito la cultura di Roma: parlano il latino, scrivono e leggono gli autori latini, amministrano la giustizia, la politica, la religione… a costo della loro vita difendono i nostri confini dalle incursioni dei Franchi e degli Alemanni. Vuole forse dire con altre parole, caro Calpurnio, che Flavio Valerio Costanzo Cloro sia uno stolto, a credere tutto questo?”” offrì, mettendo in difficoltà il suo avversario: di certo non poteva dare risposta affermativa ad una domanda del genere.

””No, assolutamente no. Costanzo Cloro è un uomo brillante di larghissima gloria: ho una statua sua in casa mia. Sia lodato colui che ha scacciato i Germani dalla Gallia! E siano lodati anche Domiziano, Massimiano, Galerio, e il piccolo Costantino figlio suo...”” si difese il calvo, ””… tuttavia credo che il nostro comandante si sia circondato nell’ingenuità di persone crudeli e infide...”” puntualizzò facendo ritorno all’offensiva: ””Afranio Annibalino per esempio, che viene dall’Oriente… o ancora sua moglie Elena: ohh, quella è una sporca greca che passa la notte con altri uomini... Caro amico credimi, i Greci sono anche peggiori dei Galli, quella donna dai capelli corvini non mi infonde alcuna fiducia. Senzaltro è una depravata.””

L’altro oratore, quello magro, accigliò la fronte e guardò il suo avversario con l’aria soddisfatta di chi sta per vincere il dibattito.

””Bene quindi, Calpurnio: tu credi di conoscere la moglie ed il consigliere del nostro Generale, meglio del Generale stesso?”” L’uomo scosse la testa, consapevole di essere stato sconfitto.

””Amico mio, non dica stoltezze e non spaventi quei poveri ragazzi, la verità è limpida come i ruscelli della Senna: Costanzio Cloro ha sposato una donna fedele e morigerata, pronto ad amarlo fino alla morte, non certo una accaldata libertina da ostello. Al suo fianco c’è un amico sincero, Afranio Annibalino, e nonostante le sue origini orientali potrebbero essere per mesi oggetto di discussione, egli non tradirebbe mai il suo signore. Se Cesare nostro fosse stato uno stolto e un debole di cuore, non sarebbe mai diventato Generale...””

””...Fu il saggio Messiniano a dare a Cloro l’ordine di scacciare l’invasore Alemanno dalle Gallie...”” ricordò, puntando il dito verso il cielo, ””… e fu sotto di lui, che vincemmo i Germani, liberando Augusta Treverorum dalle loro grinfie.””



Il grasso Calpurnio si ritrasse in un angolo, rimuginando passi dell’oratoria di Cicerone, mentre il vecchio magro assunse tutto d'un tratto un aspetto tetro, e si rivolse alla platea con occhi vitrei: ””… ma i nemici di Roma sono ovunque. E non parlo certamente dei Galli, ma dei cristiani”” piovve il silenzio, e gli spettatori si guardarono in faccia bisbigliando.

””Possano Diocleziano, e i Cesari di tutte le Province fermare questo morbo che si diffonde a macchia di calamaro negli angoli più prosperi dell’Impero… l’Africa, la Grecia, l’Italia...””



””… Predicano l’abolizione della proprietà privata e la comunione dei beni. Di giorno si nascondono nelle catacombe, ma di notte fuoriescono, e vanno in giro a convertire i poveri di spirito, introducendoli ai loro macabri riti di sangue: sacrifici umani, cannibalismo. Fanatici di un Dio senza nome, che alcuni chiamano Yahweh, altri dicono Yeohwah”” tuonò il vecchio con crescente preoccupazione

””… un Dio unico e invisibile, che pervade tutte le cose, di fronte al quale i cristiani si inchinano, e davanti a questo Dio loro sarebbe pronti a portare in sacrificio la stessa Roma: non i loro figli circoncisi o le loro vergini: Roma. E cosa ancora più disgustosa, è che alcuni filosofi greci, come Plotino o Eusebio di Cesarea, sono anche complici di questo abominio contro gli dei! Ma non disperatevi!”” esclamò, tenendo il dito ritto verso l’alto, sperando che Giove lo vedesse.



””Alcuni cristiani messi sotto tortura hanno parlato di un tale di nome Felice, che presso la loro comunità è il capo, e che a quanto si dice rifugga proprio in Gallia, lontano dal cuore dell’Impero, giacché questa gente sà che Roma significa: diventare carne per i leoni dell’Anfiteatro Flavio, e ne sta alla larga... Presto troveremo questo papa, e morto un papa non ce ne saranno altri a riempire le nostre prigioni di pericolosi mentecatti!””

Seguirono scroscianti applausi.


La saga di Neglfari
Preghiere agli Dei (Facoltativa la lettura con sottofondo)



Highly Symbolic And Kind of Outlandish Viking Wedding Traditions And Rituals | Guerriero vichingo, Guerrieri, Archeologia



<<La progenie di Yimir ti offre la sua fedeltà e questi doni potente Re Neglfari del popolo dei Longobardi.. tu eletto a sovrano di queste terre ci guiderai lungo una nuova epoca d'oro ove tutti i germani chineranno il capo al tuo passaggio e la desolazione e disperazione piomberà su quello dei nostri nemici ad occidente! >>



Disse con voce altisonante il comandante dell'imbarcazione Norrena proveniente da settentrione mentre manipoli d'uomini continuavano a scaricare merci di ogni genere tra corni intagliati, pellicce e ceramiche e non di meno casse ricolme di ferro e piombo con le quali evidentemente i naviganti speravano che il nuovo sovrano delle terre dei Longobardi potesse costruire armi ed armature per un grande esercito.

Il Giovane Re Neglfari di soli 20 anni poteva già sfoggiare una possente barba rossiccia segno di grande virilità che tuttavia andava in contrasto con il fisico particolarmente esile nonostante fosse definito e nascosto da marchi rituali e preghiere tatuate sulla sua pelle bianca come la neve.

Figlio di Re Gustafson precedente sovrano della sua tribù di oltre 12 mila anime egli aveva superare indicibili prove per un uomo della sua giovane età per giungere alla sua attuale posizione.



Egli aveva conquistato la nome di Neglfari lo spietato a seguito della sua scalata al potere.

Fin dai primi anni di governo circa 12 lune a dietro Neglfari aveva dimostrato una grande capacità di comando ed anche una mente plasmabile dalle novità meno tradizionalista rispetto a quella del padre.

In poco tempo aveva invertito il sistema di potere che vedeva il consiglio dei capi Tribù come principale fonte legislativa, un sistema a dir poco fallimentare poiché alla fine dei conti ogni volta ogni tribù adempiva solo in parte alle scelte del consiglio o le ignorava del tutto, gli Jarl furono deposti e sostituiti da emissari della corona fedeli unicamente al Re.

Ovviamente ciò indispettì non pochi Germani che durante l'ultima estate provarono a conquistare la capitale di Birlen al seguito migliaia di berserker armati d'asce e scudi.



Il Come il sovrano riuscì a sbarazzarsi di loro divaga in più leggende e storie, ma i testi più affidabili ed ufficiali provengono dal saggio Mirmir celebre storico delle terre meridionali al confine romano.



Assedio di Parigi (885-886) - Wikipedia



In svantaggio numerico e con i sentieri di approvvigionamento con le tribù alleate tagliate Neglfari si trovò racchiuso in un assedio di 15 giorni e 15 notti tra le palizzate della capitale, i suoi uomini erano o troppo vecchi o giovani o addirittura infermi in parte mentre il nemico sfoggiava un numero complessivo di 5.000 soldati ben addestrati provenienti da ogni parte del regno guidati dal temibile generale Castorio celebre soldato che guidò l'assedio verso le Gallie anni a dietro razziandone i confini.



La vittoria pareva evidente su ogni fronte e dunque l'esercito id Castorio abbassò la guardia durante le ore notturne in attesa che le provviste dell'esercito di Neglfari finissero ed egli si consegnasse di sua spontanea volontà.

In una sera buia quanto la pece cosparsa sulle torce Neglfari diede il via al suo piano di accerchiamento facendo si che poche centinaia di uomini scelti equipaggiati con barilotti di linfa ed alcool uscissero sui fianchi dell'orda nemica, posizionarono la linfa e l'alcool ed ogni cosa incendiaria sui fianchi del terreno ricolmo d'alberi ed il giorno dopo all'alba Neglfari diede l'ordine di suonare il corno da guerra.



Un suono profondo e lungo che segnava l'inizio della carica, i grandi portoni di legno si spalancarono ed egli alla guida di ogni cittadino capace di tenere un bastone appuntito o una spada tra le mani sul suo destriero nero gridò alla carica sollevando la scintillante spada argentata.



Sebbene il nemico pensò ad un attacco suicida non si aspettava minimamente ciò che accadde in seguito.

Castorio diede l'ordine di allargare le fila cosi da poter far insediare ancora più all'interno del suo esercito la carica di Neglfari. Nell'arco di pochi secondi un secondo corno proveniente da dietro le palizzate della capitale suono e centinaia di frecce infuocate volarono lungo i fianchi della foresta.
L'inferno in terra si sollevò alto tra i pini e le querce urla e sgomento tra le truppe di Castorio che come comandatogli si allargarono finendo per essere colpite dalle fiamme e seprate in parte da un arco di fuoco.

Neglfari continuò la sua carica, e molti soldati raccontano che la sua barba in quel momento stesse come fumando e che dalla sua bocca uscisse vapore grigio, i suoi occhi erano rossi come il sangue ed il volto di un bianco cadaverico.



- - -

Queste gesta del nuovo Re dei Longobardi si diffusero in lungo e largo tra le terre dei Germani, alcune tribù scelsero di unirsi a loro offrendo oro e pellicce in cambio di un posto nel consiglio del nuovo sovrano promessa per tutto il popolo germanico e sciagura dei Romani nemico secolare delle loro genti. I Reudigni, i Suardones ed anche i Semmones Fosi ed Hermonduri decisero allearsi con lui formando una grande confederazione chiamata Lega Germanica di cui faceva egli a capo. Ed i anche numerose navi Norrene provenienti da settentrione giungevano di mese in mese offrendosi come mercenari o servi.



Ma l'ascesa del Re è solamente agli inizi poiché non tutti sono d'accordo con ciò che egli rappresenta.

Sulle terre a confine con i Galli si narra che i Cherusi vogliano tradire la loro stirpe ed allearsi con i Romani sotto la guida di Capo d'acciaio un vecchio caprone troppo debole per combattere o guidare un popolo.


UNA NUOVA UNITÀ
Discorso di Massimiano al Senato gennaio 287 d.C. (anno 1038 ab Urbe condĭta)
Se, o senatori, siamo qui oggi in un clima di relativa pace lo dobbiamo alla lungimiranza del mio pari Gaio Aurelio Valerio Diocleziano. Lui ha posto fine alle guerre fratricide dei romani e oggi più che mai siamo un patrimonium indivisum anche se secondo un sistema tetrastico.
Il nostro glorioso impero ha attraversato un lungo oscuro periodo. L’epidemia di peste che per vent’anni ha colpito duramente tutto il territorio imperiale a seguito del quale abbandonammo gli Agri decumtes e l'intera provincia delle Tre Dacie e parte della Mesopotamia.
Abbiamo affrontato una gravissima crisi economica derivanti dalla mancanza di nuove conquiste e bottini di guerra, e le spese dell’Impero sempre più impellenti per poter far fronte alle pressioni esterne, furono coperte con un progressivo aumento delle tassazioni, proprio quando la diminuzione del numero di schiavi minava le possibilità economiche dei cittadini. Gradualmente la ricchezza, l'importanza politica, sociale, istituzionale e culturale si era livellata tra il centro e le province dell'Impero romano, sebbene con disparità ancora evidenti. La pressione fiscale divenne insostenibile per molti piccoli proprietari, costretti a indebitarsi e quindi a vendere le proprie terre, per andare a lavorare in condizioni di semischiavitù sotto i grandi proprietari. Le difficoltà di comunicazione in seguito ai numerosi conflitti avevano in diversi casi reso indispensabile la riscossione diretta delle tasse da parte dello stesso esercito, causando abusi e trasformandosi a volte in un vero e proprio diritto di saccheggio.
Infine la crisi religiosa mina le fondamenta dell'ordinamento politico-religioso romano, è stata permessa troppa tolleranza che hanno portato un miscuglio di divinazioni provenienti dal mondo ellenico e barbaro e in ultimo, il più pericoloso, il culto cristiano, che rifiuta di riconoscere l’Imperatore il loro dominus et deus e rifiutando il servizio militare e gli impieghi pubblici.


In questo tetro periodo, o senatori, dov’era il Senato? Si mi rivolgo a voi, che spesso avete congiurato con la guardia pretoriana per favorire o meno l’ascesa e l’elezione di un Imperatore, dov’era rivolta la vostra lealtà se non a vostri propri egoistici interessi.



Perciò, o senatori, io sono qua dinanzi a voi, prendendomi tutte le responsabilità nell’annunciarvi le seguenti riforme. Da oggi sancisco il diritto dell'imperatore di assumere il potere anche senza il consenso del Senato, il potere autonomo legislativo, giudiziario o elettorale del Senato verrà fortemente limitato e riformulato secondo le esigenze imperiali. Il Senato potrà invece mantenere i suoi poteri legislativi sui giochi pubblici a Roma, conserverà il potere di indagare sui casi di tradimento e quello di eleggere alcuni magistrati, ma solo con il permesso dell’Imperatore.


Ad oggi le minacce più gravi provengono dai confini, dalla Britannia ai confini con i germani che ogni giorno sempre più con le loro incursioni mettono a repentaglio la sicurezza dell’Impero, quindi sarà mio dovere riorganizzare l’esercito a difesa dei sacri confini. Per le minacce interne dispongo l’immediata messa al bando del culto cristiano ed ogni rifiuto a prestare il servizio militare sarà considerato tradimento e potrà essere giudicato anche dal Senato stesso qualora ne facesse valere il diritto. Istituisco con effetto immediato la reintroduzione del sorteggio del pretore che potrà provenire anche dalle classi più povere e fisso il numero a venti.



|+| ANNALES |+|

Ianuarius 287 AD

(ANNO DIOCLETIANI)



“- Il 10° Giorno delle Calende di Novembre del 284 AD, fu questa la data in cui realizzai l’idea affascinante, quanto bizzarra, di portare per iscritto su queste tavolette di legno la Storia di questi giorni: Elezioni Politiche, Guerre, Trattati di Pace, Punizioni Divine, insomma tutto ciò che interessa la mia persona. Essendo io il Quinto figlio di una Famiglia assai benestante, e rispettata, ho potuto apprendere varie conoscenze grazie agli insegnamenti dei miei Maestri, i quali mi hanno narrato la Storia di Roma.

Ricordo che aspettavo impaziente l’arrivo del Maestro per sentire le Storie dei Nostri Generali valorosi che hanno, con le loro vittorie e con la loro morte, fatto Grande questo Impero. Molti miei amici, quando eravamo ancora bambini, desideravano diventare come Loro e il solo pensiero che il loro nome un giorno poteva riecheggiare nella Storia, magari attraverso la bocca di un Maestro con i suoi allievi, divenendo difatti Immortali e ricordati per sempre causava loro pianti di felicità.

Io, però, non sono mai stato come loro: il mio sogno è quello di restare “immortale nella Storia” ma non come protagonista, bensì come narratore di quelle Gesta Eroiche.

Ho ascoltato tutte le Storie che esistano, alcune anche più di cento volte, ne ero innamorato, ma notai un dettaglio molto importante e grave: lo stesso racconto cambiava, seppur di poco, da un Maestro all’altro. Parlo di piccoli dettagli che ai fini del racconto finale poco importano, ma mi irrita il pensiero che la realtà possa essere distorta con il tempo e da questo pensiero è nata la mia idea: Scrivere.

E’ faticoso, molto faticoso credetemi, ma io sento di doverlo fare, nella mia grande arroganza sono sicuro che in futuro i miei scritti saranno letti, forse studiati, da tanti uomini e così Anch’Io diventerò Immortale.”



“- La Data qui sopra trascritta da cui ebbe inizio la realizzazione del mio Sogno non è stata dettata dal Fato, bensì è un ricca di importanza personale poiché, in quella soleggiata mattinata, appresi con grande entusiasmo da un messaggero l'insediamento del nuovo Imperatore Diocleziano. Appresa la notizia corsi subito ad informarmi sulla Storia di questo nuovo Imperatore, volevo conoscere tutte le sue imprese eroiche e il cammino che l’ha portato a diventare, di fatto, l’Uomo più potente del Mondo.

Gaio Aurelio Valerio Diocleziano nato nella Provincia della Dalmazia, poco distante dalla mia terra nativa, è divenuto Imperatore no per discendenza, ma per essersi distinto per le sue imprese nell’arte della guerra come Comandante di Cavalleria.

Nello svolgimento di questi ultimi tre anni ho trascorso notti intere nel trascrivere le numerosi imprese dell’Imperatore Soldato e per quanto fossero precise e intrise delle mie emozioni, mi duole dire che sono solo una piccola parte della sua lunga Vita. E’ difficile studiare gli eventi passati se non tramite dei racconti, o dei canti popolari, i quali molto spesso presentano delle imperfezioni anche di tipo temporali e quindi non mi sento di voler rischiare di scrivere inesattezze sul mio Imperatore, per cui ho preso la decisione di non parlare, o meglio scrivere, del passato incerto e di concentrarmi sul presente.”



“- L’Imperatore Diocleziano verrà ricordato nella Storia come l’Uomo che avrà risollevato il morale del Popolo Romano e rafforzato le basi dell’Impero, le quali con il tempo si sono corrose ed indebolite. Con la sua illustre intelligenza ha dato alla luce la sua prima Riforma da molti chiamata: “Tetrarchia Dioclezianea”.

Come ho già spiegato minuziosamente nei miei scritti precedenti i cento anni passati sono tra i più bui e meschini per la politica Romana, poiché con la fine della Famiglia dei Severi le redini dell’Impero furono lasciate nelle mani insanguinate dei Generali che negli anni si sono ammazzati far loro. Il ruolo di “Imperatore” prima era assegnato tra Padre e Figlio, o il membro della famiglia prima per successione, appartenente alla stessa discendenza, ma con l’Ultimo dei Severi: Alessandro Severo, il Trono più ambito e glorioso del mondo divenne un trofeo di caccia per i Generali della Legione.

Senza spendere ulteriori parole per queste persone, a mio parere povere di onore e per questo non meritevoli di esser ricordate, chi possedeva l’esercito più numeroso in grado di eliminare senza pietà i pretendenti al Trono si aggiudicava lo Stesso.

Per fortuna Divina tutto ciò ebbe fine con l’avvento dell’Imperatore in carica Diocleziano, il quale ha riconosciuto la “debolezza” dell’Impero nel suo più grande punto di forza ed orgoglio: le dimensioni mastodontiche.”



“- L’Editto Imperiale emanato da Diocleziano sancisce ufficialmente la divisione dell’Impero in due blocchi: la parte Occidentale che comprende la Provincia Italica, Hispanica, le Province Africane e la Provincia delle Gallie saranno sotto il controllo diretto dell’Augustus, nonché grande amico dell’Imperatore Diocleziano, Marco Aurelio Valerio Massimiano; mentre la parte Orientale dell’Impero che comprende la Provincia Ellenica, la Provincia Anatolica e quelle Orientali compreso l’Egitto.

In seguito a questa divisione ne è stata adottata un’altra: Diocleziano ha affidato l’intera penisola Ellenica al suo fidato Generale Gaio Galerio Valerio Massimiano, mentre dall’altra parte Massimiano ha affidato il territorio delle Gallie al generale Costanzo Cloro.

Per la prima volta nella Storia vivranno nello stesso periodo due Imperatori, Massimiano e Diocleziano, legittimi che non saranno nemici, i quali però verranno chiamati con il titolo di “Augustus” mentre i due Generali, Galerio e Costanzo Cloro, avranno il titolo di “Caesar”. I territori controllati direttamente da questi quattro uomini saranno di loro esclusiva competenza: verranno varate leggi esclusive per quel territorio e battute monete con il volto dell’Augustus o del Caesar di turno. Sono questi gli Eroi protagonisti dei miei racconti.”



- Alexius G.



RACCONTI ORALI febbraio 287 d.c.






E’ un giorno come tanti nella città di Balk, le donne si dedicano alla pastorizia, gli uomini si addestrano al tiro con l’arco e cacciano la selvaggina, i bambini apprendono sin da subito a cavalcare. Cala la notte ci si riunisce intorno al fuoco per consumare un pasto, generalmente una pecora cotta sul fuoco. Non conoscendo la scrittura la storia viene tramandata oralmente. In questi casi stare intorno al fuoco si trasforma in uno dei momenti più importanti per questa comunità.









Uno degli anziani comincia a raccontare le loro fiere origini. Gli Unni sono un popolo di nomadi guerrieri delle steppe ed avevano una struttura iniziale di tipo confederativo formata da circa 24 clan. Tre dei clan erano più autorevoli degli altri per la nobiltà dei suoi componenti. Questa struttura permetteva la coesistenza di differenti gruppi umani al seguito di una tribù-guida. La confederazione prendeva il nome o dalla tribù stessa. La giurisdizione era formata da leggi semplici ma molto severe





Le loro radici affondano nell’Asia centrale gli Unni invasero più volte l'impero cinese tra il III e il I secolo a.C. imponendo un tributo agli imperatori, o nominandosi imperatori essi stessi. Nello stesso periodo fondarono un grande regno nelle steppe. I successi indussero questo popolo alla rovina. L'afflusso delle ricchezze determinò forti squilibri sociali prima sconosciuti. Non contò più chi era autorevole e coraggioso, ma chi era più ricco o più furbo. Gli uomini non ebbero più voglia di combattere e i clan si disgregarono. A sud la Cina ritrovò la sua energia e si liberò del tributo, a ovest emersero altri popoli delle steppe che distrussero il regno.













Gli Unni si dispersero. Molti morirono nelle battaglie affrontate nel tentativo di impedire il crollo del loro regno, molti altri restarono in Cina dove avevano impiantato fiorenti attività, altri ancora si unirono ai nuovi popoli della steppa.



In Mongolia rimase un piccolo gruppo di irriducibili che decisero di emigrare verso ovest.



Per compiere un'impresa tanto impegnativa gli Unni elessero un'orda, ossia accettarono provvisoriamente di mettersi agli ordini di un capo, pronti però a sostituirlo o a non più obbedirgli se non soddisfatti.





Verso la metà del I secolo d.C. l'orda lasciò i pascoli felici e iniziò una marcia verso l'Europa che sarebbe durata 250 anni. Durante la marcia due gruppi si staccarono e distrussero il fiorente impero indiano e penetrarono nell'impero persiano. Giunti al Caucaso in queste terre si fusero con gli Avari dopo l’occupazione. Balik fu scelta come capitale.





Il capo attuale di tutti i clan porta il nome di Touman che riuscì a tenere uniti i ventiquattro clan nel momento più difficile dell’insediamento in queste terre caucasiche. E’un uomo ricurvo, segnato dal tempo che passa inesorabilmente, debole ma che gode di gran rispetto a tal punto che nessun capo clan gli si rivolterebbe contro. Quando le forze glielo permettono risale in sella per una battuta di caccia, ma la maggior parte del tempo lo trascorre dentro la sua dimora dove svolge le sue rare attività di giudice supremo, si consiglia con gli altri capi dei clan e soprattutto si consulta con lo sciamano del clan, l’uomo o entità più importante dopo Touman.









Questa è solo una parte della storia conclude l’anziano, il futuro ci riserverà la gloria e l’immortalità e spetterà a voi figli di questo popolo essere degni del compito che vi spetterà.



PRONUNTIATUM CIVIBUS febbraio 287 d.c.


Dopo le riforme annunciate meno di un mese fa vi elenchiamo i provvedimenti e le riforme messe in atto





RIFORMA ECONOMICA



Per il problema economico si metterà in atto una riforma fiscale, una monetaria, un calmiere dei prezzi.



Verranno introdotte due tipi di imposte: in base alla ricchezza e in base all’estensione del territorio posseduto.



Verrà immessa nel sistema una moneta d’argento e in esse verrà aumentata la quantità del metallo contenuto.



Per contrastare l’eccessivo costo dei generi alimentari diventato troppo eccessivo per le classi più povere verrà istituito il calmiere dei prezzi, in modo che nessuna merce potrà essere venduta ad un prezzo superiore rispetto a quello fissato dallo stato.



Si impone inoltre l’ereditarietà dei mestieri, cioè i figli dovranno proseguire il lavoro dei padri. Tutto ciò al fine di garantire le entrate anche alla morte del contribuente.







RIFORMA DELL’ESERCITO



L’esercito vista l’enorme presenza nuovi cittadini discendenti da popolazioni barbare necessita di nuove regole. Il novo esercito si riformula così quanto segue.



Il limite massimo del servizio di leva viene innalzato da sedici a diciotto anni. L’età per l’arruolamento si abbassa da sedici a quindici, resta invariato invece il limite massimo di quarantasei anni



Le legioni saranno divise in tre gruppi:



LIMITANEI: saranno collocati nei confini più pericolosi dell’impero e assicureranno la difesa dei confini, i nuovi soldati provenienti o discendenti da determinate tribù barbare saranno inviati presso altri confini dove non ha alcun tipo di relazione, sicché un legionario di sangue germanico prenda servizio in Hispania o in Egitto mentre un berbero possa essere inviato in Britannia.



COMITATUS: Legioni che agiranno all’interno dell’impero, costituiranno un vero e proprio esercito mobile pronto ad intervenire quando vi sia un’effettiva esigenza o per campagne estere.



PALATINI: saranno stanziate a Roma, sotto il diretto controllo dell’Imperatore e rappresenteranno l’élite dell’esercito romano






RIFORMA RELIGIOSA



La riforma prevede il culto dell’imperatore riconosciuto e venerato come un dio e un ritorno alle divinità come prevedeva la tradizione romana che negli ultimi secoli era affievolita a favore di dei barbari o addirittura sostituito con un unico dio.



Ogni diritto dei cristiani viene sospeso in più sarà prevista:



-la confisca dei beni



-la distruzione delle chiese



-il divieto di riunirsi e di celebrare i riti



La religione romana ha bisogno di riaffermarsi nuovamente poiché tutte le altre minano la stabilità politica e amministrativa dell’Impero



{ - I discorsi del Forum di Tréveris - }

Diocesi delle Gallie



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Marzo del 287 DC



Mars Dies



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””No !!!! Miserere di me !!”” Pianse il cristiano, strisciando e battendosi come un verme sulla nuda terra. ””Miserere !! No!!””



Sul suo corpo sporco e nudo si aprivano nel sangue decine di ferite dovute al pietrisco, le mani e i piedi erano annodati come quelli di un maiale pronto per il macello, la sua schiena era piena di frustate mentre sul suo torace si intravedevano le costole di chi non riceveva acqua e cibo da giorni.

Due uomini alti e muscolosi lo trascinarono in catene nell’ampio Foro di Tréveris adibito ad anfiteatro, portandolo al cospetto della sacerdotessa di Rosmerta. La sagoma della donna era interamente nascosta da un mantello verde smeraldo, che la rivestiva da capo a piedi e che le lasciava scoperte soltanto le labbra sottili e il nasino a punta.

Tutto intorno, una numerosa folla si era riunita per assistere al cruento spettacolo: soldati, garzoni... sopra i blocchi di pietra alcuni bambini giocherellavano scherzando e rosicchiando barbabietole da zucchero, mentre una madre reguardiva protettiva suo figlio: troppe radici fanno male ai denti, Vitellio!

Intanto il cristiano incatenato strillava, sputando grumi di sangue e catarro piangendo, mentre implorava aiuto al suo Dio: un Dio sordo e sadico, al quale forse non sarebbe neppure dispiaciuto guardarlo morire in suo nome.



””Miserere!!”” ripeteva il condannato, tra le risate dei bambini e il borbottio dei contadini.



””Divina interprete!”” esclamarono i due Galli muscolosi rivolgendosi alla donna misteriosa in verde smeraldo. ””Questo cristiano ha decapitato la statua della dea Rosmerta nella pace del suo tempio, ha scalfito una croce sulla sua fronte, e poi… ha insultato Diocleziano chiamandolo cacator mundi et humanum stercum!”” dalla folla si levò un sospiro di indignazione a quelle parole volgari: ””Questo cristiano deve essere messo a morte, donna: nessuno deve profanare il sacro nome di Diocleziano e pensare di farla franca”” grugnì uno, ””… o tantomeno osare decapitare una dea, Rosmerta, venerata e adorata in tutte le Gallie, come colei che che fa nascere le mucche, e che porta abbondanza, colei che dà figli sani, e grano maturo, colei che fa sbocciare i fiori e tutte quante le cose belle”” rammentò l’altro Gallo.

””Scatena su questo cristiano la collera del monte Pénn, donna.””

Intorno, partiva un coro di offese contro Yahweh e contro Cristo: l’ebreo che fu messo in croce due secoli prima.



Annuendo,

la sacerdotessa accolse la testa dell’uomo nelle sue mani bianche come l’avorio che riluccica all’alba, baciandone la fronte sudata e fredda.

Il cristiano emise un sospiro di sollievo, credendo di essere stato perdonato da tanta dolcezza, ma la donna levò lesta un coltello: la lama appuntita gli tagliò il costato, e il sangue grumoso venne raccolto in una scodella.

Lei accese un fuoco e bruciò dell’erba, ascoltando attentamente quello che la Dea le diceva attraverso la fiamma, mentre il condannato gridava al mondo il suo dolore, pregando inutilmente il suo Dio. Ma né la sacerdotessa, né i presenti si curavano di lui: anzi, ne ridevano entusiasti: spettacoli come questo, erano irrinunciabili.

L’odore dell’erba bruciata inebriò l’aria.



Lei si rizzò in piedi, come pervasa da una qualche forza soprannaturale: uno spirito, che si era impadronito del suo corpo.

Si tolse lentamente il cappuccio, liberando una chioma rossa e ondulata, ammorbidita dalla canapa.

Guardò il cristiano con occhi grigi spenti e privi di vita, come fosse nientaltro che una bambola nelle mani di Rosmerta.

””Morte!”” sentenziò, cominciando a cantilenare un inno alla Dea.

Era incredibile come una voce tanto dolce potesse invece essere una condanna a morte.



””No!!!!””” strillò lui dimenandosi disperato, mentre due robusti Galli lo afferravano per le braccia minute e lo trascinavano contro il pietrisco tagliente: le fredde ardesie spellavano e scarnificavano, come piccole spade, ma erano le risate di scherno dei bambini a tramortire il suo piccolo cuore più di ogni altra ingiuria: quegli stessi bambini che lui aveva giurato di battezzare e guidare verso la Chiesa, come può un pastore di Betlemme con le sue pecorelle barbose.

Dov’era Dio?

””Dio? Dove sei?”” si domandò una seconda volta, mentre le sue carni venivano fatte a pezzi e la sacerdotessa cantava. Poi vide un bagliore riflesso nel fondo dei suoi occhietti neri, e ne rimase folgorato come Paolo di Tarso sulla via di Damasco: ””Ho capito! Dio vuole che io muoia per la Chiesa: sono un martire!!”” realizzò con flebile voce:

””Prendi il mio corpo in sacrificio per te, Signore. Sono solo un tuo umile servo. Prendi il mio povero corpo, e fanne quel che vuoi. Ma la mia anima, lascia che entri in Paradiso… il regno dei cieli... ohhh, vedo un angel- ””



Con un colpo di spada, il Gallo tranciò il naso del condannato, che emise un grido strizzito, simile ad un rantolio.

””Taci, verme.””

E per sicurezza, tagliò anche le sue orecchie.



L’uomo… se ancora poteva definirsi “uomo” quel brandello sanguinolento di ossa e di carni, venne buttato su una pira ardente. E là, le fiamme della Dea non ebbero fretta a divorarne lo spirito corrotto e corruttore.



Le grida si spensero in un debole gemito, mentre il grasso cominciava a colare a picco lungo il legno carbonizzato, e l’odore di carne bruciata allettava l’appetito degli spettatori, dolce tanto quanto il canto che la sacerdotessa aveva rivolto a Rosmerta.





D’un tratto, si vide il pennacchio di un centurione romano, e si udirono i nitriti del suo cavallo bianco.



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””Porto notizie dalla Frontiera, pro vobis, oh genti di Tréveris!”” sentenziò il centurione, con voce tonante e virile, accompagnato dal forte nitrire del suo bianco destriero.

Guardò con disgusto il cadavere carbonizzato del cristiano, sputò a terra e poi parlò:



””Ho cavalcato cinque lune da solo, e senza viveri, ininterrottamente. Ho attraversato la triste Selva delle Ardenne, posseduta dai fantasmi dei guerrieri Germani trucidati da Nerone, ho visto Porzio Irzio in fiamme, mentre superavo le terre dei Senoni al di là della Senna. Ben due torrenti ho affrontato sull’aspro sentiero che mi ha portato da voi, popolo di Civitas Treverorum. E non sono venuto per recarvi buone notizie”” disse con rammarico.

””Tradimento. Infamia. Codardia. Con quali parole altrimenti potrei descrivervi l’ennesima spada puntata contro Roma, al petto della Lupa che allatta i suoi figliuoli?””

””Carausio, amici miei. Carausio: questo è il nome del tradimento che offende Roma”” disse con rabbia cavalcando con circospezione il cadavere del condannato.



””Ah! Fu Massimiano a dare la flotta a Carausio, credendolo un amico.””



””Carausio: un barbaro che ha combattuto per Massimiano contro i Franchi, conquistandosene la fiducia… adesso tradisce quella stessa Roma che lo ha nutrito e che gli ha permesso di diventare uomo, come dieci anni fa osava fare il barbaro Tetrico: questo impostore dice ora di essere il nuovo Imperatore di Roma, e sta aizzando i Britanni contro Diocleziano, i Belgi contro le Gallie, i fratelli contro i fratelli...”” sospirò il centurione, scuotendo il capo.

””Carausio crede che Roma sia un bottino e che si possa conquistare con le armi, ma Roma è innanzitutto Senatus e Populus, amici miei. Senza di essi Roma non esisterebbe... Ci sarebbe piuttosto un Impero Barbaro, senza politica e senza filosofia.””



L’umore della plebe che affollava il Forum di Tréveris non era tristezza, era preoccupazione: ma non preoccupazione per il destino di Roma che si sa essere eterna, invincibile e immortale. Preoccupazione invece per il destino delle Gallie: là, ad ascoltare c’erano esclusivamente Galli o Galli romanizzati, ai quali preoccupava molto più l’imminente olocausto di giovani guerrieri che l’ennesima lotta tra potenti per l’Imperium di Roma: del resto a perdere la vita sarebbero stati sempre i poveri plebei, e mai quei ricchi patrizi, che oziavano nel benessere dilettandosi all’arte del dolce far nulla.

Forse i cristiani non avevano tutti i torti. Forse la comunione dei beni... Forse...



””... Ma accanto ad una notizia cattiva, c’è sempre la speranza, amici miei: la speranza, che fu l’ultima delle cose ad uscire dal vaso di Pandora”” continuò il centurione, innalzando nei cieli il suo pennacchio scarlatto.

””Massimiano ha promesso di lottare contro Carausio in Britannia al fianco di Flavio Valerio Costanzo Cloro. Sulla via Domizia marciano in fila le armi di Roma, come formiche da un formicaio”” la sua voce poderosa si fece rauca e grave, i suoi occhi desiderosi di vendetta contro il sempiterno nemico. Il destriero nitriva con orgoglio al seguito, come se in una vita passata quel cavallo fosse stato un Cesare.

”” … E credetemi, se vi dico, cari amici, che vinceremo. Il cadavere di Carausio sarà fatto a pezzi, e le sue carni saranno date in pasto ai cani di Diocleziano. La pace di Roma non conosce pietas. Marte è con noi!!””



Cavalcò via, col suo cavallo bianco,

e sparì in una coltre di nubi.
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Partita GDR | Diocleziano (di Mussulmanopazzo) 16/03/2021 Empty Re: Partita GDR | Diocleziano (di Mussulmanopazzo) 16/03/2021

Messaggio Da Falco Mer Feb 09, 2022 2:14 pm

I popoli della steppa - Racconti di caccia
marzo 287 dc




Non vi sono tracce scritte sulla storia dei popoli della steppa. La loro storia è custodita all'interno dei loro confini, vive nelle loro attività quotidiane e viene tramandata oralmente da padre in figlio al fine di preservarne il ricordo per le generazioni future.

Durante le lunghe battute di caccia sono i cacciatori più anziani, solitamente raccolti attorno al fuoco dell'accampamento nel tentativo di riscaldarsi, a raccontare delle loro lontane origini. "Siamo nati dalla terra ed è lì che torneremo quando arriverà la fine dei nostri giorni".

La popolazione che risiede in questo territorio è chiamata Skula. Popoli un tempo nomadi, dopo circa trent'anni di permanenza nelle terre della Mesopotamia furono sconfitti e cacciati da una coalizione di Medi e Babilonesi, tornando così ad essere un popolo migratorio.

Tornati ad essere una popolazione sedentaria, gli Skula occuparono le coste del Mar Nero, espandendosi fino all'entroterra. Le lunghe distese pianeggianti facilitarono la costruzione di numerosi insediamenti ed è grazie all'incontro con la civiltà greca, nel VI secolo circa, che gli Skula ebbero anche un rinnovamento dal punto di economico e sociale, dando vita ad un insitito sviluppo delle pratiche commerciali. Dai greci infatti acquistavano vasellame, oggetti in metallo e gioielli mentre gli Skula vendevano loro cereali, carni e pelli lavorate. Nonostante l'abbondanza di queste risorse, la mercanzia principale di questo popolo erano gli schiavi, catturati nel corso delle numerose razzie nei territori limitrofi.

Una volta avvenuto il passaggio da nomadi a sedentari, gli Skula divennero esperti agricoltori e tuttora si dividono in due categorie: agricoltori di sostentamento, vale a dire chi coltiva per consumare i frutti della propria terra, e "aratori", ovvero chi produce con l'unico scopo di commercializzare quanto coltivato. L'allevamento rimane l'attività principale di questo popolo con il cavallo a rappresentare, anche simbolicamente nel vessillo, l'elemento fondamentale della cultura e della società Skula.



Il cavallo rappresenta anche l'elemento essenziale per la forza dell'armata Skula. La fanteria è pressocchè inesistente, persino gli arcieri scoccano le loro frecce al galoppo del loro destriero.









L'arricchimento, i frequenti contatti con il mondo greco e con i regni limitrofi (sebbene gli Skula non apprezzassero particolarmente la contaminazione dei costumi) ebbero un chiaro impatto sulle strutture organizzative di questo popolo: le antiche tribù (originariamente più di dieci, ad oggi ne rimangono soltanto quattro: Uhrik, Kashner, Novarik, Askuzai) riconoscevano infatti la figura di un sovrano che posto al vertice dello stato era adorato come un dio. Il potere del re non era illimitato ma restava sottoposto al controllo di un consiglio ristretto composto dai rappresentati delle principali famiglie. Tra i membri della nobiltà, il ruolo di capotribù veniva solitamente trasmesso per via ereditaria. In cima alla piramide sociale si posizionavano così gli Skula reali, cioè il sovrano con i congiunti più stretti ed i ceti aristocratici; in posizione sottostante, via via, si trovavano gli affiliati dei sovrani e le aristocrazie guerriere delle steppe, le classi mercantili e infine gli Skula comuni.



Questo modello di società composta da guerrieri e allevatori di cavalli, non ha mai avuto particolare interesse nella costruzione di edifici monumentali attraverso cui testimoniare ai posteri la propria esistenza, eccezion fatta per l'importanza che veniva assegnata ai Kurgan, i tumuli funerari del re e della propria aristocrazia: i Kurgan dei sovrani, raggiungevano infatti un volume molto ampio e al loro interno venivano riempiti di ricchissimi corredi funerari comprendenti armi, vasellame, ceramiche greche, ornamenti in oro e argento, statue di finissima lavorazione e persino generi alimentari. L'arrivo al Kurgan rappresentava l'ultima fase di un rito funebre molto complesso ed estremamente sanguinario che assumeva una chiara valenza politica in quanto assolveva al compito di confermare il potere del defunto e il prestigio della sua stirpe. Il corpo del re, cosparso di cera, prima della sepoltura era trasportato in processione tra i popoli assoggettati affinchè rendessero al sovrano il dovuto omaggio; gli astanti, in segno di lutto, erano tenuti a tagliarsi un pezzo di orecchio, a deturparsi il volto, a radersi la testa e a trafiggersi la mano sinistra con delle frecce.







Terminata questa parte del rito, il corpo del re e quelli dei suoi accompagnatori venivano sepolti in una grande fossa, suddivisa in più locali, su cui veniva costruita una collina artificiale e all'interno della quale, oltre al defunto, erano deposti anche monili e ricchissimi corredi d'oro. L'oro infatti era considerato il tramite tra la dimensione umana e quella divina. La morte di un re non era priva di conseguenze: infatti al momento della sua dipartita venivano uccise, per strangolamento o percosse, anche le persone a lui più care, al fine di accompagnarlo nell'ultimo viaggio. Solitamente ad accompagnarlo ci pensavano le sue concubine, il coppiere, un cuoco, uno scudiero, un servo, un messaggero e svariati cavalli. La lunga lista di morte non si concludeva così; infatti dopo circa un anno si abbattevano altri cinquanta cavalli e altrettanti servi erano strangolati, impalati e ricomposti come cavalieri per essere messi a guardia dell'ingresso del Kurgan.


PROXIMO BELLO marzo 287 dc (anno 1038 ab Urbe condĭta)






A seguito delle riforme appena apportate l’Imperatore volle che tutte le celebrazioni religiose romane tornassero a i fasti di un tempo. L’occasione si presenta quando a pochi giorni dalla ricorrenza dei Quinquatria il Senato annuncia 5 giorni di festa nei quali si terranno giochi gladiatorii e banchetti organizzati anche per le classi meno abbienti. Il primo giorno invece al Campidoglio si terrà il rituale dedicato a Minerva e la successiva consacrazione delle armi a Marte mentre nell’ultimo giorno era dedicato al rituale di purificazione delle tubae, le trombe da guerra.



Ma i giorni di tranquillità stavano per finire. Sembra una mattina come le altre in una villa in campagna nei pressi di Abellinum, Tiberius Velina Octavius proprietario della villa e generale in congedo ancora dorme. All’alba la tenuta prende vita gli schiavi iniziavano a pulire i pavimenti di mosaico e pure per i pavimenti in cotto con acqua, scope e segatura mentre per i pavimenti in marmo la pulitura era seguita da un passaggio di cera d’api con stracci di tela.



Questo stralcio di vita quotidiana viene interrotto quando all’interno della tenuta un legionario a cavallo che urlava: “messaggio urgente per il Generale”. Tiberius svegliato dalle urla corre a vedere cosa sia successo, alla vista del militare esclama "Calma soldato dimmi cosa succede", a quel punto il legionario porge una lettera recante il sigillo imperiale rimosso il quale scopre di essere convocato d’urgenza nella capitale convocato da Massimiano in persona. Ordinò che il soldato venisse rifocillato e si preparò alla partenza verso Mediolanum.







Giunto nella residenza imperiale dopo un lungo viaggio fu accolto con tutti gli onori ma la tensione e la preoccupazione era palpabile, “fratello mio” esclamo Massimiano, “che piacere vederti in buona salute” proseguì e ancora “abbiamo molte cose di cui parlare, ma ora dobbiamo occuparci di questioni importanti”, “sono al vostro servizio” rispose Tiberio.







Erano giunte notizie che il generale Carusio al quale era stata affidata la flotta per pattugliare le acque della Gallia settentrionale e della Britannia a difesa dai predoni e dai pirati sassoni abbia tradito, si sia autoproclamato imperatore stabilendosi a Londinium battendo propria moneta e accordandosi con i Pitti a cui concedeva piena autonomina nelle terre scozzesi. La rivolta in Gallia era fallita grazie anche all’efficienza di Cloro ma in Britannia era necessario l’intervento immediato, e L’imperatore rivolgendosi a Tiberio “per questa spedizione ho bisogno di uomini fidati, partirai domani all’alba, la decima legione è ai tuoi ordini”, continuò “dobbiamo schiacciare quel verme traditore che per anni ha tramato come una serpe in seno”.



Il generale dopo aver appreso tale notizia ancora sconvolto chinò il capo riflettendo per un attimo e poi rispose “Se l’onore di Roma è in pericolo è mio dovere rispondere alla chiamata, sarà mia premura portare al tuo cospetto il vile traditore una volta catturato”.



Preso commiato si diresse all’accampamento dove stanziava l’esercito.


UN NUOVO RE MARZO 287 D.C.

Touman il vecchio è morto Dopo 20 anni di reggenza, abbastanza lungo data la Tradizione non certo longeva dei predecessori. Ora è uno spirito che guida l'orda come tutti gli avi prima di lui.








Tutto è avvenuto durante una battuta di caccia. Salito a fatica sul suo destriero era partito all'alba con altri undici capoclan e il figlio Mudu. Mentre erano a caccia delle prede nell'estrarre la balestra cadde da cavallo battendo forte la testa senza che vi fosse possibilità di ripresa. Sin da subito la situazione apparve chiara ai presenti, il figlio diede l'ordine di ritornare in città.








Vi era in ballo il futuro dell'orda e l'incertezza del comando che per vent'anni era rimasto saldo nelle mani di un uomo solo.





Il titolo di Chanyu non era di certo ereditario vista la precarietà del ruolo, ma qualcosa era cambiato, Mudu si era messo in luce sin dai primi anni della giovinezza, nei campi di battaglia si era guadagnato il rispetto dei suoi uomini ma anche da parte degli altri capiclan. Aveva dato anche prova di essere un abile amministratore della giustizia e ricopriva il ruolo di primo consigliere del Re, si può senz’altro affermare che negli ultimi anni aveva già preso le redini del destino del suo popolo.










Sbrigati i riti funebri degni del suo rango era il momento di pensare alla successione. La riunione andó avanti tutto il giorno, ognuno dei ventiquattro Capoclan prese la parola ed espose la sua tesi, venti di questi affermarono che avrebbero voluto Mudu come prossimo Re esaltandone le qualità. I restanti quattro sostennero tesi opposte chiedendo un radicale cambio al vertice ma non adottarono una linea comune, al contrario cercarono egoisticamente di proporsi al comando. Il più agguerrito intervento fu messo in atto da parte di Poskar sostenendo che le tradizioni venissero tradite in quanto si andava verso l'ereditarietà del titolo.








Ovviamente i numeri diedero ragione a Mudu e come primo atto nominò propio Poskar suo primo consigliere confermando anche le sue doti diplomatiche e mantenendo l'unità dei clan che altrimenti rischiava una scissione e quindi un indebolimento della loro forza.








Poco fuori dalla città Mudu si recò in visita dallo sciamano in cerca di conferme per le prossime azioni da intraprendere, il nuovo Re voleva aprire nuove relazioni con i vicini, l’Impero romano confinante a sud e gli alani a nord rappresentavano una seria minaccia e restare da soli avrebbe significato la morte. Ricevuto il parere favorevole degli spiriti fece ritorno nella sua dimora per preparare il tutto.








Decise cosi di inviare un emissario alla corte di Skules per cercare un accordo militare tra i due popoli. La missione ebbe esito positivo e subito dopo lo stesso Re dei popoli delle steppe si recò in visita a Balik per suggellare l'accordo.









La visita fu un vero e proprio successo, i due sovrani dialogarono a lungo sulle possibili mete d'espansione ma vi fu anche il tempo per parlare di scambi commerciali e anche se le due economia erano ancora rudimentali e arretrate ciò non fu d'ostacolo alla nascita di un grande accordo.


|+| ANNALES |+|

Martius 287 AD

(ANNO DIOCLETIANI)




“- L’insediamento di Galerio come Caesar delle Province Elleniche dell’Impero è oramai concluso con una grande festa nella Città di Tessalonica divenuta Capitale di questo “Pezzo di Impero”. Il palazzo Reale era strapieno di nobili, politici e generali tutti con la pancia piena di prelibatezze e la bocca sporca di vino per festeggiare questi giorni di grande entusiasmo. Con loro ovviamente non poteva mancare Galerio il quale però ha mantenuto la sua dignità, che lo contraddistingue, e non ha esagerato nello bere o nel mangiare, cosa che non si può dire di molti altri ospiti.

Io ero presente alla festa in qualità di rappresentante della mia Famiglia, la quale appartiene alla Nobiltà Greca da generazioni e generazioni da quando un mio lontano Nonno pianto il primo albero di Vite, da cui nacquero le ricchezze che hanno fatto grande il nome della Famiglia.

Da fuori le mura che dividevano il Palazzo Reale dal resto della popolazione, come a dividere i ricchi dai poveri, il placido silenzio della vita quotidiana era interrotto dalle grida di gioia, dalle bocche masticare e dai bicchieri schioppettare in grandi Cin Cin.

Normalmente non sono il tipo da festa e molto spesso questi eccessi mi causano la nausea, ma non mentirò ho bevuto più di qualche sorso il giusto che mi serviva per farmi arrivare alla fine della festa senza morire di noia.

Era tutto così noioso e privo di interesse, forse ero io non gli altri chissà, ma per fortuna il Buon Galerio prese in mano la situazione e sbattendo le mani per attirare l’attenzione di tutti gli ospiti prende parola dicendo: “Miei Cari Amici vi ringrazio di essere qui con me in questo giorno assai importante per la Me e la mia Famiglia” e in quel momento prende per mano sua Moglie Valeria figlia di Diocleziano, continua dicendo: “Qui sono riunite le figure più importanti della penisola Ellenica: Generali, Nobili e Sacerdoti degni di stima, per cui ne approfitto per annunciarvi la mia prima Legge in qualità di Caesar. In verità ciò che presto vi dirò è stato fortemente voluto dall’Imperatore Diocleziano e con questo non voglio “lavarmi le mani” anzi il mio supporto e fiducia nei confronti dell’Imperatore è incondizionata. Dunque dichiaro ufficialmente che su tutto il territorio da me governato è ufficialmente bandito il culto del “Cristianesimo”. Tutti gli uomini che saranno sorpresi nel fare dei riti cristiani o nell’adulare quel loro Idolo saranno condannati alla morte.”




“- Sono passate poche settimane da quella festa e il discorso del Caesar è l’unico ricordo limpido che la mia testa riesce a ricordare benissimo, forse perché era l0unica cosa degna di esser rimembrata probabile. Ho riflettuto molto in queste notti e da quel che ho potuto apprendere dagli anziani, da ciò che riesco a ricordare io, questa è la prima volta che all’interno dell’Impero viene proibito un culto religioso i quali sono sempre stati riconosciuti e tollerati da Roma, certo molti popoli devono pagare un tributo per poter predicare, ma non si è mai ricorso alla violenza per debellare un Culto. L’idea che mi sono fatto è che probabilmente questo “cristianesimo” faccia quasi paura dal punto di vista politico più che religioso: in questo Culto si parla di un unico Dio il quale ha dato vita a tutti noi e a tutto ciò che possiamo vedere e i suoi seguaci sostengono che si il Re del Cielo e della Terra. Quindi se molte persone iniziassero ad abbracciare questo Credo e un giorno questo “Dio” decida di presentarsi a noi comuni mortali, da ciò che ho capito in realtà è già successo una volta, o peggio ancora un falso predicatore si autoproclama “Dio” l’Impero avrebbe un grande problema da affrontare.”




“-Da poche ore sono tornato da uno dei tanti viaggi ad Atene una delle città più belle e meravigliose di tutta la penisola greca, sicuramente la più ricca di cultura l’unica città dove si respira sapere e conoscenza forse alla pari con Roma, ma non sono qui per raccontarvi di Atene e le sue Opere. Prima di tornare qui a Tessalonica come di mio consueto mi sono fermato nel Foro della città sempre ricco di filosofi e politici li puoi trovare sempre sia con il sole che con la luna, con il caldo forte o con il freddo sofferente è una sensazione magica sentirli parlare.

Dalle loro bocche sapienti ho appreso la notizia tragica che un ennesimo impostore ha avuto l’arroganza, e la stupidità, di auto proclamarsi “Imperatore di Roma” ovviamente in maniera illegittima ma comunque seguito da un buon numero di soldati suoi fedeli. Carausio il suo nome era, parlo al passato poiché il suo destino è ormai segnato patirà di una brutta morte per mano della Spada della Legione Romana. Come lui negli anni purtroppo ci sono stati molti traditori che accecati dal potere credevano, forse in qualche forza divina, di poter diventare Imperatori e guidare l’Impero senza che nessuno si opponesse, sono tutti morti e come loro anche questo Carausio.

l’Illegittimo si trova in Britannia quella terra divisa da quel lembo di mare con la Gallia, molti dicono che sia un'Isola gigantesca ma nessuno può dirlo con certezza chi si è avventurato per scoprirlo si è perso nell’oscurità.

In difesa di Roma subito l’Augusto Massimiano, assieme al suo Cesare Cloro, hanno sguainato la spada e al commando delle loro Legioni sono in cammino per abbattere il nemico. L’Imperatore Diocleziano non è preoccupato minimamente ed ha molta fiducia in Massimiano e Cloro, Lui come Galerio sono inutili in questa Battaglia troppo lontani dal campo di combattimento arriverebbero a festa conclusa.”




“- Se del traditore in Britannia non c’è da preoccuparsi, il pericolo incombe sulle Province Orientali dell’Impero che da sempre convivono con un grande nemico alla porta: i Sassanidi i quali hanno sempre avuto l’ambizione di abbattere l’Impero e saccheggiare le nostre ricchezze. I politici Ateniesi dicono che alcuni messaggeri sono giunti alla corte di Diocleziano portando brutte notizie, molto confuse al dir la verità, non si conosce bene cosa stia succedendo in quelle province, ma l’ipotesi che sembrerebbe più vera è quella di un attacco dei Sassanidi.

Per ora queste sono solo teorie, nessuno conosce la realtà ciò è dovuto al fatto che in quelle province le città ne sono poche e molto piccole la comunicazione fra quelle cittadine è molto difficile figuratevi con il resto dell’Impero, spesso accade che a Roma la notizia di un attacco lungo il Limes Orientale giunge dopo mesi!

Qualunque cosa stia succedendo nei prossimi giorni lo saprò cercherò di restare in contatto con qualche mio amico ad Atene così appena lui saprà qualcosa potrà raccontarmelo.”


La saga di Neglfari


Impalamento Ammiano - Compendio



<<Mio Signore! I Cherusi tradiscono il loro sangue ed inviano missive lungo il Limes degli sporchi Romani!.. >>

Grida il consigliere Odorh facendo irruzione nella sala d'accoglienza del palazzo di Re Neglfari sventolando con la mano mancina un papiro in canapa egizia costernato di rune allineate in più punti del foglio a seguire con vari segni circolari al centro del foglio.
Un vecchio panzuto munito di una folta barba nera ed il capo rasato ma costernato di tatuaggi intonanti preghiere a Freya, non un abile guerriero ma molto competente per ciò che riguarda il consiglio del giovane Re ora seduto sul suo scrano in legno a lisciarsi la barba con un pettine intagliato in ossa di cervo ed intarsiato d'oro.

Al capo una corona sottile e circolare di battuta fresca con un grosso rubino rosso al centro segno del suo grande potere e delle sue acquisite ricchezze.
Fronte a lui nella sala oltre alle guardie munite di scudi tondi e asce vi era un povero disgraziato di una Tribù che due lune a dietro gli fù scioccamente nemica nudo come un verme ed impalato nel retto da un bastone appuntito e intriso di grasso.
Il malcapitato ha avuto la sfortuna di innervosire il sovrano che si gusta quella scena di sofferenza creando timore in tutti i suoi servitori ed anche i suoi soldati, mentre andava contorcendosi poiché il palo non aveva preso nessun organo vitale e dunque gli dava una morte atrocemente lenta. Tra le urla di lui e del consigliere Odorh poi si crea un dislivello ed il grasso consigliere oltrepassando come se nulla fosse il malcapitato giunge verso il trono del sovrano inchinandosi e porgendogli quel papiro.

Assolto dai suoi pensieri Neglfari rinsavisce ed afferra il papiro dandovi una leggera occhiara prima alla carta e poi al consigliere.



<<Aaahh...>>

Esclama mentre una scia di condensa lascia la sua bocca.



<< Radunate l'esercito... >>

Con estrema calma detta ordini mostrandosi chiaramente sicuro e per nulla sorpreso delle notizie apprese.



<<Roma... quanto ancora mi sorprenderà quell'ammasso di civiltà ed etnie a meridione.. >>

Ridacchia sotto la barba rossiccia il Re mentre ferma il movimento della destra poggiando il pettine lungo i braccioli dello scranno oscillando il capo e scrocchiando le ossa del collo.

<< Un uccellino mi ha detto che da settentrione un certo Carausio si è proclamato sovrano di tutta la Gallia... ehehe.. lentamente quell'impero decadente cade a pezzi tra punizioni divine quali peste ed i nostri spostamenti tra le foreste ad assalto dei loro cosi detti Limes... tempo al tempo Odorh!... tempo al tempo... avere più di un sovrano alla guida di un cosi vasto territorio porterà solo male ed anche divisione... prima occupiamoci dei Cherusi... non forniremo valenti soldati germanici per quanto essi possano essere disgustosamente definirsi civilizzati e latini...>>

Detto ciò il consigliere china il capo e senza voltarsi indietreggia fino ad uscire dalla porta.





Qualche passo dei piedi scalzi del Re lungo le assi di legno che lo separano dal disgraziato torturato dall'impalamento lo avvicina. Neglfari sguaina la spada e con un colpo secco fa sia volare la punta di legno che il capo del disgraziato che finalmente trova conforto nella morte.

Una piccola fontana di sangue segue vari schizzi che macchiano il volto del Re mentre lui lascia cadere la spada e si sposta lungo un bracere acceso allungando la mano verso le fiamme per bruciarla appena, gli occhi si sollevano e le sclere per un attimo paiono bianche mentre espira suoni sibilanti dalla bocca.



<<Presto... presto la morte scenderà sul capo degli imperatori... legioni verranno sterminate da orde di guerrieri germanici...>>



Divinazione

Portfolio - Luca Tarlazzi



Il tempo cura ogni cosa... il tempo cancella tutto, ma non cancellerà mai l'eredita che intendiamo lasciare ai nostri figli.

Sotto la guida lungimirante di Neglfari la società Germanica ha preso ad evolversi, grandi comunità iniziano ad operare nelle terre più fertili e calde abbandonando e lasciando solo ai pochi sacerdoti le terre sacre degli antenati, oltre che a qualche vecchio superstizioso.



Nuovi tragitti per il commercio da Oriente giungono ogni mese importando nel Regno Longobardo pregiate stoffe o cibi esotici. Le leggi cambiano alla svelta ed un vento di progresso soffia sulla società che nella mente di Neglfari era già ben formata e ben più avanzata rispetto a quella Romana almeno secondo il suo credo.



Il mondo esterno ancora ignora cosa lentamente si sta creando ad oriente in quelle lande che i Romani più volte provarono a conquistare ma che mai riuscirono a soggiogare del tutto poiché il Germano è di indole libera e battagliera al contrario di molti popoli che si sottomisero a loro durante i secoli a dietro. In quella terra fredda ed inospitale ove i vari centurioni pensano viva una comunità di selvaggi in varie lune furono creati sentieri e piccole strade per il transito dell'esercito e delle carovane mercantili. L'esercito si è espanso giungendo a numeri mai visti fino a quel momento organizzandosi sotto un unica bandiera e adattando il loro equipaggiamento ad uno standard imposto dai Generali.



L'atteggiamento di Costantino nei riguardi della magia | Storia Romana e Bizantina



<< Qui non vi è Malattia!... qui non vi è più peste gli Dei ci mandano un chiaro messaggio!..>>

Urla nella piazza pubblica uno strillone vestito in tunica a scacchi di lana di colore verde e rosso. Tra le mani una lastra di cera con varie rune scritte sopra, si porge sull'alto di un tronco mozzato cosi da essere visto ed udito da quel manipolo di uomini che gli si avvicina.



<< Al contrario di quegli sporchi Romani noi non abbiamo infettato la nostra terra con falsi idoli cristiani!.. noi ancora lodiamo Freya per la terra feconda ed inneggiamo al Dio Khor per la guerra!.. Re Neglfari sovrano dei Germani figlio di Gustafson il vecchio a sua volta figlio di Gustafh il Giovane, proclama che il Cristianesimo è una malattia che infetta le terre del nemico e che mai e poi mai potrà essere sopportato... dal terzo di della prossima luna sarà totalmente concesso per ogni cittadino perseguire chiunque sia sospettato o dichiaratamente Cristiano!.. Oltre a ciò il Re si mostra clemente con tutti i suoi sudditi e dichiara che a seguito della conquista delle terre dei Cherusi le tasse di questo semestre saranno abolite e riprenderanno regolarmente dal prossimo!... Lunga vita a Neglfari! >>



La folla esulta e l'oratore si crogiola in quell'attimo prima di scendere dal tronco andando ad appendere lungo uno steccato il papiro che aveva tra le mani cosi da farlo leggere a chiunque ne fosse in grado.



- - -



Bagno di sangue di Stoccolma - Wikipedia



<<Fuggite! l'orda Longobarda! fuggite mio dio fuggite!...>>

Gridava tra la disperazione e lo sgomento la gente lungo il confine Romano mentre fuggiva dalla cavalleria e la carica dei soldati del Regno di Neglfari la quale diede a fuoco ogni casa ed uccide ogni donna uomo bambino e vecchio che gli capitasse a tiro lungo i confini del regno Cheruso.



Vittoriosamente la testa di Thumelico il Vecchio veniva portata lungo le prime fila di cavalleria impalata si una lunga stecca cosi che chiunque potesse vederla e riconoscerla.

Il bagno di sangue che si è consumato lungo le notti precedenti ha lasciato una chiara impronta sia nella memoria dei civili Cherusi che dei loro soldati sconfitti e trucidati o fatti schiavi.



Qualche povero sciocco in fuga convinto di poter avere aiuti dagli stessi Romani che provarono a mettere dalla loro parte alla fine venne anche esso giustiziato oltre le mura difensive di questi ultimi.



Re neglfari con la spada issata oltre il capo ed il sole alle spalle gridava al cielo scuro e tempestoso godendosi il puzzo delle carni morte e delle ceneri delle case ed il cullare dei pianti di donne e bambini che andavano e venivano stuprati o uccisi in più modi disparati.



<< Mio signore...>>

Disse un soldato verso Neglfari ancora assopito in quel dolce cullare che guardava le nuvole tempestose ed udiva le voci dei suoi antenati che dall'altra parte festeggiavano e lo veneravano.



<< Cosa?...>>

Disse lui senza voltare il capo da quello splendido spettacolo nonostante lo scempio che ancora si consumava fronte a lui.



<< Sentinelle Galliche..>>



Disse il soldato indicando verso le colline lontane un manipolo di soldati con il vessillo dell'acquila Romana che li fissava da lontano.



<<Lascia che guardino.... lascia che ora Roma conosca il mio nome...>>



Per un attimo Neglfari abbassa lo sguardo puntandolo verso le colline ove i Romani lo osservano.



<<IO SONO NEGLFARI! FIGLIO DI GUSTAFOSON!.... IO SONO LA REINCARNAZIONE DELLA MORTE CHE SCENDE SU DI VOI!... ED UN GIORNO SIEDERO' SUL TRONO DELL'IMPERATORE DI ROMA! ED IL VOSTRO POPOLO SARA' CIBO PER VERMI!>>



Punta la spada verso di loro imitando il gesto di tagliare la gola.

Non è del tuttto convinto che possano sentirlo ma di certo possono vederlo.



Detto questo il massacro continua e sotto lo sguardo attonito delle sentinelle viene lasciato un villaggio in cenere ed i suoi abitanti impalati.


SAGA DI NEGLFARI

Assedio di Parigi (845) - Wikiwand



<< GLI DEI SONO CON NOI!... >>



Gridò l'impavido Re Neglfari issando la spada argentata oltre il capo e puntando le mura del castello sassone nelle terre a settentrione.



Ormai dopo mesi di duri conflitti e sanguinose battaglie il nome di sua eccellenza era conosciuto in lungo e largo per le terre della germania, popoli si sottomettono volontariamente a lui.

I Fieri Gepidi come anche i Vandali si sono genuflessi a lui ed i loro sovrani hanno ceduto le loro corone le quali sono state fuse in un unica corona.



Un unico popolo ancora resta impavidamente lontano dal sottomettersi sotto la bandiera della grande germania, i sassoni, fieri e impavidi nei loro castelli di roccia, ma anche incauti e troppo pieni di se.



L'alba del 21° Dì di questo ciclo lunare durante le primi luci l'assedio delle terre del Viborg è iniziato sfociando in una carneficina dei contadini sassoni ignari o convinti che Neglfari non avrebbe mai osato attaccare un popolo di guerrieri come loro.



Il castello dello Jarl Hvitserk IV fu assediato per giorni e settimane finché egli stesso stremato da fame e sete circondato su ogni fronte non si consegnò di persona.

Nonostante ciò che tutti pensarono il Re si dimostrò clemente e anziché giustiziarlo sul posto gli offri di servirlo chiedendogli di schierarsi contro il suo sovrano Harald il brutto.



<< Il nostro nemico è ad occidente non qui in queste terre fredde e brulle.. Solleva il capo Hvitsker IV figlio di Olafh... io sono il tuo nuovo sovrano, colui che erediterà il mondo ed unirà i popoli del Nord sotto un unica bandiera..>>



La guerra ancora non è finita per quanto sia stato semplice per Neglfari conquistare le terre dei popoli germanici a meridione, i sassoni erano considerati dai più ossi duri, difficili da combattere. Oltre ciò quelle terre ancora erano ignote per il giovane Re che intendeva spingersi ben oltre i loro confini solcando il mare verso i territori Norreni e dunque andava più cautamente alla conquista di nuove terre e genti lungo la grande marcia e l'esodo dei suoi 60.000 soldati.



Il re vichingo (2018) Dal Medioevo lettone | Il Zinefilo



Mille guerrieri sassoni sono periti durante la battaglia consumatasi in questi ultimi giorni.

Con l'avvento di Carausio nella Gallia settentrionale molto è cambiato, la stabilità che segnava un sottile equilibrio di potere tra tutte quelle micro nazioni si è rotta aprendo un varco che Neglfari ha deciso di varcare senza esitazione approfittando dello sconcerto e della distrazione dei più.

Egli stesso calcolò che la battaglia dovesse durare non più di 3 o 4 lune, "provviste a parte verranno razziate nelle campagne a scapito dei contadini" e questo è quanto egli decretò incentivando i suoi guerrieri a saccheggiare e stuprare quanto più possibile, poiché i suoi uomini dovevano essere alla stregue di un demone per le battaglie future a venire.



- - -

Riflessioni notturne



<<C'è chi nella rabbia vede solo disgrazia... e chi invece sà usarla a suo vantaggio mio signore.. voi quale delle due siete?..>>



Domandava Odorh in piedi alle spalle dello scranno di legno del sovrano posto fronte un camino nelle sale del castello dello Jarl Hvitserk.



<< Mhh....>>



Bofocchia il Re serrando le labbra e continuando a fissare le fiamme libere danzare lungo le canalette di roccia.

Negli occhi una strana luce lo circonda, quella stessa luce che solo i grandi conquistatori hanno.



<< Io sono Neglfari... e nessun'altro... non mi mescolo alla marmaglia di uomini comuni come te...>>



Secco riflette mentre socchiude gli occhi portando la mancina alla barba e lisciandola più volte.

Spesso il Re usava riflettere osservando il fuoco come se in esso potesse vedere i fantasmi dei suoi antenati... o chissà forse gli dei. La sua famiglia era conosciuta in tempi a dietro per avere poteri di Chiaroveggenza legata alle fiamme.

Suo padre gli disse un giorno della sua infanzia che la loro famiglia era stata maledetta da una strega delle montagne in tempi remoti e che da allora ogni primo discendente maschio della famiglia aveva la capacità di osservare avvenimenti presenti futuri o passati.



<< Avete una delle vostre visioni mio signore?...>>



Domanda il grasso consigliere da dietro di lui facendo qualche passo in avanti per accorciare quella distanza che li divideva ed anche per controllare che non stesse dormendo in quanto si era ammutolito per qualche minuto dalla sua ultima risposta.



<< Vedo... vedo molte cose.. la nostra sarà una chiara vittoria contro i Sassoni... vedo che ci spingeremo oltre i mari del Nord fino ai fiordi rocciosi delle terre scandinave... >>



Odor si sofferma a pochi passi da lui rimanendogli ancora alle spalle, in volto aveva un espressione di stupore e curiosità, più volte aveva voluto osservare quel tipo di avvenimenti che si manifestavano nel suo Re fin dal suo 15° compleanno.

Fin da quando aveva iniziato a servirlo e quest'ultime si erano manifestate non aveva mai sbagliato una predizione dunque egli credeva che realmente il Re potesse osservare passato presente e futuro.



<<Mio Re... avete dunque di che gioire no?..>>



Ridacchia scroficchiando come un maiale lui che subito viene interrotto dalla mano issata del Re che sporge dallo schienale di legno che lo copriva da dietro.



<<Odor... vino..>>



Dirà lui ignorandolo.



<< Si mio Re.. ecco... Ah!... i vostri occhi ancora!..>>



Nel appropinquarsi a consegnare un corno ricurvo di vino al suo Re si porta in avanti per poterlo osservare meglio, ma al suo sguardo si palesa lo sgomento non appena si rende conto che gli occhi del Re avevano preso a sanguinare lungo i bordi disegnando due linee continue verso il basso e tingendo di rosso vermiglio le sclere prima bianche.



Un effetto collaterare di quel suo potere o maledizione come la si voglia chiamare era quello che costringeva tutti i discendenti della sua famiglia a versare sangue dagli occhi e a perdere proggressivamente la vista con il tempo.



Quale triste destino attendeva il cosi detto Re Spietato? e per quanto ancora sarebbe riuscito ad andare avanti?...



Odorh non poteva fare altro che ripulire il volto del suo amato sovrano mentre questi impassibile continuava a guardare le fiamme come incantato, cos'altro stava guardando?


ROMA VINCIT

maggio 287 d.c. (anno 1038 ab Urbe condĭta)




In Britannia l’ordine è stato ripristinato e l'usurpatore catturato. Queste sono le notizie che circolano da un capo all'altro dell'Impero, per le strade di Roma in attesa del ritorno delle legioni vittoriose e del suo generale Tiberius.





Nello stesso momento una seduta del Senato convocata per l 'occasione si commentano gli eventi. Il senatore Roccus brandendo una lettera proveniente dai campi di battaglia rende partecipe l'assemblea dei particolari.





Le battaglie sono state cruente ma Roma ancora una volta ha prevalso. Le legioni hanno risalito il Tamigi fino a Londiniun e ricongiunte con oltre divisioni romano galliche fedeli all'imperatore, l'unico imperatore, hanno sferrato un attacco alla città che cadde nel giro di poche ore.



L'impostore vistosi sconfitto fuggì verso Ebacorum a nord della Britannia. Liberata la città l'azione bellica è proseguita verso ovest dove dopo una flebile resistenza le truppe ribelli sono state spazzate via. Tiberius decise allora di darsi all'inseguimento del traditore mentre le legioni della provincia gallica ripristinavano la legge di Roma e l'ordine sul territorio. L'assedio di Ebacorum fu più difficile del previsto in quanto l'usurpatore attendeva i rinforzi dal nord da parte dei Pitti in cambio del riconoscimento della loro sovranità dei territori situati a nord del Vallo di Adriano. Una volta circondata la città e averla isolata da rinforzi esterni iniziò l'assedio dell'ultima città in mano ai ribelli. Dopo una sanguinosissima battaglia, segnata da un'accanita resistenza la spada vittoriosa romana riporta la pace.





Carausio, l'usurpatore, sconfitto fu ritrovato all'interno di una fattoria poco fuori la città, messo in catene dai soldati sotto il comando di Cloro per volontà di quest'ultimo è stato consegnato a Tiberius come dono per Massimiano, ora lo aspetterà un lungo Viaggio per Mediolanum.







Dopo questa esperienza Massimiano ha deciso di riformare l'amministrazione dell'isola assumendo in prima persona la difesa del Vallo prima linea di difesa contro le incursioni dei Pitti.





Verranno istituite quattro province, a sud ovest la Britannia Prima, Britannia Secunda a nord della Britannia Prima e la Maxima Caesariensis dove è situato il Vallo andranno sotto il controllo di Roma, la Flavia Caesariensis la più grande che che comprende porzioni di Territorio che vanno da Londinium a Lindum ricadrà sotto la giurisdizione di Costanzo Cloro al quale inoltre viene affidato il compito pattugliare le acque dell'Oceanus Britannicus contro le scorrerie dei pirati. L' Imperatore conferisce inoltre al Cesare il titolo di Persicus Maximus per le vittorie in terra britannica.

{ - Il racconto di Helena - }

Diocesi delle Gallie



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Maggio del 287 DC



Jovis Dies



””Puella? Delicia vitae?? Dove sei??”” cantilenava l’innamorato alla sua donna con voce acuta, quasi stridente.



Si tolse l’elmo, scoprendo una folta barba bruna, castana come castani erano i suoi capelli, e cominciò ad esplorare la domus stanza per stanza alla ricerca della sua amata. L’uomo era intonacato di rosso pompeano dalle spalle alla cintura.

A prima vista si sarebbe detto: ecco un centurione di Roma. Era robusto, alto, slanciato: un albero. Eppure la sua vocina era davvero insopportabile... a tratti sembrava quella di un fanciullo pubescente e brufoloso. Chiunque lo avesse visto si sarebbe aspettato da quell’uomo un vocione virile e suadente, ma tuttaltro…

E pensare, che era lui a decidere della vita e della morte dei Galli…



””Ecco dove ti eri nascosta, ... !!!”” esclamò con entusiasmo il Cesare saltellando nel Gineceo, dove la sua donna amata era solita trascorrere i suoi riposi, lontana da quel balordo che aveva sposato pochi anni prima.

””Delizia della mia vita, quanto mi sei mancata… la Britannia è un posto buio e piovoso popolato da barbari, e quel Carausio… ohhh, meno male che ci sei tu a portare un po' di luce in questo mondo scuro!!””



Helena sprofondò annoiata nella morbidezza del triclinium, roteando i suoi occhi bruni e sospirando: sperava che quel citrullus sarebbe rimasto in Britannia ancora almeno per un altro mese, … e invece eccolo che già era di ritorno. ””Veni… vidi… e vici”” si vantò lui, orgogliosamente impettito: come se quel fringuello stonato potesse essere paragonato a Giulio Cesare.



La donna sbuffò e brontolando nascose la testa sotto al cuscino come quando all’alba si ha sonno e non si vuole essere disturbati; mentre lui continuava a parlottare senza freni, raccontando delle sue vittorie contro Carausio e contro i Britanni, le battaglie, le legioni, il sangue, Massimiano che lo aveva nominato Persicus Maximum, Marte che aveva fatto scomparire i nemici con un incantesimo, ed una carrellata di altre cose… ma che le importava a lei:

Lei voleva solo riposarsi nel Gineceo e trascorrere il tempo con le sue simpatiche ancelle, ma invece era costretta a sentire quella vocina sdolcinata farle eco nelle orecchie: ””… ti ho portato dei doni direttamente da Londinium, amoree!!!””

””Collane d’oro!”” disse lui, mentre il suo servo tirava i monili dal sacco, ””Gioielli, spille, e tante cose belle per te, Puella mia!””



””Mh...”” annuì lei con disinteresse, fingendo un sorriso dietro un’espressione chiaramente seccata.

Con la mano fece un gesto disinvolto come a dire: adesso puoi andare.



Ma Flavio Valerio Costanzo Cloro scosse il capo, fin troppo emozionato per potersene stare in silenzio: ””ti ho anche comprato una nuova schiava, eccola: viene da una terra lontanissima chiamata …. Eirelandum, o Irélanda… credo si tratti di un’isola.””

””… Portala via”” mormorò Helena al marito: che seccatura.

””D’accordo. Come vuoi...”” sospirò lui, ma senza amareggiarsi, c’era una sfilza di doni pronti per lei: ””… ti ho anche comprato un cavallo nuovo. Eccolo, si chiama Leocefalo, e… ””

””Porta via anche quel cavallo”” sbuffò, soffiandosi una ciocca di capelli, innervosita da tutto quel via vai di regali e regalini.

””M-ma...”” balbettò lui, mentre al suo fianco l’animale nitriva, guardandosi attorno confuso.

””Niente ma. Porta via quel coso…””



””… sono arcistufa di tutte queste smancerie, Costanzo! Sei tanto melenso da farmi ammalare allo stomaco con tutta questa dolcezza! … la schiava, il cavallo… E pensare che tu saresti il famosissimo Cesare delle Gallie: perché non mi hanno data in sposa a Galerio? Quello si che è un vero uomo”” lo rimproverò Helena, tramortendolo. ””… Puella, Pulchrissima, Deliciae...”” lo umiliò, imitando in farsetto la sua voce ””… uhhh, ti ho portato un cavallo, si chiama Leocefalo, uhhhh”” continuò gesticolando.

Le ancelle si trattennero finché poterono, ma scoppiarono a ridere anche loro.

Cloro, ormai era rosso per l’imbarazzo come una mela arrivata a completa maturazione. La sua pelle si era abbinata al colore romano della sua tunica, mentre il suo cuore trafitto dalla lancia di Helena, quasi batteva con fatica: il pover’uomo si sentì come poteva sentirsi l’Imperatore Claudio, quando venne sbeffeggiato da Seneca davanti tutta quanta Roma.

E per un momento ebbe proprio paura di essere l’Imperatore Claudio, ammazzato per un capriccio da sua moglie Messalina.

Sguainò quindi dalla fodera la spada e la puntò contro di lei, il suo braccio incerto e tremante.



Alcune ancelle si nascosero terrorizzate, altre rimasero a curiosare. Questi pettegolezzi erano all’ordine del giorno.

””Che vuoi fare adesso? Pensi di uccidermi?”” domandò la Greca deglutendo tra risate interrotte a colpi di pianto.

Il sangue le si gelò nelle vene, gli occhi si allargarono.

Il cuore accelerava i suoi battiti mentre la spada affilata dell’uomo proiettava la sua ombra su di lei.

Avrebbe preferito morire pugnalandosi al petto come Didone, e invece avrebbe condiviso il destino di quell’umile Medusa.

””Fallo”” lo sfidò in fine con coraggio, pur sempre timidamente: ””Giunone possa rompere questo orribile matrimonio.””



Il Cesare alzò quindi la lama verso l’alto, …ma perse la presa, e la spada cadde a terra con un suono metallico.

La pallida mano tremava ancora, e con essa tutto il braccio.

””Posso colpire un Gallo...”” spiegò cupo, ””… o un Britanno,”” balbettò sconfitto, ””… ma non riesco a colpire te, Helena.””



Helena tirò un profondo sospiro di sollievo… ””che citrullo!””

E quando Costanzo Cloro finalmente lasciò il Gineceo chiedendole scusa, poté ritenersi più che sollevata.



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La nobildonna greca era stesa comodamente sul suo triclinium, reclinando la testa sul cuscino morbito e scarlatto: una schiava macedone le pettinava i lunghi capelli nero corvino, mantenendoli lisci e profumati, un’altra si curava invece delle manine applicando su ciascuna unghia l’elegante porpora del sangue di calamaro. La serva alemanna ammorbidiva i suoi piedini con olii essenziali massaggiandoglieli, mentre un’ancella istruita cantava a memoria i passi dell’Iliade e dell’Odissea.

””Itaca. Terra mia! Guarda Ulisse: com’è bello il mare!””

””Il mare, si, il mare. Lanciati tra le acque del mare, Ulisse!””

Ascoltando quei versi le sovvenne il ricordo della Grecia, delle sue acque cristalline, il profumo del mare, il Sole della Bitinia.

E sospirò, malinconica.



””Helena!”” la chiamò poco dopo una voce maschile: no, non era Costanzo Cloro, ma il suo… “fedele”... “amico”.

””Afranio Annibalino”” esclamò la matrona Greca in punta di piedi, svelando il suo nome ””… che notizie mi porti?””



””Devo sincerarmi con voi, ma le notizie che ho con me non sono affatto buone, Helena…”” parlò lui, dopo che le ancelle pettegole vennero fatte allontanare, ””… ormai tutti patrizi di Civitas Treverorum sono stati informati della tua decisione di convertirti al cristianesimo: una delle vostre serve deve aver parlato...””

””Maledetta Lucilla, non tiene mai la bocca chiusa quella!””

””… presto Cloro saprà della tua conversione. E temo che saprà anche di noi due”” tremò, guardando negli occhi quel suo amore segreto. ””Devi scappare, Helena, corri: và, prendi questi papiri, sella in monta a quel cavallo e và in Palestina terra di Cristo, porta con te anche il piccolo Costantino”” disse lui con tono preoccupato, stringendola tra le sue braccia.

””… le Gallie saranno avvolte dalle fiamme prima di questo inverno. Il re dei Germani ha urlato contro Roma. Io c’ero, questo Febbraio al Limes: non capivo cosa quel barbaro stesse dicendo, ma i suoi latrati cagneschi erano più che chiari... E poi i Galli stanno cominciando a non approvare l’operato di Cloro, molti di loro si stanno convertendo. Qualcuno sobilla la rivoluzione…”” le rivelò,

””… purtroppo io non posso venire con te, Helena.””



””Tranquillo, capisco”” sincerò lei, accarezzando le guance e sorridendogli,

””… devi restare, dopotutto avevamo un accordo riguardo Cloro.””

Si abbandonarono alla passione, prima di lasciarsi,

chi sà se si sarebbero mai rivisti.



Quella notte Helena montò sul cavallo Leocefalo e partì per la Palestina.


Racconti orali maggio 287d.c.



I primi effetti del nuovo regnante sulla riorganizzazione della tribù si fanno sempre più evidenti, da qualche mese si è abbandonato il baratto negli scambi commerciali, si è cominciato a battere moneta propria, si fanno accordi commerciali con le popolazioni vicine, inoltre si è cominciato a coltivare sistematicamente le terre e si sviluppa l'attività della pesca.



Ma gli unni rimangono un popolo di nomadi e guerrieri e questa stabilità seppur accettata stanca in fretta, inoltre una tribù ribelle degli alani da un po di tempo premeva sul confine nord con frequenti incursioni e razzie.









Si riunisce così il consiglio dei ventiquattro clan, alla destra di Modu siede Poskar che prende la parola per primo "fratelli miei siamo qui oggi per parlare di una grande minaccia che da mesi turba la nostra quiete e prendere una decisione". La parola passa al Capo clan più anziano Meske che suggerisce di inviare dei messaggeri per iniziare una trattativa, ma non fa in tempo a finire la frase che lo interrompe Fretir testa di Ferro "siamo dei guerrieri non un popolo di contadini inermi, avremmo pur imparato a coltivare e a pescare, abbiamo imparato a commerciare più frequentemente di quanto razziamo, ma non dobbiamo dimenticare le nostre origini, dobbiamo dimostrare la nostra forza e non dialogare con loro, è ora di fare guerra" suscitando nei presenti un fermento che li indurrà ad acclamare la guerra. Del suo scranno si alza Modu fa cenno con le mani di fermarsi e quando la avvolse un religioso silenzio escalmò "ho ascoltato i vostri preziosissimi consigli e sono giunto alla conclusione che la guerra sia la decisione da prendere, ma prima, miei cari fratelli mi dovrò consultare con lo sciamano per scoprire se gli spiriti sono con noi".





Ricevendo parere positivo, Modu diede l'incarico a Poskar di reclutare gli uomini per la spedizione che partì per il nord una

settimana più tardi.





Gli alani avvertito il pericolo formarono in fretta e furia la difesa di loro territori ma fa tutto vano, la furia omicida degli unni si abbatté su di loro senza pietà, villaggi furono rasi al suolo, le donne fatte schiave e gli uomini uccisi, fu un vero e proprio massacro. Non servirono neanche i rinforzi provenienti da altre località perché anche loro trovarono una brutta fine. Gli unni tornarono a fare ciò che gli riusciva meglio, seminare il terrore laddove mettessero piede.









Con loro si era unito anche il giovane figlio di Poskar, che non aveva mai avuto un’esperienza di guerra se non nei racconti degli anziani. Preso dal timore passa i primi minuti in una quasi paralisi che per poco non gli costò la vita, salvato dal padre lo scosse così forte e lo incitò a finire l’alano che lo stava per uccidere, “uccidilo!! Fai il tuo dovere!”, prese un lungo sospiro Tekir trafisse il costato del nemico inerme, per poi buttarsi nella mischia ma sempre sotto l’occhi vigile del padre.







Ritornato a Balik accolto da gente festante, Modu pronunziò queste parole "Oggi non abbiamo solo sconfitto gli alani, oggi abbiamo dato un segnale della nostra potenza ai nostri nemici vicini e lontani, oggi tutti ci conosceranno e ci temeranno, la nostra espansione è solo all'inizio"


Venti di guerra
aprile 287 dc



Discussioni nella sala grande



E' mattina presto. E' una giornata come tante ad Haltzar, capitale del regno skula. I più piccoli giocano a rincorrersi fra le case, gli allevatori mungono del latte fresco, la sentinella passeggia sulla torre di avvistamento e i cacciatori si preparano per una nuova spedizione.



Nonostante sia mattina presto, Re Skules è già sveglio, in piedi dentro la sua abitazione che fissa il vuoto.

E' pensieroso. Sul suo volto, ricoperto da cicatrici di centinaia dibattaglie, un'espressione cupa e accigliata.







La sera prima re Skules e il gran consiglio, composto dai quattro capitribù, presero un'importante decisione per il destino del popolo della steppa.



Da diverso tempo i popoli che abitano le terre a nord della steppa sono riusciti nel loro intento, sconfinando ed edificando oltre il confine. Inizialmente si trattava di un lieve sconfinamento, limitandosi a qualche battuta di caccia nelle foreste vicine. Dopo poco tempo seguì una vera e propria migrazione in quelle terre prospere di selvaggina, costruendo dei veri e propri insediamenti nelle terre sotto il controllo skula. Ogni tentativo di dialogo con questa civilità, frammentata in centinaia di tribù e sprovvista di un'unica guida, fu vano. Tentativi necessari pur di evitare altre battaglie e altre perdite.

Il gran consiglio in risposta a questi abusi propose al proprio re di mobilitare le truppe, impugnare la spada e scacciare via questo popolo per ripristinare l'ordine ed evitare di creare un precedente che possa attirare le altre tribù nomadi. Inzialmente re Skules dissentì, esclamando: "un'altra guerra? avete così tanta voglia di mandare i nostri uomini a combattere e morire?".



Si dovette ricredere; i nomadi del nord continuarono a giungere nelle terre sotto il suo dominio, pronte a depradare tutte le risorse sul loro cammino.



"Mio re" - esclamò Hoimir, capotribù Uhrik - "se non corriamo ai ripari ci ritroveremo questi nomadi alle porte della nostra capitale. Non possiamo aspettare ancora!".

"La guardia reale è già pronta a partire mio sovrano, attende un vostro segnale" aggiunse Ektar, capotribù Novarik.



Il re è dubbioso. Conosce bene l'importanza del parere del gran consiglio ma l'ultima parola spetta a lui. Una guerra può favorire l'espansione del proprio popolo, può favorire il commercio di schiavi e di altre risorse ma costerà molte vite. Ma sa bene che se non si aggisce per tempo, la situazione al confine potrebbe compromettere persino le relazioni con gli altri popoli confinanti.



Dopo una attenta analisi, Skules si alzò e dopo qualche minuto di silenzio disse: "Così sia! inviate la guardia reale al confine, seguiranno altri rinforzi".



























Ha inizio una nuova campagna militare per i popoli della steppa. Mentre cavalieri si radunano pronti a partire, le donne anziane del villaggio iniziano ad intonare una antica canzone di auspicio per accompagnare i prodi guerrieri alla battaglia.
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Partita GDR | Diocleziano (di Mussulmanopazzo) 16/03/2021 Empty Re: Partita GDR | Diocleziano (di Mussulmanopazzo) 16/03/2021

Messaggio Da Falco Mer Feb 09, 2022 2:15 pm

LA SAGA DI NEGLFARI

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Giugno 287 DC

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Germanic Warriors Storm the Field in the Varusschlacht (or Battle of... | Download Scientific Diagram



Le terre che sboccano tra i mari del Nord, popolate per lo più di sassoni ora non risultano più tanto diverse dal resto delle terre di Germania. Re neglfari ha acquisito un grande nome tanto da far sentire il suo nome anche nelle terre più ad oriente distanti mesi e mesi di cavalcatura. La Sua gente ha smesso di soffrire la fame ed il freddo inverno riunendosi sotto un unica bandiera seguendo il loro grande condottiero e collaborando come un unico enorme paese. La Regolarizzazione degli editti e delle leggi del sovrano venivano imposte severamente cosi che nessuno potesse ribellarsi ma anche tra le teste più calde di varie tribù, salvo rare eccezioni di vecchi pazzi mendicanti o guerrieri sconfitti e sopravvissuti troppo a lungo nessuno conosceva malevolenza nei confronti di Neglfari. La sua ira era considerato un potere divino e la sua severità per quanto brutale era presa ad immagine della sua forza smisurata concessargli dalla sua discendenza con Khor il dio della guerra e delle fiamme eterne.


La Grande Invasione Pagana

<<Mio Signore è ora di dare l'ordine..>>

borbottava il grasso consigliere Odorh alle spalle del suo Re che puntava verso l'occidente nelle terre della Gallia ove i popoli germanici delle Ardenne erano soggiogati dal dominio Romano.

L'instabilità causata dal dominio di Carauso ed il suo discendente è stato quell'attimo di svista che il Sovrano da tanto agognava, quell'errore fatale che l'Impero ormai già in decadenza non doveva permettersi di avere soprattutto se conscio che ad oriente una tigre famelica attende che vi sporgiate un po'.

Neglfari stava sul suo destriero bianco agghingato con la sua armatura di ferro lucente e la spada intarsiata con dorature fatte dall'ottone sul manico che si ripiegava con una gabbia sulle sue mani cosi a proteggere meglio l'impugnatura, ancora riposta nel fodero in attesa di essere sfoderata per dare il comando di iniziare l'assedio. Nell'aria era tanbilile una forte tensione, ognuno di quelle persone parte di un popolo diverso aveva sentito udire dei Romani, formidabili guerrieri che combattevano in formazione, sapevano anche degli innumerevoli popoli sottomessi da loro, ed anche se il loro numero era sorprendente e le linee organizzate ancora c'era chi avrebbe voluto tornare indietro.
Ma non si va nel Valahllah da coardi e non si entra nelle saled i Odin fuggendo, con loro avevano la guida che li aveva dominati tutti, dai Goti ai Cherusi fino alle linee più orientali oltre monti e foreste, lentamente si era creata la grande confederazione Germanica ed Neglfari ora era rispettato alla stregua di un Dio.

Lentamente con la mano destra sfila la sua spada luminosa quanto il sole che gli si rifrange sopra ed in un germanico stretto urla:

<< CARICATEEEEEE!...>>

L'eco della sua voce rimbomba tra le pianure ed un rullo di tamburi prende a battere ed i soldati a marciare superando il confine delineato dal Reno.

- - - -
Ammiano, Olimpiodoro e Prisco | ilcantooscuro



A magione imperiale delle terre di Berlin cuore della confederazione, si presentarono tre strani individui dai lineamenti orientali, il volto schiacciato e le spalle larghe e la stazza bassa.

<<Chi di grazia siete voi? >>

Domanda uno dei consiglieri minori sottoposto di Odorh il Signor Gulfridh un individuo di poco conto ma comunque incaricato di tenere al sicuro il palazzo e di dirigere le regolari mansioni per conto del sovrano in sua assenza insieme ad una numerosa squadra di suoi pari. Dall'aspetto bulbero e barbuto oltre che vecchio e rugoso la prima cosa che andava puntando verso il volto di questi tre tizzi a cavallo erano gli occhi e le strambe barbe sottili.

I tre probabilmente non capivano una singola parola di ciò che diceva difatti questi si limitano a fissarsi negli occhi per poi allungare una lettera riportante un sigillo da strani caratteri impressi nella cera. Lui tutto scocciato sbatte la lingua sul palato prendendolo ed aprendolo rompendo in parte quel siglillo, un respiro lo lascia sfastidiato mentre va a leggere il contenuto che stranamente risultava comprensibile ai suoi occhi in quanto scritto nella sua lingua nativa. Dallos guardo sbigottito fissa prima i tre e poi li lascia accomodare.

<< Ah... prego da questa parte signori.. sua maestà sarà molto contento di vedervi al suo ritorno..>>

I tre alla fine si rivelarono essere messaggeri per conto di Mudu Khublai Khan del suo popolo leader del popolo degli unni lungo la via della seta settentrionale. Egli chiedeva di formare un alleanza ed di unirsi contro i Romani e chiedere loro un tributo in cambio della pace.


Racconti orali giugno 287 dc


Mesi sono passati dal primo attacco alla tribù ribelle degli alani sottomessa in poco in tempo. Ora la guerra è molto più impegnativa del previsto da nord il regno degli alani resiste in maniera eroica tanto che è stato necessario anche l'intervento dei nuovi alleati del popolo delle steppe. Le battaglie sono cruente, Mudu stesso è sul campo di battaglia in prima fila a battaglaire contro i nemici. Si narra che a Sirminsk una freccia gli sfiorò la guancia lasciando il sovrano indifferente all'accaduto e che anzi si scagliò subito dopo nella mischia dando coraggio ai suoi uomini che a loro volta si buttarono in battaglia con una foga tale da mettere in fuga gli alani. Presa la città e mandato qualche messaggero nel campo del popolo delle steppe si preparava la grande invasione a nord per mettere la parola fine alla guerra e sottomettere definitivamente questi territori.





Intanto all'interno dei confini gli unni si specializzavano nel commercio essendo in un punto cruciale tra l'ovest dominato dai romani e l'est governato dai cinesi. Si puntava anche ad ampliare le relazioni diplomatiche in modo da non essere più assoggettati ai capricci dei romani. Per questo motivo il sovrano incaricò il suo primo consigliere di dirigersi verso i territori delle tribù germaniche delle quali aveva tanto sentito parlare oltre al fatto che erano sul confine romano. Poskar dopo essersi fatto scrivere una lettera da un viaggiante provinete da quelle terre sconosciute fino ad ora decisero di mettersi in viaggio. Una volta inoltrati dentro queste terre selvagge piene di foreste transitando da villaggio in villaggio, con loro grande stupore scoprirono che a differenza di quanto si racconatasse queste tribù non erano più divise ma anzi sotto il regno di Neglfari si era attuato un processo di unificazione creando anche un potente esercito. Giunti alle porte risiede il re gli emissari furono fermati da delle guardie. La comunicazione fu difficoltosa fino a quando Poskar non tirò la lettera preparata in precedenza, una volta letto il contenuto le guardie cambiarono atteggiamento, ora erano molto pi disponibili e li invitarono a gesti a seguirli verso la dimora del Re. Anche nell'incontro col sovrano le difficoltà furono molteplici fino a quando non venne chiamato un suddito che per via del suo lavoro da mercante era spesso in viaggio in asia e aveva più volte incrociato quelle popolazioni. Il mercante cercò di tradurre al meglio quando Neglfari intuendo il vantaggio di un accrodo per la prospettiva futura dove non essere più subalterni ai romani, ma anzi di parità se non qualcosa di più si mostrò molto entusiasta della proposta tanto che alzatosi dal suo trono afferrò una caraffa e cominciò a riempire i calici e offerto da bere agli ospiti alzò il suo e urlò "Skoll" facendo un cenno che induceva a brindare.





L'alleanza era sugellata, Poskar e gli altri due emisari passata la notte si rimisero in viaggio verso il fronte dove ancora si stava ancora combattendo. Questo accordo potrebbe rappresentare un punto di svolta per tutte le popolazioni barbare della regione che si sono sempore combattute tra di loro favorendo le mire espansionistiche romane che avevano adottato la strategia del divide et impera.

Fiat iustitia, ruat caelum luglio287 dc (anno 1038 ab Urbe condĭta)




I confini della Britannia ora sono al sicuro, un’imponente opera di fortificazioni è stata messa in atto, i turni di guardi sono stati raddoppiati, e ancora qualche velleitaria incursione dei pitti si segnalano nei confini ma sono vane. Ma l’imperatore che dimora a Mediolanum riceverà notizie poco confortanti che lo porteranno ad agire in fretta. Costanzo Cloro dopo in quei giorni infatti informava che se dalla Britannia le notizie erano confortanti, lo stesso non si poteva dire del confine della Gallia belgica dove un certo Alletto si è autoproclamato imperatore e successore di Carausio e ora minaccia seriamente i territori gallici e direttamente l’Italia visto che tre legioni che stazionano vicino Mediolanum hanno disertato per unirsi all’usurpatore prendendo possesso della cittadina di Turicu. Massimiano in persona ha preso il comando della spedizione per sopprimere questa spregevole rivolta in Helvetia, le legioni hanno facilmente riconquistato la città in mano ai ribelli riportando l’ordine.







Negli stessi giorni facevano ritorno dalla Britannia la X legione vittoriosa del Generale Tiberius al quale spettavano le onorificenze per la campagna di Britannia e con loro in catene, si accompagnava il traditore Carausio. Ad attenderlo a Roma ci sarebbe stato un processo per crimen perduellionis. Ma Tiberius passando da Mediolanum aveva un altro compito, quello di consegnare all’imperatore una lettera di Costanzo Cloro.



Nella lettera vi era la richiesta del Cesare di ritrovare la moglie Helena scomparsa, forse rapita da qualche giorno. Massimiano scuotè il capo esclamò "ah le donne, ci procurano più preoccupazione dei barbari".

Sapendo che la meta era certamente l’oriente venne ordinato di perquisire tutte navi in partenza per Byzantium e quelle per la Palestina e mandando in ogni parte dell'Impero uomini fidati alla ricerca della donna.



















Giunto a Roma Carausio fu condotto al foro in una struttura chiamata tribunalia. Il praetor sedeva sulla curulis mentre ai suoi lati sedevano i giudici mentre tutt’intorno si sistemava il pubblico disposto a corona in più file concentriche. La causa era divisa in due fasi: nella prima l’accusatore chiedeva al pretore la postulatio e continuava a ad esporre le accuse e procedeva all’interrogatorio dell’accusato. Se questi non ammetteva la propria colpevolezza, era fissato un giorno per lo svolgimento del processo vero e proprio, e Carausio pronunciandosi innocente fu costretto a comparire il giorno dopo per la seconda fase. Dopo citatio l’accusatore un certo Fabius della gens Claudia esponeva la sua oratio perpetua a cui seguì l’altercaztiodella difesa. Una volta esaminate le prove i giudici si riunirono per le votazioni ed emettere il verdetto. Ovviamente la colpevolezza fu scontata e la pena fu la massima, l’extremum supplicum tramite la damnatio ad bestias non prima però di subire la fustigazione pubblica con trenta frustate, infime condannato alla damnatio memoriae.











Il giorno dell’esecuzione l’Amphitheatrum Flavium era particolarmente pieno. Quella di Carausio fu l’unica esecuzione della pena capitale di quel giorno prima che cominciassero i giochi. Il condannato venne portato al centro dell’arena e legato ad un palo. Gli animali usati furono le linci, le iene e i cani in modo da non poter causare la morte nell’immediato. Le bestie non si avventarono subito sul condannato ma lo avvicinarono lentamente fiutandone l’odore per poi passare all’azione, i cani cominciarono ad azzannare le gambe, Carausio cercava invano di scalciare ma subito dopo si avventavano due iene che cominciarono a strappare lembi carne da diverse parti del corpo. Dopo venti minuti le difese del traditore si facevano sempre più flebili mentre gli attacchi delle bestie erano senza sosta, una lince gli stacco una mano e il sangue cominciò a zampillare dal polso mutilato, mentre la coscia sinistra era stata quasi tutta sbranata tale da veder l’osso femorale. Lo spettacolo tra le urla del pubblico andò avanti per altri quindici minuti quando l’usurpatore esalò l’ultimo respiro. Giustizia era stata fatta.


{ - Il racconto di Helena - }

Diocesi delle Gallie



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Agosto del 287 DC



Mercuriae Dies



Helena si sedette sul triclinium lasciandosi affondare nella sua morbidezza, e dopo essersi levata il velo azzurrino che le copriva il volto sospirò di noia e malinconia, le ciocche dei suoi capelli si librarono nell’aria, nere come le piume di un corvo, lisce e deliziose come la seta prodotta nel lontano Oriente.

Il suo cavallo Leocefalo sputava aria dalle narici, e lei accarezzava con dolcezza la sua criniera pelosa, bionda come quella dei Germani: ””sei proprio un barbaro, Leocefalo: sarai mica un alemanno?!”” commentò scherzosamente la donna.

Il cavallo replicò nitrendo e slinguazzandole la mano, che lei ritrasse con non poco disgusto. ””Eww.””



Beh, adesso sia lei che il suo figlioletto Costantino erano esuli nell’arida terra di Palestina: la Giudea in cui Cristo nacque, crebbe, predicò, e fu messo a morte.

Il cammino non fu per niente semplice, o privo di ostacoli:

… innanzitutto, sebbene Helena fosse partita l’equinozio di primavera, nella fredda Gallia c’era ancora la neve a ricoprire i sentieri, e il povero Leocefalo rallentava, pavido, e timoroso di scivolare ad ogni passo.

Poi, superato l’arco alpino, si trovarono di fronte ad un accampamento di veneti eccessivamente ubriachi, e per evitare problemi dovettero deviare la strada di due lune, rimanendo senz’acqua e senza viveri. Fu quindi a Genua Marittima, che Helena dovette affidarsi ad un mercante fin troppo spilorcio, e anche malintenzionato… dai modi assai volgari.

Le restavano in tasca soltanto 300 sesterzi d’oro: pochi per una nobildonna come lei, ma abbastanza per comprarsi un piccolo vascello, marinaio compreso.



Leocefalo era un cavallo, perciòaveva il mal di mare: nitriva tutte le notti, come un’anima sconsolata.

La nave liburna passò accanto alle coste del mare di Grecia. E fu là, che Helena pianse, rammentando i vent’anni della sua fugace giovinezza trascorsi tra le acque cristalline, e sotto al sole cocente della Bitinia. Ma Cloro purtroppo aveva diramato a Galerio e Massimiano l’ordine di cercarla in tutte le province dell’Impero.

E lei sicuramente non voleva tornare nelle grinfie di suo marito: quel citrullo effemminato che si credeva un Cesare.



Passarono così 40 lune e intanto la Siria era stata messa a ferro e fuoco dai Sasànidi, che Galerio e Diocleziano rispedirono in Persia, con la stessa facilità con la quale l’Achille di Zenone superò nella gara di atletica una tartaruga pigrona. Fu in un clima come questo, che la liburna poté attraccare al porto di Beirut: che pullulava tra i tanti, di assassini e astuti mercanti.

Helena comprò per 10 sesterzi i servizi di un beduino che la difendesse dalle minacce del deserto, si mise a cavallo di Leocefalo, e assieme superarono le dune impervie, le tempeste di sabbia, … e il Sole … che in quella parte del mondo è un dio assai cattivo, … tanto avaro da prosciugarti tutta l’acqua che si ha in corpo.

Molti là attorno morirono proprio a causa del Sole, spiegò più tardi il beduino indicando un punto tra le sabbie.

Sotto quelle placide dune si nascondevano i cadaveri mummificati di centinaia di uomini, mille migliaia, se non di più: un lento olocausto sepolto nei millenni, dimenticato dai papiri della storia.



Grazie a Dio, loro in Palestina ci arrivarono sani e salvi.

Il cielo di Gerusalemme era di un azzurro chiaro. La luce si rifletteva sui campanili dei templii e sulle cupole d’oro. Gli ebrei con le kippah si inchinavano qua e là, senza un motivo apparente, rivolgendo lamentevoli preghiere a Yahweh: il dio onnipotente che tutto vede e tutto tocca, … specialmente il danaro.

Mentre dietro di lei, un falso predicatore esalava il suo ultimo respiro prima di essere lapidato da schegge ardenti: ””ah, questi ebrei… dovrebbero fare incetta di filosofia greca anzicchè passare le giornate a tirarsi pietre addosso.””



Helena ringraziò il beduino per averla accompagnata in questo lungo viaggio: del resto quel giovane viandante fu con lei gentile, affabile, e la seppe intrattenere col prestigio d’un mago raccontandole antiche leggende arabe: storie di jinn e principi maledetti. Se fosse stato anche un bell’uomo, la Greca lo avrebbe congedato con molto più che una semplice mancia di 50 centesimi… in fin dei conti quel che si dice sui greci è proprio vero: sono un popolo di lussuriosi, e la loro perversa libidine non ha limiti.



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Sbuffò spossata sul triclinium della sua domus coccolando in grembo il piccolo Costantino,

quando improvvisamente entrò come colomba di pace dalla larga finestra un piccione, che tra le sue zampette recava per lei una lettera.

Helena si riprese come d’un sussulto dai suoi affanni, e la aprì senza batter ciglio,

era da parte del suo ”carissimo amico”, Afranio Annibalino.



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””Vivemus, et amamus intra secula seculorum, Helena mia”” lesse quei versi trasognata, scandaldosi già il cuore con la voce profonda dell’uomo amato,

””Oh, dolce Helena mia. Che Leocefalo nitrisca dandoti conforto nella solitudine, e che la Palestina possa darti tutta l’ospitalità che io, mio rammarico, non ho potuto dare a voi,

non mi pento tuttavia d’avervi mandata a Gerusalemme, e non userò questa lettera per ribadire un amore che è ormai ovvio ad entrambi, … ma per tenervi informata sui fatti della Gallia, di Roma, … e di Cloro.””



Il sorriso incantato della nobildonna si trasformò ben presto in una smorfia di disappunto: dall’incipit si aspettava una poesia d’amore, e il suo cuore già chiedeva di essere saziato di parole dolci, … invece era politica! Volgare, bietta politica.



””Quanto a Cloro, ho ben poco da dirvi, Helena: ho fatto quello che la tua bella voce mi aveva sussurrato.

Ho avvelenato Costanzo Cloro la scorsa sera appena tornato dal Belgio, inquinando il suo vino con dell’arsenico. E ho manomesso il suo testamento, cosicché all’indomani sarei stato io, Afranio Annibalino, il nuovo Cesare delle Gallie.

Dovevi vedere il cadavere di Cloro, consumato dal veleno, e contorto in una posa di dolore. Avresti sorriso, quel tuo sorriso che tanto mi manca. L’arsenico cuoce la pelle, d’un colore rossiccio, come aragoste nell’acqua bollente.

Devo dirti francamente, che di sospetti ne ho attratti non pochi: ma questo è un momento difficile per Roma, e ai senatori non importa chi sia Cesare e chi no, l’importante è che ci sia qualcuno che comandi.

Così, con poche cerimonie, eccomi diventato Cesare delle Gallie!!””



””Oh, Helena: quanto mi piacerebbe dirti… “ecco, ora puoi tornare, e porta con te anche il piccolo Costantino, che regnerà”,

invece, mi trovo a doverti dire: “restatene in Palestina perché il sangue scorrerà nei fiumi delle Gallie”… lascia che ti racconti””



””Si dice che il re dei Germani abbia stretto una alleanza con i Sarmati, che abitano le steppe… e con altri popoli che vivono nell’estremo oriente del mondo conosciuto: là nell’estremo confine, dove i loro occhi a mandorla sono così piccoli da essersi ridotti a semplici fessure dove passa la luce... Si chiamano “Khunni”, “Hunni” o forse “Unni”. Sono piccoli e gialli, metà uomini e metà cavalli.

Credimi amore: al di là della frontiera si sta formando una specie di Imperium Barbaricum. E questi barbari si stanno muovendo contro Roma come un sol popolo!! Ohh, possano Diocleziano, Galerio, e Massimiano unire le loro forze e resistere all’assalto impetuoso che si sta per abbattere contro la povertà di Roma!!””



La donna si portò una mano al petto, preoccupata per la vita del suo Annibalino, ma continuò a leggere la lettera con morboso desiderio.



””Quanto a Roma,

dopo la notizia della morte di Cloro i Galli sono arrivati all’apice dell'esasperazione… Civitas Treverorum per esempio… mentre vi scrivo è assediata da una rivolta. Ho provato ad ammansirli, smarcandomi dalla politica romana… ma ho paura di apparire come l’ennesimo traditore della Città Eterna: e il mio nome, il nome di Annibalino, non sarà accostato a quello di Carausio, impostore.

Questi Galli sono indomiti e ribelli per natura, già nel ventre materno nascono con la passione nel sangue. Ti lascio indovinare qual'è la massima della loro rivoluzione: libertas, fraternitas, equalitas. Rivogliono la Respublica!



C’è da dire anche una cosa positiva tuttavia: e cioé che il cristianesimo sta spopolando presso i Galli scontenti di Roma.

Dunque, ho emanato per mano mia un editto che ai Galli dovrebbe piacere, ma che dovrebbe far storcere il grosso nasone di Massimiano: ho prima garantito tolleranza religiosa nei confronti dei cristiani … in tuo onore mia amata Helena, e poi, ho dato fuoco a tutte quelle leggi sulla romanizzazione della Cultura Gallica: libertà è la mia parola d’ordine.

Prenderò accordi con il Papa, e porterò pace ai cristiani di Gallia.

Sono consapevole di aver commesso un gravissimo errore: sono solo un Cesare di Provincia in fondo, e non posso emanare editti che sono antitetici alla politica romana. Ho scavalcato l’autorità centrale, prendendo decisioni autonome!

… Tuttavia, spero che Massimiano mi perdoni.””



Helena baciò la lettera con la passione di chi bacia le labbra,

e pregò non soltanto il suo nuovo Dio, ma anche i vecchi déi pagani,

di essere vicini all’anima di Afranio Annibalino, e consolare il suo cuore affranto,

guarendone le ferite col tocco gentile di chi conosce l’Amore.


L'espansione commerciale

settembre 287 dc


La steppa è una terra ricca di risorse e la popolazione skula, grazie alle passate influenze greche, ha capito come sfruttare queste ricchezze. Di recente alcuni rappresentati provenienti da Roma sono sbarcati sulla costa. Nonostante le titubanze iniziali da parte del gran consiglio, Re Skules ha accordato delle tratte commerciali fra le due civiltà. Fra le merci ricercate ce n'è una di cui i romani non posso farne a meno: gli schiavi.




La campagna del nord




Dopo la decisione di Re Skules e del gran consiglio, la guardia reale - comandata dal giovane principe Skilurus, figlio del Re - alle prime luci del mattino si è diretta a nord della steppa. La spedizione per ripristinare l'ordine nella regione al confine dei territori skula si è trasformata in poco tempo in una vera e propria campagna militare.




<<Figli della steppa! Fratelli miei! - esclamò Skilurus, indicando con la sua lancia la posizione dei nemici al di là della collina - lì i popoli nemici usurpano le nostre terre, si prendono gioco di noi e fanno razzia delle nostre risorse. Rispediamoli oltre le nostre terre!>>. La terrà iniziò a tremare nel primo accampamento alano posizionato proprio ai piedi della collina. Ad un certo punto la cavalleria si scagliò con tutta la sua forza sui villici inermi mentre svolgevano le loro attività quotidiane. Gli accampamenti furono dati alle fiamme. Alcuni alani furono catturati, molti furono uccisi e a loro fu preso lo scalpo mentre ai bambini furono graziate le giovani vite e lasciati andare. Qualche superstite, riuscendo a fuggire, diede l'allarme ai villaggi nelle vicinanze che organizzarono un'esigua resistenza.




Nonostante gli sforzi, gli alani caddero tribù dopo tribù fino alla loro totale disfatta. Il giovane principe, alla testa della sua guardia reale, faceva ingresso nei diversi villaggi stringendo fra le mani una corda che stringeva tutte le teste dei capitribù sconfitti.


Nella capitale skula si banchetta e si festeggia la vittoria. Si brinda anche ad una nuova e ritrovata alleanza con chi abita le regioni della steppa, gli unni guidati da Mudu, il cui aiuto è stato fondamentale per la conquista dei territori alani.


Mala tempora currunt sed peiora parantur ottobre 287 dc (anno 1038 ab Urbe condĭta)







Una nuova via commerciale per l’oriente è nata. Degli emissari sulla rotta per la Cina hanno incontrato uno strano popolo di nomadi guerrieri, unni si fanno chiamare, hanno un sistema molto arretrato ma in via di sviluppo. Dopo un’iniziale diffidenza reciproca si sono trovati gli estremi per degli accordi non solo commerciali, ma anche di tipo militare.







Ma l’impero non riesce a trovare pace, quella pace che Diocleziano aveva costruito con fatica veniva rimessa in discussione ancora una volta in Gallia, questa terra tanto sottomessa e tanto ribelle che negli ultimi anni aveva reso instabili confini con i germani che lentamente prendono forza.



Il generale Marcus di servizio nella Gallia centrale saputo degli accaduti fece ritorno in fretta e furia a Mediolanum da Massimiano. Giunto dopo una lunga cavalcata durata diversi giorni volle subito incontrare l’imperatore che venne subito avvisato della visita. Le notizie furono tragiche, Un certo Afranio Annibalino, un soldatuccio di poco valore aveva avvelenato Costanzo Cloro e preso il potere, si trattava del terzo usurpatore nel giro di pochi mesi, ma la cosa più raccapricciante è stata la notizia di un’alleanza tra Afranio il viscido e gli animali che popolano le terre al di là del Reno avessero stretto una subdola alleanza al fine deporre il legittimo imperatore di Roma.



I nefasti presagi non fanno tempo a comparire che subito si trasformano in una tetra realtà. I due eserciti approfittando dell’indebolimento delle legioni romane hanno colpito in maniera vigliacca, le legioni di Afranio il viscido in Britannia mentre i germani in Helvetia. Le armature erano entrambe romane ma le legioni galliche non avevano nulla di romano, sono delle serpi allevate in seno che sfruttano tutta la potenza di Roma per riversarla contro di essa, ecco cosa sono i galli, un popolo di barbari civilizzati, ma barbari di basso rango rimangono.







Dopo la sconfitta giunge anche l’umiliazione. Massimiano deposto riesce però a fuggire in Grecia trovando rifugio presso Galerio grazie ai generali fedeli che però rimanevo a Roma a servire un nuovo usurpatore.



Qua è stata messa in atto l’umiliazione delle umiliazioni, sul trono è stato imposto il fratello di Afranio, Flavio Giulio Dalmazio, un personaggio grigio, incapace di infondere nessuna emozione alle proprie legioni, un personaggio anonimo, uno dei tanti, uno di quelli che se passeggiasse per Roma nessuno noterebbe. Perfino in Senato si discute su questa nuova figura, per la prima volta vi è una strana unanimità nel non accettare un ennesimo imperatore che non gode di nessuna legittimità tranne quella della guardia pretoriana composta da uomini fedeli ad Afranio. L’usurpatore privo di carisma, senza cultura mancava anche di esperienza sul campo di battaglia si accingeva a governare Roma, tempi oscuri si protraggono all’orizzonte.



La tetrarchia è stata distrutta, il prezioso lavoro di Diocleziano è andato perduto, la Gallia e l’Italia sono governate da due fratelli accomunati dalla bramosia del potere a tutti costi, così presi dal potere che accettano anche di favorire quelle popolazioni storicamente nemiche di Roma, due fratelli che ucciderebbero anche la propria madre pur di avere qualche briciola di potere in più.


Ottobre 287

Marcia

La Saga di Neglfari

Pin di Grazia Noto su Amazing images | Falò in spiaggia, Spiaggia di notte, Paesaggi



<< Gioite... o popolo della grande Germania!... oggi qui segnamo la storia!... i nostri nomi eccheggeranno nelle sale di Odin!... banchetteremo al fianco dei nostri grandi antenati! Qui oggi roma cadrà!... OLTRE IL RENO!..>>

Lungo le rive del reno si preparava l'orda di Neglfari pronta a marciarne oltre ma non come semplici invasori ma come proprietari di diritto nella terra dei loro entenati.

Sconfinati serpentoni di uomini andavano oltre i confini delle Gallie ove l'armata di Roma li attendeva pronta a combattere al loro fianco contro quello che ancora una volta si rivelò un passo falso dei Latini.



L'alleanza improvvisa e al quanto gradita con l'usurpatore cesare delle gallie è stato il momento perfetto per condurre una grande orda lungo le terre Elvetiche sulle Alpi varcandone la soglia come al tempo Annibale Barca fece risalendo da cartagine.

Le battaglie furono vinte con incredibile velocità grazie alle strategie di invasione del Re che condusse con estrema ferocia ma moderatezza ogni singolo soldato lungo precisi tragitti. Sfruttava e creava sentieri in maniera tale che rimanessero mimetizzate grazie alle divise e le armature dei soldati che principalmente erano dotati di cuoio scuro o placche di metallo annerito da pitture di guerra.

Battaglia della foresta di Teutoburgo - Wikipedia



Arduo e ineluttabile fu lo scontro che durò tre giorni e tre notti lungo i quali le fila Romane cadevano da occidente della penisola italica ed anche da Nord.. le terre dei popoli germani ad oriente si sono in seguito rifiutate di lasciar passare l'esercito di Neglfari il quale inizialmente progettava un attacco lungo il territorio dell'Istria trovando svantagioso il conflitto sulle Alpi.



Battaglia di Teutoburgo - settembre 9 d.C. - Studia Rapido



<< ROMA HA PERSO! QUESTE TERRE ORA SONO NOSTRE! >>

Gridava iracondo il Re che sul suo destriero ordinava di decimare i superstiti di quegli scontri rovinosi.

Il Furore del momento era udibile a miglia tale da poter terrorizzare quei deboli Roma che marciavano per la ritirata.
Friendly Neighborhood Imp: Death Prediction: Baldur (God of War) vs Siegfried (Saint Seiya)

Nel caos di potere creatosi a Sud Neglfari non esito un solo istante a richiamare la sua Orda ancora fresca e stabile verso le foreste delle ardenne lungo le quali arrivò in meno di 12 giorni dalla conquista Elvetica.
Ora Roma era in mano a degli impostori che cospirano tra di loro tutto il tempo, la grande orda ad insaputa di Annibalino arrivò verso i confini della Germania Superiore razziando e saccheggiando per giorni prima dell'arrivo di un dispaccio dall'Imperatore Annibalino.

Egli chiedeva una tregua ed un accordo che prevedeva il cedimento ufficiale di quelle terre in cambio della fine delle ostilità e di un accordo per bloccare le razzie Pagane verso i popoli cristiani.

Con l'amaro in bocca il sovrano accettò a causa delle sue condizioni che ogni giorno parevano peggiorare sopratutto riguardo la sua vista ed i suoi occhi sempre più spesso sanguinanti ad ogni visione.
- - - -

Per quella che fù l'alleanza che avrebbe potuto imporsi su tutto l'Impero Romano stranamente ed a dir poco sconcertante gli emissari Unni vennero richiamati da Oriente e dell'alleanza tra i loro regni ed il transito della vita sella Seta impedito. Se bene un nuovo accordo con i popoli nomadi nella steppa avrebbero forse potuto rappresentare quel nuovo e possibile alleato contro ciò che rimane ancora dell'Impero romano.
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Women in ancient Rome - Wikipedia

Tra le macerie delle case razziate dall'orda pagana una piccola vocina sommessa e ferita sussultò nel mentre che Neglfari se ne stava li a meditare del suo grandioso operato con gli occhi bendati. Con lui vi era il fido consigliere Odorh ed un gruppo di guardie personali.

<<Oh... mio signore c'è una Romana ancora in vita.. ordino agli uomini di violentarla o di sacrificarla agli dei?..>>

Domandava il grasso Odorh ridacchiando e grugnendo insieme pregustando un possibile assaggio di quel succulento boccone che si trascinava inerme fuori da polvere e cenere con innumerevoli ferite sul corpo.

<< Mh..>>


Neglfari oscilla il capo.


<< No.. fatela pulire e vedere da un medico.. poi lasciatela nel mio letto stanotte.. se sarà in grado.>>

Il grasso consigliere tramuta la smorfia del viso sorridente in una triste capovolgendolo del tutto quando lo sente, "che re egoista" avrà sicuramente pensato in quel momento.
Cosi fecero eseguendo il suo operato, ma quella notte il sovrano non intendeva certo violentare quella donna convalescente.

{ - Il racconto di Helena - }

Diocesi delle Gallie

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Novembre del 287 DC



Veneris Dies



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””Destrerarum iunctio, ubi tu Gaius, me Gaia. Semper amaremus, fidae fidaelis, saecula saeculorum”” sibillò la sposa al marito, pronunciando l’antichissima formula matrimoniale. Le sue labbra tremavano sotto il velo rosso e il suo cuore palpitava, greve come greve batté da fanciulla al suo primo amore: a sedici anni, quando si era invaghita di uno spartano di nome Callistrato, che fu poi crudelmente trafitto in battaglia a Palmira da un arabo, … al tempo di Zenobia...



Il sacerdote del dio Grannus accarezzò la fronte fredda dei due amanti, spezzando in due pezzi una focaccia di farro, che sbriciolò sul fuoco. Poi diede alla donna un calice di vino argentato e disse: ””da questa coppa berrete, tu Gaia Helena, e tu Gaio Flavio Annibalino. E quando avrete bevuto, le vostre anime si saranno fuse in una sola.

Sarete fedeli l’uno verso l’altra.

Non vi abbandonerete alla lussuria, ma coltiverete il sacro Giardino di Giove,

Giunone sarà la vostra padrona.””



Giurarono e bevvero. Si strinsero le dita delle mani le une contro le altre, e si baciarono.



Il biondo Leocefalo nitriva accarezzando col muso la sua cavalla, comperata a Corcira per venti sesterzi.



Tutti intorno, piovve un coro di inni e di lodi al nuovo Cesare delle Gallie, e alla mater castrorum, vedova di Costanzo Cloro.

Eh beh, se il fantasma di Cloro fosse stato presente a quel matrimonio, si sarebbe senz’altro complimentato col suo carissimo amico Annibalino, per aver colmato il vuoto nel cuore spezzato della donna: povera piccola Helena, quanto deve aver sofferto la perdita del suo vecchio marito, strappato improvvisamente alla vita!



Helena, tornata dal suo esilio in Palestina, avrebbe voluto unirsi a suo marito cristianamente, ma rimase molto delusa nell’apprendere che i cristiani non avevano ancora stabilito una formula matrimoniale, avendo fino a quel momento inteso l’amore come un qualcosa di Platonico e scevro dal banale impeto della carne: una continua ricerca di Dio… Quel curioso Dio dei cristiani, a cui piace tanto nascondersi.

Fu quindi Annibalino a chiederle in ginocchio di sposarla sotto l’arbitrio della vecchia déa, Giunione.

Roteando gli occhi si arrese, dicendo si.



E si sposarono.



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””Oh quanto sono felice che tu sia tornata, Helena”” disse lui, la sua attenzione rivolta verso il bimbo che teneva in braccio. ””E questo piccolo ometto? Il nostro Costantino?”” continuò, pronunciando con enfasi la parola: nostro. Sporse le mani avanti, come per afferrarlo, ma la donna fece un passettino indietro, e non glielo diede, come se l’istinto materno le stesse dicendo di proteggere il bambino: Costantino non apparteneva a lui, ma a Cloro.

L’uomo sospirò malinconico: avrebbe voluto essere lui il padre di Costantino, futuro Imperatore di Roma… ma sarebbe stato solo un impostore. Tuttavia nascose la sua amarezza in un sorriso, provando ad essere d’esempio.

””… questo bambino diventerà un uomo importante. Camminerà sulle mie orme, e sarà ricordato nei secoli a venire.””



””Quanto alle Gallie: da quando Cloro è morto la pace domina, Helena. Ho preso accordi con il papa, che ora è al mio fianco nella tolleranza del cristianesimo, e Civitas Treverorum da tempo ormai non è più sotto assedio: gli uccellini cinguettano da quando i Galli hanno visto in me un Cesare diverso… ””



Afranio Annibalino raccontò con dovizia di particolari delle sue eroiche imprese in Britannia, e sull’arco alpino. La discesa dei Germani, l’ammutinamento dei centurioni, la resa dell’Italia e il trionfo delle Gallie. Stavolta Helena ascoltò trasognata le gesta dell’amato, figurandoselo dapprima a Mediolanum al seguito delle sue legioni, poi dinnanzi a Mancaster, nell’atto di incutere terrore nei suoi timidi avversari.

E là, avrebbe cavalcato a torso nudo contro le linee nemiche, gridando: per te Helena!!!

””Io prima Imperatrice di Roma??”” esclamò lei sbalordita, mettendo le mani avanti di fronte a quell’ipotesi avventata, che il suo nuovo marito, annebbiato dall’amore, le aveva offerto all’indomani della deposizione di Massimiano: la politica non la interessava, e né tantomeno le interessava rischiare la vita per sedere su un trono… tra l’altro corrotto come quello romano. Tanti ci si erano seduti, per poi cascare grottescamente con la testa all’indietro… E poi, lei era Greca: al massimo le avrebbe fatto piacere sedere su quel morbido trono di Bisanzio, … ma come moglie e non come Imperatrice.

Le lamentele dei sudditi… poveri, bassi, e plebei… non voleva affatto sentirsele. La sporcizia deve restare sotto al tappeto.



””Non se ne parla”” rispose Helena, rifiutando tale onore. Annibalino scuoté basso il capo, intristito ma apprensivo.

””D’accordo allora. Se ne prenderà cura mio fratello Domizio”” disse lui facendo spallucce, ””Roma… è in buone mani”” rise.

””Chi?”” replicò la donna, stupefatta, scoppiando anche lei a ridere. ””Domizio?”” ripeté, ””haha, quel citrullino di Domizio?””

””Sisi, proprio lui.””

””Scommetto 200 sesterzi sulla sua morte.””

””Facciamo anche 500, e-””



””Cesare!! Mio Cesare!!”” irruppe improvvisamente nell’androne un centurione Gallo, sudato e mal conciato.

””Cesare, ohh, mio adoratissimo Cesare”” si inchinò umile, baciando la mano di Annibalino prima, e quella di Helena.

””Parla, Caio Curtino. Che notizie porti tanto di fretta?””



””Cesare. Non troviamo più vostra figlia: sarebbe dovuta venire al vostro matrimonio, ma né qua, né altrove troviamo quella povera ragazza… ella si trovava a Brucsella prima di scomparire, nella Gallia Belgica...”” disse con tono dimesso.



””… i Germani… ”” sospirò Annibalino, sedendosi in un angolo tetro, occhi vitrei

La immaginò violentata dai barbari e ansimò,

bagnandosi le palpebre con delle lacrime,

la moglie gli venne incontro per consolarlo,

ma lui scoppiò a piangere, al pensiero della sua figlioletta

""... Vitruvina, la mia bambina...""
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Partita GDR | Diocleziano (di Mussulmanopazzo) 16/03/2021 Empty Re: Partita GDR | Diocleziano (di Mussulmanopazzo) 16/03/2021

Messaggio Da Falco Mer Feb 09, 2022 2:17 pm

Racconti orali dicembre 287d.c.





L'alleanza da poco sugellata con il vicino popolo delle steppe ha subito prodotto i suoi frutti. Oltre ad enormi accordi commerciali che ampliano quella che più comunemente viene definita via della seta è nata un'alleanza di tipo militare, forse la più auspicata per gli unni. Saranno proprio le mire espansionistiche dei due popoli ad accelerare la collaborazione, l'occasione si è presentata quando gli alani con le loro continue scorribande erano diventate un problema per i confini delle due nazioni. Le razzie sempre più frequenti non accennavano a fermarsi, i due re dopo varie comunicazioni tramite degli emissari scendevano in guerra fianco a fianco. Una guerra non facile dove ci sono state molte vittorie e qualche sconfitta ma che si è conclusa col grande assedio vittorioso di Novgorod. Le terre del nord delle tribù sub finniche dopo mesi di duri combattimenti erano definitivamente sottomesse.







Nel suo ritorno a Balik, Mudu dal nord decise di portare con se diversi costruttori di navi catturati dopo la conquista, infatti gli unni non erano abili costruttori ne navigatori ma intendevano diventarlo.





Una grande festa era pronta ad accogliere i guerrieri vittoriosi che facevano ritorno dalle loro famiglie, ma ad accoglierli vi erano anche degli emissari dell'impero romano. Questi portavano doni al sovrano, casse piene d'oro precedevano la loro entrata nella sala del trono, lo stesso Mudu restò immobile per un momento alla visione di tante ricchezze, "Questo è solo un anticipo di quello che vi spetta se accetterete la nostra proposta". Udito ciò si riunì il consiglio dei capitribù per prendere una decisione, sul piatto erano inserite ricchezze di ogni genere, ma la cosa più importante fu la possibilità di avere nuove terre da colonizzare, l'elemento decisivo che portò il consiglio ad accettare l'offerta romana. Massimiano prometteva terre in Africa vicino la famosa città di Carthago con possibilità di espansione futura in caso di future rivolte.







Mentre le armate erano in navigazione verso un nuovo mare ancora inesplorato, il Mediterraneus a Roma si insediava un altro imperatore che però manteneva invariati gli accordi in nome della nuova amicizia tra questi due popoli.





A capo della spedizione c'era Poskar che sempre più assumeva un ruolo fondamentale all'interno della società unni oltre che mettersi in luce a livello personale. Importante il suo contributo nella conquista di Gerba città africana che passava sotto il controllo unno per concessione romana



[Cronache della Collina ardente]



Transilvania, Gennaio 288 DC



Forest of Souls (Shamanborn, #1) by Lori M. Lee



Seduto all’ombra di un ɢrosso albero di quercia pedunculata, il vecchio scrutava l’orizzonte riposandosi le ampie natiche sulle pietre viscose, ormai conquistate dal muschio selvatico: tappeto d'erba, sopra il quale un frusciante ronzio di insetti formicolavano arrampicandosi sulle mura del castello. Colonne di formiche, coleotteri, blatte, e millepiedi, intonavano un inno di ɢuerra, marciando sopra e sotto tanto ordinatamente quanto le centurie dei soldati romani.

””Romani...”” sospirò pensoso il vecchio, serrando le palpebre verso la nebbia fredda e tetra, come per fenderla.

Gli sembrava ormai di aver dimenticato il nome di Roma.



Decembalo non era certo anziano, ma tutti quelli che ebbero l’onore di conoscerlo lo ritenevano tale: la sua barba era bruna e cupa quando c’era penombra, d’un rossiccio malinconico al tramonto quando il Sole calava, mentre all’alba appariva fresca e bionda, chiara sotto la luce riflessa del mattino. Era saɢace e sereno, quasi sempre di ottimo umore. Con le donne ɢentile. Di natura era bonario, e sapeva infondere pace nell’interlocutore, accendendone il cuore con le sue battute arɢute ed il suo sincero paternalismo: motivo questo, del suo soprannome: Decembalo il Bravo.

Mai re, fu tanto amato e apprezzato quanto lo fu lui.



””Romani...”” ripeté.

Il vento frusciava, fischiando nelle sue orecchie una lenta litania. I coleotteri svolazzavano, posandosi sui suoi capelli e facendosi dentro le uova, ma non riuscirono nonostante i loro penosi tentativi a distrarre la meditazione di Decembalo.

Da quando i romani se ne erano andati sotto ordini di Aureliano, la Dacia era sprofondata nel chaos.

Erano arrivati due secoli fa: si erano impadroniti dell’oro e del ferro, poi avevano messo incinta le loro donne, meticciando la Mesia con uomini scuri provenienti dal sud… in fine, se ne erano andati di punto in bianco, lasciandoli alla mercé dei loro più acerrimi nemici: i “Goti”, popoli Germanici, che da quel momento depredavano e razziavano le liete silve della Transilvania, dando fuoco alle foreste dei loro antenati. E poi c’era il popolo dei “Bastarni”, o ancora quello dei “Carpati”, che perturbavano la piana del Getonte.

I Sarmati.

Gente dell’oriente, abitatori infernali delle steppe.



E cosa hanno lasciato alla Dacia i romani, che poi non abbiano portato via con se?

Cristo.

Decembalo vide le nuvole diradarsi, aprendo nel cielo uno squarcio di luce.



Il cristianesimo, era l’unico lascito dei romani. Peccato, che neanche a Roma se non nelle Gallie i cristiani erano tollerati.



Il re vedeva con curiosità e con simpatia questa strana fede, venuta dall’oriente. Forse da Bisanzio, da Atene, o forse ancora da Gerusalemme, ma sperava che i vecchi déi: Vesta, Giove, Minerva, non venissero dimenticati. Nel profondo del suo animo, Decembalo credeva nel sincretismo tra le due reliɢioni, apparentemente tanto diverse, ma accomunate dal culto solare.

Decembalo, che lasciò che il verbo di Cristo si diffondesse, e questo avvenne particolarmente in Mesia, e presso i porti di Costanza: quà, il vescovo Ario, predicava e proselitava soprattutto presso il popolo dei Roxolani. Gente di mare, aperta a nuove usanze.



””Romani...”” sussurrò di nuovo.

LA SAGA DI NEGLFARI



Le navi dei Vikinghi - Report - NAUTICA REPORT



<<Kattegat in vistaa!..>>

Gridava la vedetta Sassone alla guida delle possenti armate Germaniche sui Drakkar che salpati dalle fredde terre Danesi ora si spingevano ancora più a Nord eseguendo l'ordine del loro Re sempre più affamato di potere quanto malato e pian piano vicino alla cecità totale.



Alla guida delle armate composte da 77.000 berserker inviata lungo i fiordi e le lande gelide vi è il grasso consigliere Odorh che seduto su di uno scranno imbottito di pellicce e cuscini lascia fare tutto il lavoro alla sua guardia personale mentre pregusta nelle linee delle retrovie la vittoria imminente che si stava per scagliare verso la capitale dei Norreni ignari dell'imminente invasione ma che subito si allertano alla vista di tutte quelle navi e delle bandiere germaniche issate su ognuna di essere.

<< Date loro ich... ciò che si merita..burp..>>

Scroficchia lui mentre le sue dita grasse ed unte affondano verso una ciotola di legno ricolma di trancetti di carne di montone che ogni tanto porta alla bocca per accompagnarli al vino rosso depredato nelle Gallie mesi prima.
In dosso aveva una folta veste di sete e svariate collane d'oro raffiguranti la croce cristiana, non per credo ovviamente quanto più per le sue decorazzioni in gemme preziose e la sua brillantezza. L'ultima chiesa che ha fatto depredare aveva tante belle cosucce nascoste sotto i banchi di pietra, quegli stupidi galli hanno usato un minerale tanto prezzioso per creare piccoli idoli come quelli.

<< Sommo consigliere Odorh... i marinai hanno preso ad attaccare..>>

Dirà il suo capo delle guardie un certo Sigurd detto l'occhio di serpe munito di grandi spalle ed una possente armatura che le adorna insieme ad una lama a due mani ed un chioma bionda lucente.
Sigurd indica verso la capitale di Kattegat ove i norreni si erano iniziati ad allestire per le prime difese dando fuoco ai porti e barricando le mura.

<<*Grugnito* Oh.. oh oh.. eccellente.. suonate il corno da guerra..>>

Bofocchia Odor sputacchiando qualche pezzo di carne e di di vino mischiati mentre gozzoviglia facendo fermare il suo Drakkar ad una distanza accettabile.

<<Corni da guerraaa!>>

Urlava Sigurd mentre un eco di suoni misti tra vari corni ed urla si solleva come un domino lungo tutte le imbarcazioni.
Subito dopo i soldati in attesa di giungere a terra prendono a cantare.

Il Valhalla ci chiama



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Il Re Spietato

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Storia di Neglfari e di Vitruvia dei Galli

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<< Dimmi Vitruvia... quanto a lungo credi che ti terrò in vita?...>>

Parlava il Re solo nella stanza con la neo scoperta figlia dell'usurpatore Gallo Annibalino.
La giovane ragazza aveva ora un aspetto curato, le sue ferite guarite ed il corpo pulito adornato da una bella veste di seta rossa importata dalle lontane vie della seta.

<<*Non capisco una parola di quello che dici sporco Barbaro!..*>>

Ribadisce lei in un latino ristretto con una lieve accentuazione tipica delle terre della Gallia.
Una figlia della foresta privata della sua stessa cultura, il Re con gli occhi bendati rimane li in silenzio ascoltandola.

<<Voi Romani... perché Romani ora siete non imparate mai.. insazziabili conquistatori.. ma la vostra storia sta giungendo alla fine e tutto anche grazie a voi... ehehe..>>

Ride cupo lui mentre stringe i manici dello scranno di legno.
Vitruvina e neglfari come già detto erano soli li e lei avrebbe potuto infierire facilmente su quell'uomo mezzo cieco dall'aria malaticcia che parlava una lingua grottesca ed orripilante.
E di fatti perché no? cosa avrebb potuta fermarla.

<<Stai pensando di farmi fuori?.. mh?.. >>

Neanche il tempo di dirlo che lei aveva già tra le mani un candelabro di argento depredato da qualche chiesa nei confini delle sue terre d'origine. Tremava impaurita, quell'uomo cosi magro ricoperto di tatuaggi e dalla voce terribilmente profonda gli incuteva una sensazione di terrore ineguagliabile, molti della sua gente avevano iniziato a pensare che fosse egli stesso un dio.

<<*Non sarà quell'arnese tra le tue mani a porre fine alla mia vita.. io l'ho visto.. la carne muore ma un ideale resta per sempre Vitruvina dei Galli... ora poggialo e vieni qui al mio capezzale lascia che ti tocchi il volto.*>>

In un latino dalle forti accentuazioni Longobarde e con qualche inciampo sorprende la ragazza che lascia cadere il candelabbro prendendo a piangere, era una schiava? e dire che lui non l'aveva messa in catene e nonostante questo non poteva uscire da quel palazzo di legno e pietra. Lentamente si avvicina a lui mettendosi in ginocchio fronte il Re Spietato e recuperando una sua mano a toccarle le sue gote lisce e rossastre dalle quali ancora colano delle calde lacrime.

Insipira Neglfari dal naso mentre butta aria calda dalla bocca a fare condensa visibile per quei fiochi raggi di luce che entravano dalle finestre.

<<* Ah.... si... è cosi che andrà a finire.. vedo anche ciò che sarà di te... non piangere giovane principessa.. il tuo futuro è molto più luminoso del mio.. per quanto ancora ti toccherà soffrire*.>>

Detto quello da sotto le bende chiazze di sangue iniziano a macchiare quelle fasce e lacrime rosse scendono sui lati del suo volto. Vitruvia passerà il resto della giornata a prendersi cura di quell'uomo ritenuto da tutti un mostro e dall'aspetto grottesco, ma che con lei fino a quel momento si era comportato quasi come un Angelo, un cherubino narrato dalle scritture cristiane a cui lei è tanto affezionata.


Racconti della steppa - ritorno alla normalità

Febbraio 288 dc



E' inverno nella steppa. Sono passati più di tre mesi dalla campagna nelle fredde lande del nord. Nel regno è ritornata la pace e con essa la normalità. Gli abitanti godono i frutti di questa vittoria e delle nuove tratte commerciali.





I guerrieri hanno riposto lance e scudi per tornare ai lavori abituali. Le cicatrici sui loro volti e sul corpo testimoniano il loro valore e l'asprezza delle battaglie. I più giovani, affascinati e incuriositi dalle storie che si celano dietro queste ferite, domandano loro della guerra che li ha tenuti così lontani da casa mentre coi loro occhi scalpitano di indossare anche loro un elmo e servire il proprio popolo in battaglia. Gli anziani che prendono la parola gonfiano il petto e iniziano a raccontare: << ho preso lo scalpo di ben venti alani!>>. Ma i loro sguardi si spengono velocemente. Molti amici e parenti non hanno fatto ritorno nella steppa. Sono caduti in quelle terre ma il loro ricordo è ancora vivo fra i loro familiari. La notte, fra le abitazioni, si sentono ancora i pianti delle loro mogli, dei loro figli.



Anche ad Haltzar, la capitale, è tornata la tranquillità e la politica torna ad essere protagonista.
A preoccupare Re Skules stavolta non sono i nemici al confine bensì le dispute interne e il malumore di alcune tribù che si diffonde rapidamente su tutte le province sotto il loro controllo. I rapporti fra le quattro antiche tribù che compongono il gran consiglio - organo essenziale per la pacifica convivenza dei popoli e per l'organizzazione dell'esercito - si sono rapidamente icrinati. Al centro della disputa vi è il controllo della regione chiamata Kelsar, strappata agli alani e che si affaccia sullo stesso mare skula. La contesa di una o più province e l'assenza di una figura che ne stabilisse l'effettiva appartenenza sono state le principali ragioni per cui il popolo skula si è trovato frammentato per moltissimo tempo, rendendolo debole e facilmente influenzabile da forze esterne. La prima vera unificazione sotto un unico vessillo avvenne per mano di Skomir, padre di Skules. Ma nonostante la cessione di gran parte della sovranità ad un unico regnante i dissapori e le antiche rivalità non sono mai venute meno.



I due capitribù che rivendicano il controllo su Kelsar (da un lato Atruk degli Askuzai, dall'altro Ektar dei Novarik) non hanno ancora trovato un compromesso e l'ultima parola spetta proprio al Re. L'assegnazione della provincia ad un capotribù piuttosto che a un altro comprometterebbe gli equilibri interni e rallenterebbe le mire espansionistiche del sovrano.







A tarda sera, mentre il silenzio domina sul confine sorvegliato, si intravede un'ombra venir fuori dalla foresta. Una sentinella a cavallo decide dunque di avvicinarsi e davanti a sé si ritrova un uomo, per l'esattezza un emissario skula che una volta oltrepassato il confine si getta stremato a terra. Con un filo di voce, prima di perdere i sensi, dalla bocca dell'emissario uscirono queste parole: <<porto brutte notizie...>>.


NOVI IMPERATORIS GENNAIO 289 dc (anno 1040 ab Urbe condĭta)




Un anno dalla deposizione di Massimiano era passato ma ancora Flavio Dalmazio non aveva conquistato il favore di alcuno. Non dall’esercito che ancora accettato l’umiliazione subita, non dal Senato nel quale spesso si discuteva l’inadeguatezza del suo ruolo, non dalla popolazione la quale aveva dovuto subire la revoca della riforma economica che istituiva un calmiere dei prezzi. Anche le imposte in quest’ultimo anno registravano un calo delle entrate mai visto prima. In tutti gli ambienti, specie quelli militari si vociferava di un ritorno del legittimo imperatore rifugiatosi in Grecia. Lo stesso Dalmazio aveva raddoppiato la sua guardia personale pensando che si sarebbe trattato di un tentativo di assassinio, in realtà grazie all’aiuto di Galerio intere legioni

erano sbarcate a Brundisium e marciavano su Roma.





Giunta la notizia nella città eterna la popolazione accorreva per le strade festante, l’esercito si ammutinò rifiutandosi di combattere contro altri romani e soprattutto per un imperatore che non apprezzavano. Anche la guardia pretoriana composta da uomini fidati di Afranio dovette arrendersi senza combattere, tentarono una fuga ma presto furono raggiunti, l’usurpatore fu arrestato e condotto nelle prigioni. Li subì le peggiori torture che si potessero immaginare. i componenti delle guardia pretoriana vennero scuoiati vivi e amputati gli arti morendo dissanguati. Dalmazio invece dopo le torture venne mantenuto in vita e ricondotto nella sua cella in attesa del suo destino, del suo tremendo destino







La folla festante accompagnò come un’onda nel mare Massimiano verso il Senato che lo aspettava per la proclamazione, il senatore Marciano prese la parola:



«Se qualcuno dovesse contemplare il popolo romano come un singolo individuo e rivedere tutta la sua vita, come è nato, come è cresciuto, come è arrivato a quella che può essere chiamata la maturità della sua virilità e come in seguito, per così dire, abbia raggiunta la vecchiaia, troverà che è passato attraverso quattro fasi di progresso. Il primo periodo, quando era sotto il dominio dei re, è durato per quasi 250 anni, durante i quali ha lottato contro i suoi vicini, nelle immediate vicinanze dell'Urbe. Questo periodo sarà la sua infanzia. Il suo periodo successivo si estende dal consolato di Bruto e Collatino a quello di Appio Claudio e Quinto Fulvio, uno spazio di 250 anni, durante i quali il popolo romano ha soggiogato l'Italia. Era un'epoca di attività estreme per i suoi soldati e le loro braccia, e può quindi essere chiamato la sua gioventù. Il periodo successivo è dato dai 250 anni fino al tempo di Cesare Augusto, durante il quale si è diffusa la pace in tutto il mondo. Questa è stata la virilità e, per così dire, la maturità robusta dell'Impero. Dal tempo di Cesare Augusto fino ai nostri anni vi è stato un periodo di non meno di 200 anni, durante il quale, a causa dell'inattività degli imperatori, il popolo romano, per così dire, è divenuto vecchio e ha perduto la sua potenza, salvo che sotto il dominio di Massimiano di nuovo mosse le braccia e, contrariamente alle aspettative generali, ancora una volta ha rinnovato il suo vigore con i giovani.»









Ma subito dopo aver udito queste parole replicò dicendo che il suo tempo era giunto al termine e che era l’ora di passare il testimone scegliendo uno dei più valorosi generali, Tiberius era il suo nome, che già si era messo in luce nella riconquista della Britannia contro Carausio e che godeva di un largo favore dei legionari.



Subito dopo aver così parlato rivestì Tiberius della porpora avita e lo proclamò Augusto tra le acclamazioni di gioia dell’esercito. Rivoltosi a lui, che aveva i lineamenti del volto contratti e quasi mesti, gli disse:



«In giovane età, carissimo amico mio, hai ricevuto lo splendido fiore della tua origine. Riconosco che la mia gloria s’è accresciuta, poiché nel concedere un’autorità pari alla mia ad un mio nobile amico mi sembra d’essere altrettanto giusto quanto grande nell’esercizio del mio stesso potere. Sii dunque partecipe delle mie fatiche e dei miei pericoli ed assumi l’incarico di difendere Roma per sollevare con ogni genere di benefici quelle regioni duramente provate. Se sarà necessario venire a battaglia con i nemici, poniti con fermo piede proprio fra i signiferi, esorta con ponderatezza all’audacia al momento opportuno, infiamma con somma cautela i combattenti andando innanzi a loro, sostieni con il tuo aiuto quanti sono turbati, rimprovera con misura i pigri, e sii pronto ad essere veridico testimone sia dei prodi che dei vili. Quindi, di fronte alla gravità della situazione, tu che sei valoroso, mettiti in cammino, per essere a capo di uomini altrettanto valorosi. Saremo vicini l’uno all’altro con saldo e costante affetto, combatteremo assieme per reggere uniti, con pari equilibrio ed amore, il mondo riportato alla pace, purché la divinità ci conceda ciò che chiediamo. Dovunque mi sembrerà d’averti vicino, né io ti sarò lontano qualsiasi impresa tu stia per compiere. Va’ dunque ed affrettati, accompagnato dagli augùri di tutti, a difendere con vigile cura il posto di combattimento come se lo stato in persona te l’avesse assegnato».





Alla fine di questo discorso nessuno rimase in silenzio, ma tutti i soldati, battendo con orrendo fragore gli scudi sulle ginocchia, approvarono, ad eccezione di pochi, con incredibile gioia la decisione dell’ormai ex Augusto e salutavano con l’ammirazione che meritava il nuovo, splendente nel fulgore della porpora imperiale. Osservando attentamente ed a lungo i suoi occhi belli e terribili ad un tempo ed il volto amabile pur nella sua eccitazione, cercavano di dedurne il carattere come se consultassero dei vecchi libri la cui lettura mostra la natura dell’animo attraverso le caratteristiche fisiche. E per esprimergli maggior rispetto, né lo lodavano oltremodo, né meno di quanto convenisse, tanto che i loro furono ritenuti giudizi di censori, non di soldati. Infine fu fatto salire sul cocchio imperiale assieme all’Augusto e, mentre veniva accolto alla reggia, mormorava questo verso d’Omero: «Lo colse la Morte purpurea e la Parca possente».


[ꭥ] Ellinika Chronika [ꭥ]

289 D.C.




[∞] Chronos [∞]




| | Il Tempo scivola via sul corpo degli Uomini lasciando su di esso dei segni indelebili, come la pioggia si scaglia sulle coste salate perforando lentamente il manto di pietrisco; mentre ad occidente i ratti spolpano le ossa fragili dei Legionari caduti in battaglia nelle pianure galliche per motivi avidi ed ingiusti, qui in tutto il mondo Ellenico gli Dei benevoli hanno concesso la Pace.




Il Romano Galerio detentore mortale di queste terre ha fatto ritorno: pochi giorni fa le Navi Romane hanno ormeggiato lungo il porto di Atene e i Legionari, guidati dal Caesar, hanno sfilato all’unisono per le strade della Polis con arroganza guerriera, fieri di aver eliminato il nemico Sassanide che aveva superato il Limes Orientale.




Quel Passo unico seppur rumoroso, lo strillo ferroso delle armature seppur insopportabile, nonostante l’arrivo di mani che hanno brandito spade e lance sporche di sangue, le mansioni quotidiane vennero interrotte per festeggiare il ritorno vittorioso di Galerio. Anche a chi non piaceva Roma e i Romani non poteva non ammettere che quel benessere e quella tranquillità era solo merito loro e di nessun altro.




Alle porte del Palazzo Reale ad accoglierlo non ci furono festeggiamenti, bensì il messaggero della morte che portava il volto di Massimiano che con uno sguardo impassibile, quasi non umano, e gli occhi sanguinosi di rabbia gli riferì ciò che in sua assenza il Tempo aveva causato. | |




[χ] Morus [χ]




| | Il suo corpo seppur coperto dalla fredda armatura ferrosa, decorata con colori caldi e scolpita con simboli romani, mostra i segni degli innumerevoli duelli sul campo di battaglia: cicatrici, ferite rimarginate, chiazze viola e nere sparse per le gambe, ma il segno più visibile lo aveva dove non poteva esser nascosto: il suo volto toccato da tempo dai fasci del Sole hanno tramutato la sua pelle bianca in una scorza bronzea dura e secca.

L’uomo dal volto di bronzo partì subito alla guida delle sue Legioni alla volta di Roma anche se il suo corpo reclamava un giusto e meritato riposo, il cuore e la mente impose tutt’altro. Morus lo Spirito del Destino Incombente, colui che tutto sa, generato dalla singola Divinità Nix, ha il potere di modellare le nostre vite e le scelte che ingenuamente pensiamo di prendere di nostra volontà. Molto probabilmente Egli voleva ancora divertirsi con il povero Galerio, forse metterlo alla prova un'ennesima volta per vedere fin dove il suo corpo mortale può spingersi prima di spezzarsi.




Giunti alle porte della Città Eterna non ci fu nessuna forma di resistenza ne da parte di alcun Legionario, ne da parte di qualche cittadino, anzi tutta Roma era tranquilla poiché tutti sapevano che ciò che stava per accadere era inevitabile. Flavio Dalmazio l’Usurpatore di Roma in questa sua breve vita da sovrano non è riuscito ad ottenere la fiducia dei Romani o quella dei Legionari o quella del Senato: tutti sapevano, anche il più ignorante dei Plebei, che il suo corpo emanava un fetore cadaverico era solo questione di tempo.




La “riconquista” della Città di Roma, per modo di dire, avvenne con estrema facilità e con grande sorpresa: Galerio si aspettava di dover combattere ancora, ma fu felice di esser contraddetto. Mentre Massimiano andò incontro al Morto Vivente, Galerio non voleva sapere nulla di quel che sarebbe successo, di quali sofferenze avrebbe patito Flavio o di qualsiasi decisione avrebbe preso Massimiano, Egli voleva solo riposare in un letto caldo e per la prima volta dopo mesi dimenticarsi di tutti i problemi.




Il giorno seguente, finalmente riposato e pulito, avrebbe fatto ritorno a casa e questa volta per restarci per molto tempo. Ricominciare a Governare, basta combattere ormai il suo corpo non era più in grado di sostenere una tale fatica, voleva solo occuparsi di politica, economia, partecipare a feste in suo onore e bere tanto vino lontano dagli orrori del campo di battaglia. | |


[Cronache della Collina ardente]



Transilvania, Estate-Autunno del 289 DC



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“Romani...” continuava a sospirare il vecchio Decembalo, scrutando l’ombra del bosco attraverso le sue spesse palpebre: quel nome appariva incomprensibile ormai, come d’un qualcosa che da tempo sulla terra non esiste.

Atlantide. Lemuria. E poi c’era Roma.

Eppure i romani erano poco più là, a pochi passi dalla Mesia, dove il confine meridionale della Dacia solleticava quello settentrionale della Tracia, increspandosi nell’irta catena rocciosa di Haemos.

“Romani...” sussurrò ancora una volta l’anziano seco, come se d’un tratto mille centurie rosse dal nulla potessero comparire, restaurando l’antica pace della Dacia, ormai abbandonata al proprio destino. Avrebbe voluto storpiare il loro nome in Rumani, Rumini, o Romeni, o ancora Rumeni, ma infaticabilmente continuava a chiamarli Romani.

E provava anche non poca soddisfazione. Si trattava di un esercizio linɢuistico convenevole per un re del suo calibro.



Come d’incanto. L’anziano re, si accinse ad alzarsi, scrollandosi dalle natiche il terriccio e le formiche.

Ormai, tutte le mattine era per lui d’uopo sedersi sulle rovine di quel castello, e rimirare l’orizzonte vasto e ɢriɢio pronunciando sempre la stessa parola: “Romani…”, “Romani…”, “Romani...”, con differente ma medesima intonazione spenta

Sperava nel profondo del suo cuore di rivederli quei romani, coi loro piumati stendardi aquilini, irti verso il cielo come obelischi eɢizi.

Ma questi non tornavano.



””Padre”” lo chiamò d’un tratto un daco, risveɢliandolo dalle sue lunɢhe meditazioni oniriche sui romani. Quell’uomo dalla barba bruna non era fiɢlio suo, ma Decembalo veniva chiamato padre, anche da coloro che non erano i fiɢli suoi.

””Dimmi, Giovane mio...”” rispose il non-vecchio senza scomporsi minimamente.



””Padre. Siamo in pericolo, i Goti hanno penetrato la Transilvania, facendosi strada tra le foreste abattute, e come un fiume in piena si sono riversati nella pianura del Getonte, unendosi ai Barnasti, creature di discordia. Solo il Grande Dio del Danubio tiene lontani i Germani dalla collina ardente, Padre. Le donne, i bambini... i popoli di tutta quanta la Dacia hanno lasciato le proprie terre con il viso ɢrondante di lacrime, donde evitare di cadere preda di quéi barbari.”” Disse il daco ansimante, facendo una pausa sul pronome dimostrativo "quéi", per distinɢuerlo da "noi".



Decembalo il Bravo ascoltò immobile ma cupo, senza voltarsi, e inspirando nelle sue narici la brezza fluviale del Danubio, per poi massaɢɢiarsi il rossiccio della barba con la punta dei suoi polpastrelli.



””I Sarmati non paiono sciocchi, Padre”” continuò il daco intristito ””appaiono divisi per la contesa di pezzi di carne, come tra Askuzai e Novarik per il controllo del Kelsar, ma quando in cerca di prede essi sono come un branco di lupi e cacciano assieme… un loro emissario ha cavalcato da oriente, presentandosi come ambasciatore di pace. Ma conosciamo bene i Sarmati e le loro cattive abitudini: per secoli il nostro popolo ha dovuto combattere per la sua sopravvivenza.””



Il vecchio Decembalo bonario sorrise, confortando il daco con una pacca sulla spalla, e lo invitò ad osservare con lui il bel panorama, per rendere più lieve il suo cuore. Quei suoi ɢrandi occhi ambrati parevano dirɢli: fiɢlio mio, non devi disperarti.

Sebbene quello non fosse fiɢlio suo, ma un daco come tanti.



””… l’emissario di re Skules era a cavallo”” raccontò, ””allorché, con una falcata mozzammo la testa al suo cavallo dicendo: và, tornatene a piedi dal tuo re, la testa di questo animale è la nostra risposta alla vostra offerta.””



Decembalo inarcò le sopracciɢlia pelose, ma poi sorrise serafico, annuendo.



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Quella sera d’estate, i Daci furono chiamati al raduno attorno alla collina ardente.

L’aria era insolitamente festosa, tra il profumo della birra schiumata e della carne arrostita. I draɢolupi alati simbolo della Dacia ɢuerriera, svolazzavano come aquiloni nel cielo notturno, mossi da un vento caldo e tenuti fermi alla terra da un flebile filo di lana: quella lana che veniva dall’Illiricum lontano. Il re stava con le braccia conserte sulla cima più alta del colle, mentre tutti intorno stavano i Dardani, i Roxolani, i Mesoani, i Transilvani, e c’erano persino i Costobocci.

Esuli, lesi, sconfitti, umiliati. Donne, vecchi, bambini.

Tutta quanta la Dacia sedeva unita ai piedi della collina ardente.

Tutti quanti aspettavano una parola da parte del loro ré.

Una sola parola.



””Romani...”” disse Decembalo. E piovve reliɢioso il silenzio.

””Ho meditato parecchio su di loro, i romani... e per quale motivo, cari sudditi miei, credete che ci abbiano abbandonato, lasciandoci soli contro i Goti, contro i Sarmati, contro i Barnasti, contro i Carpati?”” Le teste dei daci si ritrassero alla penombra del fuoco, facendosi timide e incerte, come fosse loro la colpa del ritiro di Roma. ””Non si tratta forse questa di una prova?”” domandò il non-vecchio al suo popolo. La voce di Decembalo fu sputata come un eco dalle colline riecheɢɢiando indietro, ””… prova, … rova … ova, va… , a.””

””Una prova, cari miei, una prova. Gli déi adorano mettere l'uomo alla prova, come noi uomini mettiamo alla prova il nostro bestiame, facendolo pascolare nell'arida Bucovina.””



””Scacceremo i Goti dal Getonte, i Barnasti dal Danubio. Lo faremo per il Dio del Grande Fiume.””

””Fiume, … iume… ume… me… e”” riecheɢɢiò l’eco.



””Il lupo alato ulula stanotte. Se i Sarmati attaccano, noi risponderemo al loro attacco.””

””Attacco, … tacco, … acco, … co, … o.””



””… perché in fondo siamo Daci, ma siamo anche Romani”” disse il vecchio.

””Siamo romani”” sussurrò, deliziato dal vibrante suono di quella parola.

””Romani…”” ripeté un'ultima volta a bassa voce.
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Partita GDR | Diocleziano (di Mussulmanopazzo) 16/03/2021 Empty Re: Partita GDR | Diocleziano (di Mussulmanopazzo) 16/03/2021

Messaggio Da Falco Mer Feb 09, 2022 2:18 pm

{ - Il racconto di Helena - }

Diocesi delle Gallie



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Primo Semestre del 290 DC



Mercurius Dies



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L’ospite d’onore venne fatto accomodare nella stanza da due éunuchi monaci, e fu invitato a sedersi su un morbido cuscino di porpora siriaca intarsiato di ricchi ricami dorati. L’ospite intonacato di bianco e di rosso, arrivava direttamente da Sulmona: la capitale Aprutensis che diede i natali al celebre Ovidio.

Helena si era preparata alla venuta del papa, indossando un velo azzurro e chiaro come quello di Maria santissima, madre di Dio. E si sarebbe inchinata, non fosse stata una nobile donna.



Afranio Annibalino invece, tese all’ospite una stretta di mano.

Il suo pollice indagatore si infilò tra l’indice e il medio, premendo contro l’unghia. Di tutta risposta, l’altro fece altrettanto, scuotendo la mano tre volte a destra, tre volte a sinistra. Gli occhi di Annibalino si illuminarono estasiati, poi sorrise e disse: ””visita interiora terrae rectificando invenies, occultam lapidem.”” L’ospite d’onore rise, mostrò la stella a cinque punte dei maghi pitagorici e ripeté la stessa formula: ””visita interiora terrae rectificando invenies, occultam lapidem. V.I.T.R.I.O.L.””



””Anche lei, vedo… conosce i segreti del disco solare”” esclamò il Cesare delle Gallie circospetto.

Papa Gaio, non soltanto era segretamente un parente stretto di Diocleziano e quindi un dominus in veste di pontefice, ma come tanti anche un conoscitore dei culti misterici di Mitra: un suo fratello, … e come lui alla ricerca della vera luce iniziatica.

Era deciso: quella sera, avrebbero bevuto del buon vino sotto la statua del toro morente.

””Sono un Corvonero”” rispose papa Gaio, riferendosi al terzo stadio della sua evoluzione spirituale, corrispondente al Cielo di Mercurio, dove si dice che le anime siano tanto limpide da essere pronte alla metamorfosi alchemica… come l’acqua che si tramuta in vino.

Il modesto Annibalino era invece ancora fermo al primo stadio di quel lunghissimo cammino iniziatico: era cioé un Fiaccolante, quindi sottomesso all’influsso pallido della Luna. Si diceva: solo pochi arrivano al settimo cielo: quello del Sole.



Helena, che di mitraismo ne sapeva ben poco, si limitò ad osservarli col silenzio di chi fa finta di non essere presente.



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Discussero a lungo dello stato di diffusione del culto del Sole Invitto, della vita eterna, del vino, del Paradiso, del ruolo del Cane nella costruzione del mondo, del bene, del male, dell’anima, del corpo, della natura triatrica di Cristo, di un continente chiamato Atlantide varcate le colonne d’Ercole, dell’esistenza di altri mondi tra le stelle… e di tante altre cose che ad Helena parevano fuori dal mondo, facendola sentire una povera piccola profana al cospetto di quei due illuminati.



Poi il Cesare delle Gallie si sedette al fianco di papa Gaio, prese papiro e calamaio, e cominciò, sotto dettatura, a riscrivere di punto in bianco l’Editto di Tolleranza: veniva stavolta riconosciuto il diritto dei cristiani di poter non solo professare in privato la propria fede, ma anche in pubblico, alla luce del sole… Le chiese, e i templii di Cristo che erano state rase al suolo durante le persecuzioni, dovevano essere ricostruite, così come Dio li aveva voluti. I beni della Chiesa sarebbero in fine diventati intoccabili, e non sarebbe stato possibile espropriarli, se non sotto diretto ordine dell’Imperatore di Roma.



L'ospite poggiò una mano sulla spalla del Cesare, e bisbigliò alle sue orecchie.



””Sai, potremmo chiamare tutti i vescovi cristiani ad un Concilio, forse a Nicea, e riscrivere la Bibbia completamente daccapo”” propose papa Gaio, alzandosi in piedi ””potremmo riformare il cristianesimo, dalle sue fondamenta”” aggiunse tenebroso, con un sorriso furbo e malefico, ””… parola per parola, verso dopo verso, libro dopo libro… Potremmo riscrivere la storia di Cristo, e farlo nascere il 25 dicembre. Potremmo mergere il cristianesimo al mitraismo e creare una nuova religione… potremmo...”” i suoi occhi si accesero di un rosso fuoco sopra il ghigno maligno, ””… potremmo dominare le masse e vincere, nei secoli a venire.””



””Mehh...”” lo liquidò Annibalino gesticolando con scarso convincimento.



Costantino, che sedeva accanto la madre Helena, era come incantato, e strabuzzati gli occhi ascoltava attentamente quello che il vecchio diceva ad Afranio: l’usurpatore che aveva preso il posto del suo vero padre: Costanzo Cloro.

Costantino non provava odio per Annibalino, ma nei suoi anni di maturità si era accresciuto in lui un senso di vendetta nei suoi confronti. Giurava che prima o poi avrebbe riscattato l’onore del padre, tradito nel mezzo del suo cammino.

Ma come avrebbe fatto: ancora non aveva riflettuto.



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Quando l’ospite d’onore se n’ebbe andato, salutandolo come un fratello di Mitra, Helena si tolse finalmente il velo, liberando quei suoi dolci capelli neri… non ancora scalfiti dal tempo che li avrebbe presto privati del loro colore, e che avrebbe poi maledetto il suo candido faccino sgraziandolo di rughe… allo scadere inesorabile della clessidra della vita.



Sopraggiunse un centurione.



””Cesare. Sono il Centurione Curio Curzio Curzante, e vi porto notizie da Roma.””

””Parla...””



””La prima notizia è che un popolo di celti ha chiesto che Roma intervenga nelle sue dispute, e hanno deciso di consociarsi a noi. Si tratta di gente che abita l’isola di Hibernia, da alcuni chiamata Eirélandum, al largo delle coste britanniche.””

””Bene… poi?””



””Vostro fratello Dalmazio è stato deposto, barbaramente ucciso, e rimpiazzato da un certo Tiberius”” Helena smise di accarezzare il cavalluccio Leocefalo, rigirò gli occhi e fece una linguaccia: hai perso la scommessa, te l’avevo detto che quel citrullino del tuo fratellino non sarebbe durato un mese di più, ””… tuttavia questo Tiberio, come poi Galerio il buono e il magnifico Diocleziano, intendono riconoscere voi come il legittimo Cesare delle Gallie.””

””Ottimo”” rispose Annibalino, noncurante del fratello morto ammazzato.

Il centurione restò impalato di fronte a quella freddezza d’animo, ma aggiunse: ””non è tutto … un certo Flavio Stolto, proconsole della Spagna, non vuole riconoscere Tiberio, e chiede il vostro aiuto contro Roma.””



Annibalino fece una smorfia.

””Scendete con l’esercito in Spagna dunque. E portate a Tiberio la testa di questo Flavio Stolto: le Gallie sono con Roma.””





””Piuttosto...”” le sue sopracciglia si fecero d’un tratto grévi, come gréve era il suo cuore.

””… avete notizie della mia piccola Vitruvina?”” domandò, con gli occhi bagnati di lacrime.

Il centurione imbronciò le labbra, scosse la testa, e abbassò lo sguardo,

””Abbiamo spedito due dei nostri emissari in Germania mio Cesare,

…ma uno di loro non ha fatto ritorno.””

””E l’altro?””

””… era ferito, nell’anima e nel corpo. Vitruvina è salva, ma prigioniera.””

””Prigioniera… di chi?””

””… del re dei Germani, padrone… E vuole sposarla!!””

Afranio Annibalino digrignò i denti, sentì cedergli il cuore,

Helena e Costantino accorsero per sorreggerlo,

ma svenne come corpo svenuto sviene.


Giorni di festa nelle terre a Est

Primavera del 290 dc



I tentativi di questi ultimi mesi da parte di Re Skules di mediare fra le due tribù in disputa per il Kelsar sono stati vani. Atruk, a capo degli Askuzai, ha disertato numerosi consigli, stufo delle continue trattative e dei presunti favoritismi del Re nei confronti del cugino Ektar, capotribù Novarik. Al Re spetta sempre l'ultima parola che va ben pesata per non compromettere l'unità delle tribù e non spegnere l'Antico Fuoco (che ne simboleggia l'unione).







Poi un'idea attraversò la mente del saggio Re, logorata dai continui discorsi di contesa. Il giovane principe Skilurus, primogenito del Re e comandante della guardia reale reduce dalla campagna del nord, ha ormai raggiunto l'età per poter scegliere una sposa, ovviamente fra i ranghi aristocratici locali, che gli possa dare un erede maschio. Una scelta assai complessa, spinta più da ragioni politiche che di sentimento. E fu proprio questa la motivazione del Re per scegliere una donna valida da unire in matrimonio al suo erede.



Armgarda, figlia sedicenne del capotribù Atruk, fu la candidata ideale. Una tipica donna askuzai: forte, dai tratti somatici tipici della costa e - secondo le credenze locali - estremamente fertile.



Con questa decisione il Re avrebbe accontentato entrambe le parti, risolvendo qualsiasi controversia. Ai novarik la regione tanto contesa del Kelsar, agli askuzai un posto tanto ambito alla corte del futuro Re degli skula.

La notizia fu accolta con grande giubilo da parte di Atruk. <<unire in matrimonio mia figlia con l'erede al trono e guida del nostro popolo porterà enormi vantaggi alla nostra tribù! Lascerò volentieri quella misera terra ai novarik>>. Di conseguenza anche nella terra dei novarik si festeggiò l'attribuzione del Kelsar sotto il loro controllo.



Ad Haraltz furono giorni di grande festa. Arrivarono doni in oro da ogni tribù, i popoli sottomessi si inchinarono al passaggio dei giovani sposi in sella a un grande destriero mentre il loro cammino veniva preceduto dal lancio di petali di orchidee, fiore tipico di quelle terre.







Si apre così una nuova stagione per il popolo skula. Una stagione di prosperità e di pacifica convivenza fra le tribù. Ma lo sguardo del saggio Re punta altrove, oltre i suoi confini. Passati i giorni di festa il gran consiglio dovrà riunirsi per affrontare una nuova minaccia, annunciata con l'arrivo di un emissario da ovest.


[ꭥ] Ellinika Chronika [ꭥ]

290 D.C.




[-] Dora’ [-]




|“| Galerio detto il Buono dai molti ha contribuito notevolmente alla restaurazione di Massimiano prima e Tiberius dopo, scelto come successore del primo Augustus, nella Città Eterna di Roma sporcata dalla presenza ignobile di un usurpatore da quattro soldi. Per risollevare la Provincia Italica dalla vergognosa sconfitta, per risanare l’economia interna della provincia, Galerio non si è limitato a sostenere Roma con le sue Legioni, bensì ha condiviso i propri beni con Essa.




Nei principali Porti della costa Ellenica che costituiscono la linfa vitale della Provincia intera, tanti marinai forzuti e puzzolenti di sudore caricavano nel ventre di questi maestosi velieri casse di legno contenenti tanto cibo da sfamare una famiglia per numerose generazioni; gli schiavi portavano sulle loro fragili schiene materiali per la costruzione edile e molti Legionari caricavano tante spade, lance, archi e scudi luccicanti tanti da poter eliminare un popolo intero.




Seppur l’Amore, l’Ammirazione e l’Orgoglio che Galerio prova verso Roma l’unica Donna che mai e poi mai tradirà o volterà le spalle, i suoi servigi esigevano una degna ricompensa. Parlando con lo stesso Massimiliano, prima che Egli lasciò ufficialmente il potere nelle mani di Tiberius, i due sono giunti ad un importante accordo: per ringraziare Galerio del grande aiuto che ha offerto a Roma, Massimiano consegna il controllo della Provincia d’Africa al Caesar.|”|




[✚] Christianoi [✚]




|“| La religione in tutte le sue forme e contenuti rappresenta per noi popoli mortali una corda a cui aggrapparci per evitare di soccombere in un baratro oscuro ed infinito. Ogni popolo di questa Terra conosciuta venera i propri Idoli e come loro anche coloro che non esistono più probabilmente usavano altri nomi, ma alla fine lo scopo ultimo mette in comune tutti noi mortali. I Romani venuti qui affascinati e convinti dai nostri Dei hanno deciso saggiamente di credere nell’Olimpo seppur apportando delle modifiche ai nomi: Zeus, Poseidone, Afrodite, Apollo e i Tanti Altri furono storpiati in: Giove, Plutone, Marte, Venere e Altri.




Roma, e i Romani, con il tempo hanno trattato la Grecia e i suoi popoli con grande stima e rispetto permettendo a molti, quasi tutti, di poter venerare gli Dei Originali; hanno appreso da noi l’Arte del Teatro, della Scultura, la Matematica e tanto altro. Gli altri popoli soggiogati alla volontà feroce di Roma non sono stati privati delle loro tradizioni, quindi neanche nei loro Credi, ma tutto ciò in cambio di grandi tributi monetari.




Tutti tranne i Cristiani i quali non sono riconducibili ad un unico popolo, bensì come un malanno divino si insinua in ogni dove, anche nella Città Eterna, convertendo anche le menti più forti divenendo essa stessa, giorno dopo giorno, più venerata e potente. Dei principi Cristiani fanno paura alle grandi autorità Romane soprattutto all’Imperatore Diocleziano che dal suo Palazzo d’Oro ha ordinato nuovamente a Galerio di riprendere le persecuzioni qui in Grecia.




Galerio mai in contrasto con il volere del suo Imperatore ha prontamente ordinato ai Legionari di setacciare ogni casa di ogni Polis: distruggere ogni simbolo cristiano, bruciare qualsiasi libro proibito e purificare le abitazioni con l’aiuto dei Sacerdoti. In pubblica piazza sono stati assassinati numerosi uomini e donne a sangue freddo dinanzi ad un pubblico ignaro di ogni età, ma il destino più atroce è di coloro che cercano di fuggire o si ribellano ai Legionari: costoro subiranno torture inumane e piangeranno di finire nell’Ade il prima possibile. |”|




[🔥] Apokalypsi [🔥]




|“| La forte influenza del Cristianesimo all’interno dell’Impero si è manifestata proprio in seguito alle recenti persecuzioni emanate da Diocleziano in tutta la parte Orientale del Grande Impero. Nel territorio della Mesia dove la peste era, ed è ancora, più potente i seguaci del Cristianesimo hanno preso con la forza il controllo di diverse città. Fra loro non solo semplici contadini, servi o plebei, ma fra le file di questo “Esercito Divino” vi sono anche molti nobili, sacerdoti convertiti e Legionari con la mente offuscata. Seppur la maggior parte non sono soldati e non hanno ricevuto un degno addestramento militare, sono riusciti ad entrare in posseso delle armerie locali e con le spade della legione hanno ammazzato molti Romani e Guardie cittadine.

I territori controllati dal nemico sono: La Mesia e la Tracia settentrionale entrambi territorio senza una reale figura che guida i rivoltosi, quindi a detta degli esperti Generali la ripresa dei territori sarà veloce ed indolore. Galerio probabilmente sperava di non dover arrivare a tutto ciò, ma alla luce dei grandi disordini da parte dei Ribelli Cristiani è stato costretto ad autorizzare l’eliminazione completa del nemico e presto la Legione partirà dalla Grecia verso la Mesia e la Tracia con l’obiettivo di distruggere senza pietà.




Il Libro Sacro dei Cristiani recita di un ultimo atto della vita mortale denominato: Apocalisse in cui l’intero mondo da noi conosciuto, il Sole, il Cielo, le Stelle, il Mare, gli Uomini come gli Animali e le Piante di colpo cesseranno di esistere. Il come, e il perché, ad oggi è un mistero visto che il solo possedere questo libro è una condanna a morte figuratevi leggerlo. Fatto sta che i Cristiani attribuiscono all’ascesa al potere dell’Imperatore Diocleziano come l’inizio di questo processo distruttivo e lo stesso Diocleziano è considerato il portatore della Fine. |”|


Novum coniugium AUTUNNO 290 dc (anno 1041 ab Urbe condĭta)


"Le lotte intestine, i tradimenti vigliacchi e i nemici esterni hanno turbato la pace e la tranquillità di Roma. Scene che hanno visto romani lottare contro altri romani non devono verificarsi mai più. Oggi Roma è più unita che mai, che lo sappiano tutti i nostri nemici!"

Queste sono le parole pronunziate dal nuovo imperatore all'interno del Senato dove era stato invitato a parlare e dove si stava discutendo dell'aumento delle spese militari per fronte alle ribellioni della penisola hiberica.



Un certo Flavio Stolto da mesi sta mettendo a ferro e fuoco la provincia dove sono prontamente intervenute le truppe di Annibalino riportando l'ordine in alcune città, le legioni ora partite da Roma affiancheranno quelle gallico romane in questa guerra.







Inoltre Tiberius informava il Senato che il figlio di Helena moglie del Cesare delle Gallie verrà trasferito presso la residenza imperiale per ricevere un'educazione adeguata al suo rango e prepararlo al suo futuro, un futuro non troppo lontano.



Altro argomento di discussione fu il rapporto con la Dacia, regione abbandonata tempo fa per le numerose incursioni barbare che rendevano impossibile la difesa di quei territori. Ma ora la situazione è cambiata, L'impero ha lo sguardo rivolto ad est, la strana alleanza con gli Unni ha aperto la rotta commerciale verso la Cina, mentre il confine tra la dacia e il popolo delle steppe sembra essere abbastanza stabile, queste sono le premesse che hanno portato ad un iniziale scambio epistolare tra Tiberius e Decembalo detto il bravo. Il tentativo di ricomporre il rapporto ha avuto un esito favorevole a tal punto che i due sovrani per sugellare l'alleanza ritrovata hanno stipulato un accordo matrimoniale che li avrebbe unito indissolubilmente. I due sposi sono lo stesso imperatore Tiberius e una delle figlie di Decembalo, Adila la pelosa. Sarà un matrimonio strettamente politico, non c'è nessun sentimento, "i destini dei popoli non possono certo dipendere da queste cose" ripeteva spesso Tiberius ai suoi consiglieri mentre erano intenti nell'organizzazione dello sposalizio.



La giovane Adila arrivata a Roma pochi giorni prima è condotta nella sua nuova villa donatagli dal suo promesso sposo situata poco fuori la città dove erano in atto i preparativi rispettando la tradizione la quale prevedere che il matrimonio venga celebrato in casa della sposa. Il giorno prima delle nozze la promessa sposa consacrava in un tempio ad una divinità di sua scelta i balocchi della sua infanzia, in questo caso Adila scelse Giove, poi si toglieva la toga pretexta e la donava alla Fortuna Virginalis.

Il giorno delle nozze, Adila, che la sera prima aveva raccolto i capelli in una reticella rossa, indossava una tunica senza orli, fissata con una cintura di lana con un nodo doppio, e un mantello color zafferano, ai piedi sandali dello stesso colore, al collo una collana di metallo e sulla testa un'acconciatura, come quella delle Vestali, formata da sei cercini posticci separati da piccole fasce, avvolta in un velo dal color arancio al rosso che copre la parte superiore del viso; sul velo una corona intrecciata di maggiorana e verbena. Una volta vestita riceve il fidanzato, la famiglia e gli amici di lui: tutti assieme poi sacrificavano agli Dei nell'atrium della casa un bue mentre l'auspex era intento a controllare le interiora dell'animale per accertarsi il favore degli dei. Una volta accertato Tiberius potè sollevare il velo della sposa sugellando il momento con una stretta di mano iniziando il rito nuziale.



Esso si concludeva quando entrambi pronunziarono "Ubi tu Gaius, ego Gaia" che rendeva legale quest'unione, il matrimonio era concluso e si diressero in corteo verso la residenza imperiale dove si sarebbe tenuto il banchetto di nozze fino a notte fonda quando gli invitati ad uno ad uno si defilano per lasciare i novelli sposi da soli









I giorni seguenti mentre ancora nella penisola iberica si combatteva per eliminare le ultime sacche di resistenza un centurione si presenta nella reggia imperiale chiedendo di incontrare Tiberius. Il soldato portava notizie dai territori germanici. Neglfari stava male, forse in fin di vita, i germani sono divisi sull'ipotetico successore, sono deboli al momento. L'imperatore che tanto sognava una vendetta per l'umiliazione subita pochi mesi prima volle esser lasciato solo chiedendo di non esser disturbato, cominciò così a valutare tutte le possibili soluzioni da poter adottare e li restò per due giorni.


LA SAGA DI NEGLFARI


291 D.c.



Come ogni storia ha fine anche la Saga dell'unificatore Neglfari termina qui nell'anno 291 D.c. Neglfari viene ritrovato morto con il volto ricoperto di sangue nel suo letto all'età di 35 anni lascia un impero in costruzione senza eredi o uomini degni di fiducia, sua moglie Vitruvina figlia dell'usurpatore Romano delle Gallie Annibalino viene automaticamente riconosciuta come sovrana delle terre di suo marito ma numerosi capi tribù nonostante l'unione sotto l'Ygdrasill benedetta da Freya con il sovrano, in lei vedono solamente una sporca cristiana Romana irrispettosa del popolo sanguisuga inviata dal dispensatore di caos Floky.



Odorh il sommo consigliere ancora impegnato con le ribellioni e la guerra nelle terre dei Norreni a settentrione, viene ad apprendere la notizia della scomparsa del sommo unificatore e decide di abbandonare quelle terre ghiacciate dando il comando al suo primo in comando, conduce parte dei suoi uomini nelle terre dei Sassoni in cerca di sostenitori per condurre le armate nella capitale ed aggiudicarsi il comando.

Fra sostenitori e cospiratori il potere ufficiale viene spartito tra i vari Clan come nella situazione precedente all'unificazione, solamente i Longobardi ed i Cherusi meno restii alla religione della suddetta sovrana restano al suo fianco vedendo in lei il lascito del tanto amato Neglfari.



La condanna a morte di Dostoevskij | Cult Stories



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<<Quel suino barbuto di Odorh si dirige a Sud verso le steppe Hoenzol... come dovremmo comportarci?..>>

Domandava un emissario della corona stando al fianco di Vitruvina ancora incerto se dovergli giurare fedeltà e se doverla ascoltare.
La regina in lutto da prima schiava e poi amata consorte del sovrano ancora scioccata per la prematura morte dell'uomo che all'ultimo nonostante le oscenità commesse aveva deciso di seguire se ne stava sullo scranno di legno sul quale fino a pochi giorni prima sedeva ancora Neglfari a riflettere come lui davanti il fuoco con in volto un espressione al quanto seria.

Alla mente portava ricordi dei lunghi e interminabili discorsi che suo marito gli faceva riguardo una sua eventuale prematura morte, forse già predetta dai suoi poteri divini.

<< I Capi tribù sono come bambini ognuno vuole un pezzetto di terra in più e cerca di mettere i piedi in testa.. Odorh non troverà mai sufficenti uomini per contrastarmi.. a preoccuparmi sono più i Romani... mio padre non approverà mai ciò che ono diventata, mentre con l'Imperatore di Roma Tiberius... Mh.. vedremo cosa accadrà>>

Sospira lei portando la delicata mancina alla fronte massaggiandola e chiudendo gli occhi sommessa in un profondo stato di meditazione personale. Lo scoppiettio del fuoco nel camino va a rompere ogni tanto il silenzio che mette in soggezione quel emissario Longobardo che ancora se ne sta alle spalle della regina ma che la guarda con estrema curiosità.



<< Inviate il grosso dell'esercito ai confini con le tribù.. chi vi fa passare dovrà per forza consegnarvi guerrieri... promettete loro oro e terre in cambio del loro supporto.. mentre chi si oppone deve essere annichilito. Poi mantieni buoni gli helvetici.. Inviate un missionario verso la capitale delle gallie dite loro che molti uomini in questo paese mi sostengono chiedete loro supporto. >>



Detto questo l'emissario si congeda pronto ad adempiere al suo dovere.

[ꭥ] Ellinika Chronika [ꭥ]

291 D.C.




[🕱] Sfagi’ [🕱]




|“| I territori della Mesia e della Tracia Settentrionale occupati dalla presenza ostile dei Ribelli Cristiani sono state finalmente liberate e i rivoltosi massacrati senza pietà dai fieri Legionari. Agli inizi del conflitto interno il Cesare Galerio aveva ordinato ai Generali incaricati di liberare i territori di tenere il conto, anche approssimativo, dei Cristiani uccisi durante le varie battaglie: sia civili che rivoltosi. La presenza di gruppo ostili nei territori occupati era molto più numerosa di ciò che i Generali inizialmente si aspettavano: il nemico seppur in poco tempo era riuscito a trovare rifugio nelle città e usare le mura difensive per contenere l’avanzata Romana; le armi rubate dalle Armerie cittadine nelle mani di quei assassini si sono rivelate mortali per molti Legionari che purtroppo non sono sopravissuti per ritornare dalle loro famiglie, le quali riceveranno un giusto compenso in denaro per la grave perdita.




Due mesi di dure battaglie ed assedi delle varie roccaforti ribelli hanno portato infine alla ovvia vittoria dell’Aquila Romana il cui vessillo sventola di nuovo nella provincia della Mesia; mentre per la Tracia Settentrionale è bastato un singolo mese per abbattere i ribelli i quali avevano subito una batosta mentale nel vedere i loro “fratellI ribelli” morire nella Mesia. Con il morale sotto i piedi anche gli ultimi nemici di Roma sono stati uccisi: chi decapitato, chi dato in pasto alle fiamme e chi in tanti altri modi strambi. Con ciò Galerio sancisce la fine della seconda persecuzione cristiana nelle province Elleniche dell’Impero, le “perdite” ammontano a circa: 50.000 cristiani fra cui molti ribelli e tanti cittadini. Se mentre ad occidente il Cristianesimo è stato accolto e fatto diventare religione ufficiale ad Oriente la situazione è ben definita: Zero tolleranza. |”|




[⚘] Lapsi [⚘]




|“| L’Atto del Matrimonio è un momento fondamentale nella vita di un Uomo e di una donna, un momento di gioia e di festa per tutti i componenti di entrambe le famiglie, un momento quasi Divino che sancisce l’unione indissolubile fra due anime che si Amano. O meglio di solito dovrebbe essere così, ma molto spesso la pratica del Matrimonio, e tutto ciò che ne concerne, è stata sfrutta ed abusata da molte famiglie per allargare la propria influenza su una città, rivestire cariche importanti, aumentare la propria ricchezza o l’onore della propria famiglia. L’amore quello vero e genuino lo troviamo tra coloro che non hanno nulla da perdere: i poveri, i quali vivono appunto solo di sentimenti ed emozioni fra cui l’Amore e se tradissero anche questo cosa gli rimane?




Un chiaro esempio di “matrimonio per convenienza” possiamo trovarlo non molto lontano, anzi proprio qui vicino nel cuore dell’Impero: a Roma. L’Augustus Tiberius, da poco divenuto tale, ha scelto di intraprendere la via dell’Unione Divina con la figlia del Capo Tribù dei Daci: Adila, non per amore, ma per semplice scelta politica ovvero conquistare la fiducia incondizionata di Decembalo Il Bravo. Le nozze sono state organizzate in segreto e con pochi invitati, se non i familiari più stretti, neppure la presenza di Galerio e dell’Imperatore Diocleziano è stata richiesta e sebbene la mancanza del primo può esser giustificata, il poco rispetto riservato nei confronti dell’Imperatore di Roma ha lasciato molto sbigottiti e contrariati.




Già di per se un Romano che fa entrare nella propria famiglia una donna Barbarica causa scalpore, poi se il Romano a farlo è un Imperatore ciò causa anche imbarazzo e vergogna e seppur alcuni hanno appresso il reale motivo di questo Matrimonio, molti pensano che il buon nome di Roma sia stato infangato. |”|




[〜] Damocle [〜]




|“| Caesar Galerio ha organizzato all’interno delle mura del Palazzo Reale di Atene una riunione con molti esponenti Militari dell’Esercito Romano, con alcune delle famiglie più importanti della Grecia e con dei Sacerdoti rappresentanti degli Dei. Il forte volere di Galerio è quello di ampliare ulteriormente i confini del già vasto Impero Romano così da imprimere il suo nome nella Storia di Roma come i precedenti Imperatori e Generali hanno fatto prima di lui, i quali verranno ricordati fino alla fine dei tempi.




Giunti alla fine della riunione, durata svariate ore, Galerio sguainando la sua splendente spada ha indicato con la punta della stessa un luogo preciso su una Cartina del Mondo posta sul tavolo della riunione: la punta della lama affilata pendeva minacciosa sulle acque disegnate del Pontus Euxinus (Mar Nero). La scelta fu fatta e l’ordine emanato direttamente dal Caesar in persona: le Legioni Romane si preparano per la futura guerra che li attende e con se probabilmente anche l’Ade. I popoli che popolano le sponde di quei Mari sono dunque avvertiti scansatevi ed inchinatevi che Roma sta Arrivando. |”|
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Partita GDR | Diocleziano (di Mussulmanopazzo) 16/03/2021 Empty Re: Partita GDR | Diocleziano (di Mussulmanopazzo) 16/03/2021

Messaggio Da Falco Mer Feb 09, 2022 2:19 pm

[Cronache della Collina ardente]



Transilvania, Primavera-Estate del 292 DC



Top 5 Mysterious places in the world [Dare to Read] - DARK HORSE



””Romani...”” bisbiɢliò per l’ennesima volta il non-vecchio, reɢalando al vento il suono stanco della sua voce.

Si, maɢari era stanco, forse affaticato, ma non per questo non determinato a sillabare all’orizzonte quelle parole, tanto dolci quanto vibranti. Lo avrebbe fatto ancora, e ancora. Fin che non fosse venuto quel ɢiorno in cui una musa ɢelosa ɢli avrebbe tolto da bocca la voce.

E non c’era cosa più bella in vita, che esercitare la linɢua in quel modo: spinɢerla sopra al palato, per farla vibrare.

””Romani… ?”” sussurrò ancora, stavolta con un leɢɢero tono di stupore. Gli occhi suoi bruni scavarono nell’orizzonte nuvoloso una larɢa schiera di uomini in arme: ma non erano soldati romani, no.

Non si muovevano come romani, ma come barbari.

Levandosi ritto in piedi come viril fuscello può levarsi a vista di fanciulla, si accorse che sotto quelle divise rosse, lacere e certamente derubate, si nascondevano i cristiani di Tracia: quelli che poche settimane prima avevano osato alzare il capo contro l’Impero d’oriente e contro la persecuzione bramata dal crudele Diocleziano.



Decembalo, che era uomo bravo e sovrano di morbidissimo cuore avrebbe voluto ospitarli tutti in terra di Dacia, e ɢli si strinse il cardio quando capì che non poteva. Quei poveruomini chiedevano dopotutto di essere accolti a braccia aperte e nient’altro, come naufraɢhi da un vascello fustiɢo della tempesta, avendo sentito dalla bocca di qualche marinaio che là, in quel suo reɢno dei Daci, un re ɢiusto e di bonaria tempra soleva praticare la tolleranza reliɢiosa, lasciando a personaɢɢi come il vescovo Ario il diritto naturale di predicare.

Fu però costretto a tradire, in barba alla sua reputazione, la fiducia che quelle povere anime inermi nutrivano nel suo nome.

Dopo essersi massaɢɢiato i baffi scelse di conseɢnare alla morte i Traci, a patto di un lauto ɢuadaɢno.



Roma scrisse a Decembalo.

Decembalo scrisse a Roma. E Roma venne.



George Lucian (george_lucian10) - Profile | Pinterest



Ahimé, non c’era niente che potesse fare per salvare la vita a quei cristiani.

Sospirò.

Si sedette su una roccia scodinzolando il pelo di barba. Guardò l’orizzonte, e serafico disse…

””Romani...””



Intanto, mentre la voce del loro re riecheɢɢiava monotona e pedulante riverberandosi notteɢiorno lunɢo il dorso delle valli, i Daci lottavano, inseɢuiti dal ruɢɢito dei draɢolupi, ma accompaɢnati lunɢo le battaɢlie dall’acra ɢola di Decembalo. I Bucovini spinsero i Barnasti al di là del Danubio, e ripresero le terre che i Carpati avevano lasciato ardere nel fumo col disprezzo di chi non ha cura delle cose altrui.

Le fronde bovine dei Germani: i Valacchi, i Goti e i Tusciatusci erano stati cacciati dal Getonte, con l’aiuto del Grande Dio del Fiume Blu, mentre una confederazione di Roxolani lasciava la tiepida Mesia e s’inoltrava nelle fredde selve della Transilvania.



I Daci liberavano la Dacia, ma tutto quel che il re aveva da dire era…

””Romani!”” esclamò incredulo, puntando il dito verso di loro.

Era mattina, e la sua barba aveva dunque assunto dei riflessi di un colore biondo chiaro.



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””Dice che Tiberio cerca la mano di una dolce fanciulla?, la mano di una principessa di Dacia?”” domandò il buon Decembalo: un sorriso si era aperto sul suo volto, finalmente qualcuno si era proposto come marito per i suoi tesori indeflorati. Chiamò con un fischio le sue due belle fiɢliuole che uscirono dalla tenda accompaɢnate dalla madre, e volendo essere un padre imparziale si fece da parte lasciando che il centurione sceɢliesse delle due la più ɢraziosa.

La faccia dell’uomo diseɢnò un’espressione di disɢusto alla vista della più ɢiovane, Zena: una raɢazza quindicenne cresciuta a burro e marmellata, e che ora sbracciava alla vista dell’emissario romano, sudando ɢrumi di sporcizia da oɢni poro di quella pachidermica pelle. Sulle sue ɢuance ɢonfie e brufolose c’era l'impossibile soɢno di diventare reɢina di Roma.

Sorrise, poi infilò il braccio in un barattolo di miele, lo tirò fuori e se lo slinɢuazzò come un orso di fronte ad un alveare.



Il centurione trattenne un conato di vomito.



L’altra era Adila. Detta la pelosa da chi le vide le ascelle.

In viso non appariva oscena, quanto sua sorella.

Ma era una raɢazza imponente, bionda e robusta: una barbara in carne ed ossa. La diciassettenne era alta quanto un ɢiovane albero di quercia, e forte abbastanza da sradicarne uno. Le sue labbra severe esprimevano noia all’idea di dover trascorrere il resto dei suoi ɢiorni in compaɢnia di un maɢro e minuscolo uomo del sud, dalla carnaɢione scura, e di tempra assai poco virile.

Quando la scelta del romano cadde su di lei, per poco non venne fulminato dal suo sɢuardo arciɢno.



Zena invece scoppiò a pianɢere, e Decembalo dovette confortarla, affondando le proprie braccia paterne in quell’adipe morbida e cicciosa, che da un momento all’altro pareva volerlo assorbire nel suo corpo, come le sabbie mobili fanno con ɢli avventurosi.



Più tardi, quello stesso emissario di Roma, ɢli parlò di una imminente ɢuerra contro i Sarmati, che Galerio aveva voluto.

Quella sera Decembalo avrebbe convocato ɢli anziani, e dichiarato ɢuerra ai popoli delle steppe.


Racconti orali primo semestre 293 dc


Nelle fredde lande desolate del Caucaso si sta svolgendo l'ennesimo consiglio dei capitribù. Si discute di tasse, di raccolti, non sembra neanche di assistere od una riunione unna, ma il malcontento dei vari capitribù era evidente, non erano abituati a vivere in pace né a essere stanziali, ma ormai il destino era inevitabile le cose stavano cambiando radicalmente. Alcuni capi pretesero almeno che il regno si ampliasse in modo che le guerre tenessero vive le tradizioni del loro popolo e soprattutto fare un modo di non indispettire gli spiriti guida.





Dalla seggiola si alzò un uomo minuto ma del fisico scolpito una lunga barba ingrigita dallo scorrere del tempo, capelli lunghi argentati con una coda che giungeva fino al fondoschiena, il suo nome è Pdor della tribù di Istar, molto rispettato tra i clan aveva guadagnato tutto ciò sui campi da battaglia ed era una di quelli che ancora faticava ad accettare i cambiamenti. Il silenzio calò sulla sala e tutti ascoltarono le sue parole: “Quando si viene a battaglia, è disonorevole per un Khan essere battuto in valore dal suo seguito, ma è anche disonorevole per i membri del seguito non uguagliare il valore del Khan. Costituisce poi motivo di infame obbrobrio ritornare dalla battaglia, sopravvivendo al proprio Khan. Il più forte obbligo morale sta nel difendere e proteggere il Khan, nell’ascrivere a gloria sua anche i propri atti di coraggio: i Khan combattono per la vittoria, i gregari per il loro Khan. Se la tribù in cui sono nati si intorpidisce in una pace lunga e oziosa, molti giovani nobili, di loro iniziativa, raggiungono altre tribù, che sono in stato di guerra. L’inerzia reca fastidio a questo popolo perché sono i pericoli a rendere più facilmente famosi e solo la violenza di una guerra consente di mantenere un seguito numeroso. Infatti è la liberalità del capo a conferire quel famoso cavallo da guerra, quella famosa framea insanguinata e vittoriosa. E come stipendio vale l’imbandigione di banchetti, non certo raffinati ma sicuramente abbondanti. Guerre e saccheggi consentono tale liberalità. Non si potrebbe certo indurre facilmente questi giovani ad arare la terra e ad aspettare le stagioni; preferiscono provocare il nemico e andare in cerca di ferite. È anzi segno di inerzia e di pigrizia acquistare col sudore ciò che si può ottenere col sangue. Quando non fanno la guerra, passano molto tempo a cacciare e ancor di più nell’ozio, dediti al sonno e al cibo. I più forti e bellicosi non fanno nulla, mentre la cura della casa, dei penati e dei campi è demandata alle donne, ai vecchi e a tutti quelli che non sono in grado di portare armi. Essi poltriscono: si tratta di una ben strana contraddizione della natura che gli stessi uomini amino l’inerzia e odino la pace.”



Il messaggio fu chiaro a tutti, se non si fossero prese delle decisioni che portassero almeno alla guerra alcune tribù si sarebbero scisse formando un'orda autonoma.



Prese la parola Norkin "Ricordatevi di romani, ci avevano promesso nuove guerre e nuovi territori e invece l'unica cosa che abbiamo ricevuta è un pezzo di terra insignificante in africa. Dove sono le guerre? Dove sono i bottini delle razzie promesse? Siamo stati traditi usati per sedare una rivolta e nella più. Non siamo più disposti a vivere nei nostri villaggi, i nostri guerrieri fremono. Si alzò Mudu che fino a quel momento aveva ascoltato con molto interesse i discorsi di consiglieri e fece un discorso molto comprensivo nei confronti degli scontenti e pur mantenendo ferma la volontà di un cambiamento nelle abitudini degli unni che ora restavano guerrieri ma diventavano al contempo agricoltori pescatori e commercianti dava il consenso alle incursioni nei territori dei dolgani. La sala fu invasa da grida di gioia tutti sguainarono le spade e gridarono "GUERRA".









Dopo mesi di scontri i dolgani venivano sottomessi e il regno degli unni sempre più potente. Ma i guerrieri non fecero in tempo a tornare dei campi di battaglia del nord che dovettero partire versa occidente. Un grido di aiuto era arrivato dai vicini alleati del popolo delle steppe, i daci hanno dichiarato guerra e si avvicinano ai confini affiancati dalle legioni di Galero. Ma non fece in tempo a mettersi in marcia che l'esercito unno dovette far ritorno a casa, la guerra era finita ancor prima di cominciare con grande rammarico dei guerrieri che affamati di battaglie speravano in un grosso conflitto.





Da Gerba la cittadina africana concessa da Massimiano la vita scorre tranquilla, Poskar nominata Governatore della provincia passa il suo tempo nella sua dimora amministrando sapientemente e dirimere le varie contese dimostrandosi anche un valido giudice. Ma le sue ambizioni sono altre, lei vede come una punizione l'esser mandato in un territorio lontano anzi ancor di più vede il suo allontanamento dalla corte quasi come un'estromissione dal consiglio, evidentemente era diventato una minaccia per Mudu poiché poteva essere considerato un degno successore ma anche un potenziale usurpatore. Decise cosi di punto in bianco di imbarcarsi e fare ritorno nella capitale.

{ - Il racconto di Helena - }

Diocesi delle Gallie



Primo Semestre del 293 DC



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Mars Dies



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Helena si rimise indosso i vestiti, coprendosi il capo a lutto con un velo di seta nera, come nemmanco le fosse morta un parente. Cadeva in quella notte senza Luna l’anniversario della morte di Costanzo Cloro, e un profano avrebbe potuto superficialmente accostare le due cose … ma non era questa ricorrenza ad occupare i pensieri di quella nobile donna, i cui capelli lungo corvini erano ormai prossimi a sbiadire di un nero più spento. Né la scomparsa di Vitruvina, che non le veniva a lei come figlia, ... se non per via adottiva.

Quella triste madre, che ora si accingeva ad aprire le serrande per piagnucolare al mondo intero la sua malinconia, sentiva la mancanza del suo piccolo Costantino, diventato ormai adulescens, e partito a Roma per crescere come Imperatore, lontano dalle sue protezioni… e dalla calura del suo capezzale.

Quella povera donna sospirò.

Prima aveva perduto la Grecia, finendo in quel bordello chiamato Roma. Poi aveva perduto la libertà, offrendosi in sposa a Cloro, Cesare delle Gallie… Si era convertita. E in fine, aveva perduto la cosa più preziosa che le era rimasta al mondo: il suo bambino.

Ma doveva accettarlo: cos’era questo in fondo, se non il destino di tutte le madri.

Presto Costantino sarebbe diventato uomo adulto: un vir bonus dicendi peritus. E col suo favoritismo, Helena avrebbe fatto tutto quel che era in suo potere per far si che il suo cucciolo potesse accedere alla carica di Imperatore: era pronta ad ammazzare con le sue stesse mani i figli di Galerio e tutti i pretendenti… avrebbe avvelenato Tiberio, se questo fosse vissuto troppo a lungo da impedirle di vedere sul trono di Roma il suo figlioletto adorato… Costantino.



Afranio Annibalino si rimise indosso i vestiti apprezzando l’aria fresca che entrava dalle finestre, e si sedette in un angolo buio della stanza, illuminato soltanto dalla fioca luce di una candela. Come quello di Helena, anche il viso del Cesare sprizzava tutt’altro che beatitudine. Aveva perduto la sua piccola Vitruvina, e tutti i suoi pensieri andavano a lei.

Preda, schiava, e poi moglie dei Germani. Abusata, violentata, stuprata… Ferita.

Non credeva al re dei Germani: i barbari sono bestie e non trattano con dolcezza le ragazze inermi del proprio nemico.

””La mia bambina...”” ripeteva, maledicendo se stesso.



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””Come sarebbe a dire!?! Vitruvina… regina dei Germani??”” esclamò esterrefatto al centurione che portava lui notizie.

””Si, Cesare mio. Ed ho una lettera per lei.””

Annibalino la prese, srotolandola. E per poco non svenne.

Non poteva crederci.

Non era possibile.

””La mia piccola Vitruvia...”” pensò a voce alta dopo aver letto le prime riga, mentre il suo cuore partiva in battaglia contro sentimenti tra loro contrastanti. Da una parte c’era la paura: paura che quella sua povera figliuola si fosse immischiata in faccende più grosse di lei, paura che la sua gloria avrebbe adombrato quella del padre, paura che la sua fanciulla fosse diventata nemica di Roma, e che avrebbe assistito alla sua decapitazione. Dall’altra parte c’era rabbia: la rabbia che un padre può provare nei confronti della figlia scostumata, poco avvezza alla disciplina che ci si aspetta da una ragazza di nobile rango.

Mai c’era poi sollievo. Il sollievo di risentirla, viva, sana, e forte.

E l’orgoglio: sua figlia, per volontà di Dio, era riuscita a sottomettere i Germani, dominandoli, e diventando la loro regina.



Sospirò, e stavolta fu un sospiro di letizia.



””Cesare”” disse il centurione ridestandolo dalle sue meditazioni: sognava ad occhi aperti sua figlia. ””Vitruvia sta combattendo contro i Germani capitanati da un certo Odorinus: costoro non accettano di prendere ordini da una romana. Ma Odorinus non eccelle certo per le sue doti militari: sembra in difficoltà contro i popoli che abitano i mari dell’Iperborea.””

””Dunque attaccate”” rispose con risolutezza Annibalino.

””Mio Cesare. Sotto di voi Roma ha vinto contro l’usurpatore Flavio Stolto… ha ottenuto l’Hibernia, e domato i Pitti.””

””Bene quindi: cosa aspettate?””

””Aspettavamo soltanto un vostro ordine, mio Cesare adorato”” disse umile il leccapiedi, ””allestiremo un esercito, entreremo in Germania col consenso di vostra fi-…”” si corresse, ””intendevo cioé, col consenso di Vitruvia… passeremo per quelle foreste dove Arminio tese una trappola a Varo… e difenderemo l’aquila imperiale dal superbo Odorinus.””



””Bene, bene. Eccellente Smitherus...””

Dopo aver congedato il centurione,

Annibalino si alzò in piedi, gesticolando coi polpastrelli.

Si incamminò verso la finestra, e giacendo al fianco di Helena guardò il cielo senza Luna,

sognando sua figlia ad occhi aperti.


LA SAGA DI VITRUVINA

Anno del Signore 283

- -

Sources of Inspiration Part 2 – Inspired by a Viking Queen



Si fa avanti cinta di pelliccia e Gufo alla spalla la nuova Regina dei Germani. Vitruvina figlia del Cesare delle Gallie Annibalino moglie di Neglfari l'unificatore.
Nella sala vi è gran silenzio essendo tutti un po incerti su come agire con quella regina, secondo legge erede al trono del sovrano ormai defunto ma in ogni caso figlia di un politico estremamente importante per giunta Romana e Cristiana.
Loro che a Roma hanno sempre guardato con disprezzo ora guardano a lei con curiosità in religioso silenzio per udire con certezza le sue prime parole.

Sedendosi sullo scranno di legno un tempo appartenuto a suo padre Vitruvia si guarda a torno lungo la tavolata alla quale tutti gli importanti capi tribù erano seduti.
<< Il Consigliere Odorh è stayto respinto lui ed il suo esercito di traditori si è spinto sempre più a Nord fino a far di loro perdere le tracce.. si suppone siano morti tutti tra i ghiacci o per mano delle tribù indigene di quelle parti.... le terre di poco più a Sud nella provincia Norvegese sono ora sotto il nostro controllo ed abbiamo già assoldato parecchi volontari nelle milizie di guardia per i centri cittadini di rilievo.. mentre le tribù che non ci appoggiano sono tutt'ora in conflitto sopratutto nei confini Gallo belgici.. non è piaciuto e non mi ha reso certo popolare cedere le ardenne a mio padre.. ma questo è stato un qualcosa di necessario per sopperire alle nostre mancanze tra alleati e materie prime..>>

Interdetto uno dei capi tribù dalla lunga barba bionda si solleva battendo le mani sul legno del tavolo.

<< Come sarebbe a dire?.. mio figlio è morto nella battaglia delle Ardenne e lei ha ceduto quelle terre cosi senza neanche un udienza? quale genere di sovrana dovrebbe essere lei!.? >>

<< Una giusta per il suo popolo....>>

Lo interruppe lei.

<< Ormai quelle terre sono popolate da Galli da decenni.. sono un territorio che non ci appartiene ne ci serve.. ho preferito cederlo piuttosto che far morire di fame migliaia di persone.. >>

Detto quello il bel biondino china il capo guardando il legno del tavolo poco prima malmenato ingiustamente pensiroso e con un espressione triste in volto.

- - - - - -

I giorni passarono ed anche gli inverni Vitruvina diveniva sempre più potente e si impadroniva di consensi popolari facendo un qualcosa che secondo la sua fede pareva anche d'obbligo. Volgeva la carita' e donava oro a chi chiedeva del denaro, costruiva strade sopperendo alla mancanza della pietra con il legno, forgiava armi ed armate nominando egli stessa Generali, insomma lentamente romanizzava alla sua maniera il popoli spendendo costantemente fino al punto di ritrovarsi determinate lune senza neanche un soldo.


Fine partita si ringraziano i Gentili partecipanti.

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